San Paolo soffrì persecuzioni e conobbe la propria debolezza mentre
predicava la fede nel Risuscitato. In cambio, non volle nient’altro che la
misericordia di Cristo. Come si dice in quest’articolo, l’amore di Dio, lo
Spirito Santo, è il dono che riceve chi, come l’Apostolo, si identifica
con Gesù.
La Città Eterna, la Roma di Pietro e di Paolo, bagnata dal sangue dei
martiri, centro da cui sono partiti per propagare nel mondo intero la
parola salvifica di Cristo [1], si può considerare veramente privilegiata,
perché è stata "tantorum principum purpurata pretioso sanguine", bagnata
dal sangue dei Principi degli Apostoli [2].
Durante questo periodo si commemorano i duemila anni dalla nascita
dell’Apostolo delle Genti. Per collocare correttamente questa data gli
studiosi della cronologia Paolina tengono in conto il dato storico che
offrono i suoi scritti: nella lettera ai Galati afferma che, dopo la sua
conversione, s’incontrò con Pietro a Gerusalemme, tre anni dopo la sua
fuga da Damasco [3], dove il re dei nabatei, Areta IV, esercitava un
certo potere [4]. Ciò permette di datare la fuga verso l’anno 37 e la sua
conversione verso il 34-35.
D’altra parte, negli Atti degli Apostoli, nella narrazione del martirio di
Stefano si definisce Saulo come “giovane”, poco prima della sua vocazione
[5]. Benché questo sia un dato generico, permette in modo approssimato di
situare la sua nascita verso l’anno 8.
L’Anno Paolino vuole promuovere una riflessione più profonda sull’eredità
teologica e spirituale che San Paolo ha lasciato alla Chiesa, con la sua
vasta opera di evangelizzazione. Come segni esterni che ci invitano a
meditare la fede e la verità sotto la guida dell’Apostolo, il Papa ha
acceso la “Fiamma Paolina”, in un braciere collocato nel portico della
Basilica di San Paolo e ha aperto anche nello stesso tempio, la “Porta
Paolina”, che ha attraversato il 28 giugno, accompagnato dal Patriarca di
Costantinopoli.
L’APOSTOLO DELLE GENTI
Chi era Paolo di Tarso? Nacque nella capitale della provincia romana di
Cilicia, oggi Turchia. Quando fu catturato alle porte del tempio di
Gerusalemme, si diresse con queste parole alla moltitudine che voleva
ucciderlo: io sono giudeo, nato a Tarso di Cilicia, educato in questa
città e istruito ai piedi di Gamaliele secondo l’osservanza della legge
dei padri [6].
Alla fine della sua esistenza, in una visione retrospettiva della sua vita
e della sua missione, dirà di se stesso: sono stato costituito messaggero,
apostolo e maestro [7]. Allo stesso tempo la sua figura si apre al
futuro, a tutti i popoli e generazioni, perché Paolo non è solo un
personaggio del passato: il suo messaggio e la sua vita sono sempre
attuali, poiché contengono l’essenza del messaggio cristiano, perenne e
attuale.
Paolo è stato nominato il tredicesimo Apostolo perché, anche se non
formava parte del gruppo dei Dodici, fu chiamato da Gesù risuscitato, che
gli apparve sulla strada di Damasco [8]. Inoltre, considerando quanto ha
lavorato per Cristo, non ha nulla per cui invidiare gli altri. Sono Ebrei?
Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io! Sono
ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più d loro: molto
di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più
nelle percosse, spesso in pericolo di morte. Cinque volte dai Giudei ho
ricevuto i quaranta colpi meno uno, tre volte sono stato battuto con le
verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho
trascorso un giorno e una notte in balia delle onde. Viaggi innumerevoli,
pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali,
pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli
sul mare, pericoli da parte di falsi, fratelli, disagi e fatiche, veglie
senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità [9].
Come si vede non gli mancarono difficoltà né tribolazioni, che sopportò
per amore di Cristo. Tuttavia, tutto lo sforzo e tutti gli eventi per cui
passò, non lo portarono alla vanagloria. Paolo capì a fondo e sperimentò
nella sua persona quello che insegnava anche san Josemaría: «che la nostra
logica umana non serve per spiegare le realtà della grazia. Dio ama
scegliere strumenti deboli perché appaia con maggiore evidenza che l’opera
è sua. San Paolo ricorda con trepidazione la sua vocazione: ultimo fra
tutti apparve anche a me, come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo
tra gli apostoli e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo,
perché ho perseguitato la Chiesa di Dio (1 Cor 15, 8-9)» [10]. «Come non
ammirare un uomo così? – dice Benedetto XVI –. Come non ringraziare il
Signore per averci dato un Apostolo di questa statura?» [11].
Tra i diversi aspetti che costituiscono l’insegnamento teologico di San
Paolo, si deve segnalare innanzitutto, la figura di Gesù Cristo.
Certamente nelle sue lettere non appaiono i dati storici di Gesù di
Nazaret, come ce li presentano i Vangeli. L’interesse per i numerosi
aspetti della vita terrena di Gesù passa in un secondo piano: viene
sottolineato specialmente il mistero della passione e morte sulla Croce.
Allo stesso tempo, si nota che Paolo non fu testimone del passaggio
terreno di Gesù, ma che lo conosce mediante la tradizione apostolica che
lo precede, cui si riferisce esplicitamente: a voi infatti ho trasmesso,
anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto [12].
Allo stesso modo, si possono scoprire nell’epistolario paolino inni,
professioni ed enunciati di fede, e affermazioni dottrinali che
probabilmente si usavano nella liturgia, nella catechesi o nella
predicazione della Chiesa primitiva. Gesù Cristo costituisce il centro e
il fondamento del suo annuncio e della sua predicazione: nei suoi scritti
il nome di Cristo appare 380 volte, superato solo dal nome di Dio,
menzionato 500 volte. Questo ci fa capire che Gesù Cristo incise
profondamente nella sua vita: in Cristo troviamo il culmine della storia
della Salvezza.
L’INCONTRO CON CRISTO
Osservando San Paolo ci possiamo domandare come si realizza l’incontro
personale con Cristo e quale rapporto nasce tra Lui e il credente. La
risposta di Paolo si riassume in due momenti. Da una parte si pone
l'accento sul valore assolutamente fondante e insostituibile della fede
[13]. Così scrive ai Romani: l’uomo è giustificato per la fede
indipendentemente dalle opere della Legge [14]; l’idea appare più
esplicita nella lettera ai Galati: l’uomo non è giustificato per le opere
della Legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo [15]. Ossia,
si entra in comunione con Dio esclusivamente per opera della grazia; Egli
ci viene incontro e ci accoglie con la sua misericordia, perdonando i
nostri peccati e permettendoci di stabilire un rapporto d’amore con Lui e
con i nostri fratelli [16].
In questa dottrina della giustificazione, Paolo riflette il processo della
sua stessa vocazione. Egli era uno stretto osservante della legge mosaica,
che compiva fin nei più piccoli particolari. Ma questo lo portò a sentirsi
sicuro di se stesso e a cercare la salvezza solo con le sue forze. E in
questa situazione si scopre peccatore, poiché perseguita la Chiesa del
Figlio di Dio. La coscienza del peccato sarà allora il punto di partenza
per abbandonarsi alla grazia di Dio che ci viene data in Gesù Cristo.
Qui comincia il secondo momento, l’incontro con il Signore stesso. La
donazione infinita di Cristo sulla Croce costituisce l’invito più forte a
uscire dal proprio io, a non riempirsi di vanagloria, mettendo allo stesso
tempo ogni fiducia nella morte salvatrice e nella risurrezione del Signore:
chi si vanta, si vanti nel Signore [17]. Questa conversione spirituale
comporta, pertanto, di non cercare se stesso, ma di rivestirsi di Cristo e
donarsi con Cristo, per partecipare così personalmente alla vita di Cristo
fino a immergersi in Lui e a condividere sia la sua morte che la sua vita.
Così dice l’Apostolo mediante l’immagine del Battesimo: O non sapete che
quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella
sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme con
lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo
della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita
nuova [18].
Paolo – e con lui ogni cristiano – contempla il Figlio di Dio non solo
come Colui che morì per amore nostro, ottenendoci la salvezza per i nostri
peccati – dilexit me et tradidit semetipsum pro me, mi amò e ha dato se
stesso per me –, ma anche come Colui che si fa presente nella sua vita:
vivo autem iam non ego, vivit vero in me Christus, non vivo più io, ma
Cristo vive in me [19]. Al fondatore dell’Opus Dei piaceva ripetere
queste parole dell’Apostolo, perché vedeva in Gesù Cristo morto e risorto
la ragion d’essere di tutta la vita del cristiano e della sua missione.
VIVERE NELLO SPIRITO
Identificarsi con Cristo significa vivere nello Spirito. San Luca
sottolinea nel suo secondo libro il ruolo dinamico e operativo dello
Spirito Santo; commenta San Josemaría: «quasi non c’è pagina degli Atti
degli Apostoli in cui non si parli di Lui e dell’azione con cui Egli
informa, dirige e vivifica la vita e le opere della comunità cristiana
primitiva. E’Lui che ispira la predicazione di San Pietro (cfr At 4, 8),
che conferma nella fede tutti i discepoli (cfr At 4, 31), che sigilla con
la sua presenza la vocazione dei gentili (cfr At 10, 44-47), che manda
Saulo e Barnaba in terre lontane per aprire strade nuove all’insegnamento
di Gesù (cfr At 13, 2-4). La sua presenza e il suo intervento, insomma,
presiedono ogni cosa» [20].
Nei suoi scritti San Paolo mette in rilievo la presenza della Terza
Persona della Santissima Trinità nella vita del cristiano. Lo Spirito
abita nei nostri cuori [21]; è stato inviato da Dio perché ricevessimo
l’adozione a figli e potessimo esclamare: Abbà, Padre! [22]. Lasciarsi
condurre dalla Spirito, che ci dà la vita in Cristo Gesù, libera dalla
legge del peccato e della morte; fa sì che si manifestino nella vita dei
credenti le opere – i frutti – dello Spirito Santo: amore, gioia, pace,
magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro
queste cose non c’è legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso
la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello
Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito [23].
L’Apostolo ci dice che l’orazione autentica esiste solo quando è presente
lo Spirito: così anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza:
non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito
stesso intercede con gemiti inesprimibili [24]. Con parole di Benedetto
XVI, lo Spirito Santo « ormai come l'anima della nostra anima, la parte
più segreta del nostro essere, da dove sale incessantemente verso Dio un
moto di preghiera, di cui non possiamo nemmeno precisare i termini »
[25]. Paolo ci invita a essere sempre più sensibili, a essere più attenti
alla presenza dello Spirito in noi e a imparare a trasformarla in
orazione.
Il primo dei frutti dello Spirito Santo nell’anima del cristiano è
l’amore. Infatti, l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per
mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato [26]. Se, per definizione,
l’amore unisce, lo Spirito è colui che genera la comunione nella Chiesa: è
la forza di coesione che mantiene uniti i fedeli al Padre per Cristo, e
attrae coloro che ancora non godono della piena comunione. Lo Spirito
Santo guida la Chiesa verso l’unità.
VERSO L’UNITÀ
Questo è un altro aspetto, tra i molti che tratta l’Apostolo nelle sue
lettere, che vale la pena considerare all’inizio di questo Anno Paolino:
l’unità dei cristiani. È motivo di consolazione, e di stimolo per chiedere
insistentemente al Signore questa grazia – tanto grande quanto difficile da
raggiungere –, che il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, seguendo le orme
del Vicario di Cristo, abbia pure convocato per la Chiesa Ortodossa un
Anno Paolino.
«San Paolo ci ricorda che la piena comunione tra tutti i cristiani trova
il suo fondamento in un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo»
[27]. Dobbiamo pregare «perché la fede comune, l’unico battesimo per il
perdono dei peccati e l’obbedienza all’unico Signore e Salvatore si
manifestino pienamente nella dimensione comunitaria ed ecclesiale» [28].
San Paolo ci mostra il cammino più efficace verso l’unità, con alcune
parole che pure proponeva il Concilio Ecumenico Vaticano II nel suo
decreto sull’ecumenismo. Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi
esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto,
con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda
nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo
del vincolo della pace [29].
L’Apostolo si è impegnato sempre a conservare questa immensa grazia
dell’unità. Invita i cristiani di Corinto, fin dall’inizio della prima
lettera a evitare le divisioni tra di loro [30]. Le sue esortazioni e i
suoi richiami possono servirci anche oggi. Davanti all’umanità del terzo
millennio, sempre più globalizzata, e, paradossalmente, più divisa,
frammentata dalla «cultura edonista e relativistica, che pone in dubbio
l’esistenza stessa della verità» [31], l’orazione del Signore – ut omnes
unum sint , perché tutti siano una sola cosa [32] – è per noi la migliore
promessa di unione con Dio e di unità tra gli uomini.
Don Bernardo Estrada, Professore Ordinario di Nuovo Testamento, Pontificia
Università della Santa Croce
1. Omelia “Lealtà alla Chiesa”, 4-VI-1972.
2. Cfr. Inno dei Primi Vespri della Solennità di San Pietro e San Paolo.
3. Cfr. Gal 1, 15-18.
4. Cfr. 2 Cor 11, 32.
5. Cfr. At 7, 58.
6. At 22, 3.
7. 2 Tm 1, 11.
8. Cfr. 1 Cor 15, 8.
9. 2 Cor 11, 22-27.
10. E’ Gesù che passa, n. 3.
11. Benedetto XVI, Udienza generale, 25-X-2006.
12. 1 Cor 15, 3; cfr. 11, 23ss.
13. Cfr. Benedetto XVI, Udienza generale, 8-XI-2006.
14. Rm 3, 28.
15. Gal 2, 16.
16. Cfr. Rm 3, 24.
17. 1 Cor 1, 31.
18. Rm 6, 3s.
19. Gal 2, 20.
20. E’ Gesù che passa, n. 127.
21. Cfr. Rm 8, 9.
22. Gal 4, 6.
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