sabato 27 marzo 2010

L'adultera

Nel Vangelo che abbiamo ascoltato la Domenica passata abbiamo ascoltato il brano in cui i farisei propongono a Gesù di costituirsi giudice di una donna sorpresa in adulterio. Con ciò pretendevano di metterlo in un duplice imbarazzo, infatti al tempo di Gesù esistevano due diverse leggi sull'adulterio. Gesù taceva e scriveva per terra. Che cosa scriveva? Tutti gli studiosi a cui ho rivolto questa domanda sono stati abbastanza vaghi nella risposta. Ho sempre avuto l'idea che questo particolare dell'episodio non fosse senza importanza. Finalmente trovo alcune soddisfacenti risposte in un testo finito in modo oltretutto piuttosto singolare tra le mie mani, si tratta di una Vita di Gesù, edita dalla Queriniana-Brescia nel 1934, scritta da Mons. E. Le Camus, Vescovo di La Rochelle e Saintes, che ha addirittura in prefazione una bella lettera di Papa Leone XIII. Il Pontefice si augurava che qualcuno presto lo traducesse in italiano "E' la miglior carità che si possa fare al mondo che muore di fame" diceva all'abate Le Camus, autore dell'opera (La Civiltà Cattolica n.1155, del 9-8-1898, pag. 345).
Dunque vediamo come si interpreta questo passo: Gesù invece di rispondere a quella domanda-trappola si accontentò di chinarsi e col dito si pose a scrivere per terra. Nell'Antico Testamento, in Geremia 27,13, Dio scrive per terra i nomi di quelli che l'abbandonano. Ma Gesù forse vuol manifestare la sua noncuranza verso i suoi interlocutori e la ferma risoluzione di non rispondere. Aveva fatto così il filosofo di cui parla Eliano (Hist. Var. XIV,19), che invece di rispondere al quesito propostogli, si era messo a scrivere sulla parete, così facevano qualche volta anche i rabbini ebrei, quando non volevano pronunciare sentenza sopra materie delicate. A quell'atteggiamento duro e orgoglioso degli accusatori, Gesù volle fare giustizia della loro ipocrisia. Secondo la legge romana, prima di ogni giudizio, si doveva presentare al giudice l'atto di accusa con il nome degli accusatori. Ma nulla di simile aveva avuto luogo in quel caso. Inoltre la stessa legislazione esigeva che il cittadino, quando si costituiva accusatore davanti al giudice, non fosse reo egli stesso, né di più gravi, né dei medesimi delitti che attribuiva agli altri: nel qual caso si metteva a rischio di venir accusato per primo. Gesù avendo cominciato a stendere con l'atto di accusa anche la lista degli accusatori, levò la testa e disse: Chi tra voi è senza peccato getti la prima pietra contro questa donna. La legge ebraica autorizzava infatti a requisire l'accusatore o il testimonio per l'ufficio di carnefice. I farisei restarono impassibili.
Gesù allora si inchinò una seconda volta per scrivere e per aggiungere, secondo alcuni manoscritti, (manoscritto U ed altri, dopo "scriveva" hanno "le colpe di ciascuno di loro") al nome degli accusatori, la lista delle loro debolezze. Il terreno diveniva scottante e la prova si faceva intollerabile. Una rivelazione pubblica dei falli più nascosti in simili circostanze era una misura che a nessuno garbava. Di tutti quelli che si erano fatti accusatori della disgraziata, vedendosi su quella lista smascherati e qualificati secondo i loro vizi personali, a uno a uno si eclissarono. Così senza distruggere o menomare l'autorità divina della legge mosaica, Gesù riusciva a salvar l'accusata con il solo negare la competenza dei giudici e la validità dei testimoni rei non meno di essa. Quindi, conclude l'autore, con una destrezza ammirabile Egli aveva fatto passare la questione dal terreno giuridico, su cui l'avevano messa i farisei e sul quale non essendo giudice costituito non voleva trattarla, al terreno morale, sul quale si poteva umiliare gli accusatori e far perdere loro coraggio. Quando si giudica in nome della legge e della missione che essa conferisce, non si ha bisogno di essere santi per condannare il vizio denunciato dall'onestà pubblica. Ma quando ci costituiamo giudici da noi stessi bisognerebbe avere almeno la superiorità morale sopra chiunque si voglia giudicare.

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