giovedì 26 febbraio 2009

Alimentazione e Povertà

DOSSIER FIDES

IL DIRITTO
ALLA SICUREZZA ALIMENTARE


IL CAOS GLOBALE

(Agenzia Fides) - Il prezzo dei cereali nelle nazioni povere del mondo, che già nel 2006-2007 era aumentato del 37%, aumenterà, si stima, alla fine dell’anno 2008, del 56%. Oggi, il grano viene pagato il doppio dell’anno scorso. L’aumento dei fertilizzanti è del 25% (siamo ad una cifra pari a + 200 in un quinquennio). L’esportazione del riso è stata del tutto o quasi sospesa in Vietnam, India, Egitto, Cina, Cambogia, Argentina. La forte riduzione di derrate di riso sui mercati internazionali è accompagnata da speculazioni che contribuiscono al forte rialzo del suo prezzo. La crisi colpisce diversi Paesi africani, già duramente messi alla prova dall'aumento del prezzo del grano ed in particolare i Paesi asiatici, per i quali il riso è uno degli alimenti-base. La Corea del Nord, ad esempio, attraversa la più grave crisi alimentare dell'ultimo decennio. Lo rivela il Programma alimentare Nazioni Unite (Pam). Il paese potrebbe piombare in un'emergenza umanitaria prima della stagione dei raccolti autunnale e c'è bisogno di “donatori”. Milioni di persone stanno affrontando la peggiore crisi alimentare dopo quella che nei primi anni '90 uccise milioni di persone.

Le esportazioni di grano sono state ridotte da Argentina, Russia e Kazhakistan. Scontri e rivolte per il cibo si sono verificati nell’ultimo periodo in Egitto, Camerun, Costa d'Avorio, Senegal, Burkina Faso, Etiopia, Indonesia, Madagascar, Mauritania, Guinea, Mozambico, Filippine, Pakistan, Thailandia, Tunisia e Haiti.

Per i paesi africani a basso reddito con deficit alimentare, si stima l’aumento del prezzo per tariffe e trasporto del petrolio del 74%, a causa dell'impennata dei prezzi dei cereali, delle tariffe dei trasporti e del petrolio. Questo si verifica nonostante il fatto che l'Africa possa produrre tutto il cibo che le serve a nutrire la propria popolazione, com’è emerso, tra l’altro, da una conferenza internazionale organizzata dall'Istituto delle Relazioni Internazionali del Camerun in occasione delle Giornate dell'Africa.
Le risorse naturali e agricole sono abbondanti nel continente, quello che manca sono corrette politiche di gestione di questo patrimonio. Mancano, per esempio, le strade per permettere ai contadini di trasportare i loro prodotti sui mercati cittadini e la catena del freddo per conservare le derrate alimentari. E’ arretrata la struttura della proprietà agraria.

La collaborazione regionale tra Paesi africani è un altro rimedio auspicato dagli esperti per combattere il deficit alimentare del continente. Quando c'è un emergenza alimentare in un Paese, le organizzazioni umanitarie internazionali, in genere, inviano derrate alimentari dall'Europa o dagli Stati Uniti, mentre in un Paese vicino c'è disponibilità di cibo, che potrebbe essere acquistato e distribuito ad un prezzo inferiore. L'acquisto di prodotti africani da parte di organizzazioni come la FAO, inoltre, favorirebbe la crescita dei mercati e degli agricoltori locali.

Lo sviluppo dell'agricoltura africana, affermano gli esperti di diverse organizzazioni umanitarie, è impedito soprattutto dal fatto che i Paesi africani rispettano i trattati sul libero commercio mondiale, ma i loro concorrenti no. I mercati africani sono aperti alla concorrenza straniera e i loro produttori non ricevono sussidi dallo Stato. Ma i concorrenti sono multinazionali dei Paesi più sviluppati che beneficiano di sussidi e altre forme di incentivi da parte degli Stati o di organismi come l'Unione Europea. Di conseguenza gli agricoltori africani non sono assolutamente in grado di competere con loro e sono costretti al fallimento. Diversi Paesi africani inoltre coltivano prodotti destinati all'esportazione (thè, caffè, cacao, ecc...), a scapito della produzione di cereali e di altre colture destinate alle proprie necessità alimentari e sono quindi costretti a ricorrere alle importazioni.

Il denaro impiegato per acquistare derrate alimentari all'estero potrebbe essere speso invece per potenziare le infrastrutture agricole (pozzi, acquedotti, strade, ecc..) dei Paesi con deficit alimentari.
I ministri dell’Agricoltura, dell’Economia, del Commercio e delle Finanze dei Paesi della Comunità economica degli Stati dell’Africa Centrale (CEEAC) si sono riuniti nel luglio 2008 a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo. La situazione dell’area è preoccupante: le risorse agricole della regione sarebbero ingenti, ma nei vari Stati i bilanci destinati all’agricoltura sono irrisori e i contadini non possiedono i mezzi necessari, quindi prevale ancora un’agricoltura di sussistenza e si deve comunque fare ricorso alle importazioni per tentare di colmare il deficit alimentare. Gli esperti della CEEAC hanno individuato alcune cause dei problemi che affliggono la zona: assenza di una politica agricola comune, debolezza delle capacità degli agricoltori, fattori ambientali spesso avversi come siccità, desertificazione e inondazioni, permanere di guerre e conflitti. Sono stati indicati, nel corso della riunione, alcuni strumenti utili a risollevare la situazione: la concessione di aiuto alimentare ai Paesi appena usciti dal conflitto; la costituzione di scorte alimentari strategiche; la distribuzione ai contadini di concimi, sementi e fieno per il bestiame; la creazione di un mercato regionale; l’intensificazione degli scambi intracomunitari; l’eliminazione di tariffe e barriere; la creazione di un sistema di informazione sulla sicurezza alimentare e di monitoraggio.

Quel che vale per l’Africa, vale per molte altre zone del mondo. Anche nella regione mediorientale non è la mancanza di cibo a determinare la crisi alimentare, come ha affermato nel marzo 2008 l’Osservatore Permanente della Santa Sede alla XXIX sessione della Conferenza Regionale della FAO per il Medio Oriente, Renato Volante: “La carenza d'acqua, al di là del fatto di condizionare la produzione agricola, coinvolge gli standard di vita, con un'evidente opposizione tra le reali potenzialità e la volontà di prendere quelle misure che garantiscano non solo lo standard nutrizionale e i consumi di cibo, ma anche, in senso ampio, condizioni sociali e salute della gente, soprattutto in quelle zone naturalmente a rischio di desertificazione. E’ necessario dare dare più attenzione ai piccoli agricoltori, spesso trascurati dalle istituzioni e dalle attività cooperative”.

Le Filippine potrebbero essere autosufficienti e coprire il fabbisogno di riso, ma manca il sostegno agli agricoltori, con aiuti che riguardino i fertilizzanti, l’irrigazione e il trasporto dei prodotti. La Chiesa delle Filippine è in prima linea e mette in campo tutte le sue risorse per scongiurare la crisi alimentare, legata soprattutto al prezzo del riso, che ha investito il Paese. Aiuto alla rete di distribuzione capillare del prezioso alimento; contributo morale spirituale per evitare disordini e rapine; sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni per cercare misure che risolvano il problema: sono queste le linee d’azione lungo le quali la comunità cattolica filippina, nelle sue diverse articolazioni e a diversi livelli, si sta muovendo. Mons. Deogracias Iñiguez, Vescovo di Caloocan, ha chiesto che la crisi venga affrontata con misure d’emergenza ma anche con serie politiche a lungo termine. “Essa”, ha detto, “non riguarda solo le fasce più povere della popolazione, che devono provvedere al loro sostentamento, ma è un fenomeno che ha vaste implicazioni politiche e di sicurezza pubblica, in quanto la sicurezza alimentare è un diritto che è alla base della pacifica convivenza. Per questo, è necessario uno sforzo congiunto del governo e delle Ong, che devono individuare insieme i mezzi più appropriati per fronteggiare la crisi. Dobbiamo capire come operare in rete, mettendo in sinergia le nostre risorse con quelle delle altre agenzie e dell’Autorità Nazionale per l’Alimentazione. La gente potrebbe passare da una fase di apatia a quella di panico. E il panico porta con sé gesti disperati, rivolte, saccheggi”. La Chiesa filippina ha messo a disposizione la sua capillare presenza nel territorio (con le Caritas, le associazioni e le parrocchie) e, d’accordo con il Dipartimento dell’Agricoltura, si è impegnata a distribuire ai poveri circa 50mila sacchi di riso ogni settimana in diverse parrocchie di Manila. E la diocesi della capitale è solo l’inizio: il progetto si va estendendo e riguarderà ben presto l’intera nazione. Fra le misure a lungo termine preventivate dal governo, vi è il miglioramento delle tecniche di coltivazione e l’impiego di nuove qualità di riso, che hanno una produttività maggiore. La Chiesa insiste anche sul sostegno agli agricoltori.

In altre zone del mondo, la crisi alimentare è dovuta ad una mancanza di equa distribuzione. Molti Vescovi del Messico, recentemente hanno lanciato l’allarme sulla mancanza di solidarietà con coloro che posseggono meno e la necessità di eliminare la corruzione affinché gli alimenti vengano distribuiti meglio. “Come dobbiamo agire noi cattolici che ci diciamo cristiani di fronte ad un problema che colpisce i nostri fratelli più poveri, che ogni giorno trovano difficoltà sempre maggiori per portare nelle loro case un po’ di alimento?”, si è chiesto Mons. Lázaro Pérez Jiménez, Vescovo di Celaya, in una nota intitolata “Date loro da mangiare”. Secondo il Vescovo, “il problema della fame è sempre esistito e si è manifestato come il flagello che ha minacciato Paesi interi della terra durante la storia”, ma quello che causa vero dolore e scandalo “è sapere che il problema reale non è dovuto all’incapacità di produrre gli alimenti sufficienti, ma alla mancanza di equità nella loro distribuzione ed al vorace atteggiamento di quanti si approfittano della situazione per accaparrarsi e rincarare gli alimenti, essenziali affinché la persona possa vivere”. Causa inoltre paura apprendere dagli specialisti, che questo rappresenterebbe appena l’inizio di un lungo processo che potrebbe durare fino a dieci anni e “abbattersi su Paesi che già di per sé conoscono sulla propria pelle l’emarginazione sociale”. Davanti a questa situazione, il Vescovo considera un vero scandalo che “si continuino ad investire milioni di dollari nella produzione di armi che servono per ammazzare mentre allo stesso tempo una terza parte del pianeta non ha i mezzi indispensabili per condurre una vita degna”.

Per Sua Ecc. Mons. Chávez Botello, Arcivescovo di Antequera-Oaxaca, “questa crisi esige di focalizzare lo sguardo sui campi e sui contadini per correggere i gravi errori commessi da decenni e dovuti alla politicizzazione, all’irresponsabilità sociale, alla corruzione, all’applicazione inefficace dei programmi e all’ambizione di molte persone”. Quindi, “urge proporre programmi reali, volontà politica per incentivare il lavoro dei campi e la produzione di alimenti con sostegni adeguati; urge informare e sensibilizzare tutta la società sulle vere cause e le conseguenze di questa crisi che, secondo gli analisti, durerà anni”. Secondo l’Arcivescovo di Antequera-Oaxaca, “i cattolici hanno una grande responsabilità perché il comandamento dell’amore ci porta ad appoggiare i programmi e le azioni serie che cercano di combattere la povertà”.

L’Arcivescovo di Acapulco, Mons. Felipe Aguirre Franco, ha affermato che “benché si tratti di un fenomeno di dimensione mondiale, dobbiamo considerare prima ciò che in questa crisi rende più vulnerabile il Messico, in modo da affrontarla distribuendo le responsabilità”. In questo senso, Mons. Aguirre Franco ha ricordato che “la crisi alimentare è strettamente vincolata ai campi e alla logica del mercato che colpisce con maggiore forza i più poveri”. Perciò, davanti a questa crisi, il Messico deve “fortificare la sua agricoltura per ottenere una sovranità ed una sicurezza alimentare. La crisi alimentare esige di essere prudenti nell’amministrazione delle proprie risorse ed essere solidali con i più poveri. Tutti siamo corresponsabili in qualche modo affinché a nessuno manchi il cibo”.

Al Chicago Board of Trade, la massima borsa mondiale dei cereali, il frumento in un anno ha visto i prezzi salire del 123%. Di conseguenza la domanda di riso è cresciuta proprio per compensare la diminuita disponibilità di grano. Si tratta di una crisi che si autoalimenta, perché appena un Paese decide di bloccare le esportazioni di riso e cereali, la speculazione ne approfitta per far aumentare il costo oltre il dovuto. Il problema è che i prezzi del riso, del grano o del petrolio dipendono non tanto e non solo da chi produce effettivamente la merce, ma dalle borse merci soggette a forti movimenti speculativi.

L’aumento dei prezzi fa sì che milioni e milioni di persone scivolino verso una situazione di estrema povertà e il problema della malnutrizione tocca anche i paesi ricchi. Ad esempio, l’Ufficio del Bilancio del Congresso americano stima che l’aumento dei prezzi dei generi alimentari farà lievitare a 28 milioni il numero degli americani che beneficiano dei buoni pasto, al massimo degli ultimi 40 anni.

Anche in Europa l’esplosione dei costi del cibo ha peggiorato ulteriormente le condizioni delle famiglie in difficoltà economiche. Negli Stati Uniti si sta addirittura manifestando un problema nuovo, quello dell’accaparramento, che ha costretto due grandi catene di distribuzione ad imporre limiti agli acquisti di riso da parte dei consumatori.

I rialzi dei prezzi del riso, del grano, della soia, non sono affatto dovuti a problemi sorti nel processo di produzione agricola: non vi sono state infatti né siccità né altre calamità naturali che possano giustificare questi movimenti. La responsabilità del ritorno della spettro della fame è delle politiche governative volte a promuovere i biocarburanti e della speculazione finanziaria.
La scelta dell’Unione europea e degli Stati Uniti di sussidiare i biocarburanti (ovvero i carburanti ecologici derivanti da cereali e altri prodotti agricoli) non ha solo avuto per effetto che una parte della produzione di soia e di frumento venisse usata a questo scopo, ma ha anche spinto molti agricoltori a riconvertire le proprie produzioni per soddisfare questa crescente domanda. L’Osservatore Permanente della Santa Sede presso la FAO, Renato Volante, nel corso della XXX sessione della Conferenza regionale della FAO per l'America Latina e i Carabi, tenuta a Brasilia nell’aprile scorso, ha denunciato come proprio la produzione di biocarburanti minacci il diritto all’alimentazione”, sottolineando le “politiche commerciali particolarmente sfavorevoli” a quei Paesi in via di sviluppo la cui “realtà economica dipende quasi esclusivamente dall'esportazione di un ristretto numero di prodotti tipici” mentre la sicurezza alimentare dipende “dall'importazione di molti alimenti”.
Mentre il Segretario Generale delle Nazioni Unite invoca un vertice sulla crisi alimentare e l’Ufficio Onu per il programma alimentare mondiale denuncia una grave situazione d’emergenza (!), i grandi gruppi finanziari internazionali rafforzano la parte attiva dei loro bilanci, speculando – come in molti denunciano – sulla situazione. Il caos è servito ed è globale.

E’ un caos prodotto da una politica internazionale che non si assume fino in fondo le sue responsabilità rispetto a quello che è o dovrebbe essere il suo compito primario. Alle masse dei desiderati della terra, a coloro che lottano per la sopravvivenza e che muoiono di fame, si offre uno scenario che non è governato dai processi democratici e dalle regole, ma affidato agli interessi del mercato e del business. Mentre prolifera il commercio delle armi, mentre si chiacchiera da decenni su come riformare il sistema internazionale, mentre in molti si arricchiscono, il piano dell’etica – l’unico che può salvaguardare il diritto ad una vita dignitosa di individui e popoli interi – viene del tutto abbandonato dalle classi dirigenti mondiali. Ci si potrebbe chiedere se loro leggono quel che accade nel mondo. La risposta è sì. Lo leggono e in alcuni casi lo strumentalizzano. E’ il senso dell’umano che scivola loro addosso, senza lasciare traccia, nonostante l’esistenza di innumerevoli norme internazionali e di decine di agenzie che si occupano del diritto all’alimentazione.


IL DIRITTO ALL’ALIMENTAZIONE ED ALLA LIBERTA’ DALLA FAME

Il diritto all’alimentazione è sancito dall’articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, in cui i governi "riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la loro famiglia, che includa un’alimentazione adeguata […] nonché il miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita".

Un governo deve rendere cibo e acqua accessibili, disponibili e garantiti ai propri cittadini. Quando si parla di disponibilità ci si riferisce alla presenza stessa degli alimenti o dei mezzi per produrli all’interno di una comunità o a livello familiare e questo comprende anche le risorse idriche; mentre l’accessibilità è la possibilità di ottenere  gli alimenti e le risorse disponibili. Garantire cibo e acqua significa far sì che questi ultimi siano sempre disponibili e accessibili sia per le generazioni presenti che per quelle future. 

Le persone che vivono in condizioni di povertà hanno accesso limitato alle risorse alimentari. Infatti, per un gran numero di persone, la malnutrizione è la conseguenza della mancanza di mezzi finanziari che permette loro di comprare gli alimenti. Coloro che vivono in povertà potrebbero non disporre di terra coltivabile per il proprio sostentamento e bisogna anche considerare che all’interno delle famiglie indigenti, donne e bambini sono coloro che hanno un accesso al cibo più limitato rispetto agli uomini.

Tra le cause principali della fame e della malnutrizione ci sono anche l’interruzione delle attività di produzione o di distribuzione degli alimenti. Questi possono a loro volta essere causati da disastri naturali, come ad esempio da siccità, inondazioni o tornado che possono interrompere o sospendere la produzione, il trasporto e il commercio degli alimenti, portando all’insufficienza delle risorse alimentari in un paese. Anche i disastri causati dall’uomo, tra cui i conflitti armati, possono alterare l’accessibilità alle risorse alimentari. Durante i conflitti, il cibo può essere persino usato come una arma, perché bloccando la fornitura di alimenti ad una popolazione si causa volontariamente la fame.

I più vulnerabili alla malnutrizione sono i bambini sotto i cinque anni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiara che dei 10 milioni di bambini che muoiono ogni anno, il 50% è da attribuire alla malnutrizione. Inoltre, i bambini più piccoli sono i più esposti alle malattie derivanti da nutrizione inadeguata e a danni fisici e mentali irreversibili che perdureranno per tutta la loro vita. La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (1989) tratta del bisogno di un’alimentazione adeguata in relazione alla salute e al benessere nutrizionale del bambino, sottolineando esplicitamente l’acqua potabile come un altro elemento da includere.

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (art. 25, par 1) afferma che "Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà."

Ogni essere umano ha: il diritto ad essere libero dalla fame; il diritto ad un’alimentazione adeguata; il diritto di accedere ad acqua potabile sicura.

Ci sono inoltre altri diritti che sono intrinsecamente correlati al diritto ad una alimentazione adeguata e in molti casi sono inseparabili, e sono: il diritto a godere del più alto livello di salute fisica e mentale, il quale non può essere ottenuto senza usufruire di un’alimentazione appropriata ed acqua potabile; il diritto di godere dei benefici del progresso scientifico, in quanto esistono molti sviluppi scientifici che riguardano il cibo e l’acqua; il diritto a non essere soggetti a discriminazione e in questo caso ci si riferisce alle circostanze in cui la distribuzione del cibo è ineguale a seconda del sesso e dell’età.
Il Commento Generale 12 delle Nazioni Unite stabilisce i diritti correlati all’alimentazione nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali: “ Il diritto ad una alimentazione adeguata si realizza quando ogni uomo, donna e bambino, sia come singoli che in una collettività, ha accesso illimitato ad una alimentazione appropriata o ai mezzi per procurarsela.” (par 6).

Il diritto ad un alimentazione adeguata impone agli Stati parti di assumersi tre tipi o gradi di responsabilità, ossia il dovere di rispettare, proteggere e realizzare quanto stabilito. Rispettare significa che lo stato deve riconoscere ad ogni essere umano il diritto ad una alimentazione adeguata e pertanto l’accesso ad essa. Proteggere vuol dire che la classe dirigente di uno Stato non solo deve assicurarsi di non interferire o proibire l’accesso dei cittadini ad una alimentazione adeguata, ma ha anche l’obbligo di proteggere la popolazione da misure proibizioniste attuate da altri gruppi o partiti. Realizzare significa soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione e risolvere il problema dell’insufficienza di risorse alimentari e della malnutrizione; uno Stato ha l’obbligo di prendere provvedimenti sia di breve che di lungo termine. Deve agevolare e provvedere. Lo Stato ha il dovere di implementare  programmi per la sicurezza alimentare, fornendo agli individui i mezzi per essere autosufficienti. Ciò può comprendere l’educazione degli individui all’uso efficiente delle risorse, una riforma agricola,la ridistribuzione della terra arabile o anche favorire l’occupazione in modo che gli individui abbiano le possibilità economiche per acquistare gli alimenti. Così facendo, lo Stato assicura diverse modalità di accesso alle risorse alimentari che permettono l’indipendenza sia nei processi di selezione che di reperimento degli alimenti.

L’obbligo dello Stato di provvedere direttamente ai bisogni alimentari dei propri cittadini è esclusivo delle situazioni di emergenza, nell’impossibilità delle altre opzioni e solo in questo caso, i governi forniranno i viveri in modo diretto.

In relazione al diritto per l’accesso all’acqua esistono obbligazioni simili sancite dal Commento Generale 15 all’interno del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali in cui le nazioni concordano che: “Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna ad operare, sia individualmente sia attraverso l'assistenza e la cooperazione internazionale, specialmente nel campo economico e tecnico, con il massimo delle risorse di cui dispone al fine di assicurare progressivamente con tutti i mezzi appropriati, compresa in particolare l'adozione di misure legislative, la piena attuazione dei diritti riconosciuti nel presente Patto.” (art. 2, par 1).

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948), agli artt. 3, 21, 23, 25, non solo afferma il diritto dell’uomo alla vita, ma anche ad un tenore di vita adeguato, ciò include il diritto all’alimentazione. Ogni persona, inoltre, ha diritto alla sicurezza sociale e ad usufruire dei servizi pubblici.

Le Regole minime standard per il trattamento dei detenuti (1955), all’art. 20, riconosce il diritto dei detenuti all’acqua e al cibo.

Il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1966), agli artt. 1, 3, 11, 12, riconosce che “ in nessun caso una persona può essere privata dei propri mezzi di sostentamento” e richiede ad ogni Stato di fare tutto ciò che è in suo potere  per applicare concretamente i diritti stabiliti nel trattato. Il  negoziato afferma inoltre l’eguaglianza di diritti per l’uomo e la donna, stabilisce il diritto di ogni essere umano ad un adeguato tenore di vita, compresa l’alimentazione e il diritto di essere liberi dalla fame. Attraverso il trattato, gli Stati si impegnano a sviluppare delle misure e dei provvedimenti specifici per assicurare il rispetto dei diritti; oltre a lavorare per la riduzione della mortalità infantile e il controllo delle malattie.

Per delineare in modo più preciso le strategie per rendere effettivi i diritti stabiliti nel CESCR, il Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, l’organo di vigilanza del Patto, ha stilato i Commenti Generali: il Commento Generale 12 (ventesima sessione, 1999) sancisce il diritto ad una alimentazione appropriata e le misure per assicurarsi che i bisogni nutrizionali di ogni essere umano vengano rispettati, e a questo scopo articola una serie di obblighi statali per aiutare i cittadini a riconoscere questo diritto; il Commento Generale 15 (ventinovesima sessione, 2002), sancisce il diritto dell’uomo all’acqua, riconoscendo l’acqua come una necessità indispensabile per il raggiungimento di un adeguato tenore di vita, siccome l’acqua è un elemento insostituibile ed essenziale per la sopravvivenza.

Il Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali ( Protocollo II) (1977), all’art. 14, proibisce “la morte per mancanza di alimenti come strategia di guerra”.

La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (1989), all’art. 24, riconosce “il diritto del minore di godere del miglior stato di salute”. Gli Stati parti alla convenzione si impegnano per porre fine alla mortalità infantile e ad eliminarne le cause, comprendendo così le malattie e la malnutrizione. I Governi devono assicurare al minore la fornitura di acqua potabile ed alimenti. Il trattato inoltre associa il diritto della madre al benessere del bambino, riconoscendo nell’articolo 24 il diritto ad adeguate cure prenatali e postnatali, accesso ad informazioni e educazione sulla salute e sulla nutrizione del minore, sui vantaggi dell’allattamento al seno e sull’igiene e la salubrità dell’ambiente.

La Dichiarazione degli Innocenti per la Protezione, la Promozione e il Sostegno dell’Allattamento al Seno (1990), sancisce il diritto delle donne ad allattare i propri bambini al seno e il diritto degli infanti dai 4-6 mesi di età ad essere allattati al seno.

La Dichiarazione Mondiale e Piano d’Azione sulla Nutrizione (1992), promuove la sicurezza alimentare e la prevenzione delle malattie per i minori attraverso il sostegno dell’allattamento al seno.

La Dichiarazione di Roma sulla sicurezza alimentare mondiale (1996), riconosce il bisogno di istituire la sicurezza alimentare a livello mondiale. Gli Stati parti hanno riaffermato “il diritto di ogni essere umano all’accesso al cibo sicuro e nutriente, in linea con il diritto ad una alimentazione appropriata e il fondamentale diritto ad essere liberi dalla fame.” Seguendo questa affermazione gli Stati parti  si impegnano “a ridurre a metà il numero attuale delle persone malnutrite entro il 2015.”

Il Piano d'Azione del Vertice Mondiale sull'Alimentazione comprende sette obblighi per gli Stati atti a ridurre il numero  di persone sottonutrite al mondo.

Con la Carta africana sui diritti e il benessere del bambino (1990), gli Stati parti si impegno nel fare tutto ciò che è nelle proprie possibilità, utilizzando tutte le risorse disponibili per adempiere al diritto dei bambini alla salute, all’alimentazione e ad acqua sicura.

Il Codice europeo di sicurezza sociale 1964) (art 42), chiede agli Stati di provvedere  all’acqua e ai servizi sanitari.

La Carta dell'Organizzazione degli Stati Americani (1948) (art 34), garantisce l’accesso ad un’alimentazione appropriata attraverso l’aumento della produttività, della disponibilità e della diversificazione della produzione.

Il protocollo aggiuntivo alla Convenzione Americana sui Diritti dell’Uomo nell’area dei diritti economici, sociali e culturali ( Protocollo di San Salvador) (1988) (art 12), riconosce il diritto umano ad una nutrizione adeguata e il dovere degli Stati ad aumentare la disponibilità di risorse alimentari attraverso il miglioramento della produzione e della distribuzione.


862 MILIONI DI POVERI SOTTONUTRITI NEL MONDO

862 milioni di poveri sottonutriti nel mondo, ovvero persone che sopravvivono con meno di due dollari al giorno; la grandissima parte dei quali abita nei Paesi in via di sviluppo. E’ stato questo il punto di partenza drammatico del Vertice mondiale della Fao di Roma, degli giugno 2008, sul tema: “Sicurezza alimentare mondiale: le sfide del cambiamento climatico e delle bioenergie”.

Oltre alla Fao a promuovere il Vertice, che ha visto la partecipazione di una cinquantina fra Capi di Stato e Ministri degli esteri, anche altre due agenzie delle Nazioni Unite impegnate sui temi dell’alimentazione e della povertà: il Wfp (World food program) e l’Ifad (International food and agricultural development), una sorta di banca mondiale del microcredito presa quasi d’assalto negli ultimi mesi dagli agricoltori dei Paesi poveri.

Se l’obiettivo posto dall’Onu nel 1996 era quello di dimezzare entro il 2015 i poveri di tutto il pianeta, passando dagli allora 800 milioni a 400 milioni, oggi il quadro è drammaticamente negativo. Non solo non si sta seguendo quella strada ma le ultime stime, gli 862 milioni di persone sottoalimentate a livello planetario appunto, dimostrano che la crisi in atto è davvero senza precedenti.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha sottolineato alcune priorità: la necessità innanzitutto di produrre più derrate alimentari incrementando la produzione del 50% entro il 2030 per far fronte alla domanda. Ha messo anche in rilievo l’importanza di non agire attraverso interventi puramente assistenziali, perché questi provocano fenomeni speculativi sui mercati, dunque sono necessarie iniziative di partenariato fra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo. Infine Ban Ki-moon ha ricordato che nel 2015 la popolazione mondiale arriverà a 7,2 miliardi di persone, per questo è necessario agire rapidamente. Molte e complesse le cause dell’attuale situazione: fra quelle che stanno provocando maggiori problemi è stata sottolineato innanzitutto il balzo verso l’alto del prezzo del petrolio che danneggia in modo specifico i contadini dei Paesi poveri per i quali i trasporti dei loro prodotti, così come i fertilizzanti e le sementi, cominciano ad avere costi proibitivi. Ancora particolarmente gravi risultano i cambiamenti climatici in alcune regioni del Pianeta, per esempio lo “spostamento” delle piogge da un periodo a un altro dell’anno ha indotto dei veri e propri shock sulle produzioni agricole, senza contare l’aumento della desertificazione. Infine un peso rilevante nella crisi alimentare mondiale è dato dalle attività speculative sui mercati mondiali come è avvenuto di recente per il riso, prodotto base per l’alimentazione di centinaia di milioni di persone in tutta l’Asia.

Un recente rapporto della Fao elenca 22 paesi particolarmente vulnerabili a causa dell’alta percentuale di fame cronica tra la popolazione (oltre il 30 per cento) e del fatto che sono anche importatori netti di cibo e di energia. Particolarmente colpiti paesi quali l’Eritrea, il Niger, le isole Comore, Haiti e la Liberia. Fra le azioni a breve periodo per fronteggiare la situazione attuale, la Fao indica quella di incrementare urgentemente la produzione alimentare locale. Gli interventi dovrebbero includere la distribuzione ai piccoli contadini di sementi, fertilizzanti, mangimi animali ... mediante buoni o sovvenzioni. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, un programma di questo tipo, se realizzato in modo efficace, farà aumentare l’offerta nei paesi poveri e di conseguenza la disponibilità di cibo, farà incrementare il reddito dei piccoli produttori e ridurre gli aumenti dei prezzi a livello dei mercati locali.


IL MESSAGGIO DEL PAPA
“Dà da mangiare a colui che è moribondo per fame, perché, se non gli avrai dato da mangiare, lo avrai ucciso”. Con questa forte citazione dell’antica tradizione cristiana si conclude il messaggio indirizzato dal Papa al Vertice Fao sulla sicurezza alimentare, svoltosi all’inizio di giugno.

Nel contesto della crisi alimentare che mondiale, la posizione della Chiesa insiste soprattutto sui principi fondamentali: il diritto alla vita e quindi all’alimentazione come primario e per ogni persona; il dovere della solidarietà verso le persone e i popoli. Continua il Papa: “E’ urgente superare il paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi. Se il rispetto della dignità umana fosse fatto valere sul tavolo del negoziato, delle decisioni e della loro attuazione, si potrebbero superare ostacoli altrimenti insormontabili e si eliminerebbe il disinteresse per il bene altrui”. Insomma: di fronte alla fame dei poveri non possiamo considerarci giustificati per il fatto che superarla è difficile. Bisogna trovare le priorità e i corretti punti di partenza.

Le prime persone da aiutare sono i piccoli agricoltori dei paesi poveri con le loro famiglie. Uno sviluppo, dunque, centrato sulla dignità della persona. “Vanno elaborate – a parere di Benedetto XVI - nuove strategie di lotta alla povertà e di promozione dello sviluppo rurale. Ciò deve avvenire anche attraverso processi di riforme strutturali, che consentano di affrontare le sfide della medesima sicurezza e dei cambiamenti climatici; inoltre, occorre incrementare la disponibilità del cibo valorizzando l’industriosità dei piccoli agricoltori e garantendone l’accesso al mercato. L’aumento globale della produzione agricola potrà, tuttavia, essere efficace, solo se sarà accompagnato dall’effettiva distribuzione di tale produzione e se essa sarà destinata primariamente alla soddisfazione dei bisogni essenziali”.

Il Papa ha sottolineato che “le difficoltà odierne mostrano come le moderne tecnologie, da sole, non siano sufficienti per sopperire alla carenza alimentare, come non lo sono i calcoli statistici e, nelle situazioni di emergenza, l’invio di aiuti alimentari. Tutto ciò certamente ha grande rilievo, tuttavia deve essere completato ed orientato da un’azione politica che, ispirata a quei principi della legge naturale che sono iscritti nel cuore degli uomini, protegga la dignità della persona”.

LE CONCLUSIONI DELL’ ULTIMO VERTICE FAO

Nelle sessioni “tecniche” dell’ultimo Vertice FAO (Roma, 3-4 giugno 2008) molto si è discusso del costo degli alimentari e dei prodotti bioconbustibili, del protezionismo, dell’ascesa dei prezzi del petrolio e delle distorsioni apportate dai sussidi, di espansione degli aiuti alimentari (di convogliare una crescente parte delle eccedenze di Paesi Ocse verso i Paesi in via di sviluppo), poco o nulla si è detto del nodo centrale, di come investire di più nell’agricoltura dei Paesi il cui reddito pro-capite è nella scala più bassa, facilitare l’aumento delle rese in quello che un tempo veniva chiamato il Terzo Mondo e spendere di meno nel trasportare alimentari attraverso del metà del globo (con perdite anche considerevoli di merci) per tentare di dare da mangiare agli affamati.

Sono stati decisi, invece, i soliti stanziamenti “a pioggia”, che non hanno mai risolto la situazione. La Fao ha annunciato l’erogazione di 17 milioni di dollari e il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ha detto che sarà necessario un impegno finanziario continuativo che ammonterà a 15-20 miliardi di dollari all’anno. Gli Stati Uniti daranno 1,5 miliardi di dollari e la stessa cifra è stata promessa dalla Banca islamica per lo sviluppo. Mentre dalle Nazioni Unite arriveranno 100 milioni, il Giappone contribuirà con 50 milioni di dollari, il Kuwait con 100 milioni, i Paesi Bassi con 75 milioni, la Nuova Zelanda con 7,5 milioni, la Spagna con 773 milioni, la Gran Bretagna con 590 milioni, il Venezuela con 300 milioni e la Banca Mondiale con 1,2 miliardi di dollari di cui 200 milioni in forma di sovvenzioni.
Quindi i soliti finanziamenti a pioggia che non hanno mai risolto nulla, utili solo a mettere la solita toppa destinata comunque a ricreare lo stesso buco di prima, forse ancora più grande.

Nella dichiarazione finale poi si parla anche dei biocarburanti, ma solo al dodicesimo punto con una “semplice raccomandazione” a studi più approfonditi sul loro impatto nella crisi alimentare. Nessun accenno quindi al fatto che le redditizie coltivazioni per il biofuel stanno eliminando le altre coltivazioni solo alimentari, provocando quindi l’aumento sia dei prezzi che della fame. Non si è arrivati neanche ad annunciare una limitazione dei sussidi per il biofuel, ma ci si è fermati solo all’inutile proposta di un approfondimento su vantaggi e svantaggi dei biocarburanti.

In sintesi, nella dichiarazione conclusiva non si dice nulla sul tema chiave relativo alla volontà politica di frenare la crescita dei prezzi nel mercato agricolo e l’indiscriminato uso degli alimenti per produrre combustibili e sono ripetuti, con altre parole, gli stessi impegni del passato. Già nel 1996 ci si era impegnati a dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati. Mancano 7 anni al 2015 e la quantità numerica di chi non riesce a consumare almeno due pasti al giorno continua a crescere. Adesso, invece, l’obiettivo principale della dichiarazione conclusiva del vertice è “raddoppiare la produzione alimentare mondiale entro il 2050”. Senza dire come.


LA RIFORMA DELLA FAO

La Food and Agriculture Organization of the United Nations (Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura) è la più grande Agenzia specializzata del sistema delle Nazioni Unite e accoglie attualmente oltre 180 Paesi membri e la Comunità Europea.

Nata grazie all'opera degli Stati Uniti e di alcuni Governi alleati e neutrali, con l'intento di creare un organismo permanente per l'alimentazione e l'agricoltura, è stata fondata nel 1945 a Québec (Canada) come Agenzia delle Nazioni Unite. Nel 1951 la sede fu trasferita definitivamente a Roma, andando a sostituire l'Istituto internazionale di agricoltura fondato a Roma nel 1905 e operante fino alla seconda guerra mondiale.

L'organo direttivo è la Conferenza dei Paesi membri, costituita dai delegati espressi discrezionalmente da ciascun Paese, avente ognuno diritto a un voto. La Conferenza si riunisce ogni due anni per esaminare il lavoro svolto e approvare programma e bilancio per il biennio successivo. Oltre a eleggere il direttore generale, che dirige l'agenzia con un mandato rinnovabile di 6 anni, elegge il Consiglio, organo esecutivo dell'Agenzia, composto da 49 tra i Paesi membri e cui di volta in volta la Conferenza attribuisce i poteri che ritiene necessari. Presso la FAO lavorano circa 4000 persone, tra funzionari e impiegati, ripartiti in otto dipartimenti: 1. amministrazione e finanza; 2. agricoltura; 3. economico e sociale; 4. pesca; 5. foreste; 6. affari generali e informazione; 7. sviluppo sostenibile; 8. cooperazione tecnica.

Il budget del Programma regolare della FAO è finanziato dai membri, con contributi stabiliti durante la Conferenza della FAO. Il budget per il biennio 2008-2009 è di 929,8 milioni di dollari, al tasso di cambio euro/dollaro fissato dalla Conferenza della FAO e copre il settore tecnico, la cooperazione e la partnership incluso il Programma di cooperazione tecnica, l'informazione e la politica generale, la direzione e l'amministrazione.
La FAO rappresenta il caso abnorme ed emblematico di una burocrazia che spende la gran parte dei fondi a disposizione per sostenere il suo apparato e i suoi convegni, con una scarsissima incidenza rispetto al suo obiettivo statutario: quello di migliorare le situazioni di sotto-sviluppo e di fame.


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Dossier a cura di D.Q. – Agenzia Fides 1/10/2008 - Direttore Luca De Mata

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