giovedì 31 gennaio 2008

Dalle Lettere di Don Bosco

DALLE LETTERE DI DON BOSCO

(...) E' certo più facile irritarsi che pazientare: minacciare un fanciullo che persuaderlo: direi ancora che è più comodo alla nostra impazienza ed alla nostra superbia (che è causa dell'ira) castigare quelli che resistono, che correggeri col sopportarli con fermezza e con benignità. (...) Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi lo scandalo, ed in molti la santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Dal momento che sono i nostri figli allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in maniera che sembri soffocata del tutto. Non agitazione dell'animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione per il momento, la speranza per l'avvenire, ed allora sarete i veri padri e farete una vera correzione. In certi momenti molto gravi giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali se da una parte non producono che male in chi le sente, dall'altra parte non arrecano vantaggio a chi le merita. Ricordatevi che l'educazione è cosa del cuore, e che solo Dio ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l'arte, e non ce ne mette in mano le chiavi. Studiamoci di farci amare, d'insinuare il sentimento del dovere del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori ed unirsi a noi per cantare le lodi e le benedizioni di colui, che volle farsi nostro modello, nostra via, nostro esempio in tutto, ma particolarmente nell'educazione della gioventù.

mercoledì 30 gennaio 2008

Che significa essere "persona"?



Un uomo non è un pezzo di materia

Quando diciamo che un uomo è una persona, vogliamo dire che egli non è solamente un pezzo di materia, un elemento individuale della natura, così come sono elementi individuali della natura un atomo, una spiga di grano, una mosca, un elefante. Dov'è la libertà, dov'è la dignità, dove sono i diritti di un pezzo individuale di materia? Non ha senso che una mosca, un elefante diano la loro vita per la libertà, per la dignità, per i diritti della mosca o dell'elefante. L'uomo è sì un animale e un individuo, ma non come gli altri. L'uomo è un individuo che si guida da sè mediante l'intelligenza e la volontà: esiste non solo fisicamente, ma c'è in lui un esistere più ricco e più elevato, una sopraesistenza spirituale nella conoscenza e nell'amore. La persona è un tutto, ma non è un tutto chiuso; è un tutto aperto, non un piccolo dio senza porte nè finestre o un idolo che non vede, non intende e non parla. Essa tende per natura alla vita sociale e alla comunione. Noi non possiamo essere uomini e divenire uomini senza andare in mezzo agli uomini; noi non possiamo accrescere in noi la vita e l'attività senza respirare con i nostri simili. (J. Maritain)

martedì 29 gennaio 2008

Il Senato come lo stadio?



E' inevitabile una riflessione sulle ultime vicende italiane che hanno sciupato mondialmente l'immagine del nostro Paese. Come si può fare finta di niente quando coloro che dovrebbero essere modello o d'esempio perdono a tal punto il controllo su se stessi da far dubitare chi guarda su che cosa sta guardando? Come si può poi pretendere che certe manifestazioni violente verbali e gestuali non vengano emulate dai giovani? Trasformare il Senato in una salumeria portandosi dietro mortadella affettata o nella peggiore delle bettole davanti alle telecamere non dovrebbe essere permesso impunemente. Perché non porre delle sanzioni in questi casi estremi? Si può quantificare economicamente il danno recato all'immagine di una intera nazione? Certamente il temperamento del popolo italiano non è quello anglosassone, ma c'è un limite che non dovrebbe essere mai superato. Ci sono molti vantaggi ad essere sempre sulla "scena" , davanti alle telecamere, lo sappiamo tutti e non c'è bisogno di elencarli. Ma ci sono anche dei doveri di rispetto, di buona educazione, di semplice auto-controllo. Si potrebbe parlare in questo caso di vilipendio all'immagine del Paese. Come pretendere di bandire la violenza dagli stadi quando non si riesce a bandirla neanche in Parlamento? Come cittadino posso sentirmi tranquillo di affidare il mio futuro in mani di persone che hanno difficoltà nel controllare il sentimento dell'ira, e che si lasciano accecare dal sentimento dell'odio fino a perdere l'autocontrollo? Certemente nessuno vuole dei "robot" come parlamentari. Ma esistono diversi sistemi per essere capaci di controllarsi meglio, chi si definisce cattolico, può pregare di più, come faceva Don Bosco quando aveva davanti a sè una giornata particolarmente faticosa. Ci sono tecniche psicologiche estremamente efficaci, c'è il "training autogeno", c'è la meditazione trascendentale, ci sono svariate forme di massaggi, ci sono farmaci portentosi per riuscire a mantenere la calma nei momenti delicati.
Chi deve rappresentare pubblicamente un Partito politico, di qualsiasi orientamento sia, non può permettersi di cadere in tali forme di delirio davanti alle telecamere. Non vorremmo mai che si dovesse ricorrere al trattamento sanitario obbligatorio (litri di camomilla, prima di ogni seduta importante!) anche per i troppo focosi parlamentari, oltre che per certi poveri cristi disoccupati.

lunedì 28 gennaio 2008

Il pensiero di Tommaso D'Aquino

«Il fine della sacra dottrina è di fare conoscere Dio, non solo in se stesso, ma in quanto causa efficiente e causa finale di tutto l'universo. Tratteremo quindi, prima di Dio in se stesso; poi di Dio come causa efficiente universale e fine ultimo di tutte le creature e specialmente dell'uomo, che tende verso Dio; infine di Cristo che, in quanto uomo, è per noi la via del tendere e del tornare a Dio».
«Exitus a Deo - Reditus in Deum»
Così il primo movimento gigantesco della «Summa», principale opera di S. Tommaso, è quello che descrive il sorgere dell'universo dell'uomo da Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra. Tutto l'universo, gli abissi stellari, il nostro mondo, l'umanità, la vita, la storia, l'uomo. È l'exitus, la partenza da Dio. L'universo creato non può fuggire dal suo creatore e Signore: esso gravita verso di Lui. Il fine a cui l'universo tende, e nell'universo l'umanità, rimane eternamente Dio, per rendergli gloria. Dio resterà per sempre il seno accogliente di tutto l'universo, particolarmente dell'uomo, il quale è attratto da Dio verso Dio con l'attrazione suprema della bellezza, della verità, dell'amore.
È il ritorno, il reditus. In questa perfetta circolarità di movimento l'uscire da Dio e il ritornare a Dio - è segnato il ritmo dell'universo, della storia, delle nostre singole vite!

domenica 27 gennaio 2008

27 gennaio - BUONA DOMENICA!

LA VERA PACE

Donaci Signore la vera pace,
che è un dono dall'alto
e liberaci dalla falsa pace
che è un prodotto del nostro egoismo

Donaci la pace che unisce nell'amicizia,
e liberaci dalla pace dell'isolamento
e del rifiuto degli altri.

Donaci la pace
che si approfondisce nella sofferenza,
e liberaci dalla pace
che si sprofonda nella prova.

Donaci la pace che sopporta lo scacco,
e liberaci dalla pace
che si gonfia del successo.

Donaci la pace
che fa crescere la speranza,
e liberaci dalla pace che comporta lo spregio,

Donaci la pace degli umili,
e liberaci dalla pace dei prepotenti.


(Aubert Collard)
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sabato 26 gennaio 2008

A Genova il Santo Volto di Edessa, matrice di tutta l'iconografia cristiana (nella foto sovrapposizione del Mandilion di Genova e del Santo Volto di Manoppello)

L'antica chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni è coperta in buona parte dalla facciata ottocentesca del palazzo che i Padri Barnabiti costruirono nel 1883, quasi a ridosso dell'antica struttura. Solo con un po' di attenzione si può scorgere l'ingresso dell'antica chiesa che racchiude un tesoro prezioso custodito da più di sei secoli dalla città di Genova. Trattandosi il tesoro in questione di una delle più famose immagini acheropite del Volto di Cristo, forse c'è in questa originalezza architettonica anche una certa coerenza con la reliquia custodita! Un volto che continuamente si cela conservato in una chiesa che è altrettanto ben celata. I genovesi lo chiamano S. Mandillo, o il Santo Sudario: secondo la tradizione è il ritratto che il re Abgar, malato di lebbra, commissionò al pittore Anania, qualora il Nazareno non avesse potuto recarsi da lui. Si parla anche di due lettere, (Eusebio di Cesarea, nelle “Historiae Ecclesiasticae”), una di Abgar a Gesù e la risposta di Cristo stesso ad Abgar. Il pittore riuscì più che bene nella sua impresa, portando al re più che un normale ritratto! Leggiamo la vicenda come viene tramandata dalla tradizione attraverso la preziosa cornice, detta Paleologa, di finissima filigrana che racchiude il Santo Volto, dieci piccole formelle con didascalie in greco della koinè: il re Abgar a letto malato, il pittore che cerca di dipingere il ritratto, il Signore che si lava le mani e il volto e consegna il lino con sopra impressa l'immagine del suo volto al pittore insieme con una lettera per il re. Esiste anche un'altra tradizione secondo la quale il pittore avrebbe eseguito effettivamente il ritratto, quello che noi oggi vediamo. Ma le due ipotesi non è detto che si escludano a vicenda!
La storia racconta che il re Abgar guarì e dopo di lui molti altri che vennero al cospetto di quel Volto, da sempre riconosciuto e venerato come il vero Ritratto di Gesù, come la matrice di tutta l'iconografia cristiana che storicamente risulta aver avuto origine proprio nella regione di Edessa; ciò spiegherebbe il perché di alcuni procedimenti tecnici di preparazione della tavola, tra cui appunto la sovrapposizione di una tela sulla stessa tavola.
Il Santo Volto di Edessa è ricordato dallo storico Procopio, da Evagrio (VI secolo), da S. Germano di Costantinopoli, da S. Giovanni Damasceno, da Papa Gregorio II, da Papa Adriano I, dal Concilio Niceno-Costantinopolitano del 787.
Germano di Costantinopoli scrive a Leone III Isaurico, fautore dell'iconoclastìa: “come osi tu, che hai ricevuto da Dio non solo la vita ma anche la gloria imperiale, ergerti insolentemente contro la volontà del Creatore?... Non sai tu che Cristo stesso, immagine perfetta dello splendore del Padre, ha voluto dietro supplica di Abgar, re di Edessa, imprimere sul lino il suo Divin Volto e inviarglielo?” Anche Papa Gregorio II in una lettera allo stesso imperatore così si esprimeva:” Del resto tu stesso puoi giudicare...ivi accorrono a pregare le folle da tutto l'Oriente”. Ancora, Papa Adriano I in una lettera a Carlo Magno, mentre gli comunica gli atti del Concilio Niceno-Costantinopolitano accenna alla immagine di Edessa.
La Sacra Effige corse numerosi pericoli, come è possibile immaginare, prima a causa di un nipote di Abgar che volle ritornare alla idolatria, poi nell'invasione saracena dell'Armenia, quando Edessa fu espugnata. Ma i Saraceni stessi tennero in grande considerazione la Reliquia poiché era il ritratto di Gesù, per loro il Profeta Grande, sia pure inferiore a Maometto come è loro pensiero. Nell'anno 944 la preziosa immagine si ritrovò a Bisanzio dopo uno scambio tra l'emiro di Edessa e l'Imperatore di Bisanzio, (200 saraceni prigionieri di guerra, 12.000 monete d'argento e la promessa che Edessa non sarebbe più stata molestata da Bisanzio). Ancora oggi la Liturgi a Bizantina, ogni anno fa memoria della “traslazione del Santo Volto”.
Fu custodita dapprima nel Tempio di S. Sofia, poi nella Cappella Imperiale detta Chiesa del Faro, dove fu custodita quasi ad esclusivo uso liturgico della Corte.
La presenza del Santo Mandilion (Santo Lino) a Genova è legata al Doge Leonardo Montaldo che nel 1382 si trovava in Oriente per curare i possedimenti dei Genovesi. Da uno di questi viaggi recò con sé il S. Volto di Edessa. La tradizione narra di un dono dell'Imperatore Giovanni V Paleologo al Doge (da cui il nome della preziosa cornice che si chiama appunto Cornice Paleologa). Il Doge custodiva il S. Volto nel suo castello, ma morì due anni dopo nella terribile pestilenza che decimò mezza città e la reliquia fu lasciata in testamento ai monaci Basiliani di S. Bartolomeo degli Armeni (nei pressi della chiesa i Montaldo avevano possedimenti e case) che lo offrirono alla devota venerazione di tutti genovesi, in modo particolare nei tre giorni solenni della Pasqua. Più tardi i festeggiamenti in suo onore furono spostati all'Ottava di Pentecoste, (dalla vigilia di Pentecoste alla SS. Trinità) ed è ancora oggi così, aggiungendovi le festività proprie dei padri Barnabiti, subentrati ai monaci armeni nel 1656 e custodi oggi del Santo Volto di Edessa, insieme alla Confraternita del Santo Volto. Da segnalare la bellezza degli inni e di alcuni testi liturgici composti nel corso dei secoli in suo onore e conservati nell'Archivio Storico della stessa Chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni.

M.L.A.

25 gennaio 2008 - Conversione di S. Paolo


A Damasco viveva un cristiano chiamato Ananìa. Il Signore in una visione lo chiamò: "Anaìa!" Ed egli rispose: "Eccomi, Signore!". Ma il Signore gli disse di nuovo: " Alzati e va nella via che è chiamata "Diritta". Entra nella casa di Giuda e cerca un uomo di Tarso, chiamato Saulo. Egli sta pregando e ha visto in visione un uomo, di nome Ananìa, venirgli incontro e mettergli le mani sugli occhi perché ricuperi la vista". Ananìa rispose: "Signore, ho sentito molti parlare di quest'uomo e so quanto male ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. So anche che ha ottenuto dai capi dei sacerdoti l'autorizzazione di arrestare tutti quelli che ti invocano". Ma il Signore disse: "Va', perché io ho scelto quest'uomo. Egli sarà utile per farmi conoscere agli stranieri, ai re e ai figli di Israele." (Atti degli Apostoli 9, 10-16)Il povero Ananìa è praticamente terrorizzato! Forse più dello stesso Paolo, quando sbalzato dal suo cavallo sulla via di Damasco, rimane accecato dalla luce di quel Signore che perseguitava uccidendone i seguaci. E Ananìa avrebbe dovuto non solo incontrarlo ma addirittura imporgli le mani sugli occhi affinché recuperasse la vista! E chi gli assicurava che una volta recuperata la vista, Saulo non avrebbe ricominciato le sue persecuzioni, magari proprio da lui? Ma contrariamente ad ogni buon senso Ananìa vince ogni remora, ogni pregiudizio ogni timore e obbedisce. "Saulo, fratello mio è il Signore che mi manda da te: quel Gesù che ti è apparso sulla strada che stavi percorrendo . Egli mi manda perché tu recuperi la vista e riceva lo Spirito Santo". Subito dagli occhi di Saulo caddero come delle scaglie ed egli recuperò la vista. Si alzò e fu battezzato. Poi mangiò e riprese forza. (Atti 9,17-18)

Signore ti preghiamo perché come Ananìa, noi vinciamo ogni pregiudizio nei confronti del nostro prossimo, anche quando questo ci fa paura,
ti preghiamo perché impariamo ad accettare che Tu puoi fare nuove tutte le cose,
e tutte le creatura in Te sono una cosa nuova,
Ti preghiamo perché Tu ci guarisca dalla cecità della nostra presunzione, del nostro egoismo, della vanità,
e accettiamo come Saulo di essere sbalzati dal cavallo delle nostre sicurezze, delle nostre "estensioni"
e accettiamo la notte oscura dell'attesa e dell'incertezza, finché non siano completamente purificati nostri occhi
e si aprano finalmente alla tua sfolgorante luce che allora non ci accecherà più ma ci guiderà, perché saremo tutt'uno con essa! Amen

giovedì 24 gennaio 2008

PROTAGONISTI DELLA VERITA'

"Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna secondo la propria specie (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione."

(S. Francesco di Sales, Vescovo, Dottore della Chiesa, Patrono dei giornalisti)

La missione di "in-formare", come dice la parola stessa è assai delicata. Chi vuole un mondo di dis-informati o di mal-informati, in realtà vuole un mondo di mostri! Illuminare le coscienze degli individui e aiutarli a sviluppare il proprio pensiero e il proprio senso critico è la comunicazione autentica. Due accorgimenti: non indebolirsi sotto il peso delle valanghe di informazioni che ogni giorno ci piovono sulla testa e non adeguarsi mai a verità parziali o provvisorie. I media possono contribuire alla diffusione di tutto quanto è buono e vero, non solo di tutto quanto è male o fa scandalo. I media possono essere promotori di pace e non mostrare solo immagini di guerre.
I media devono combattere la tendenza di creare una monocultura che indebolisce il genio creativo e la sottigliezza del pensiero complesso.
I giornalisti devono favorire il dialogo e la comunione nella famiglia umana, non soggiogarla in un clima di ansie e di paure, anche quando le situazioni sono difficili e delicate devono incoraggiare e non paralizzare. In modo particolare sono da evitare le ripetizioni ossessive delle notizie che possono provocare atteggiamenti di emulazione da parte di giovani e giovanissimi e allo stesso modo essere devono essere vinte le tentazioni di manipolare, cercando invece di privilegiare l'educazione e la formazione, lo scambio di cultura e la solidarietà.

mercoledì 23 gennaio 2008



Quale “lectio” dai fatti della Sapienza?
Ci sono diversi modi di leggere gli avvenimenti. Una domanda è sorta immediata nel cuore di chi scrive dall'inizio di quelle manifestazioni di ostilità che hanno impedito a Benedetto XVI di poter pronunziare di persona il suo discorso alla Sapienza: “Cosa ho fatto, o cosa non ho fatto, perché
perché questi giovani e questi docenti tirano fuori ancora questo anticlericalismo ammuffito?”
Sono sicura che anche altri in quella sterminata folla che si è giustamente mobilitata per esprimere affetto e stima nei confronti di Benedetto XVI, si saranno chiesti con una fitta al cuore, come mai certi giovani hanno ancora un'immagine così vecchia e stereotipata della Chiesa, del Pontefice, o della laicità? Con quali entità cattoliche si sono incontrati o scontrati nelle scuole che hanno frequentato? Altrettanto dicasi per i docenti che si sono mobilitati perché la visita papale non avvenisse: quale impressione avranno ricevuto dai loro colleghi credenti e praticanti? Allora se è giusto manifestare il proprio dissenso bendandosi la bocca o scendendo in piazza è anche legittimo porsi l'interrogativo: quale testimonianza ho dato negli ambienti universitari come studente o come docente, quale immagine di Chiesa ho trasmesso a chi ho incontrato, e quali sentimenti verso il nostro Pontefice? In certi ambienti di “contestatari” l'unica chiesa di cui vogliono sentir parlare (quando va bene) è quella di Alex Zanotelli o dell'Abbé Pierre. Certamente due figure illustri, ma che non possono rappresentare tutta la Chiesa, l'unica chiesa che che esiste e merita rispetto in certi ambienti è quella che opera visibilmente nel sociale. Da contrapporre alla Chiesa settaria che innalza muri e divieti, alla Chiesa che scomunica, alla Chiesa che fa uso del termine “catto-comunista”, che non dà la comunione ai risposati, alla Chiesa che vieta il matrimonio ai suoi sacerdoti, che è contraria ai “pax” ecc ecc. Ma né la Chiesa che pensa ai poveri, né la Chiesa “bacchettona”, hanno nulla a che spartire con la vita di studio e di pensiero. Ogni autentico “pensante” deve essere rigorosamente ateo o agnostico, a al massimo un estimatore di Gesù e del Vangelo, mai della Chiesa e tantomeno del Papa.
Com'è triste e stantìo tutto ciò, come se le università più antiche d'Europa, compresa la Sapienza, non fossero nate grazie a papi o chierici, come se Agostino, Tommaso, Bernardino, Ignazio di Loyola, Rosmini, Giussani, Escrivà De Balaguer, Giovanni Paolo II, (questi ultimi hanno lavorato a lungo negli ambienti universitari) e molti altri ancora non fossero mai esistiti! Come se ancora certi forti messaggi dell'ultimo Concilio, fossero rimasti sulla carta: “Il Signore è anche vicino a quanti cercano il Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini, poiché egli dà a tutti vita e respiro e ogni cosa, e come Salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvi. Infatti quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, cercano sinceramente Dio e con l'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà divina, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che, senza averne colpa, non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta.” (Lumen gentium, N 2. 16) Insiste ancora Papa Benedetto, anche in quest'ultima sua enciclica (Spe Salvi), su quel “Logos”, che comunemente tradotto con il “Verbo”, significa anche “Ragione”, su quelle antiche raffigurazioni del Cristo, rappresentato con il Vangelo e con il bastone del viandante proprio del filosofo, fino a dire: “La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me. Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche: che cosa posso fare perché altri vengano salvati e sorga anche per altri la stella della speranza? Allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza personale”.
M.L.A.