mercoledì 4 marzo 2009

Scienza e fede I

(Nell'immagine la Terra avvolta dai satelliti)

La falsa contrapposizione tra darwinismo e Chiesa

A un secolo e mezzo dalla pubblicazione de L'origine delle specie di Charles Darwin, considerato la pietra miliare della biologia evoluzionista, e dopo recenti importanti scoperte scientifiche, il tema dell'evoluzione biologica merita una seria riconsiderazione, tanto dal punto di vista scientifico, quanto da una prospettiva filosofica e teologica. Soprattutto per superare le posizioni e le polemiche ideologiche che, a due secoli dalla nascita di Darwin, animano più che mai oggi il dibattito. Si assiste a confusioni strumentali tra teologia e scienza che provocano, da una parte, un evoluzionismo metafisico antireligioso e, dall'altra, estremizzazioni fondamentaliste che portano a un malinteso creazionismo o al così detto Intelligent design. Proprio per questi motivi, la Pontificia Università Gregoriana, in collaborazione con la University of Notre Dame (Indiana, Usa), sotto l'alto patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura e nell'ambito del Progetto Stoq (Scienza, Teologia e Ricerca Ontologica), ha organizzato presso la sua sede a Roma una conferenza internazionale sul tema "L'evoluzione biologica: fatti e teorie", che si apre martedì 3 marzo e proseguirà fino a sabato 7.
Scopo principale dell'iniziativa sarà considerare il problema dell'evoluzione in una prospettiva più ampia rispetto al neodarwinismo tradizionale, alla luce delle recenti acquisizioni della ricerca. A centocinquanta anni dalla sua nascita, che valore scientifico ha dunque oggi la teoria dell'evoluzione ed è possibile parlare ancora di un'unica teoria? Lo abbiamo chiesto a Gennaro Auletta, docente di Filosofia delle scienze presso la Pontificia Università Gregoriana, direttore scientifico del Progetto Stoq e vicedirettore del convegno.
"Ritengo che non esista teoria scientifica che non evolva nel corso del tempo. La migliore garanzia di scientificità del darwinismo e della teoria dell'evoluzione - ha spiegato l'esperto - è nella sua capacità di evolversi dimostrata negli ultimi centocinquanta anni. Oggi direi che non è una teoria monolitica, ma parlare di più teorie dell'evoluzione mi sembrerebbe eccessivo. Credo si debba parlare di un'unica teoria, con una pluralità di approcci, con apporti molto significativi soprattutto da due punti di vista. Da una parte oggi consideriamo i geni non più come una sequenza lineare che codifica l'informazione ma soprattutto come un network: ogni gene, anche quelli codificanti, viene considerato un'unità che può attivare tutta un'altra serie di geni che hanno funzioni regolatrici e che contribuiscono alla formazione dell'organismo globalmente. Questo permette di considerare le mutazioni come fenomeni non isolati. Se modifichiamo uno dei geni di questo network otterremo come conseguenza tutta un'altra serie di mutazioni "a cascata". Questo spiega come tutta una serie di mutazioni possano essere state canalizzate nel corso dell'evoluzione. Quindi, se si tratta di mutazioni certamente casuali nel loro manifestarsi iniziale, i loro effetti non lo sono. L'altro approccio nuovo che caratterizza la teoria di Darwin è la comprensione che l'evoluzione dell'organismo è il risultato di una co-evoluzione, di un co-adattamento. L'organismo e l'ambiente, per così dire, sono una bipolarità in costante interazione. Da questo punto di vista è importante porre l'accento sulla capacità che hanno tutti gli organismi, anche i più semplici, di costruire delle nicchie ambientali. Quindi il rapporto con l'ambiente non è più soltanto dall'ambiente all'organismo, com'era concepito cento o perfino trent'anni fa, ma è anche dall'organismo all'ambiente. Costruendo nicchie ambientali gli organismi sono perciò in grado di modulare gli effetti della selezione naturale su sé stessi e quindi di influenzare, sia pur indirettamente, la loro stessa evoluzione. Nessun organismo può controllare direttamente la propria evoluzione, ma nella costruzione della nicchia ambientale gli organismi contribuiscono nel tempo a determinare delle condizioni che hanno degli effetti di feedback sul loro stesso processo evolutivo.

Qual è stata e qual è oggi la posizione della Chiesa circa il darwinismo?

Direi, molto semplicemente, mai di condanna. È questa una delle ragioni che rendono secondo me superfluo qualsiasi sforzo di recupero o riabilitazione di Darwin, perché né la Chiesa cattolica, né suoi esponenti significativi, hanno mai condannato, né il darwinismo, né la teoria dell'evoluzione. Anzi, c'è stata sempre molta attenzione. Basti ricordare che il cardinale John Henry Newman in Inghilterra fu un chiarissimo sostenitore, fin dai suoi albori, del darwinismo. Direi anzi che a partire dalla famosa presa di posizione di Giovanni Paolo II del 1996, si è passati a una fase di ricognizione.

Alla riflessione filosofica spetta il compito, anche rispetto al cosiddetto darwinismo, di distinguere il piano della scienza da quello della teologia. Due prospettive che oggi sembrano spesso confondersi.

È un segno dei tempi. Nel bene e nel male oggi c'è una maggiore sensibilità nei confronti delle problematiche metafisiche, religiose, spirituali. Questo è il segno di un mutamento molto importante, ma bisogna stare molto attenti perché siamo stati dominati per trecentocinquant'anni anni da un paradigma meccanicistico. Nella scienza meccanica non c'è nulla di sbagliato. La scienza comincia sempre con lo studiare i sistemi più semplici e questi in natura sono proprio quelli di tipo meccanico. Quindi forse era addirittura necessario che la scienza cominciasse da lì. Ma da questo punto di partenza qualcuno ha tratto un paradigma meccanicistico, una sorta di metafisica anti metafisica. E questo paradigma ha dominato per tre secoli e mezzo, rendendo molto difficile per filosofi e teologi discutere di alcuni argomenti con le controparti scientifiche. Oggi la situazione è cambiata ed è dovere della filosofia mettere in chiaro che la teoria dell'evoluzione non soltanto non ha di per sé una carica anti-religiosa, ma nemmeno è una teoria che dal punto di vista epistemologico può "provare che Dio non esiste", come sostenevano, con un salto che definirei illogico, alcuni luminari qualche anno fa su "Le Nouvel Observateur". Ma io sono anche convinto che non è nell'interesse di nessuno promuovere un concordismo esagerato. Non penso che i risultati della scienza e quelli della filosofia e della teologia debbano sempre o possano sempre andare d'accordo. Ritengo che, a volte, un confronto aspro sia anzi salutare, perché è così che si va avanti. Ma, quando si sono chiarite certe distinzioni, andare a vedere se ci sono delle convergenze significative, o delle lezioni significative che la scienza può dare alla teologia o alla filosofia, credo sia allo stesso modo molto utile.
L'idea di un disegno provvidenziale di Dio nella Creazione, di "una materia strutturata in modo intelligente dallo Spirito" - ricordata recentemente dal Papa - rappresenta una "teoria scientifica" che può essere in contrasto con altre?

Sono molto sensibile a questa definizione. Nel 2004, infatti, invitai alla Gregoriana il cardinale Georges Marie Martin Cottier per discutere un aspetto molto interessante. Come studioso di meccanica quantistica, ho sempre ritenuto che i sistemi quantistici vadano intesi in ultima analisi come "informazione". Non sto dicendo che i processi cognitivi più avanzati si possano ridurre a informazione. Ma, già a livello puramente fisico, esistono fenomeni come lo scambio d'informazione, l'acquisizione d'informazione, che suggeriscono come nel nostro universo la materia non sia soltanto un'accozzaglia casuale di elementi, ma una struttura che potremmo definire, se non "intelligente", almeno "intelligibile". Lo scopo della discussione con il teologo Cottier era dimostrare come la meccanica quantistica suggerisca un'oggettiva intelligibilità del cosmo e della materia, che era esattamente ciò che sosteneva la scolastica di san Tommaso. Si badi bene che questa non è una teoria scientifica. Mi limito ad affermare che esistono teorie scientifiche, come la meccanica quantistica, ma anche la teoria dell'evoluzione, che suggeriscono punti di vista molto interessanti se sviluppati sul piano filosofico e teologico. Un altro punto che mi preme sottolineare però è che, quando si parla di disegno provvidenziale nella creazione, bisogna stare molto attenti a evitare il discorso dell'Intelligent design, che non è una teoria scientifica, anche se si spaccia come tale. Questa tesi, inoltre, ha il grave difetto di considerare ancora la teoria dell'evoluzione com'era trenta o quarant'anni fa. Ma se volessimo ritenere che c'è un finalismo, non di tipo teologico/religioso, ma un finalismo interno stesso all'evoluzione che possa essere constato empiricamente, correremmo il rischio di considerare sostanze prime, per usare un linguaggio scolastico, quelle che sono sostanze seconde, e cioè di trasformare le specie e i generi biologici in soggetti ontologici del tipo dell'organismo individuale, perché per parlare di un fine di qualcosa debbo avere qualcosa. Non dico però che l'evoluzione sia qualcosa che procede in modo cieco. Anche se non ha un finalismo intrinseco, l'evoluzione va, nel tempo, nel senso di un maggior esercizio di controllo da parte degli organismi sull'informazione ambientale. Se si osserva il passaggio dal batterio all'essere umano, attraverso le varie fasi, si assiste a un incremento significativo dei canali e delle forme con cui questi organismi accedono alle informazioni ambientali, attraverso canali sensoriali, modalità concettuali e cognitive sempre più sofisticate, esercitando così un sempre maggiore controllo sull'ambiente. E questo è un punto chiave, perché vuol dire che l'intelligenza è qualcosa che è promossa dall'evoluzione, perché è un fenomeno adattivo. Quindi, se è vero che l'essere umano è anche un prodotto contingente dell'evoluzione biologica, se consideriamo un tempo sufficientemente lungo dell'evoluzione è lecito aspettarsi che un essere intelligente emerga, perché l'intelligenza è qualcosa che va nel senso dell'evoluzione. Per meccanismi intrinseci alla stessa evoluzione, si crea un fenomeno di promozione di un maggiore controllo dell'informazione, e quindi di promozione dell'intelligenza, pur non essendo la stessa evoluzione, per quello che ne sappiamo sul piano scientifico, indirizzata a un fine determinato. Ovviamente questo non è un discorso direttamente teologico, ma solo scientifico/filosofico. Ma ciò dimostra che sarebbe sciagurato far discendere dal discorso teologico sul disegno provvidenziale un finalismo forte. Invece, tale discorso filosofico/teologico non è affatto in discordanza con una guida indiretta della creazione, recuperando un'altra istanza medievale, ossia la distinzione tra Causa prima (Dio) e cause seconde (gli essere finiti): Dio, nelle sue modalità di azione, non sopprime le cause seconde.

Quali sono dunque le vostre attese per il convegno della Gregoriana?

Ritengo che il compito del filosofo, ma anche dello scienziato, più che quello di fornire risposte, sia quello di chiarire esattamente quali sono i problemi. Quindi, poiché la teoria dell'evoluzione è sul piano scientifico una teoria vitale, mi aspetto che questo convegno possa individuare quali sono i suoi aspetti ancora problematici. Ma anche che metta in chiaro quali problemi ci sono, se eventualmente ci sono, tra questa teoria e il pensiero teologico e filosofico. Magari, quello che accadrà, e sarebbe interessante che accadesse, è scoprire che i problemi sono molto diversi da quelli che abbiamo immaginato fino a ora. Si parla spesso d'incompatibilità tra cattolicesimo e teoria dell'evoluzione, del rischio di ridurre l'essere umano a un aggregato di cellule o alla pura dimensione animale, ma forse questi sono solo miti da sfatare e i problemi sono altrove. Ecco vorrei che il prossimo convegno della Gregoriana, oltre a essere una chiara testimonianza del fatto che le istituzioni e le università ecclesiastiche e il Progetto Stoq prendono molto sul serio la teoria dell'evoluzione, servisse a individuare le questioni aperte.
(di Fabio Colagrande, L'Osservatore Romano 3 marzo 2009)

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02/03/2009 (La Croix)
Un dialogue parfois difficile entre science et foi


Au Vatican, les rapports restent malaisés concernant les sciences biologiques humaines, objet d’un colloque qui démarre mardi 3 mars à Rome

La prestigieuse université grégorienne des jésuites à Rome accueille à partir du mardi 3 mars le colloque « Évolution biologique, faits et théories. Une évaluation critique, 150 ans après “L’origine des espèces” », sous le patronage du Conseil pontifical de la culture. En mai, le même Conseil pontifical parraine une autre manifestation, à Florence cette fois, sur Galilée, pour les 400 ans de ses premières observations astronomiques.

Galilée, Darwin : les deux noms ne sont pas associés uniquement par le hasard des calendriers. « Galilée a révolutionné la manière de regarder le monde », note le physicien Nicola Cabibbo, président de l’Académie pontificale des sciences. Le naturaliste anglais, il y a cent cinquante ans, bouleversait la place de l’homme dans cet univers. À chaque fois, l’Église s’en est trouvée profondément ébranlée. Et, si elle reste encore méfiante à l’encontre de certaines implications du darwinisme, on sent bien que Rome ne veut surtout pas, avec le savant anglais, d’une « seconde affaire Galilée ».

D’ailleurs, pour ces deux grandes manifestations, le Vatican s’est associé à des institutions de recherche laïques, avec des intervenants choisis en dehors des critères de confession. « Les deux sphères, religion et science, ont leur propre rationalité, et s’il est important qu’un dialogue s’instaure, il doit respecter cette distinction », souligne Mgr Gianfranco Ravasi, le président du conseil pontifical de la culture.

Pas si simple, car ce dialogue n’est pas sans tension. « Toute la modernité est marquée par la recherche pour la science d’un statut propre, qui ne soit ni philosophique, ni religieux », analyse Mgr Sanchez Sorondo, chancelier de l’Académie des sciences. Et pour l’Église, cette autonomie ne va pas toujours de soi.

Une certaine méfiance
Le Vatican éprouve du mal à se départir d’une certaine méfiance à l’encontre de la science. Benoît XVI, devant un parterre de scientifiques, le 16 octobre 2008, regrettait ainsi que « la conquête scientifique et technologique (…) ait mis en marge la raison qui recherchait la vérité ultime des choses, pour laisser place à une raison qui se contentait de découvrir la vérité contingente des lois de la nature ». Et plus loin, il formulait cette critique particulièrement dure : « Il arrive que les scientifiques n’orientent pas toujours leurs recherches vers ces objectifs. Le gain facile ou, pire encore, l’arrogance de remplacer le Créateur jouent parfois un rôle déterminant. »

Certes, l’« affaire Galilée » appartient au passé. L’astronomie réunit aujourd’hui sans équivoques savants et religieux, comme en témoigne d’ailleurs le prestigieux observatoire du Vatican. Mais, si la confrontation science et foi ne porte plus sur l’infiniment grand, elle s’est déplacée ailleurs, sur l’homme lui-même et les défis posés par la biologie humaine.

La création d’une Académie spécifique « pour la vie » par Jean-Paul II en 1994 en témoigne. Il estimait alors que pour un sujet aussi délicat que la bioéthique, l’Académie pontificale des sciences ne suffisait pas. Sans doute parce que, par principe ouverte aux savants en dehors de tout critère de croyance, elle ne pouvait répondre aux défis posés à la foi. D’où la création, confiée au professeur Jérôme Lejeune, de cette nouvelle Académie, dont l’objectif est de défendre le magistère de l’Église sur la vie. Cette fois, il ne s’agit pas de dialoguer avec les scientifiques, mais de proposer une position éthique catholique sur ces découvertes scientifiques. Ainsi les deux institutions peuvent traiter des mêmes sujets (génétique, fécondation artificielle, clonage) mais différemment.

Le Vatican loin d'être un bloc monolithique
D’ailleurs, face à ces nouveaux enjeux, le Vatican est loin de se présenter comme un bloc monolithique. Il n’y a qu’à constater les hésitations autour de l’ « Intelligent design », thèse venue des États-Unis, qui voit dans les lacunes de l’évolution un dessein de Dieu, refusant de considérer le hasard comme moteur de sélection naturelle. Idées auxquelles des proches de Benoît XVI, comme le cardinal Christoph Schönborn ou le philosophe Robert Spaemann, ne sont pas insensibles et dont ils ont discuté lors du séminaire organisé à Castel Gandolfo par le pape en septembre 2007.

Mais pour le colloque de cette semaine sur l’évolution biologique, il a été jugé que « l’“Intelligent design” ne pouvait être considéré comme une théorie scientifique », explique le professeur Saverio Forestiero, du comité d’organisation, qui admet qu’« il y a eu un débat sur le sujet ». « Il me semble que l’“Intelligent design” confond les deux plans, avance de son côté le P. Marc Leclerc, jésuite et professeur de philosophie de la nature à la Grégorienne. Si on parle des mécanismes d’évolution, la science doit faire son travail, et on ne peut invoquer un deus ex machina qui viendrait colmater ses failles ». Mais il reste prudent, affirmant « ne pas parler au nom de l’Église ».

Les sciences de la vie de l’homme, mais aussi de sa mort, divisent les responsables du Vatican. Ainsi, il est aujourd’hui convenu dans la communauté scientifique que la mort est définie non plus par l’arrêt du cœur, mais par la cessation totale des fonctions du cerveau (convention dite « de Harvard »). Ce qui permet les transplantations d’organes.

Mais cette convention est discutée, notamment par des groupes religieux américains, qui estiment que c’est le cœur, et non le cerveau, qui détermine la vie ou la mort. Déjà, le cardinal Ratzinger s’était montré réceptif à cette approche. Pourtant, l’Académie pontificale des sciences a reconnu les critères de Harvard en 1985 et 1989 et Jean-Paul II, le 29 août 2000, n’avait, lui, laissé place à aucune équivoque.

Entre ouverture et franche crainte
Un nouveau congrès, en 2005, organisé par les deux Académies, pour la science et pour la vie, avait cependant montré les divergences de vue entre les deux institutions. Élu pape, Benoît XVI demande encore une fois à l’Académie des sciences de mettre à l’étude le sujet, et cette dernière a publié une déclaration en faveur de la mort cérébrale. Mais le 2 septembre 2008, nouvelle offensive, par L’Osservatore Romano, qui relance le débat.

L’article fait tellement de bruit que le P. Federico Lombardi, porte-parole du pape, doit préciser qu’il n’engage pas le Vatican. Le 7 novembre suivant, alors qu’il recevait les membres d’un congrès sur les transplantations, Benoît XVI se garde de trancher : « La science a réalisé, ces dernières années, de nouveaux progrès dans la constatation de la mort du patient », analyse-t-il, mais « tant que l’on n’a pas atteint une certitude, le principe de précaution doit prévaloir ».

Le Vatican oscille donc entre ouverture, questionnement, mais aussi parfois franche crainte. D’autant plus qu’à Rome, on manque d’expertise, côté catholique. Les universités pontificales sont nombreuses, sept, mais toutes « humanistes », certaines abritant parfois un département scientifique. Il n’y a jamais eu d’investissement dans un institut catholique de recherche scientifique de haut niveau, lacune que des initiatives comme le projet Stoq ne comblent que très partiellement (lire ci-contre). « Le catholicisme cherche à être présent dans le monde, analyse encore le P. Leclerc. Or, comment parler de la foi aujourd’hui, dans un monde où la science a une telle influence sur la vie des personnes, sans pouvoir dialoguer avec cette culture scientifique.

Isabelle DE GAULMYN

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