giovedì 31 gennaio 2008
Dalle Lettere di Don Bosco
mercoledì 30 gennaio 2008
Che significa essere "persona"?
Un uomo non è un pezzo di materia
Quando diciamo che un uomo è una persona, vogliamo dire che egli non è solamente un pezzo di materia, un elemento individuale della natura, così come sono elementi individuali della natura un atomo, una spiga di grano, una mosca, un elefante. Dov'è la libertà, dov'è la dignità, dove sono i diritti di un pezzo individuale di materia? Non ha senso che una mosca, un elefante diano la loro vita per la libertà, per la dignità, per i diritti della mosca o dell'elefante. L'uomo è sì un animale e un individuo, ma non come gli altri. L'uomo è un individuo che si guida da sè mediante l'intelligenza e la volontà: esiste non solo fisicamente, ma c'è in lui un esistere più ricco e più elevato, una sopraesistenza spirituale nella conoscenza e nell'amore. La persona è un tutto, ma non è un tutto chiuso; è un tutto aperto, non un piccolo dio senza porte nè finestre o un idolo che non vede, non intende e non parla. Essa tende per natura alla vita sociale e alla comunione. Noi non possiamo essere uomini e divenire uomini senza andare in mezzo agli uomini; noi non possiamo accrescere in noi la vita e l'attività senza respirare con i nostri simili. (J. Maritain)
martedì 29 gennaio 2008
Il Senato come lo stadio?
lunedì 28 gennaio 2008
Il pensiero di Tommaso D'Aquino
«Exitus a Deo - Reditus in Deum»
domenica 27 gennaio 2008
27 gennaio - BUONA DOMENICA!
Donaci Signore la vera pace,
che è un dono dall'alto
e liberaci dalla falsa pace
che è un prodotto del nostro egoismo
Donaci la pace che unisce nell'amicizia,
e liberaci dalla pace dell'isolamento
e del rifiuto degli altri.
Donaci la pace
che si approfondisce nella sofferenza,
e liberaci dalla pace
che si sprofonda nella prova.
Donaci la pace che sopporta lo scacco,
e liberaci dalla pace
che si gonfia del successo.
Donaci la pace
che fa crescere la speranza,
e liberaci dalla pace che comporta lo spregio,
Donaci la pace degli umili,
e liberaci dalla pace dei prepotenti.
(Aubert Collard)
sabato 26 gennaio 2008
La storia racconta che il re Abgar guarì e dopo di lui molti altri che vennero al cospetto di quel Volto, da sempre riconosciuto e venerato come il vero Ritratto di Gesù, come la matrice di tutta l'iconografia cristiana che storicamente risulta aver avuto origine proprio nella regione di Edessa; ciò spiegherebbe il perché di alcuni procedimenti tecnici di preparazione della tavola, tra cui appunto la sovrapposizione di una tela sulla stessa tavola.
Il Santo Volto di Edessa è ricordato dallo storico Procopio, da Evagrio (VI secolo), da S. Germano di Costantinopoli, da S. Giovanni Damasceno, da Papa Gregorio II, da Papa Adriano I, dal Concilio Niceno-Costantinopolitano del 787.
Germano di Costantinopoli scrive a Leone III Isaurico, fautore dell'iconoclastìa: “come osi tu, che hai ricevuto da Dio non solo la vita ma anche la gloria imperiale, ergerti insolentemente contro la volontà del Creatore?... Non sai tu che Cristo stesso, immagine perfetta dello splendore del Padre, ha voluto dietro supplica di Abgar, re di Edessa, imprimere sul lino il suo Divin Volto e inviarglielo?” Anche Papa Gregorio II in una lettera allo stesso imperatore così si esprimeva:” Del resto tu stesso puoi giudicare...ivi accorrono a pregare le folle da tutto l'Oriente”. Ancora, Papa Adriano I in una lettera a Carlo Magno, mentre gli comunica gli atti del Concilio Niceno-Costantinopolitano accenna alla immagine di Edessa.
La Sacra Effige corse numerosi pericoli, come è possibile immaginare, prima a causa di un nipote di Abgar che volle ritornare alla idolatria, poi nell'invasione saracena dell'Armenia, quando Edessa fu espugnata. Ma i Saraceni stessi tennero in grande considerazione la Reliquia poiché era il ritratto di Gesù, per loro il Profeta Grande, sia pure inferiore a Maometto come è loro pensiero. Nell'anno 944 la preziosa immagine si ritrovò a Bisanzio dopo uno scambio tra l'emiro di Edessa e l'Imperatore di Bisanzio, (200 saraceni prigionieri di guerra, 12.000 monete d'argento e la promessa che Edessa non sarebbe più stata molestata da Bisanzio). Ancora oggi la Liturgi a Bizantina, ogni anno fa memoria della “traslazione del Santo Volto”.
Fu custodita dapprima nel Tempio di S. Sofia, poi nella Cappella Imperiale detta Chiesa del Faro, dove fu custodita quasi ad esclusivo uso liturgico della Corte.
La presenza del Santo Mandilion (Santo Lino) a Genova è legata al Doge Leonardo Montaldo che nel 1382 si trovava in Oriente per curare i possedimenti dei Genovesi. Da uno di questi viaggi recò con sé il S. Volto di Edessa. La tradizione narra di un dono dell'Imperatore Giovanni V Paleologo al Doge (da cui il nome della preziosa cornice che si chiama appunto Cornice Paleologa). Il Doge custodiva il S. Volto nel suo castello, ma morì due anni dopo nella terribile pestilenza che decimò mezza città e la reliquia fu lasciata in testamento ai monaci Basiliani di S. Bartolomeo degli Armeni (nei pressi della chiesa i Montaldo avevano possedimenti e case) che lo offrirono alla devota venerazione di tutti genovesi, in modo particolare nei tre giorni solenni della Pasqua. Più tardi i festeggiamenti in suo onore furono spostati all'Ottava di Pentecoste, (dalla vigilia di Pentecoste alla SS. Trinità) ed è ancora oggi così, aggiungendovi le festività proprie dei padri Barnabiti, subentrati ai monaci armeni nel 1656 e custodi oggi del Santo Volto di Edessa, insieme alla Confraternita del Santo Volto. Da segnalare la bellezza degli inni e di alcuni testi liturgici composti nel corso dei secoli in suo onore e conservati nell'Archivio Storico della stessa Chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni.
A Damasco viveva un cristiano chiamato Ananìa. Il Signore in una visione lo chiamò: "Anaìa!" Ed egli rispose: "Eccomi, Signore!". Ma il Signore gli disse di nuovo: " Alzati e va nella via che è chiamata "Diritta". Entra nella casa di Giuda e cerca un uomo di Tarso, chiamato Saulo. Egli sta pregando e ha visto in visione un uomo, di nome Ananìa, venirgli incontro e mettergli le mani sugli occhi perché ricuperi la vista". Ananìa rispose: "Signore, ho sentito molti parlare di quest'uomo e so quanto male ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. So anche che ha ottenuto dai capi dei sacerdoti l'autorizzazione di arrestare tutti quelli che ti invocano". Ma il Signore disse: "Va', perché io ho scelto quest'uomo. Egli sarà utile per farmi conoscere agli stranieri, ai re e ai figli di Israele." (Atti degli Apostoli 9, 10-16)Il povero Ananìa è praticamente terrorizzato! Forse più dello stesso Paolo, quando sbalzato dal suo cavallo sulla via di Damasco, rimane accecato dalla luce di quel Signore che perseguitava uccidendone i seguaci. E Ananìa avrebbe dovuto non solo incontrarlo ma addirittura imporgli le mani sugli occhi affinché recuperasse la vista! E chi gli assicurava che una volta recuperata la vista, Saulo non avrebbe ricominciato le sue persecuzioni, magari proprio da lui? Ma contrariamente ad ogni buon senso Ananìa vince ogni remora, ogni pregiudizio ogni timore e obbedisce. "Saulo, fratello mio è il Signore che mi manda da te: quel Gesù che ti è apparso sulla strada che stavi percorrendo . Egli mi manda perché tu recuperi la vista e riceva lo Spirito Santo". Subito dagli occhi di Saulo caddero come delle scaglie ed egli recuperò la vista. Si alzò e fu battezzato. Poi mangiò e riprese forza. (Atti 9,17-18)
Signore ti preghiamo perché come Ananìa, noi vinciamo ogni pregiudizio nei confronti del nostro prossimo, anche quando questo ci fa paura,
giovedì 24 gennaio 2008
PROTAGONISTI DELLA VERITA'
(S. Francesco di Sales, Vescovo, Dottore della Chiesa, Patrono dei giornalisti)
mercoledì 23 gennaio 2008
Quale “lectio” dai fatti della Sapienza?
perché questi giovani e questi docenti tirano fuori ancora questo anticlericalismo ammuffito?”
Sono sicura che anche altri in quella sterminata folla che si è giustamente mobilitata per esprimere affetto e stima nei confronti di Benedetto XVI, si saranno chiesti con una fitta al cuore, come mai certi giovani hanno ancora un'immagine così vecchia e stereotipata della Chiesa, del Pontefice, o della laicità? Con quali entità cattoliche si sono incontrati o scontrati nelle scuole che hanno frequentato? Altrettanto dicasi per i docenti che si sono mobilitati perché la visita papale non avvenisse: quale impressione avranno ricevuto dai loro colleghi credenti e praticanti? Allora se è giusto manifestare il proprio dissenso bendandosi la bocca o scendendo in piazza è anche legittimo porsi l'interrogativo: quale testimonianza ho dato negli ambienti universitari come studente o come docente, quale immagine di Chiesa ho trasmesso a chi ho incontrato, e quali sentimenti verso il nostro Pontefice? In certi ambienti di “contestatari” l'unica chiesa di cui vogliono sentir parlare (quando va bene) è quella di Alex Zanotelli o dell'Abbé Pierre. Certamente due figure illustri, ma che non possono rappresentare tutta la Chiesa, l'unica chiesa che che esiste e merita rispetto in certi ambienti è quella che opera visibilmente nel sociale. Da contrapporre alla Chiesa settaria che innalza muri e divieti, alla Chiesa che scomunica, alla Chiesa che fa uso del termine “catto-comunista”, che non dà la comunione ai risposati, alla Chiesa che vieta il matrimonio ai suoi sacerdoti, che è contraria ai “pax” ecc ecc. Ma né la Chiesa che pensa ai poveri, né la Chiesa “bacchettona”, hanno nulla a che spartire con la vita di studio e di pensiero. Ogni autentico “pensante” deve essere rigorosamente ateo o agnostico, a al massimo un estimatore di Gesù e del Vangelo, mai della Chiesa e tantomeno del Papa.
Com'è triste e stantìo tutto ciò, come se le università più antiche d'Europa, compresa la Sapienza, non fossero nate grazie a papi o chierici, come se Agostino, Tommaso, Bernardino, Ignazio di Loyola, Rosmini, Giussani, Escrivà De Balaguer, Giovanni Paolo II, (questi ultimi hanno lavorato a lungo negli ambienti universitari) e molti altri ancora non fossero mai esistiti! Come se ancora certi forti messaggi dell'ultimo Concilio, fossero rimasti sulla carta: “Il Signore è anche vicino a quanti cercano il Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini, poiché egli dà a tutti vita e respiro e ogni cosa, e come Salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvi. Infatti quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, cercano sinceramente Dio e con l'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà divina, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che, senza averne colpa, non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta.” (Lumen gentium, N 2. 16) Insiste ancora Papa Benedetto, anche in quest'ultima sua enciclica (Spe Salvi), su quel “Logos”, che comunemente tradotto con il “Verbo”, significa anche “Ragione”, su quelle antiche raffigurazioni del Cristo, rappresentato con il Vangelo e con il bastone del viandante proprio del filosofo, fino a dire: “La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me. Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche: che cosa posso fare perché altri vengano salvati e sorga anche per altri la stella della speranza? Allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza personale”.