giovedì 28 agosto 2014

Letture estive: "Scritti sull'educazione", B. Russel, II parte

Da “Scritti sull’educazione”, B. Russel, 1916-1931 (II parte) Di solito gli educatori istillano certi abiti mentali quali l’obbedienza e la disciplina, la spietatezza nella lotta per il successo mondano, il disprezzo verso i gruppi opposti, una credulità assoluta e un’accettazione passiva della sapienza del maestro. Invece dovremmo tendere a conservare l’indipendenza e l’impulso vitale, invece della spietatezza l’educazione dovrebbe cercare di sviluppare nella mente la giustizia. Al posto del disprezzo, essa dovrebbe inculcare il rispetto e lo sforzo intellettivo, e a proposito delle opinioni altrui non dovrebbe produrre necessariamente l’acquiescenza, ma solo un tipo di educazione all’opposizione, unito all’intuizione e a un chiaro riconoscimento delle vere cause dell’opposizione stessa. In luogo della credulità, bisognerebbe stimolare il dubbio costruttivo, l’amore per l’avventura mentale, il senso dei mondi da conquistare con l’iniziativa e la chiarezza del pensiero. Le cause immediate di questi ma li sono l’accontentarsi dello status quo e la dipendenza di ogni singolo allievo dalle finalità politiche proprio per l’indifferenza ai problemi intellettuali. Ma al di sotto di queste cause ne esiste una più essenziale, il fatto che si considera l’educazione un mezzo per acquisire un certo potere sullo scolaro e non per nutrirne lo sviluppo. Proprio qui si manifesta la mancanza di rispetto per i ragazzi, e solo con un maggior rispetto di essi si può ottenere una riforma di base. Si crede che siano indispensabili obbedienza e disciplina, ma questo è vero sino a un certo punto. In determinati casi possono essere necessarie entrambe, infatti i fanciulli riottosi, i pazzi, i criminali possono aver bisogno dell’autorità ed essere costretti all’obbedienza. Ma quando ciò è necessario è una sfortuna e bisogna desiderare la libera scelta di finalità con le quali non è opportuno interferire. Alcuni riformatori dell’educazione hanno mostrato che ciò è realizzabile molto più di quanto non avrebbero creduto i nostri padri. (Ha quasi del miracoloso quel che la signora Montessori è riuscita ad ottenere, riducendo al minimo l’obbedienza e la disciplina a vantaggio dell’educazione.) Quel che fa parere necessaria l’obbedienza nelle scuole sono le classi numerose e gli insegnanti oberati di lavoro, quali assurde pretese di una errata economia. Chi non ha mai insegnato non è in grado di immaginare le energie che si spendono in una educazione realmente viva, e ritiene che agli insegnanti si possa giustamente richiedere un numero di ore di lavoro pari a quello degli impiegati di banca. Il risultato di questo è una stanchezza intensa, un’acuta sensibilità nervosa e un’assoluta necessità di svolgere il lavoro quotidiano in modo meccanico. È ovvio però che l’attività dell’insegnante non può svolgersi in modo meccanicamente, salvo che non si esiga l’obbedienza. Se considerassimo seriamente l’educazione il nostro modo di impostarla sarebbe differente anche se il costo fosse cento molte maggiore. Per molti uomini e donne è una gioia insegnare bene, e questo si può fare con un vigoroso entusiasmo e una vivacità tali da riuscire a interessare la maggior parte degli scolari senza ricorrere alla disciplina. Quei pochi che non riusciremo ad interessare si potrebbero separare dagli altri e offrirgli un tipo diverso di istruzione. Un insegnante dovrebbe insegnare solo quando riesce a farlo con piacere e avendo consapevolezza dei bisogni mentali degli scolari. Fra insegnante e alunno dovrebbe stabilirsi un rapporto amichevole e non ostile, un riconoscimento da parte degli scolari che l’educazione giova a sviluppare la loro vita e che non è una mera imposizione dall’esterno, la quale impedisce di giocare e richiede molte ore di immobilismo. Tutto ciò che è necessario a questo fine è un maggior contributo in denaro, così da assicurarsi degli insegnanti con più tempo libero e con un amore naturale per l’insegnamento.

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