mercoledì 27 agosto 2014

Letture estive: nuova biografia di S. Pio X


Pio X, alle origini del cattolicesimo contemporaneo, Gianpaolo Romanato, 2014, Lindau Torino.
La recente biografia di Gianpaolo Romanato sulla figura di Papa S. Pio X pubblicata dalla Lindau, ci restituisce una immagine nuova, vera e umana di un pontefice la cui canonizzazione non è riuscita ad eliminare pregiudizi e interpretazioni errate della sua poliedrica personalità e di tutto il suo pontificato. Tra coloro che hanno contribuito a gettare ombre di oscurantismo su Papa Sarto, fa notare l’autore, si potrebbe ad esempio menzionare il gruppo scismatico dei  seguaci di Mons. Lefebvre che ha voluto intitolare la Fraternità sacerdotale proprio a S. Pio X. Uno degli aspetti più interessanti di questo testo è quello di presentarci dei quadri storico-sociali molto dettagliati degli ambienti in cui si è sviluppata la personalità di Giuseppe Sarto, è veramente appropriato il sottotitolo del testo “alle origini del cattolicesimo contemporaneo”.
Il futuro Papa nasce in una famiglia semplice e cristiana a Riese, inizialmente non indigente, ma lo diverrà in seguito, deve anche lottare (contrariamente a quanto affermano altre biografie), per seguire la sua inclinazione che lo portava verso il sacerdozio, sembra infatti che il padre, impiegato per l’amministrazione asburgica, non fosse favorevole. Quando questi scompare prematuramente, rimane solo la madre a sostenere la famiglia con il suo lavoro di cucito. Il giovane, per frequentare il Ginnasio a Castelfranco, ogni giorno percorre 7 chilometri a piedi all’andata e altrettanti al ritorno.
L’ostacolo maggiore per le sue aspirazioni al sacerdozio, era quello economico, i proventi familiari erano troppo deboli per sostenere le spese di una retta. Fu per questo che il futuro pontefice finì nel Seminario di Padova, dove vi era l’uso di accogliere un certo numero di studenti che necessitavano di borsa di studio, come diremmo oggi. Tra le sue innate passioni la musica, che lo accompagnerà per tutta l’esistenza, fino al punto da pubblicare nel 1903, solo tre mesi dopo l’inizio del suo pontificato, “Tra le sollecitudini”, un motu proprio per la riforma della musica sacra.
Mentre il sistema previsto dalla pax austriaca trasformava il prete in un funzionario statale addetto al culto, Giuseppe Sarti chiede di continuare gli studi alla facoltà di teologia universitaria e non in quella diocesana, con la motivazione di voler studiare le lingue orientali. Nel 1858 viene consacrato sacerdote a Treviso.  Aveva ventitré anni, uno in meno secondo il regolamento, così fu necessaria una dispensa speciale dalla Santa Sede. Il suo primo incarico è quello di cappellano e aiuto parroco a Tombolo, povero paese in provincia di Padova e diocesi di Treviso. Ma le sue condizioni non sono da meno, calza ai piedi le galozze, le tipiche scarpe di legno dei contadini, si deve districare tra i debiti contratti per aiutare la famiglia, ma ciononostante, insegna alla scuola serale ai poveri analfabeti esortandoli a migliorare la loro condizione. Costruisce meridiane, come hobby,  le  firma, “Opera del Rev.do Don Giuseppe Sarto Cappellano di Tombolo”, (alcune si conservano ancora, per esempio ad Onara e Galliera).
Per le sue spiccate capacità oratorie il Vescovo lo vorrebbe professore di grammatica in seminario, ma lui rifiuta e preferisce rimanere tra la gente. Nove anni dopo viene mandato come parroco a Salzano, qui viene accolto dalla pellagra, tipica malattia dell’epoca che colpiva coloro che si nutrivano quasi esclusivamente di polenta e dalla diffidenza dei paesani che erano abituati a vedere un certo tipo di clero benestante, per lo meno in grado di aiutare quel terzo delle famiglie del paese  iscritte nell’elenco della pubblica assistenza. Eppure si raccontano numerosi aneddoti sulla generosità del giovane parroco che, pur di aiutare il suo gregge, si toglieva a volte letteralmente il cibo dalla bocca, donando a chi bussava alla sua porta, il pasto che stava preparando per sé. Stessa cosa faceva con gli abiti, soprattutto con le camicie che gli venivano cucite dalla madre. Quando lasciò, sempre dopo nove anni Salzano, fu composta questa filastrocca: “El xé vegnùo con la veste sbrìsa, el xé partìo senza camìsa”.
Di questi anni rimasero nella memoria del luogo il suo interesse per l’educazione giovanile che aveva toni alla Don Milani, la sua invettiva contro certi insegnanti che vedeva inadatti al loro ruolo. Nel 1875 viene nominato dal Vescovo di Treviso, canonico della cattedrale, cancelliere vescovile e direttore spirituale del seminario. Aveva quarant’anni. Scrive ad un amico di aver pianto amaramente lasciando i suoi parrocchiani, i suoi scolaretti, i suoi poveri e i suoi fiori.
Le testimonianze di questa fase della sua vita raccontano con meraviglia i suoi ritmi di lavoro. Si diceva che lavorava per tre! Il 16 novembre del 1884 viene consacrato vescovo a Roma a Sant’Apollinare, dal cardinale Parocchi, vicario di Papa Leone XIII. Non ha compiuto ancora 50 anni ed è vescovo di una difficile diocesi, Mantova. La sua prima preoccupazione è quella del risanamento del seminario. Anche qui abbondano gustosi aneddoti sulle sue originali maniere per risvegliare la coscienza di qualche sacerdote un po’ impigrito. Vi sono comunque alcune costanti nel comportamento che sempre lo contraddistinguono, il dormire poche ore per notte e il temperamento facile ad accendersi.  L’autore della biografia non ne fa mistero, rendendo in questo modo più autentica la storia di questo Papa e tutte le testimonianze raccolte sulla sua vita.
In questi anni ha modo di conoscere il giovane musicista Lorenzo Perosi, con cui inizierà a collaborare sulle questione della riforma della musica liturgica che tanto gli stava a cuore, di lui scrisse in una lettera “uomo che cammina per lo più nelle nuvole, ma musicista di straordinario talento”. Quando ebbe la nomina di Patriarca di Venezia, nel 1893, Perosi divenne Direttore della Cappella di S. Marco e poco dopo Direttore della Cappella Sistina a Roma. Si racconta a riguardo di un forte intervento del futuro pontefice in un convegno sul tema della musica liturgica in cui biasimò certi suoni e canti indegni della Chiesa e concluse dicendo che “se Cristo venisse di nuovo in persona a flagellare i profanatori del tempio, i primi colpi non cadrebbero questa volta sulle spalle del popolo”.
Giuseppe Sarto, divenuto cardinale e Patriarca di Venezia, dovette però attendere dalla nomina, avvenuta nel giugno del 1893, fino al 24 novembre dell’anno successivo per prendere possesso della sua sede con la piena titolarità delle funzioni a motivo dell’exequatur, vecchia normativa abolita solo con il Concordato del 1929.
Venne eletto Papa il 4 agosto 1903, tra le sue scelte più spiazzanti ci furono la nomina della sua segreteria, con a capo il giovane poliglotta spagnolo Raffaele Merry del Val, le modifiche del cerimoniale e di un certo formalismo barocco, soprattutto riguardo al bacio del piede, agli applausi, all’uso del codazzo di gente ogni qualvolta si muoveva, la rimozione di animali esotici che impreziosivano l’ambiente. Erano trascorsi solo trentatré anni da Porta Pia e molti furono i mugugni curiali per la sua ascesa alla tiara, Sarto veniva dal popolino, non aveva una goccia di sangue nobile nelle vene, “non gradiva i fasti di corte… confidava nell’aiuto di Dio più che nelle arti mondane, trascurava la politica, diffidava del personale della Curia, faceva filtrare ogni cosa dalla sua segreteria personale, formata da uomini di sua esclusiva fiducia”. Fece scalpore il caso dell’arcivescovo di Firenze, Alfonso Mistrangelo, che Pio X non volle mai nominare cardinale per contiguità massoniche e dubbi sul comportamento morale.
Tra le sue prime preoccupazioni la compilazione del Codex, vero monumento della scienza giuridica, che richiese circa tredici anni e che venne promulgato tre anni dopo la sua morte, nel 1917. Il pontefice successivo, Benedetto XV affermò: “ se non gli fu dato di compiere questa impresa, nondimeno Egli solo deve ritenersi l’autore del Codice, e perciò il suo nome sarà celebrato dai posteri”. Pio XII, nel discorso per la beatificazione di Papa Sarto, indicò nella codificazione del diritto canonico il capolavoro del suo Pontificato. Vittorio Emanuele Orlando ancora più esplicitamente indicò come il Codex dava a Pio X nella storia del diritto canonico, lo stesso posto che ha Giustiniano nella storia del Diritto Romano. Naturalmente oggi, fa notare Romanato, noi vediamo tutti i limiti del codice pio-benedettino ad un secolo di distanza, tuttavia ciò non può annullarne il valore storico-religioso almeno fino al Concilio Vaticano II.
Al termine di un lavoro di tre anni, viene pubblicato il celebre catechismo di S. Pio X, con le domande ridotte a meno di 500 rispetto alla precedente versione. Consensi e critiche non hanno comunque impedito che questo testo sia stato la base formativa di almeno tre generazioni di cattolici. La riforma del Breviario e del calendario liturgico furono realizzati nel 1911 con la costituzione Divino Afflatu. Venne riportata la Domenica, dies Domini, al centro del calendario. Con il decreto Tridentina Synodus, all’inizio del pontificato, promosse la comunione frequente, anche quotidiana e soprattutto quella dei bambini. Pio XII disse in occasione della beatificazione che il suo predecessore fu “colui che seppe abbattere le barriere che tenevano lontano i bambini dal loro Amico dei tabernacoli”.
Nel testamento si raccomandò ai monsignori che la sua salma non fosse “tocca e imbalsamata”. Chiedendo, contro la consuetudine, che fosse esposta per poche ore e subito tumulata nei sotterranei di S. Pietro.

Nessun commento:

Posta un commento