L'antica chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni è coperta in buona parte dalla facciata ottocentesca del palazzo che i Padri Barnabiti costruirono nel 1883, quasi a ridosso dell'antica struttura. Solo con un po' di attenzione si può scorgere l'ingresso dell'antica chiesa che racchiude un tesoro prezioso custodito da più di sei secoli dalla città di Genova. Trattandosi il tesoro in questione di una delle più famose immagini acheropite del Volto di Cristo, forse c'è in questa originalezza architettonica anche una certa coerenza con la reliquia custodita! Un volto che continuamente si cela conservato in una chiesa che è altrettanto ben celata. I genovesi lo chiamano S. Mandillo, o il Santo Sudario: secondo la tradizione è il ritratto che il re Abgar, malato di lebbra, commissionò al pittore Anania, qualora il Nazareno non avesse potuto recarsi da lui. Si parla anche di due lettere, (Eusebio di Cesarea, nelle “Historiae Ecclesiasticae”), una di Abgar a Gesù e la risposta di Cristo stesso ad Abgar. Il pittore riuscì più che bene nella sua impresa, portando al re più che un normale ritratto! Leggiamo la vicenda come viene tramandata dalla tradizione attraverso la preziosa cornice, detta Paleologa, di finissima filigrana che racchiude il Santo Volto, dieci piccole formelle con didascalie in greco della koinè: il re Abgar a letto malato, il pittore che cerca di dipingere il ritratto, il Signore che si lava le mani e il volto e consegna il lino con sopra impressa l'immagine del suo volto al pittore insieme con una lettera per il re. Esiste anche un'altra tradizione secondo la quale il pittore avrebbe eseguito effettivamente il ritratto, quello che noi oggi vediamo. Ma le due ipotesi non è detto che si escludano a vicenda!
La storia racconta che il re Abgar guarì e dopo di lui molti altri che vennero al cospetto di quel Volto, da sempre riconosciuto e venerato come il vero Ritratto di Gesù, come la matrice di tutta l'iconografia cristiana che storicamente risulta aver avuto origine proprio nella regione di Edessa; ciò spiegherebbe il perché di alcuni procedimenti tecnici di preparazione della tavola, tra cui appunto la sovrapposizione di una tela sulla stessa tavola.
Il Santo Volto di Edessa è ricordato dallo storico Procopio, da Evagrio (VI secolo), da S. Germano di Costantinopoli, da S. Giovanni Damasceno, da Papa Gregorio II, da Papa Adriano I, dal Concilio Niceno-Costantinopolitano del 787.
Germano di Costantinopoli scrive a Leone III Isaurico, fautore dell'iconoclastìa: “come osi tu, che hai ricevuto da Dio non solo la vita ma anche la gloria imperiale, ergerti insolentemente contro la volontà del Creatore?... Non sai tu che Cristo stesso, immagine perfetta dello splendore del Padre, ha voluto dietro supplica di Abgar, re di Edessa, imprimere sul lino il suo Divin Volto e inviarglielo?” Anche Papa Gregorio II in una lettera allo stesso imperatore così si esprimeva:” Del resto tu stesso puoi giudicare...ivi accorrono a pregare le folle da tutto l'Oriente”. Ancora, Papa Adriano I in una lettera a Carlo Magno, mentre gli comunica gli atti del Concilio Niceno-Costantinopolitano accenna alla immagine di Edessa.
La Sacra Effige corse numerosi pericoli, come è possibile immaginare, prima a causa di un nipote di Abgar che volle ritornare alla idolatria, poi nell'invasione saracena dell'Armenia, quando Edessa fu espugnata. Ma i Saraceni stessi tennero in grande considerazione la Reliquia poiché era il ritratto di Gesù, per loro il Profeta Grande, sia pure inferiore a Maometto come è loro pensiero. Nell'anno 944 la preziosa immagine si ritrovò a Bisanzio dopo uno scambio tra l'emiro di Edessa e l'Imperatore di Bisanzio, (200 saraceni prigionieri di guerra, 12.000 monete d'argento e la promessa che Edessa non sarebbe più stata molestata da Bisanzio). Ancora oggi la Liturgi a Bizantina, ogni anno fa memoria della “traslazione del Santo Volto”.
Fu custodita dapprima nel Tempio di S. Sofia, poi nella Cappella Imperiale detta Chiesa del Faro, dove fu custodita quasi ad esclusivo uso liturgico della Corte.
La presenza del Santo Mandilion (Santo Lino) a Genova è legata al Doge Leonardo Montaldo che nel 1382 si trovava in Oriente per curare i possedimenti dei Genovesi. Da uno di questi viaggi recò con sé il S. Volto di Edessa. La tradizione narra di un dono dell'Imperatore Giovanni V Paleologo al Doge (da cui il nome della preziosa cornice che si chiama appunto Cornice Paleologa). Il Doge custodiva il S. Volto nel suo castello, ma morì due anni dopo nella terribile pestilenza che decimò mezza città e la reliquia fu lasciata in testamento ai monaci Basiliani di S. Bartolomeo degli Armeni (nei pressi della chiesa i Montaldo avevano possedimenti e case) che lo offrirono alla devota venerazione di tutti genovesi, in modo particolare nei tre giorni solenni della Pasqua. Più tardi i festeggiamenti in suo onore furono spostati all'Ottava di Pentecoste, (dalla vigilia di Pentecoste alla SS. Trinità) ed è ancora oggi così, aggiungendovi le festività proprie dei padri Barnabiti, subentrati ai monaci armeni nel 1656 e custodi oggi del Santo Volto di Edessa, insieme alla Confraternita del Santo Volto. Da segnalare la bellezza degli inni e di alcuni testi liturgici composti nel corso dei secoli in suo onore e conservati nell'Archivio Storico della stessa Chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni.
La storia racconta che il re Abgar guarì e dopo di lui molti altri che vennero al cospetto di quel Volto, da sempre riconosciuto e venerato come il vero Ritratto di Gesù, come la matrice di tutta l'iconografia cristiana che storicamente risulta aver avuto origine proprio nella regione di Edessa; ciò spiegherebbe il perché di alcuni procedimenti tecnici di preparazione della tavola, tra cui appunto la sovrapposizione di una tela sulla stessa tavola.
Il Santo Volto di Edessa è ricordato dallo storico Procopio, da Evagrio (VI secolo), da S. Germano di Costantinopoli, da S. Giovanni Damasceno, da Papa Gregorio II, da Papa Adriano I, dal Concilio Niceno-Costantinopolitano del 787.
Germano di Costantinopoli scrive a Leone III Isaurico, fautore dell'iconoclastìa: “come osi tu, che hai ricevuto da Dio non solo la vita ma anche la gloria imperiale, ergerti insolentemente contro la volontà del Creatore?... Non sai tu che Cristo stesso, immagine perfetta dello splendore del Padre, ha voluto dietro supplica di Abgar, re di Edessa, imprimere sul lino il suo Divin Volto e inviarglielo?” Anche Papa Gregorio II in una lettera allo stesso imperatore così si esprimeva:” Del resto tu stesso puoi giudicare...ivi accorrono a pregare le folle da tutto l'Oriente”. Ancora, Papa Adriano I in una lettera a Carlo Magno, mentre gli comunica gli atti del Concilio Niceno-Costantinopolitano accenna alla immagine di Edessa.
La Sacra Effige corse numerosi pericoli, come è possibile immaginare, prima a causa di un nipote di Abgar che volle ritornare alla idolatria, poi nell'invasione saracena dell'Armenia, quando Edessa fu espugnata. Ma i Saraceni stessi tennero in grande considerazione la Reliquia poiché era il ritratto di Gesù, per loro il Profeta Grande, sia pure inferiore a Maometto come è loro pensiero. Nell'anno 944 la preziosa immagine si ritrovò a Bisanzio dopo uno scambio tra l'emiro di Edessa e l'Imperatore di Bisanzio, (200 saraceni prigionieri di guerra, 12.000 monete d'argento e la promessa che Edessa non sarebbe più stata molestata da Bisanzio). Ancora oggi la Liturgi a Bizantina, ogni anno fa memoria della “traslazione del Santo Volto”.
Fu custodita dapprima nel Tempio di S. Sofia, poi nella Cappella Imperiale detta Chiesa del Faro, dove fu custodita quasi ad esclusivo uso liturgico della Corte.
La presenza del Santo Mandilion (Santo Lino) a Genova è legata al Doge Leonardo Montaldo che nel 1382 si trovava in Oriente per curare i possedimenti dei Genovesi. Da uno di questi viaggi recò con sé il S. Volto di Edessa. La tradizione narra di un dono dell'Imperatore Giovanni V Paleologo al Doge (da cui il nome della preziosa cornice che si chiama appunto Cornice Paleologa). Il Doge custodiva il S. Volto nel suo castello, ma morì due anni dopo nella terribile pestilenza che decimò mezza città e la reliquia fu lasciata in testamento ai monaci Basiliani di S. Bartolomeo degli Armeni (nei pressi della chiesa i Montaldo avevano possedimenti e case) che lo offrirono alla devota venerazione di tutti genovesi, in modo particolare nei tre giorni solenni della Pasqua. Più tardi i festeggiamenti in suo onore furono spostati all'Ottava di Pentecoste, (dalla vigilia di Pentecoste alla SS. Trinità) ed è ancora oggi così, aggiungendovi le festività proprie dei padri Barnabiti, subentrati ai monaci armeni nel 1656 e custodi oggi del Santo Volto di Edessa, insieme alla Confraternita del Santo Volto. Da segnalare la bellezza degli inni e di alcuni testi liturgici composti nel corso dei secoli in suo onore e conservati nell'Archivio Storico della stessa Chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni.
M.L.A.
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