mercoledì 28 ottobre 2009

Teologia della Scrittura

TEOLOGIA DALLA SCRITTURA: SU MT 1,1-17 (XXI Congresso Nazionale ATI, Castel del Monte, 8 Settembre 2009) Omelia di Mons.Bruno Forte
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“Una disputa di pipistrelli e civette con le aquile sulla realtà dei raggi del sole a
mezzogiorno” : tale sarebbe - secondo Karl Barth - un parlare su Dio che volesse prescindere dall’ascolto della Sua Parola. Per sua natura, la teologia cristiana è parola su Dio (“lógos del Dio”, nel senso del genitivo oggettivo), che rimanda alla parola di Dio, quella che Lui ha detto di sé nella storia d’Israele e nella pienezza del tempo in Gesù Cristo (“parola del Dio”, nel senso del genitivo soggettivo). È parola di domanda ed insieme parola di risposta. Nella Parola essa ascolta il Silenzio; dal Silenzio riceve la Parola; fra Parola e Silenzio muove i suoi passi, linguaggio di frontiera. La teologia sta al confine, continuamente rinviando all’una e all’altra sponda, fra la fragile terra dove poggiano i nostri piedi e l’abisso insondabile, che è la regione dell’Altro. Due movimenti l’attraversano, fra di loro asimmetrici: quello del pellegrino, assetato di una patria verso cui orientare il cammino per combattere la sua lotta con la morte; e quello, senza il quale neanche l’altro esisterebbe, dell’Inizio, presupposto e fondamento di tutto ciò che esiste, che viene a noi dall’ insondabile Silenzio. Il ponte che percorre questa asimmetria è riconosciuto dal Nuovo Testamento in Gesù, il Cristo, la Parola venuta nella carne.
Il testo di Matteo 1,1-17, la genealogia di Gesù, ci aiuta ad accostarci alle arcate
fondamentali di questo ponte. La genealogia è introdotta dal titolo “libro delle origini (della genesi) di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio d’Abramo”(v. 1), che riprende l’indicazione del libro della Genesi 5,1, dove si parla del “sefer toledoth” di Adamo, del libro della genesi di Adamo. In tal modo Gesù ci è presentato come il nuovo Adamo, che inaugura una nuova creazione: c’è, tuttavia, una differenza fondamentale, perché nella Genesi è presentata la discendenza di Adamo, mentre qui è proposta l’ascendenza di Gesù, per mostrare come il Cristo si innesti nella storia del popolo eletto e ne sia il ricapitolatore, e che proprio così la sua è la storia della Parola venuta dall’eternità nel tempo.
Quest’idea è confermata dalla struttura della genealogia, annunciata dal versetto 1: i tre nomi qui segnalati, “Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio d’Abramo”, sono ripresi alla conclusione della genealogia, al versetto 17: “La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici”. L’intenzione teologica di Matteo, che ha sacrificato a essa i nomi di tre re, è evidente: egli vuole mostrare l’ordine della storia della salvezza, articolata intorno alle svolte rappresentate da Abramo, Davide e Gesù, e sottolineare che nel Cristo si realizza la svolta decisiva. Si potrebbe anche evidenziare una struttura ebdomadaria - tre volte quattordici significa sei volte sette -, che introdurrebbe così la settima settimana, quella del compimento realizzato in Gesù. In ogni caso, è evidente che Matteo presenta qui una teologia
della storia alla luce della Parola di Dio, che può aiutarci a discernere la maniera d’agire del Dio salvatore nel tempo. È possibile allora riconoscere tre arcate del ponte disegnato dalla genealogia, il ponte della Parola fra il tempo e l’eterno, ponendo al testo le domande soggiacenti a ogni teologia che venga dalla Scrittura:
1. Chi è il Dio di questa storia, il protagonista divino del racconto che è la Bibbia?
2. Chi è l’uomo chiamato da questo Dio a fare alleanza con Lui?
3. Quale risposta questo Dio chiede al protagonista umano dell’“historia salutis”?


1. Il Dio della Parola: “Deus loquens”

La genealogia di Matteo è composta dai personaggi più vari: uomini e donne, peccatori e peccatrici, persone che hanno svolto un ruolo decisivo nella storia d’Israele e figure del tutto ordinarie. Il Dio vivo scrive la storia della salvezza con tutti: fa le sue scelte, ma non esclude nessuno. È un Dio che parla, che si compromette e sceglie, ma il cui piano abbraccia tutti i figli di Adamo, ricapitolati dalla prima e dalla nuova Genesi. È un Dio che fa spazio a ognuno: Egli rende l’uomo “capax Dei”, in quando è un Dio “capax finiti”, capace di auto-limitarsi. I mistici ebrei
hanno espresso questo atteggiamento divino con l’espressione “zim-zum“, che dice che Dio “si contrae” perché la creatura abbia tutto il suo spazio. L’immagine esprime un messaggio, che è alla base della stessa idea ebraico-cristiana di Parola di Dio: l’Eterno dà spazio alla dignità e alla libertà delle sue creature. Perché noi possiamo esistere come esseri liberi, Dio consente ad autolimitarsi.
L’Infinito abita il finito: “Non coerceri maximo contineri a minimo, divinum est” – “Non esser costretto da ciò ch'è più grande, essere contenuto in ciò ch'è più piccolo, questo è divino!”(motto sulla tomba di Ignazio di Loiola, posto in esergo da Friedrich Hölderlin al suo Hypérion).
In questo senso Taulero può affermare che “l’umiltà è la virtù nascosta nel più profondo di Dio”. Il “Deus loquens” è il “Deus humilis”!
Una seconda caratteristica del Dio della Parola è quella di accettare il tempo: egli sa attendere; sa perfino “divenire” in corrispondenza al divenire degli esseri umani, fedele e immutabile nei cambiamenti richiesti dalla sua stessa fedeltà. È un Dio “che ha tempo per l’uomo” (Karl Barth), che attende e spera il ritorno dei suoi figli. La Sua speranza consiste nel proiettarsi verso l’altro, nel desiderare ch’egli sia se stesso, in una risposta d’amore libera e gratuita. Il Dio della genealogia è il Dio delle “tre volte quattordici generazioni”, e cioè il Dio della promessa, che
si realizzerà nella storia della salvezza fino al suo compimento in Gesù Cristo. È dunque il Dio che nella Parola si propone all’uomo, in attesa della risposta all’alleanza offerta: è il Dio del desiderio,che sa farsi mendicante del libero assenso della Sua creatura. Il “Deus loquens” è il “Deus temporis”!
Terza caratteristica del Dio della Parola è la misericordia, l’amore materno. È un amore più forte di tutto il non-amore che possa essergli reso in cambio! “Dio non ci ama perché siamo buoni e belli, ci rende buoni e belli perché ci ama”, come afferma San Bernardo in una frase folgorante che tanto colpiva il giovane Lutero. Egli ama d’un amore irradiante tenerezza: “rachamim”, “viscere materne”, è il volto della Sua misericordia. Dio ama i peccatori e li abbraccia nel suo disegno di salvezza, come la genealogia di Matteo dimostra! Perciò la Sua Parola è destinata a tutti: accoglierla è mettersi al servizio del suo cammino verso il cuore di ogni uomo. Il “Deus loquens” è il “Deus amans”! Tutto questo ci porta a indicare un’ultima caratteristica del Dio della Scrittura: il mistero della sofferenza divina. Il “Deus loquens” - compromesso nella storia - non è indifferente alle vicende umane. “In tutte le loro sofferenze egli ha sofferto con loro” (Is 63,9, secondo il testo ebraico). È un Dio che soffre per amore alle creature: “Dio, il Padre, non è impassibile”, diceva Origene. “Egli soffre per amore”. E aggiungeva: “Dio soffre persino per Nabucodonosor!”. Dio
soffre perché suo Figlio soffre: non d’una sofferenza passiva, segno di limite o d’imperfezione, ma della sofferenza attiva dell’amore. È il mistero della sofferenza divina, di cui Giovanni Paolo II ha parlato nella sua Enciclica sullo Spirito Santo (cf. Dominum et vivificantem, nn. 39 e 41). Il Dio della storia della salvezza, il Dio d’Abramo, di Davide e di Gesù, soffre perché ama. È un Dio che non resta estraneo, chiuso in se stesso, prigioniero del suo divino egoismo: rivolgendoci la Sua Parola, egli partecipa alla nostra storia, la fa sua. Il “Deus loquens” è il “Deus patiens”!

2. Il protagonista umano, “capax Verbi”

Chi è il protagonista umano della storia, presentata nella genealogia, l’uomo “uditore dellaParola”? La varietà delle figure umane evocate non impedisce di riconoscere una condizione comune, che segna le donne e gli uomini convocati dalla Parola.
La prima caratteristica dell’essere umano qui presentato è la libertà: il Dio che ci ha creati senza di noi, non ci salverà senza di noi. Il semplice fatto che nella genealogia del Cristo vi siano santi e peccatori ci dice che il dono della Parola venuta dall’eterno non elimina le scelte della libertà umana. Ciascuno è chiamato a dare la sua risposta, ad accogliere o rifiutare il Dio che si rivela. È la libertà la dimensione che corrisponde nell’essere umano all’umiltà divina: lo “zimzum” creatore fa spazio ai giochi delle decisioni libere degli esseri umani, che possono
corrispondere all’umiltà di Dio, o possono chiudersi nella pretesa di gestire la loro vita senza Dio. Il peccato non è che la Parola inascoltata: una leggenda rabbinica afferma che l’Eterno piange tre volte al giorno. La prima volta lo fa per chi potrebbe ascoltare la Sua Parola e non lo fa; la seconda, per chi non potrebbe ascoltare la Sua Parola e lo fa; infine, Dio piange di fronte ai superbi che pensano di poter fare a meno di Lui e del Suo Verbo. L’Eterno piange, insomma, quando la Sua Parola è trascurata, abusata o disprezzata dalla libertà umana. La Parola di Dio è un
appello di libertà, che esige di essere accolto per quello che è, senza manipolazioni o arbitri, rispettando la libertà assoluta dell’interlocutore divino: “Chi non ama la Torah più di Dio, non ama Dio”, dicono i saggi d’Israele. L’“uditore della Parola” è l’uomo, “capax libertatis” e perciò “capax oboedientiae”!
La seconda caratteristica del protagonista umano nella storia della Parola è di essere chiamato alla trascendenza: l’uomo è fatto per uscire da sé e andare verso Dio. È l’“essere dell’auto-trascendenza” (Karl Rahner), la creatura chiamata a vivere l’esodo senza ritorno dell’amore, che ci fa liberi da noi stessi e ci apre all’accoglienza del dono che salva. Volersi autenticamente umani significa mettersi alla scuola del Dio che viene, per fare del nostro cuore un cuore di misericordia, dove l’altro, ogni altro - a cominciare da Dio e dalla Sua Parola - possa
abitare e sentirsi accolto. L’“uditore della Parola” è l’uomo, “capax infiniti”!
Questo movimento di trascendenza non si compie mai nella solitudine di un essere chiuso in se stesso, ma nella solidarietà creata dall’ascolto della Parola divina: l’uomo della genealogia è un essere solidale, chiamato alla comunione del popolo della salvezza. Come Gesù, Verbo incarnato, è radicato nella storia del popolo eletto, così la Chiesa non è comprensibile senza questa inserzione profonda di tutto il suo essere nella storia della Parola, venuta dall’eterno. Amare e servire la Parola è inseparabile dall’amare e servire la Chiesa: una teologia dalla Scrittura è
ecclesiale nella sua più profonda identità e nella sua missione. La genealogia di Gesù ci insegna che non esiste salvezza senza solidarietà “sub Verbo Dei”, e che la piena solidarietà si realizza nella comunione accogliente della Chiesa, “creatura Verbi”. L’“uditore della Parola” è l’uomo,“capax communionis”!

3. Dove Dio e l’uomo si corrispondono nella Parola

La conclusione di questa meditazione sulla storia della Parola contenuta nella genealogia di Gesù può solamente indicare qualcuna delle prospettive d’impegno che scaturiscono dalle cose dette. Dov’è che l’uomo vivente dovrà corrispondere al Dio che parla per fare della sua storia la storia della salvezza? Quattro piste si lasciano discernere, in modo particolare alla luce della figura di Colei in cui culmina la genealogia per far spazio al Messia, la Vergine dell’ascolto, la Figlia di
Sion, Maria. Innanzi tutto, la corrispondenza dell’uomo vivente al Dio vivente vuol dire ascolto: la nuova creazione inaugurata dal nuovo Adamo, Gesù, si costruirà attraverso l’ascolto accogliente della Parola di Dio: “Eccomi, si compia in me secondo quello che hai detto”. Questo ascolto - di cui la teologia “auditus Verbi” è forma e voce riflessa - esige di fare memoria delle meraviglie di Dio, dei gesti salvifici che egli ha operato per i nostri padri e per noi. Occorre, però, anche fare
memoria delle nostre colpe e delle colpe del popolo di cui facciamo parte, per riconoscere le nostre responsabilità e cambiare il cuore e la vita. Questa purificazione della memoria è forma pura dell’ascolto della Parola e abbraccia tutti e ciascuno nella Chiesa voluta da Gesù.
La memoria suscita l’apertura all’avvenire che il Signore ci domanda di edificare: radicato nella solidarietà del passato della storia della salvezza, quest’avvenire dovrà essere costruito nell’accoglienza reciproca e nell’apertura agli altri. L’altro è il fratello nella fede, con cui l’ascolto della Parola fa nascere legami necessari e profondi, condizione di interpretazione autentica della stessa rivelazione di Dio: l’“auditus Verbi” si compie “in Ecclesia” e “cum Ecclesia”! L’altro, però, è anche il cristiano di un’altra confessione, il credente di un’altra religione, e in generale l’altro che bussa alla porta delle nostre convivenze umane. La vocazione di un popolo aperto all’universale disegno di Dio non potrà non misurarsi sull’accoglienza dell’altro: chiudersi in se stessi è tentazione e malattia che tutti dobbiamo evitare. Senza accoglienza dell’altro non c’è storia di salvezza né potrà esserci alcun processo di autentica riconciliazione fra popoli e culture. Maria che, abitata dal Verbo, si fa presenza amorosa a Elisabetta ci mostra come l’accoglienza dell’altro sia il segno di autenticità di qualunque cammino che nasca dall’ascolto della Parola di Dio. La vocazione di una teologia dalla Scrittura non potrà mai prescindere dalla responsabilità verso gli altri. L’“auditus Verbi” è sempre “propter nos homines et nostram salutem”!
Infine, la storia della salvezza ci chiama a essere responsabili in rapporto all’avvenire della terra: la responsabilità verso la giustizia e la pace e quella di natura ecologica sono componenti indispensabili dei nostri cammini di custodi del giardino, chiamati a essere tali dalla Parola dell’inizio e da quella del compimento (cf. Gen 2,15 e Gv 18,20). Il rispetto della natura e l’impegno per la giustizia sono espressione della riverenza dovuta al Dio vivente, che con la Sua Parola si è fatto partner dell’alleanza che costruisce nel tempo la storia della salvezza: il
Magnificat di Maria è il canto della vittoria pasquale estesa a tutto l’uomo in ogni uomo, ma anche all’intera creazione di Dio. Una teologia dalla Scrittura canta il Magnificat se non si sottrae alla sua responsabilità verso la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. L’“auditus Verbi in Ecclesia et cum Ecclesia” è sempre “pro mundi vita”! Davanti all’urgenza di questi cammini, la teologia dalla Scrittura presente nella genealogia di Matteo ci aiuta a riporre tutta la nostra fiducia nel Dio vivente, che attraverso la Sua Parola e il nostro ascolto credente scrive con noi la storia della salvezza. Vorrei allora terminare con una preghiera rivolta a Colei che è totalmente creatura della Parola, la Madre del Verbo incarnato:
Maria, Vergine dell’ascolto,
silenzio in cui la Parola è venuta ad abitare fra noi,
a Te ci affidiamo, perché alla Tua scuola e col Tuo aiuto
diveniamo silenzio e ascolto nella fedeltà delle opere e dei giorni,
e come Te siamo deserto fiorito, tenda dell’incontro,
santuario irradiante della Parola della vita.
Con Te, Madre del Bell’Amore,
vorremmo dire il nostro sì alla Parola dell’avvento,
per essere come Te Arca dell’Alleanza,
e portare a quanti incontreremo la gioia della presenza dell’Amato.
A Te, Sposa delle nozze eterne,
che canti le meraviglie compiute dallo Sposo
nell’umiltà della Tua storia e della nostra,
affidiamo i pensieri, le parole e le opere di ogni nostro giorno,
perché nella fedeltà al dono dell’Amore
siano tutti pensieri di pace, cantico di lode,
parole di speranza, opere di giustizia e carità dolcissima.
Vergine, Madre e Sposa,
intercedi per noi adesso e nell’ora della nostra morte,
perché veniamo a cantare con Te e tutti i Santi,
insieme a chi ci fu affidato nella fede,
il cantico nuovo dell’Agnello nella Gerusalemme celeste,
splendente della bellezza del giorno che non muore.
Amen. Alleluia!

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