venerdì 26 settembre 2014

Un racconto inedito, "La candelora"

La piccola pieve di campagna era avvolta da una fitta coltre di nebbia. Non era stato agevole raggiungerla, ma erano entrambi convinti che ne sarebbe valsa la pena. Era la festa della Presentazione al Tempio del Signore, detta anche Candelora, o Festa della luce.
Si benedivano lumini e candele che poi si portavano a casa e si potevano accendere nei momenti di particolare necessità. Una sorta di riserva di luce per i periodi bui.
Amavano pregare in quell'angolo di pace di silenzio e, poiché la festa capitava di sabato, era possibile godersela un poco di più. Appena entrati la suora diede loro una candela ciascuno, dopo che ebbero gettato l’offerta nel cestino, le candele vennero accese e si andò processionalmente verso i banchi per prendere posto a sedere.
I canti del coro erano un po’ stentati, ma la bella austera semplicità dell’antica chiesetta rendeva tutto bello e raccolto grazie anche alla presenza della comunità religiosa che lì viveva.
Nella stessa giornata si festeggiava anche la vita consacrata, da qualche decennio, per volontà di Giovanni Paolo II: il significato era chiaro, chi viveva più strettamente la sequela di Cristo doveva essere come Lui, luce del mondo.
La sacra tradizione voleva in quella memoria liturgica ricordare come Maria e Giuseppe, dopo quaranta giorni dalla nascita del loro primogenito, secondo la Legge mosaica, salirono al tempio per la purificazione rituale di Maria.
Era costume che, una partoriente, avendo perso sangue, doveva purificarsi, e poi bisognava riscattare il primogenito. Per il piccolo Gesù l’offerta era minima, quella dei meno abbienti, una coppia di tortore o di giovani colombi. In quel momento avvenne un altro riconoscimento pubblico del Salvatore, dopo quello degli angeli e dei pastori, da parte di due anziane figure: il giusto Simeone, a cui era stato preannunziato che avrebbe visto il Messia prima del termine della sua vita, e la profetessa Anna che non si allontanava mai dal tempio e serviva Dio con digiuni e preghiere.
Simeone prese in braccio il bambino, lo benedisse e pronunciò il famoso “Nunc Dimittis” in cui il piccolo viene definito luce per illuminare le genti e gloria del popolo d’Israele; ma l’anziano svela anche quale sarà la sua missione,  un segno di contraddizione che svelerà i pensieri di molti cuori e causerà, a seconda dei casi, rovina o salvezza.
La stessa Madre parteciperà del destino del Figlio, una spada trafiggerà la sua anima. Certo, andando in profondità questo era più un mistero doloroso che gaudioso, ma era da tempo immemorabile per i fedeli una liturgia della luce, in cui ricordare Cristo luce del mondo che ci dona vita nuova nel battesimo e illumina la nostra strada verso il cielo.
Dopo i riti penitenziali, una donna si alzò a leggere la prima lettura, tratta dall’ultimo libro della Bibbia, quello del profeta Malachia. Si preannuncia un messaggero, per alcuni Elia, per altri il Battista, a spianare la via al Signore degli eserciti. Costui purificherà i figli di Levi da tutte le loro colpe e solo allora la loro offerta tornerà gradita come nei giorni antichi.
Lui si alzò per la seconda lettura, la lettera agli Ebrei. Appena salito all’ambone si schiarì la voce e si apprestò ad iniziare la lettura della lettera paolina, ma con grande stupore si accorse che le lettere del lezionario erano in una lingua sconosciuta, qualcosa che somigliava all’arabo! Era impossibile leggere quei caratteri, si stropicciò gli occhi e si pulì velocemente gli occhiali speranzoso che, riguardando il lezionario, potesse iniziare la lettura. L’assemblea e il celebrante lo guardavano incuriositi da questo suo indugio. Nulla da fare. Le lettere erano ancora incomprensibili.
Incominciò a sudare per quanto quel santo luogo fosse immerso in una coltre nevosa. Doveva segnalare il problema. Solo allora guardò con un certo sgomento il sacerdote che seduto davanti al tabernacolo lo guardava già di traverso. I loro sguardi si incontrarono e lui allargò le braccia dicendo ad alta voce che c’era il lezionario sbagliato.
Intanto l’assemblea mormorava, non capendo come mai quella seconda lettura non venisse ancora proclamata. Il parroco era un uomo paziente e, con un sorriso sulla bocca, si avvicinò a quel lezionario per controllare cosa fosse successo. Dopo alcuni minuti era lui a stropicciarsi gli occhi. Come era finito quel lezionario in quella lingua sconosciuta nella sua chiesa? Chiese al sacrista di portargliene un altro mentre l’assemblea era a quel punto divenuta tutta un mormorio. Il sacerdote tornò al suo scranno, il secondo lezionario venne aperto e lui si apprestò per la seconda volta e leggere la seconda scrittura, mentre in cuor suo si rasserenava. Era stato un momento terribile, nella sua mente erano risuonate le forti parole  di Apocalisse 5,2-3: “Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli ? Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra era in grado di aprire il libro e di guardarlo”.
Solo allora si accorse con una fitta alla tempia che anche questo testo, per altro arricchito con preziose miniature, era anch’esso incomprensibile ai suoi occhi. Di nuovo si volse indietro e di nuovo allargando le braccia guardò desolato il prete. Questa volta il prete si stizzì. Divenne rosso in viso e cercando di contenersi si rialzò nuovamente dallo scranno dirigendosi verso l’ambone. Poi i fedeli lo videro sbiancare e quasi barcollare nella sua casula bianca fregiata di oro. Neanche lui riusciva a leggere quel lezionario.
Il prete si riprese subito e con prontezza pensando ad uno scherzo inopportuno.  Si rivolse alla stupefatta assemblea che non capiva ancora cosa stesse accadendo chiedendo se qualcuno avesse con sé un messalino. Prontamente alcune religiose e alcune signore salirono sull’altare e posarono sull’altare i loro messalini personali. Il parroco ne aprì uno a caso e cercò il segno della memoria liturgica del giorno, mentre alcune gocce di sudore colavano dalle sue tempie. Niente da fare, il primo che aprì era pieno degli stessi geroglifici. Il secondo che sfogliò con mani sempre più nervose era ugualmente incomprensibile. Lo si vide barcollare e sbiancare di nuovo, mentre cercava qualcosa da dire alla stupefatta assemblea. Lui a quel punto scese a sedere al suo posto, la questione oramai non lo riguardava più. Vennero chiamate a leggere le proprietarie dei messalini, una alla volta e le si vide tutte impallidire cercando di decifrare un testo che fino a poco tempo fa era più che leggibile. Nessuna vi riuscì. Il sacerdote allora invitò all’altare una vedova che tutti stimavano molto santa e pia e di cui si diceva che le fosse addirittura apparsa la Madonna. Era povera e non possedeva un messalino suo, così le aprirono davanti il lezionario delle solennità, il prete intanto pregava interiormente il santo martire a cui quella pieve era dedicata affinché quell’incubo avesse fine. Niente da fare. La povera vedova scoppiò in un pianto dirompente, battendosi disperata il magrissimo petto, mentre nella mente di tutti risuonavano le ultime parole che avevano sentito pronunciare nella prima ed ultima lettura di quella strana Messa: “Costoro non mi temono, dice il Signore degli eserciti” (Ml 3,5).
Fu a quel punto che lui aprì gli occhi, madito di sudore, la gola secca come i torrenti in estate. Si alzò di scatto e si precipitò nel salotto dove, in un angolo, era sempre aperta, nel suo leggìo di ciliegio, una Bibbia.
Buttò gli occhi con disperazione sul testo che era aperto alla pagina di una delle letture del giorno, era la stessa ultima lettura dal libro di Malachia che aveva ascoltato in sogno. “Io sono il Signore, non cambio; voi, figli di Giacobbe, non siete ancora al termine” (Ml 3,6). M.L.A.

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