giovedì 26 febbraio 2009

Alimentazione e Povertà

DOSSIER FIDES

IL DIRITTO
ALLA SICUREZZA ALIMENTARE


IL CAOS GLOBALE

(Agenzia Fides) - Il prezzo dei cereali nelle nazioni povere del mondo, che già nel 2006-2007 era aumentato del 37%, aumenterà, si stima, alla fine dell’anno 2008, del 56%. Oggi, il grano viene pagato il doppio dell’anno scorso. L’aumento dei fertilizzanti è del 25% (siamo ad una cifra pari a + 200 in un quinquennio). L’esportazione del riso è stata del tutto o quasi sospesa in Vietnam, India, Egitto, Cina, Cambogia, Argentina. La forte riduzione di derrate di riso sui mercati internazionali è accompagnata da speculazioni che contribuiscono al forte rialzo del suo prezzo. La crisi colpisce diversi Paesi africani, già duramente messi alla prova dall'aumento del prezzo del grano ed in particolare i Paesi asiatici, per i quali il riso è uno degli alimenti-base. La Corea del Nord, ad esempio, attraversa la più grave crisi alimentare dell'ultimo decennio. Lo rivela il Programma alimentare Nazioni Unite (Pam). Il paese potrebbe piombare in un'emergenza umanitaria prima della stagione dei raccolti autunnale e c'è bisogno di “donatori”. Milioni di persone stanno affrontando la peggiore crisi alimentare dopo quella che nei primi anni '90 uccise milioni di persone.

Le esportazioni di grano sono state ridotte da Argentina, Russia e Kazhakistan. Scontri e rivolte per il cibo si sono verificati nell’ultimo periodo in Egitto, Camerun, Costa d'Avorio, Senegal, Burkina Faso, Etiopia, Indonesia, Madagascar, Mauritania, Guinea, Mozambico, Filippine, Pakistan, Thailandia, Tunisia e Haiti.

Per i paesi africani a basso reddito con deficit alimentare, si stima l’aumento del prezzo per tariffe e trasporto del petrolio del 74%, a causa dell'impennata dei prezzi dei cereali, delle tariffe dei trasporti e del petrolio. Questo si verifica nonostante il fatto che l'Africa possa produrre tutto il cibo che le serve a nutrire la propria popolazione, com’è emerso, tra l’altro, da una conferenza internazionale organizzata dall'Istituto delle Relazioni Internazionali del Camerun in occasione delle Giornate dell'Africa.
Le risorse naturali e agricole sono abbondanti nel continente, quello che manca sono corrette politiche di gestione di questo patrimonio. Mancano, per esempio, le strade per permettere ai contadini di trasportare i loro prodotti sui mercati cittadini e la catena del freddo per conservare le derrate alimentari. E’ arretrata la struttura della proprietà agraria.

La collaborazione regionale tra Paesi africani è un altro rimedio auspicato dagli esperti per combattere il deficit alimentare del continente. Quando c'è un emergenza alimentare in un Paese, le organizzazioni umanitarie internazionali, in genere, inviano derrate alimentari dall'Europa o dagli Stati Uniti, mentre in un Paese vicino c'è disponibilità di cibo, che potrebbe essere acquistato e distribuito ad un prezzo inferiore. L'acquisto di prodotti africani da parte di organizzazioni come la FAO, inoltre, favorirebbe la crescita dei mercati e degli agricoltori locali.

Lo sviluppo dell'agricoltura africana, affermano gli esperti di diverse organizzazioni umanitarie, è impedito soprattutto dal fatto che i Paesi africani rispettano i trattati sul libero commercio mondiale, ma i loro concorrenti no. I mercati africani sono aperti alla concorrenza straniera e i loro produttori non ricevono sussidi dallo Stato. Ma i concorrenti sono multinazionali dei Paesi più sviluppati che beneficiano di sussidi e altre forme di incentivi da parte degli Stati o di organismi come l'Unione Europea. Di conseguenza gli agricoltori africani non sono assolutamente in grado di competere con loro e sono costretti al fallimento. Diversi Paesi africani inoltre coltivano prodotti destinati all'esportazione (thè, caffè, cacao, ecc...), a scapito della produzione di cereali e di altre colture destinate alle proprie necessità alimentari e sono quindi costretti a ricorrere alle importazioni.

Il denaro impiegato per acquistare derrate alimentari all'estero potrebbe essere speso invece per potenziare le infrastrutture agricole (pozzi, acquedotti, strade, ecc..) dei Paesi con deficit alimentari.
I ministri dell’Agricoltura, dell’Economia, del Commercio e delle Finanze dei Paesi della Comunità economica degli Stati dell’Africa Centrale (CEEAC) si sono riuniti nel luglio 2008 a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo. La situazione dell’area è preoccupante: le risorse agricole della regione sarebbero ingenti, ma nei vari Stati i bilanci destinati all’agricoltura sono irrisori e i contadini non possiedono i mezzi necessari, quindi prevale ancora un’agricoltura di sussistenza e si deve comunque fare ricorso alle importazioni per tentare di colmare il deficit alimentare. Gli esperti della CEEAC hanno individuato alcune cause dei problemi che affliggono la zona: assenza di una politica agricola comune, debolezza delle capacità degli agricoltori, fattori ambientali spesso avversi come siccità, desertificazione e inondazioni, permanere di guerre e conflitti. Sono stati indicati, nel corso della riunione, alcuni strumenti utili a risollevare la situazione: la concessione di aiuto alimentare ai Paesi appena usciti dal conflitto; la costituzione di scorte alimentari strategiche; la distribuzione ai contadini di concimi, sementi e fieno per il bestiame; la creazione di un mercato regionale; l’intensificazione degli scambi intracomunitari; l’eliminazione di tariffe e barriere; la creazione di un sistema di informazione sulla sicurezza alimentare e di monitoraggio.

Quel che vale per l’Africa, vale per molte altre zone del mondo. Anche nella regione mediorientale non è la mancanza di cibo a determinare la crisi alimentare, come ha affermato nel marzo 2008 l’Osservatore Permanente della Santa Sede alla XXIX sessione della Conferenza Regionale della FAO per il Medio Oriente, Renato Volante: “La carenza d'acqua, al di là del fatto di condizionare la produzione agricola, coinvolge gli standard di vita, con un'evidente opposizione tra le reali potenzialità e la volontà di prendere quelle misure che garantiscano non solo lo standard nutrizionale e i consumi di cibo, ma anche, in senso ampio, condizioni sociali e salute della gente, soprattutto in quelle zone naturalmente a rischio di desertificazione. E’ necessario dare dare più attenzione ai piccoli agricoltori, spesso trascurati dalle istituzioni e dalle attività cooperative”.

Le Filippine potrebbero essere autosufficienti e coprire il fabbisogno di riso, ma manca il sostegno agli agricoltori, con aiuti che riguardino i fertilizzanti, l’irrigazione e il trasporto dei prodotti. La Chiesa delle Filippine è in prima linea e mette in campo tutte le sue risorse per scongiurare la crisi alimentare, legata soprattutto al prezzo del riso, che ha investito il Paese. Aiuto alla rete di distribuzione capillare del prezioso alimento; contributo morale spirituale per evitare disordini e rapine; sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni per cercare misure che risolvano il problema: sono queste le linee d’azione lungo le quali la comunità cattolica filippina, nelle sue diverse articolazioni e a diversi livelli, si sta muovendo. Mons. Deogracias Iñiguez, Vescovo di Caloocan, ha chiesto che la crisi venga affrontata con misure d’emergenza ma anche con serie politiche a lungo termine. “Essa”, ha detto, “non riguarda solo le fasce più povere della popolazione, che devono provvedere al loro sostentamento, ma è un fenomeno che ha vaste implicazioni politiche e di sicurezza pubblica, in quanto la sicurezza alimentare è un diritto che è alla base della pacifica convivenza. Per questo, è necessario uno sforzo congiunto del governo e delle Ong, che devono individuare insieme i mezzi più appropriati per fronteggiare la crisi. Dobbiamo capire come operare in rete, mettendo in sinergia le nostre risorse con quelle delle altre agenzie e dell’Autorità Nazionale per l’Alimentazione. La gente potrebbe passare da una fase di apatia a quella di panico. E il panico porta con sé gesti disperati, rivolte, saccheggi”. La Chiesa filippina ha messo a disposizione la sua capillare presenza nel territorio (con le Caritas, le associazioni e le parrocchie) e, d’accordo con il Dipartimento dell’Agricoltura, si è impegnata a distribuire ai poveri circa 50mila sacchi di riso ogni settimana in diverse parrocchie di Manila. E la diocesi della capitale è solo l’inizio: il progetto si va estendendo e riguarderà ben presto l’intera nazione. Fra le misure a lungo termine preventivate dal governo, vi è il miglioramento delle tecniche di coltivazione e l’impiego di nuove qualità di riso, che hanno una produttività maggiore. La Chiesa insiste anche sul sostegno agli agricoltori.

In altre zone del mondo, la crisi alimentare è dovuta ad una mancanza di equa distribuzione. Molti Vescovi del Messico, recentemente hanno lanciato l’allarme sulla mancanza di solidarietà con coloro che posseggono meno e la necessità di eliminare la corruzione affinché gli alimenti vengano distribuiti meglio. “Come dobbiamo agire noi cattolici che ci diciamo cristiani di fronte ad un problema che colpisce i nostri fratelli più poveri, che ogni giorno trovano difficoltà sempre maggiori per portare nelle loro case un po’ di alimento?”, si è chiesto Mons. Lázaro Pérez Jiménez, Vescovo di Celaya, in una nota intitolata “Date loro da mangiare”. Secondo il Vescovo, “il problema della fame è sempre esistito e si è manifestato come il flagello che ha minacciato Paesi interi della terra durante la storia”, ma quello che causa vero dolore e scandalo “è sapere che il problema reale non è dovuto all’incapacità di produrre gli alimenti sufficienti, ma alla mancanza di equità nella loro distribuzione ed al vorace atteggiamento di quanti si approfittano della situazione per accaparrarsi e rincarare gli alimenti, essenziali affinché la persona possa vivere”. Causa inoltre paura apprendere dagli specialisti, che questo rappresenterebbe appena l’inizio di un lungo processo che potrebbe durare fino a dieci anni e “abbattersi su Paesi che già di per sé conoscono sulla propria pelle l’emarginazione sociale”. Davanti a questa situazione, il Vescovo considera un vero scandalo che “si continuino ad investire milioni di dollari nella produzione di armi che servono per ammazzare mentre allo stesso tempo una terza parte del pianeta non ha i mezzi indispensabili per condurre una vita degna”.

Per Sua Ecc. Mons. Chávez Botello, Arcivescovo di Antequera-Oaxaca, “questa crisi esige di focalizzare lo sguardo sui campi e sui contadini per correggere i gravi errori commessi da decenni e dovuti alla politicizzazione, all’irresponsabilità sociale, alla corruzione, all’applicazione inefficace dei programmi e all’ambizione di molte persone”. Quindi, “urge proporre programmi reali, volontà politica per incentivare il lavoro dei campi e la produzione di alimenti con sostegni adeguati; urge informare e sensibilizzare tutta la società sulle vere cause e le conseguenze di questa crisi che, secondo gli analisti, durerà anni”. Secondo l’Arcivescovo di Antequera-Oaxaca, “i cattolici hanno una grande responsabilità perché il comandamento dell’amore ci porta ad appoggiare i programmi e le azioni serie che cercano di combattere la povertà”.

L’Arcivescovo di Acapulco, Mons. Felipe Aguirre Franco, ha affermato che “benché si tratti di un fenomeno di dimensione mondiale, dobbiamo considerare prima ciò che in questa crisi rende più vulnerabile il Messico, in modo da affrontarla distribuendo le responsabilità”. In questo senso, Mons. Aguirre Franco ha ricordato che “la crisi alimentare è strettamente vincolata ai campi e alla logica del mercato che colpisce con maggiore forza i più poveri”. Perciò, davanti a questa crisi, il Messico deve “fortificare la sua agricoltura per ottenere una sovranità ed una sicurezza alimentare. La crisi alimentare esige di essere prudenti nell’amministrazione delle proprie risorse ed essere solidali con i più poveri. Tutti siamo corresponsabili in qualche modo affinché a nessuno manchi il cibo”.

Al Chicago Board of Trade, la massima borsa mondiale dei cereali, il frumento in un anno ha visto i prezzi salire del 123%. Di conseguenza la domanda di riso è cresciuta proprio per compensare la diminuita disponibilità di grano. Si tratta di una crisi che si autoalimenta, perché appena un Paese decide di bloccare le esportazioni di riso e cereali, la speculazione ne approfitta per far aumentare il costo oltre il dovuto. Il problema è che i prezzi del riso, del grano o del petrolio dipendono non tanto e non solo da chi produce effettivamente la merce, ma dalle borse merci soggette a forti movimenti speculativi.

L’aumento dei prezzi fa sì che milioni e milioni di persone scivolino verso una situazione di estrema povertà e il problema della malnutrizione tocca anche i paesi ricchi. Ad esempio, l’Ufficio del Bilancio del Congresso americano stima che l’aumento dei prezzi dei generi alimentari farà lievitare a 28 milioni il numero degli americani che beneficiano dei buoni pasto, al massimo degli ultimi 40 anni.

Anche in Europa l’esplosione dei costi del cibo ha peggiorato ulteriormente le condizioni delle famiglie in difficoltà economiche. Negli Stati Uniti si sta addirittura manifestando un problema nuovo, quello dell’accaparramento, che ha costretto due grandi catene di distribuzione ad imporre limiti agli acquisti di riso da parte dei consumatori.

I rialzi dei prezzi del riso, del grano, della soia, non sono affatto dovuti a problemi sorti nel processo di produzione agricola: non vi sono state infatti né siccità né altre calamità naturali che possano giustificare questi movimenti. La responsabilità del ritorno della spettro della fame è delle politiche governative volte a promuovere i biocarburanti e della speculazione finanziaria.
La scelta dell’Unione europea e degli Stati Uniti di sussidiare i biocarburanti (ovvero i carburanti ecologici derivanti da cereali e altri prodotti agricoli) non ha solo avuto per effetto che una parte della produzione di soia e di frumento venisse usata a questo scopo, ma ha anche spinto molti agricoltori a riconvertire le proprie produzioni per soddisfare questa crescente domanda. L’Osservatore Permanente della Santa Sede presso la FAO, Renato Volante, nel corso della XXX sessione della Conferenza regionale della FAO per l'America Latina e i Carabi, tenuta a Brasilia nell’aprile scorso, ha denunciato come proprio la produzione di biocarburanti minacci il diritto all’alimentazione”, sottolineando le “politiche commerciali particolarmente sfavorevoli” a quei Paesi in via di sviluppo la cui “realtà economica dipende quasi esclusivamente dall'esportazione di un ristretto numero di prodotti tipici” mentre la sicurezza alimentare dipende “dall'importazione di molti alimenti”.
Mentre il Segretario Generale delle Nazioni Unite invoca un vertice sulla crisi alimentare e l’Ufficio Onu per il programma alimentare mondiale denuncia una grave situazione d’emergenza (!), i grandi gruppi finanziari internazionali rafforzano la parte attiva dei loro bilanci, speculando – come in molti denunciano – sulla situazione. Il caos è servito ed è globale.

E’ un caos prodotto da una politica internazionale che non si assume fino in fondo le sue responsabilità rispetto a quello che è o dovrebbe essere il suo compito primario. Alle masse dei desiderati della terra, a coloro che lottano per la sopravvivenza e che muoiono di fame, si offre uno scenario che non è governato dai processi democratici e dalle regole, ma affidato agli interessi del mercato e del business. Mentre prolifera il commercio delle armi, mentre si chiacchiera da decenni su come riformare il sistema internazionale, mentre in molti si arricchiscono, il piano dell’etica – l’unico che può salvaguardare il diritto ad una vita dignitosa di individui e popoli interi – viene del tutto abbandonato dalle classi dirigenti mondiali. Ci si potrebbe chiedere se loro leggono quel che accade nel mondo. La risposta è sì. Lo leggono e in alcuni casi lo strumentalizzano. E’ il senso dell’umano che scivola loro addosso, senza lasciare traccia, nonostante l’esistenza di innumerevoli norme internazionali e di decine di agenzie che si occupano del diritto all’alimentazione.


IL DIRITTO ALL’ALIMENTAZIONE ED ALLA LIBERTA’ DALLA FAME

Il diritto all’alimentazione è sancito dall’articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, in cui i governi "riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la loro famiglia, che includa un’alimentazione adeguata […] nonché il miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita".

Un governo deve rendere cibo e acqua accessibili, disponibili e garantiti ai propri cittadini. Quando si parla di disponibilità ci si riferisce alla presenza stessa degli alimenti o dei mezzi per produrli all’interno di una comunità o a livello familiare e questo comprende anche le risorse idriche; mentre l’accessibilità è la possibilità di ottenere  gli alimenti e le risorse disponibili. Garantire cibo e acqua significa far sì che questi ultimi siano sempre disponibili e accessibili sia per le generazioni presenti che per quelle future. 

Le persone che vivono in condizioni di povertà hanno accesso limitato alle risorse alimentari. Infatti, per un gran numero di persone, la malnutrizione è la conseguenza della mancanza di mezzi finanziari che permette loro di comprare gli alimenti. Coloro che vivono in povertà potrebbero non disporre di terra coltivabile per il proprio sostentamento e bisogna anche considerare che all’interno delle famiglie indigenti, donne e bambini sono coloro che hanno un accesso al cibo più limitato rispetto agli uomini.

Tra le cause principali della fame e della malnutrizione ci sono anche l’interruzione delle attività di produzione o di distribuzione degli alimenti. Questi possono a loro volta essere causati da disastri naturali, come ad esempio da siccità, inondazioni o tornado che possono interrompere o sospendere la produzione, il trasporto e il commercio degli alimenti, portando all’insufficienza delle risorse alimentari in un paese. Anche i disastri causati dall’uomo, tra cui i conflitti armati, possono alterare l’accessibilità alle risorse alimentari. Durante i conflitti, il cibo può essere persino usato come una arma, perché bloccando la fornitura di alimenti ad una popolazione si causa volontariamente la fame.

I più vulnerabili alla malnutrizione sono i bambini sotto i cinque anni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiara che dei 10 milioni di bambini che muoiono ogni anno, il 50% è da attribuire alla malnutrizione. Inoltre, i bambini più piccoli sono i più esposti alle malattie derivanti da nutrizione inadeguata e a danni fisici e mentali irreversibili che perdureranno per tutta la loro vita. La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (1989) tratta del bisogno di un’alimentazione adeguata in relazione alla salute e al benessere nutrizionale del bambino, sottolineando esplicitamente l’acqua potabile come un altro elemento da includere.

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (art. 25, par 1) afferma che "Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà."

Ogni essere umano ha: il diritto ad essere libero dalla fame; il diritto ad un’alimentazione adeguata; il diritto di accedere ad acqua potabile sicura.

Ci sono inoltre altri diritti che sono intrinsecamente correlati al diritto ad una alimentazione adeguata e in molti casi sono inseparabili, e sono: il diritto a godere del più alto livello di salute fisica e mentale, il quale non può essere ottenuto senza usufruire di un’alimentazione appropriata ed acqua potabile; il diritto di godere dei benefici del progresso scientifico, in quanto esistono molti sviluppi scientifici che riguardano il cibo e l’acqua; il diritto a non essere soggetti a discriminazione e in questo caso ci si riferisce alle circostanze in cui la distribuzione del cibo è ineguale a seconda del sesso e dell’età.
Il Commento Generale 12 delle Nazioni Unite stabilisce i diritti correlati all’alimentazione nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali: “ Il diritto ad una alimentazione adeguata si realizza quando ogni uomo, donna e bambino, sia come singoli che in una collettività, ha accesso illimitato ad una alimentazione appropriata o ai mezzi per procurarsela.” (par 6).

Il diritto ad un alimentazione adeguata impone agli Stati parti di assumersi tre tipi o gradi di responsabilità, ossia il dovere di rispettare, proteggere e realizzare quanto stabilito. Rispettare significa che lo stato deve riconoscere ad ogni essere umano il diritto ad una alimentazione adeguata e pertanto l’accesso ad essa. Proteggere vuol dire che la classe dirigente di uno Stato non solo deve assicurarsi di non interferire o proibire l’accesso dei cittadini ad una alimentazione adeguata, ma ha anche l’obbligo di proteggere la popolazione da misure proibizioniste attuate da altri gruppi o partiti. Realizzare significa soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione e risolvere il problema dell’insufficienza di risorse alimentari e della malnutrizione; uno Stato ha l’obbligo di prendere provvedimenti sia di breve che di lungo termine. Deve agevolare e provvedere. Lo Stato ha il dovere di implementare  programmi per la sicurezza alimentare, fornendo agli individui i mezzi per essere autosufficienti. Ciò può comprendere l’educazione degli individui all’uso efficiente delle risorse, una riforma agricola,la ridistribuzione della terra arabile o anche favorire l’occupazione in modo che gli individui abbiano le possibilità economiche per acquistare gli alimenti. Così facendo, lo Stato assicura diverse modalità di accesso alle risorse alimentari che permettono l’indipendenza sia nei processi di selezione che di reperimento degli alimenti.

L’obbligo dello Stato di provvedere direttamente ai bisogni alimentari dei propri cittadini è esclusivo delle situazioni di emergenza, nell’impossibilità delle altre opzioni e solo in questo caso, i governi forniranno i viveri in modo diretto.

In relazione al diritto per l’accesso all’acqua esistono obbligazioni simili sancite dal Commento Generale 15 all’interno del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali in cui le nazioni concordano che: “Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna ad operare, sia individualmente sia attraverso l'assistenza e la cooperazione internazionale, specialmente nel campo economico e tecnico, con il massimo delle risorse di cui dispone al fine di assicurare progressivamente con tutti i mezzi appropriati, compresa in particolare l'adozione di misure legislative, la piena attuazione dei diritti riconosciuti nel presente Patto.” (art. 2, par 1).

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948), agli artt. 3, 21, 23, 25, non solo afferma il diritto dell’uomo alla vita, ma anche ad un tenore di vita adeguato, ciò include il diritto all’alimentazione. Ogni persona, inoltre, ha diritto alla sicurezza sociale e ad usufruire dei servizi pubblici.

Le Regole minime standard per il trattamento dei detenuti (1955), all’art. 20, riconosce il diritto dei detenuti all’acqua e al cibo.

Il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1966), agli artt. 1, 3, 11, 12, riconosce che “ in nessun caso una persona può essere privata dei propri mezzi di sostentamento” e richiede ad ogni Stato di fare tutto ciò che è in suo potere  per applicare concretamente i diritti stabiliti nel trattato. Il  negoziato afferma inoltre l’eguaglianza di diritti per l’uomo e la donna, stabilisce il diritto di ogni essere umano ad un adeguato tenore di vita, compresa l’alimentazione e il diritto di essere liberi dalla fame. Attraverso il trattato, gli Stati si impegnano a sviluppare delle misure e dei provvedimenti specifici per assicurare il rispetto dei diritti; oltre a lavorare per la riduzione della mortalità infantile e il controllo delle malattie.

Per delineare in modo più preciso le strategie per rendere effettivi i diritti stabiliti nel CESCR, il Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, l’organo di vigilanza del Patto, ha stilato i Commenti Generali: il Commento Generale 12 (ventesima sessione, 1999) sancisce il diritto ad una alimentazione appropriata e le misure per assicurarsi che i bisogni nutrizionali di ogni essere umano vengano rispettati, e a questo scopo articola una serie di obblighi statali per aiutare i cittadini a riconoscere questo diritto; il Commento Generale 15 (ventinovesima sessione, 2002), sancisce il diritto dell’uomo all’acqua, riconoscendo l’acqua come una necessità indispensabile per il raggiungimento di un adeguato tenore di vita, siccome l’acqua è un elemento insostituibile ed essenziale per la sopravvivenza.

Il Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali ( Protocollo II) (1977), all’art. 14, proibisce “la morte per mancanza di alimenti come strategia di guerra”.

La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (1989), all’art. 24, riconosce “il diritto del minore di godere del miglior stato di salute”. Gli Stati parti alla convenzione si impegnano per porre fine alla mortalità infantile e ad eliminarne le cause, comprendendo così le malattie e la malnutrizione. I Governi devono assicurare al minore la fornitura di acqua potabile ed alimenti. Il trattato inoltre associa il diritto della madre al benessere del bambino, riconoscendo nell’articolo 24 il diritto ad adeguate cure prenatali e postnatali, accesso ad informazioni e educazione sulla salute e sulla nutrizione del minore, sui vantaggi dell’allattamento al seno e sull’igiene e la salubrità dell’ambiente.

La Dichiarazione degli Innocenti per la Protezione, la Promozione e il Sostegno dell’Allattamento al Seno (1990), sancisce il diritto delle donne ad allattare i propri bambini al seno e il diritto degli infanti dai 4-6 mesi di età ad essere allattati al seno.

La Dichiarazione Mondiale e Piano d’Azione sulla Nutrizione (1992), promuove la sicurezza alimentare e la prevenzione delle malattie per i minori attraverso il sostegno dell’allattamento al seno.

La Dichiarazione di Roma sulla sicurezza alimentare mondiale (1996), riconosce il bisogno di istituire la sicurezza alimentare a livello mondiale. Gli Stati parti hanno riaffermato “il diritto di ogni essere umano all’accesso al cibo sicuro e nutriente, in linea con il diritto ad una alimentazione appropriata e il fondamentale diritto ad essere liberi dalla fame.” Seguendo questa affermazione gli Stati parti  si impegnano “a ridurre a metà il numero attuale delle persone malnutrite entro il 2015.”

Il Piano d'Azione del Vertice Mondiale sull'Alimentazione comprende sette obblighi per gli Stati atti a ridurre il numero  di persone sottonutrite al mondo.

Con la Carta africana sui diritti e il benessere del bambino (1990), gli Stati parti si impegno nel fare tutto ciò che è nelle proprie possibilità, utilizzando tutte le risorse disponibili per adempiere al diritto dei bambini alla salute, all’alimentazione e ad acqua sicura.

Il Codice europeo di sicurezza sociale 1964) (art 42), chiede agli Stati di provvedere  all’acqua e ai servizi sanitari.

La Carta dell'Organizzazione degli Stati Americani (1948) (art 34), garantisce l’accesso ad un’alimentazione appropriata attraverso l’aumento della produttività, della disponibilità e della diversificazione della produzione.

Il protocollo aggiuntivo alla Convenzione Americana sui Diritti dell’Uomo nell’area dei diritti economici, sociali e culturali ( Protocollo di San Salvador) (1988) (art 12), riconosce il diritto umano ad una nutrizione adeguata e il dovere degli Stati ad aumentare la disponibilità di risorse alimentari attraverso il miglioramento della produzione e della distribuzione.


862 MILIONI DI POVERI SOTTONUTRITI NEL MONDO

862 milioni di poveri sottonutriti nel mondo, ovvero persone che sopravvivono con meno di due dollari al giorno; la grandissima parte dei quali abita nei Paesi in via di sviluppo. E’ stato questo il punto di partenza drammatico del Vertice mondiale della Fao di Roma, degli giugno 2008, sul tema: “Sicurezza alimentare mondiale: le sfide del cambiamento climatico e delle bioenergie”.

Oltre alla Fao a promuovere il Vertice, che ha visto la partecipazione di una cinquantina fra Capi di Stato e Ministri degli esteri, anche altre due agenzie delle Nazioni Unite impegnate sui temi dell’alimentazione e della povertà: il Wfp (World food program) e l’Ifad (International food and agricultural development), una sorta di banca mondiale del microcredito presa quasi d’assalto negli ultimi mesi dagli agricoltori dei Paesi poveri.

Se l’obiettivo posto dall’Onu nel 1996 era quello di dimezzare entro il 2015 i poveri di tutto il pianeta, passando dagli allora 800 milioni a 400 milioni, oggi il quadro è drammaticamente negativo. Non solo non si sta seguendo quella strada ma le ultime stime, gli 862 milioni di persone sottoalimentate a livello planetario appunto, dimostrano che la crisi in atto è davvero senza precedenti.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha sottolineato alcune priorità: la necessità innanzitutto di produrre più derrate alimentari incrementando la produzione del 50% entro il 2030 per far fronte alla domanda. Ha messo anche in rilievo l’importanza di non agire attraverso interventi puramente assistenziali, perché questi provocano fenomeni speculativi sui mercati, dunque sono necessarie iniziative di partenariato fra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo. Infine Ban Ki-moon ha ricordato che nel 2015 la popolazione mondiale arriverà a 7,2 miliardi di persone, per questo è necessario agire rapidamente. Molte e complesse le cause dell’attuale situazione: fra quelle che stanno provocando maggiori problemi è stata sottolineato innanzitutto il balzo verso l’alto del prezzo del petrolio che danneggia in modo specifico i contadini dei Paesi poveri per i quali i trasporti dei loro prodotti, così come i fertilizzanti e le sementi, cominciano ad avere costi proibitivi. Ancora particolarmente gravi risultano i cambiamenti climatici in alcune regioni del Pianeta, per esempio lo “spostamento” delle piogge da un periodo a un altro dell’anno ha indotto dei veri e propri shock sulle produzioni agricole, senza contare l’aumento della desertificazione. Infine un peso rilevante nella crisi alimentare mondiale è dato dalle attività speculative sui mercati mondiali come è avvenuto di recente per il riso, prodotto base per l’alimentazione di centinaia di milioni di persone in tutta l’Asia.

Un recente rapporto della Fao elenca 22 paesi particolarmente vulnerabili a causa dell’alta percentuale di fame cronica tra la popolazione (oltre il 30 per cento) e del fatto che sono anche importatori netti di cibo e di energia. Particolarmente colpiti paesi quali l’Eritrea, il Niger, le isole Comore, Haiti e la Liberia. Fra le azioni a breve periodo per fronteggiare la situazione attuale, la Fao indica quella di incrementare urgentemente la produzione alimentare locale. Gli interventi dovrebbero includere la distribuzione ai piccoli contadini di sementi, fertilizzanti, mangimi animali ... mediante buoni o sovvenzioni. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, un programma di questo tipo, se realizzato in modo efficace, farà aumentare l’offerta nei paesi poveri e di conseguenza la disponibilità di cibo, farà incrementare il reddito dei piccoli produttori e ridurre gli aumenti dei prezzi a livello dei mercati locali.


IL MESSAGGIO DEL PAPA
“Dà da mangiare a colui che è moribondo per fame, perché, se non gli avrai dato da mangiare, lo avrai ucciso”. Con questa forte citazione dell’antica tradizione cristiana si conclude il messaggio indirizzato dal Papa al Vertice Fao sulla sicurezza alimentare, svoltosi all’inizio di giugno.

Nel contesto della crisi alimentare che mondiale, la posizione della Chiesa insiste soprattutto sui principi fondamentali: il diritto alla vita e quindi all’alimentazione come primario e per ogni persona; il dovere della solidarietà verso le persone e i popoli. Continua il Papa: “E’ urgente superare il paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi. Se il rispetto della dignità umana fosse fatto valere sul tavolo del negoziato, delle decisioni e della loro attuazione, si potrebbero superare ostacoli altrimenti insormontabili e si eliminerebbe il disinteresse per il bene altrui”. Insomma: di fronte alla fame dei poveri non possiamo considerarci giustificati per il fatto che superarla è difficile. Bisogna trovare le priorità e i corretti punti di partenza.

Le prime persone da aiutare sono i piccoli agricoltori dei paesi poveri con le loro famiglie. Uno sviluppo, dunque, centrato sulla dignità della persona. “Vanno elaborate – a parere di Benedetto XVI - nuove strategie di lotta alla povertà e di promozione dello sviluppo rurale. Ciò deve avvenire anche attraverso processi di riforme strutturali, che consentano di affrontare le sfide della medesima sicurezza e dei cambiamenti climatici; inoltre, occorre incrementare la disponibilità del cibo valorizzando l’industriosità dei piccoli agricoltori e garantendone l’accesso al mercato. L’aumento globale della produzione agricola potrà, tuttavia, essere efficace, solo se sarà accompagnato dall’effettiva distribuzione di tale produzione e se essa sarà destinata primariamente alla soddisfazione dei bisogni essenziali”.

Il Papa ha sottolineato che “le difficoltà odierne mostrano come le moderne tecnologie, da sole, non siano sufficienti per sopperire alla carenza alimentare, come non lo sono i calcoli statistici e, nelle situazioni di emergenza, l’invio di aiuti alimentari. Tutto ciò certamente ha grande rilievo, tuttavia deve essere completato ed orientato da un’azione politica che, ispirata a quei principi della legge naturale che sono iscritti nel cuore degli uomini, protegga la dignità della persona”.

LE CONCLUSIONI DELL’ ULTIMO VERTICE FAO

Nelle sessioni “tecniche” dell’ultimo Vertice FAO (Roma, 3-4 giugno 2008) molto si è discusso del costo degli alimentari e dei prodotti bioconbustibili, del protezionismo, dell’ascesa dei prezzi del petrolio e delle distorsioni apportate dai sussidi, di espansione degli aiuti alimentari (di convogliare una crescente parte delle eccedenze di Paesi Ocse verso i Paesi in via di sviluppo), poco o nulla si è detto del nodo centrale, di come investire di più nell’agricoltura dei Paesi il cui reddito pro-capite è nella scala più bassa, facilitare l’aumento delle rese in quello che un tempo veniva chiamato il Terzo Mondo e spendere di meno nel trasportare alimentari attraverso del metà del globo (con perdite anche considerevoli di merci) per tentare di dare da mangiare agli affamati.

Sono stati decisi, invece, i soliti stanziamenti “a pioggia”, che non hanno mai risolto la situazione. La Fao ha annunciato l’erogazione di 17 milioni di dollari e il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ha detto che sarà necessario un impegno finanziario continuativo che ammonterà a 15-20 miliardi di dollari all’anno. Gli Stati Uniti daranno 1,5 miliardi di dollari e la stessa cifra è stata promessa dalla Banca islamica per lo sviluppo. Mentre dalle Nazioni Unite arriveranno 100 milioni, il Giappone contribuirà con 50 milioni di dollari, il Kuwait con 100 milioni, i Paesi Bassi con 75 milioni, la Nuova Zelanda con 7,5 milioni, la Spagna con 773 milioni, la Gran Bretagna con 590 milioni, il Venezuela con 300 milioni e la Banca Mondiale con 1,2 miliardi di dollari di cui 200 milioni in forma di sovvenzioni.
Quindi i soliti finanziamenti a pioggia che non hanno mai risolto nulla, utili solo a mettere la solita toppa destinata comunque a ricreare lo stesso buco di prima, forse ancora più grande.

Nella dichiarazione finale poi si parla anche dei biocarburanti, ma solo al dodicesimo punto con una “semplice raccomandazione” a studi più approfonditi sul loro impatto nella crisi alimentare. Nessun accenno quindi al fatto che le redditizie coltivazioni per il biofuel stanno eliminando le altre coltivazioni solo alimentari, provocando quindi l’aumento sia dei prezzi che della fame. Non si è arrivati neanche ad annunciare una limitazione dei sussidi per il biofuel, ma ci si è fermati solo all’inutile proposta di un approfondimento su vantaggi e svantaggi dei biocarburanti.

In sintesi, nella dichiarazione conclusiva non si dice nulla sul tema chiave relativo alla volontà politica di frenare la crescita dei prezzi nel mercato agricolo e l’indiscriminato uso degli alimenti per produrre combustibili e sono ripetuti, con altre parole, gli stessi impegni del passato. Già nel 1996 ci si era impegnati a dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati. Mancano 7 anni al 2015 e la quantità numerica di chi non riesce a consumare almeno due pasti al giorno continua a crescere. Adesso, invece, l’obiettivo principale della dichiarazione conclusiva del vertice è “raddoppiare la produzione alimentare mondiale entro il 2050”. Senza dire come.


LA RIFORMA DELLA FAO

La Food and Agriculture Organization of the United Nations (Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura) è la più grande Agenzia specializzata del sistema delle Nazioni Unite e accoglie attualmente oltre 180 Paesi membri e la Comunità Europea.

Nata grazie all'opera degli Stati Uniti e di alcuni Governi alleati e neutrali, con l'intento di creare un organismo permanente per l'alimentazione e l'agricoltura, è stata fondata nel 1945 a Québec (Canada) come Agenzia delle Nazioni Unite. Nel 1951 la sede fu trasferita definitivamente a Roma, andando a sostituire l'Istituto internazionale di agricoltura fondato a Roma nel 1905 e operante fino alla seconda guerra mondiale.

L'organo direttivo è la Conferenza dei Paesi membri, costituita dai delegati espressi discrezionalmente da ciascun Paese, avente ognuno diritto a un voto. La Conferenza si riunisce ogni due anni per esaminare il lavoro svolto e approvare programma e bilancio per il biennio successivo. Oltre a eleggere il direttore generale, che dirige l'agenzia con un mandato rinnovabile di 6 anni, elegge il Consiglio, organo esecutivo dell'Agenzia, composto da 49 tra i Paesi membri e cui di volta in volta la Conferenza attribuisce i poteri che ritiene necessari. Presso la FAO lavorano circa 4000 persone, tra funzionari e impiegati, ripartiti in otto dipartimenti: 1. amministrazione e finanza; 2. agricoltura; 3. economico e sociale; 4. pesca; 5. foreste; 6. affari generali e informazione; 7. sviluppo sostenibile; 8. cooperazione tecnica.

Il budget del Programma regolare della FAO è finanziato dai membri, con contributi stabiliti durante la Conferenza della FAO. Il budget per il biennio 2008-2009 è di 929,8 milioni di dollari, al tasso di cambio euro/dollaro fissato dalla Conferenza della FAO e copre il settore tecnico, la cooperazione e la partnership incluso il Programma di cooperazione tecnica, l'informazione e la politica generale, la direzione e l'amministrazione.
La FAO rappresenta il caso abnorme ed emblematico di una burocrazia che spende la gran parte dei fondi a disposizione per sostenere il suo apparato e i suoi convegni, con una scarsissima incidenza rispetto al suo obiettivo statutario: quello di migliorare le situazioni di sotto-sviluppo e di fame.


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Dossier a cura di D.Q. – Agenzia Fides 1/10/2008 - Direttore Luca De Mata

domenica 22 febbraio 2009

Messaggio per la Quaresima


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA QUARESIMA 2009

"Gesù, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti,
ebbe fame" (Mt 4,2)



Cari fratelli e sorelle!

All'inizio della Quaresima, che costituisce un cammino di più intenso allenamento spirituale, la Liturgia ci ripropone tre pratiche penitenziali molto care alla tradizione biblica e cristiana - la preghiera, l'elemosina, il digiuno - per disporci a celebrare meglio la Pasqua e a fare così esperienza della potenza di Dio che, come ascolteremo nella Veglia pasquale, "sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l'odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace" (Preconio pasquale). Nel consueto mio Messaggio quaresimale, vorrei soffermarmi quest'anno a riflettere in particolare sul valore e sul senso del digiuno. La Quaresima infatti richiama alla mente i quaranta giorni di digiuno vissuti dal Signore nel deserto prima di intraprendere la sua missione pubblica. Leggiamo nel Vangelo: "Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame" (Mt 4,1-2). Come Mosè prima di ricevere le Tavole della Legge (cfr Es 34,28), come Elia prima di incontrare il Signore sul monte Oreb (cfr 1 Re 19,8), così Gesù pregando e digiunando si preparò alla sua missione, il cui inizio fu un duro scontro con il tentatore.

Possiamo domandarci quale valore e quale senso abbia per noi cristiani il privarci di un qualcosa che sarebbe in se stesso buono e utile per il nostro sostentamento. Le Sacre Scritture e tutta la tradizione cristiana insegnano che il digiuno è di grande aiuto per evitare il peccato e tutto ciò che ad esso induce. Per questo nella storia della salvezza ricorre più volte l'invito a digiunare. Già nelle prime pagine della Sacra Scrittura il Signore comanda all'uomo di astenersi dal consumare il frutto proibito: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire" (Gn 2,16-17). Commentando l'ingiunzione divina, san Basilio osserva che "il digiuno è stato ordinato in Paradiso", e "il primo comando in tal senso è stato dato ad Adamo". Egli pertanto conclude: "Il 'non devi mangiare' è, dunque, la legge del digiuno e dell'astinenza" (cfr Sermo de jejunio: PG 31, 163, 98). Poiché tutti siamo appesantiti dal peccato e dalle sue conseguenze, il digiuno ci viene offerto come un mezzo per riannodare l'amicizia con il Signore. Così fece Esdra prima del viaggio di ritorno dall'esilio alla Terra Promessa, invitando il popolo riunito a digiunare "per umiliarci - disse - davanti al nostro Dio" (8,21). L'Onnipotente ascoltò la loro preghiera e assicurò il suo favore e la sua protezione. Altrettanto fecero gli abitanti di Ninive che, sensibili all'appello di Giona al pentimento, proclamarono, quale testimonianza della loro sincerità, un digiuno dicendo: "Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!" (3,9). Anche allora Dio vide le loro opere e li risparmiò.

Nel Nuovo Testamento, Gesù pone in luce la ragione profonda del digiuno, stigmatizzando l'atteggiamento dei farisei, i quali osservavano con scrupolo le prescrizioni imposte dalla legge, ma il loro cuore era lontano da Dio. Il vero digiuno, ripete anche altrove il divino Maestro, è piuttosto compiere la volontà del Padre celeste, il quale "vede nel segreto, e ti ricompenserà" (Mt 6,18). Egli stesso ne dà l'esempio rispondendo a satana, al termine dei 40 giorni passati nel deserto, che "non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4). Il vero digiuno è dunque finalizzato a mangiare il "vero cibo", che è fare la volontà del Padre (cfr Gv 4,34). Se pertanto Adamo disobbedì al comando del Signore "di non mangiare del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male", con il digiuno il credente intende sottomettersi umilmente a Dio, confidando nella sua bontà e misericordia.

Troviamo la pratica del digiuno molto presente nella prima comunità cristiana (cfr At 13,3; 14,22; 27,21; 2 Cor 6,5). Anche i Padri della Chiesa parlano della forza del digiuno, capace di tenere a freno il peccato, reprimere le bramosie del "vecchio Adamo", ed aprire nel cuore del credente la strada a Dio. Il digiuno è inoltre una pratica ricorrente e raccomandata dai santi di ogni epoca. Scrive san Pietro Crisologo: "Il digiuno è l'anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno, perciò chi prega digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica" (Sermo 43: PL 52, 320. 332).

Ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po' della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo. Digiunare giova certamente al benessere fisico, ma per i credenti è in primo luogo una "terapia" per curare tutto ciò che impedisce loro di conformare se stessi alla volontà di Dio. Nella Costituzione apostolica Pænitemini del 1966, il Servo di Dio Paolo VI ravvisava la necessità di collocare il digiuno nel contesto della chiamata di ogni cristiano a "non più vivere per se stesso, ma per colui che lo amò e diede se stesso per lui, e ... anche a vivere per i fratelli" (cfr Cap. I). La Quaresima potrebbe essere un'occasione opportuna per riprendere le norme contenute nella citata Costituzione apostolica, valorizzando il significato autentico e perenne di quest'antica pratica penitenziale, che può aiutarci a mortificare il nostro egoismo e ad aprire il cuore all'amore di Dio e del prossimo, primo e sommo comandamento della nuova Legge e compendio di tutto il Vangelo (cfr Mt 22,34-40).

La fedele pratica del digiuno contribuisce inoltre a conferire unità alla persona, corpo ed anima, aiutandola ad evitare il peccato e a crescere nell'intimità con il Signore. Sant'Agostino, che ben conosceva le proprie inclinazioni negative e le definiva "nodo tortuoso e aggrovigliato" (Confessioni, II, 10.18), nel suo trattato L'utilità del digiuno, scriveva: "Mi dò certo un supplizio, ma perché Egli mi perdoni; da me stesso mi castigo perché Egli mi aiuti, per piacere ai suoi occhi, per arrivare al diletto della sua dolcezza" (Sermo 400, 3, 3: PL 40, 708). Privarsi del cibo materiale che nutre il corpo facilita un'interiore disposizione ad ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua parola di salvezza. Con il digiuno e la preghiera permettiamo a Lui di venire a saziare la fame più profonda che sperimentiamo nel nostro intimo: la fame e sete di Dio.

Al tempo stesso, il digiuno ci aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli. Nella sua Prima Lettera san Giovanni ammonisce: "Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l'amore di Dio?" (3,17). Digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china e va in soccorso del fratello sofferente (cfr Enc. Deus caritas est, 15). Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo. Proprio per mantenere vivo questo atteggiamento di accoglienza e di attenzione verso i fratelli, incoraggio le parrocchie ed ogni altra comunità ad intensificare in Quaresima la pratica del digiuno personale e comunitario, coltivando altresì l'ascolto della Parola di Dio, la preghiera e l'elemosina. Questo è stato, sin dall'inizio, lo stile della comunità cristiana, nella quale venivano fatte speciali collette (cfr 2 Cor 8-9; Rm 15, 25-27), e i fedeli erano invitati a dare ai poveri quanto, grazie al digiuno, era stato messo da parte (cfr Didascalia Ap., V, 20,18). Anche oggi tale pratica va riscoperta ed incoraggiata, soprattutto durante il tempo liturgico quaresimale.

Da quanto ho detto emerge con grande chiarezza che il digiuno rappresenta una pratica ascetica importante, un'arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Privarsi volontariamente del piacere del cibo e di altri beni materiali, aiuta il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d'origine, i cui effetti negativi investono l'intera personalità umana. Opportunamente esorta un antico inno liturgico quaresimale: "Utamur ergo parcius, / verbis, cibis et potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia - Usiamo in modo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo con maggior attenzione vigilanti".

Cari fratelli e sorelle, a ben vedere il digiuno ha come sua ultima finalità di aiutare ciascuno di noi, come scriveva il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, a fare di sé dono totale a Dio (cfr Enc. Veritatis splendor, 21). La Quaresima sia pertanto valorizzata in ogni famiglia e in ogni comunità cristiana per allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e per intensificare ciò che nutre l'anima aprendola all'amore di Dio e del prossimo. Penso in particolare ad un maggior impegno nella preghiera, nella lectio divina, nel ricorso al Sacramento della Riconciliazione e nell'attiva partecipazione all'Eucaristia, soprattutto alla Santa Messa domenicale. Con questa interiore disposizione entriamo nel clima penitenziale della Quaresima. Ci accompagni la Beata Vergine Maria, Causa nostrae laetitiae, e ci sostenga nello sforzo di liberare il nostro cuore dalla schiavitù del peccato per renderlo sempre più "tabernacolo vivente di Dio". Con questo augurio, mentre assicuro la mia preghiera perché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra un proficuo itinerario quaresimale, imparto di cuore a tutti la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 11 Dicembre 2008

venerdì 20 febbraio 2009


CONGRESSO "LE NUOVE FRONTIERE DELLA GENETICA E IL RISCHIO DELL’EUGENETICA" (VATICANO, 20-21 FEBBRAIO 2009)

INTERVENTO DI S.E. MONS. RINO FISICHELLA, DI MONS. IGNACIO CARRASCO DE PAULA E DEL PROF. BRUNO DALLAPICCOLA


INTERVENTO DI S.E. MONS. RINO FISICHELLA

Ogni anno l'attività della Pontificia Accademia per la vita si confronta su un tema di particolare importanza scientifico. La scelta del Congresso Internazionale che si svolgerà i prossimi 20-21 febbraio è caduta sul tema: Le nuove frontiere della genetica e il rischio dell'eugenetica. Saranno relatori del Convegno scienziati provenienti da diverse Università e tratteranno il tema sotto differenti prospettive: da quella prettamente biomedica a quella legale, dalla riflessione filosofica e teologica a quella sociologica. A nessuno, infatti, sfuggirà che una simile tematica rappresenta sempre più spesso un riferimento costante della medicina; soprattutto dopo la scoperta del genoma e la conseguente conoscenza di gran parte delle caratteristiche peculiari del patrimonio genetico di ognuno di noi. Grazie al grande lavoro svolto nell'ultimo decennio soprattutto sotto la direzione di F. Collins circa lo Human Genome Data Base è possibile la mappatura di migliaia di geni che permettono la conoscenza di diverse tipologie di malattie e viene offerta spesso la concreta possibilità di superare la patologia ereditaria. Le conquiste genetiche appartengono al costante e spesso frenetico progresso tecnologico che sembra non avere più confini. Ci sono, evidentemente delle finalità proprie alla ricerca genetica: la prima e basilare si compie nella diagnostica ed è aumentata enormemente la gamma delle sue nuove applicazioni; a livello prematrimoniale e preconcezionale ha una sua applicazione per verificare il rischio di essere portatori sani di patologie. La stessa applicazione, comunque, viene compiuta oggi anche a livello prenatale e porta con sé –come si può immaginare- problematiche di ordine etico differenti. La genetica, inoltre, possiede finalità terapeutiche che possono trovare riscontro su cellule somatiche o sull'embrione precoce. Non si può dimenticare, infine, la finalità produttiva che trova soprattutto nell'ambito farmacologico ampio riscontro.

Non è tutto oro, comunque, ciò che appare. Ogni conquista scientifica porta sempre con sé inevitabilmente quello sguardo del Giano bifronte che mostra la bellezza e insieme la tragicità. Il rischio di una deriva della genetica non è solo un richiamo teorico che viene fatto; appartiene, purtroppo, a una mentalità che tende lentamente ma inesorabilmente a diffondersi. Il termine di "eugenetica" sembra relegato al passato e il solo richiamo terminologico fa inorridire. Come spesso succede, tuttavia, un sottile formalismo linguistico unito a una buona pubblicità sostenuta da grandi interessi economici fa perdere di vista i veri pericoli sottesi e tende a creare una mentalità non più in grado di riconoscere l'oggettivo male presente e formulare un giudizio etico corrispondente. Avviene così che mentre sembra non esserci più posto nelle nostre società democratiche, rispettose per principio della persona, l'eugenetica messa al bando nell'uso terminologico ricompaia nella pratica in tutta buona coscienza. Scopo del Congresso sarà quello di verificare se all'interno della sperimentazione genetica sono presenti aspetti che tendono e attuano di fatto un'azione eugenetica. Essa mostra il volto consolatorio di chi vorrebbe migliorare fisicamente la specie umana. Si esprime in diversi progetti di ordine scientifico, biologico, medico, sociale e politico; tutti più o meno collegati tra di loro. Tali progetti comportano un giudizio etico soprattutto quando si vuole sostenere che si attua una simile azione eugenetica in nome di una "normalità" di vita da offrire agli individui. Normalità che rimane tutta da definire e che spinge in maniera incontrovertibile e stabilire chi mai possa arrogarsi l'autorità per stabilire le regole e le finalità del vivere "normale" di una persona. In ogni caso, questa mentalità certamente riduttiva, ma presente, tende a considerare che ci siano persone che hanno meno valore di altre, sia a causa della loro condizione di vita quali la povertà o la mancanza di educazione, sia a causa della loro condizione fisica ad esempio i disabili, i malati psichici, le persone in cosiddetto "stato vegetativo", le persone anziane con gravi patologie.

Come si può osservare, i temi di questo Congresso sono di una grande attualità. Comportano il necessario confronto tra le diverse istanze e solo nella complementarità delle posizioni sarà possibile cercare di comporre una sintesi che sia capace di mostrare un percorso comune e condiviso da percorrere. Non sempre le istanze della scienza medica trovano l'accordo del filosofo o del teologo. Se da una parte, la tentazione di considerare il corpo come materia è spesso facile da riscontrare in alcuni, dall'altra, la preoccupazione perché mai si dimentichi l'unità fondamentale di ogni persona, che non è mai riducile alla sola sfera materiale perché possiede in sé quell'autoconsapevolezza che la porta a esprimere un senso per la propria esistenza, è una istanza che non può essere emarginata né sottaciuta. Ci si avvia verso un futuro carico di incertezze da questa prospettiva. Certo può crescere e deve progredire la ricerca per poter dare sollievo a ogni persona, ma nello stesso tempo si è chiamati a far crescere e progredire la coscienza etica senza della quale ogni conquista rimarrebbe sempre e solo parziale, mai destinata pienamente ad ogni persona nel suo desiderio di una vita pienamente umana e proprio per questo aperta e sempre tesa verso una trascendenza che la sorpassa e avvolge.


INTERVENTO DI MONS. IGNACIO CARRASCO DE PAULA

Etica e genetica, un’alleanza auspicabile

Tra le grandi scoperte di questi inizi di un nuovo millennio, il Progetto del Genoma Umano (HGP) occupa un posto di assoluta rilevanza. Infatti, iniziatosi nel non molto lontano 1990, portò in soli tredici anni alla mappatura dell’intero patrimonio genetico dell’uomo. Si apriva così una promettente e affascinante prospettiva per le scienze biomediche e in particolare per la medicina preventiva.

Meno conosciuto risulta invece, almeno in Europa, un altro progetto di ricerca partito in contemporanea nello stesso anno 1990 e intitolato ELSI, un acronimo che sta a indicare lo studio delle implicazioni etiche, legali e sociali correlate alle scoperte ed eventuali applicazioni derivate dal HGP. Questo progetto è tuttora in corso e gode di un sostanzioso sostegno finanziario coperto con fondi federali (finora intorno ai 200 milioni di dollari).

Se per la medicina, e non solo per essa, la conoscenza del genoma umano è assolutamente essenziale, altrettanta importanza riveste l’individuazione delle conseguenze etiche, legali e sociali. Un documento preparato da una Commissione presidenziale americana nel 1982, conosciuto come Splicing life, avvertiva già degli enormi benefici di natura terapeutica ma anche dei potenziali pericoli, come p. e. l’utilizzo in ambito lavorativo (selezione del personale), assicurativo, bancario (crediti), la protezioni dei dati da conservare nelle banche genetiche, e soprattutto il possibile cattivo uso discriminatorio di informazioni genetiche, in particolare nell’ambito della eugenetica.

È in questo contesto che si colloca il Congresso organizzato dalla PAV.

Nel 1997 l'UNESCO proponeva la sua Dichiarazione universale sul genoma umano e sui diritti umani che è stata successivamente approvata dalla Assemblea generale dell'ONU il 9 dicembre 1998. Nel 1º articolo si afferma: Il genoma umano sottende l’unità fondamentale di tutti i membri della famiglia umana, come pure il riconoscimento della loro intrinseca dignità e della loro diversità. L’articolo 6º ne trae un’importante conseguenza: Nessuno deve essere oggetto di discriminazione basate sulle proprie caratteristiche genetiche, che abbiano per oggetto o per effetto quello di ledere i diritti individuali, le libertà fondamentali ed il riconoscimento della propria dignità.

L’eugenetica rappresenta oggi la principale strumentalizzazione discriminatoria delle scoperte della scienze genetica. È questo il punto che il Congresso si propone di esplorare. Ovviamente l’obiettivo principiale è richiamare l’attenzione di tutti sui notevoli benefici che possiamo ottenere dalla ricerca genetica se, come sembra corretto e auspicabile, vengono indirizzati verso di essa sia l’impegno dei ricercatori che gli investimenti pubblici e privati, superando la tentazione delle apparenti scorciatoie proposte dalla eugenetica.


INTERVENTO DEL PROF. BRUNO DALLAPICCOLA

Oltre il sequenziamento del genoma umano

Il sequenziamento del genoma umano ha accelerato il processo di "genetizzazione" e ha chiarito in parte "determinismo genetico", con il quale viene enfatizzata la dipendenza della maggior parte delle caratteristiche individuali dal patrimonio ereditario. Questo concetto si è affermato in Medicina a partire dagli anni ’90, quando ha trovato largo consenso l’idea che quasi tutte le malattie abbiano una componente genetica. Lungo questa linea, qualcuno aveva ritenuto che quando si fosse riusciti a sequenziare il genoma di ogni persona, l’analisi di quella sequenza avrebbe avuto il significato di una vera e propria cartella clinica. Questa provocazione sta trovando oggi un fondamento, e la possibilità di analizzare il genoma al costo di 1.000 dollari appare alla portata nei prossimi anni. Se da un lato non si può non essere affascinati da questo progresso scientifico, dall’altro lato si deve prendere coscienza che la società è impreparata ad affrontare e a governare la mole delle informazioni prodotte e non sembra pronta a renderle fruibili a beneficio dell’uomo, avendone compreso e valutato tutto l’impatto a livello del singolo e della popolazione.

Nonostante questi limiti, molte conoscenze mediate dalla genetica, prima di essere sufficientemente sperimentate e validate, vengono trasferite al mercato della salute e sono proposte agli utenti al di fuori dei protocolli e delle cautele con i quali la Medicina dovrebbe avvicinarsi alle innovazioni diagnostiche e tecnologiche. Attraverso internet è possibile oggi entrare in contatto con numerose organizzazioni che vendono analisi genomiche, che si preannunciano in grado di predire malattie più o meno comuni, accertare l’idoneità fisica a diventare degli atleti, ottimizzazione l’alimentazione e il peso, scegliere la cura di bellezza più appropriata, o altro ancora. Si tratta di proposte che non hanno alcun fondamento scientifico e che relegano la genetica e l’analisi genomica in quel ruolo che un tempo era solo di competenza dei lettori della mano o dei tarocchi.

Al di là dell’uso deformato della genetica per finalità strettamente commerciali, è comunque necessario guardare alle ricadute del sequenziamento del genoma umano e del progresso della genetica in una prospettiva a breve-medio periodo. Ci offre un’occasione ghiotta per tentare qualche speculazione la pubblicazione della sequenza genomica di personaggi celebri come James Watson, uno dei padri della doppia elica del DNA, e Craig Venter, il coordinatore del progetto del sequenziamento del genoma umano con capitale privato. Venter ha pubblicato in dettaglio nei mesi scorsi le variazioni presenti nel suo DNA, compresa una serie mutazioni comuni, che lo renderebbero potenzialmente suscettibile ad una serie di patologie, come il comportamento antisociale, l’alcolismo, l’ipertensione, l’obesità, l’ictus, la malattia di Alzheimer, per citarne solo alcune. Tuttavia questi risultati non ci propongono Craig Venter come un soggetto particolarmente sfortunato, ma semplicemente come un uomo che, esattamente come tutti gli esseri della nostra specie, possiede un genoma "imperfetto". Infatti, il sequenziamento del genoma sta confermando che tutti condividiamo un numero straordinario di mutazioni: solo un piccolissimo numero di esse interessa i geni responsabili delle malattie rare (che nella maggior parte delle persone non hanno nessuna conseguenza per la salute), mentre alcuni milioni di variazioni riguardano i geni correlati alle malattie complesse, alla cui patogenesi concorrono con un piccolo effetto additivo. Nonostante questa evidente ‘imperfezione’, l’insieme dei geni non mutati di solito bilancia l’effetto delle mutazioni negative, consentendo alla maggior parte della popolazione di essere classificata come clinicamente non affetta. Il sequenziamento dei genomi di questi illustri personaggi delinea uno scenario già paventato negli anni ’90, quando era apparso chiaro che l’imminente possibilità di analizzare nella sua interezza la sequenza del DNA avrebbe avvicinato al mondo della Medicina milioni di persone non ammalate: la scoperta di mutazioni potenzialmente predisponenti alle malattie avrebbe indotto alcuni a vivere nell’attesa della comparsa di qualche sintomo, oppure ad organizzare la loro esistenza in funzione di visite mediche o di analisi periodiche di laboratorio, fino a fare sentire molte persone ammalate o a sviluppare sintomi psicosomatici.

La diffusione delle analisi genomiche è però destinata non solo a medicalizzare la vita delle persone, ma anche a trasformare la figura del medico. Lo sviluppo della medicina di laboratorio e delle indagini strumentali ha già modificato drasticamente negli ultimi 50 anni la professione del medico di famiglia, che, con il tempo, ha ridotto l’attitudine a visitare il paziente, a dialogare con lui e ad ascoltarlo, a favore di una crescente propensione alla prescrizione di indagini strumentali e di laboratorio spesso di discutibile utilità. L’era postgenomica rischia di produrre un’ulteriore involuzione della figura del medico, destinato, forse, a diventare un ‘genomicista’, cioè un addetto alla interpretazione dei dati sofisticati che escono da qualche strumento di elevata tecnologia.

Oggi che siamo all’inizio dell’era postgenomica appare chiaro che il sequenziamento del genoma umano ha rappresentato solo la tappa iniziale di un processo che necessiterà di essere integrato dalla conoscenza dei meccanismi di interazione tra i geni, e tra essi e l’ambiente, nonché dalla comprensione dei complessi meccanismi di regolazione genica, durante lo sviluppo e la vita postatale. E’ evidente che ogni tentativo di semplificazione di un progetto che, per la sua stessa natura, è molto complesso, significa fare un cattivo uso della Genetica. Non va perciò ignorato che l’uomo è la sommatoria degli effetti delle caratteristiche ereditate al momento del concepimento e dell’ambiente. Per questo, si deve essere critici tanto nei confronti dei ‘riduzionisti’, che ritengono che il sequenziamento del genoma umano sia sufficiente a chiarire il senso della vita umana, quanto nei confronti dei ‘deterministi’, che credono di riuscire a predire, solo attraverso la lettura del DNA, il destino biologico di una persona. I progressi della Genetica stanno chiarendo i meccanismi che sono alla base della variabilità tra le persone e questo, in un’epoca di disumanizzazione della Medicina, rappresenta un valore che necessita di essere apprezzato, perché è proprio il riconoscimento di quella variabilità biologica ad aiutarci a guardare ad ogni paziente non più come ad un numero, all’interno di un protocollo, e neppure come ad un semplice prodotto del codice genetico, ma come ad una persona.

mercoledì 18 febbraio 2009

Intervista Der Spiegel

Interview de Mgr Williamson à l’hebdomadaire allemand Der Spiegel

Lundi 9 février 2009
Source : Der Spiegel (traduction P. David Roure)



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« Je n’irai pas à Auschwitz »

14 questions à l’évêque Richard Williamson, de la Fraternité Saint-Pie-X

Mgr Williamson n’a pas voulu se laisser interviewer directement mais a demandé que les questions lui soient envoyées par fax en Argentine. Ses réponses revinrent par e-mail. Elles furent confirmées au téléphone par Mgr Williamson et l’avocat de la Fraternité Saint-Pie-X.

Der Spiegel : Le Vatican exige que vous démentiez vos propos niant l’Holocauste et menace, sinon, de ne plus vous installer dans les fonctions d’évêque. Comment réagirez-vous ?

Mgr Williamson : Dans toute ma vie, j’ai toujours cherché la vérité. C’est pourquoi je me suis converti au catholicisme et suis devenu prêtre. Je peux seulement expliquer ce dont je suis convaincu. Parce que je réalise qu’il y a beaucoup d’hommes honnêtes et intelligents qui pensent autrement, je dois maintenant examiner encore une fois les preuves historiques. C’est bien ce que j’avais dit dans l’interview à la télévision suédoise : il en va de preuves historiques, pas d’émotions. Et si je trouve ces preuves, alors je me corrigerai. Mais cela prendra du temps.

S. : Comment un catholique cultivé peut-il nier l’Holocauste ?
W. : Je me suis occupé de ce sujet dans les années 1980. A cette époque, j’avais lu différents écrits. Dans l’interview, j’ai cité le rapport Leuchter, il me paraissait plausible. Maintenant on me dit qu’il est scientifiquement réfuté. De cela, je m’expliquerai maintenant.

S. : Vous auriez pu aller personnellement à Auschwitz.
W. : Non, à Auschwitz, je n’irai pas. J’ai commandé le livre de Jean-Claude Pressac, dont le titre anglais est Auschwitz. Technique and operation of the gas chambers. L’exemplaire est maintenant en route, je le lirai et l’étudierai.

S. : La Fraternité vous a posé un ultimatum qui tombe à échéance fin février. Prendrez-vous le risque d’une rupture ?
W. : Dans l’Ancien Testament, le prophète Jonas dit aux matelots, alors que le navire se trouve à cause de lui en grand péril : « Prenez-moi, jetez-moi par-dessus bord et la mer s’apaisera. Je le reconnais, c’est par ma faute que vous subissez cette grande tempête ». La Fraternité a une mission religieuse, qui subit un préjudice à cause de moi. J’examine maintenant les preuves historiques. Si elles ne me convainquent pas, je ferai alors tout ce qui est en mon pouvoir pour ne blesser encore en aucun cas l’Eglise et la Fraternité.

S. : Que signifie pour vous la levée des excommunications par le Pape Benoît XVI ?
W. : Nous voulons toujours être catholiques, rien d’autre. Nous n’avons bien sûr pas développé notre propre doctrine, mais seulement préservé ce que l’Eglise a toujours pratiqué et enseigné. Et comme tout, dans les année 1960 et 1970, s’est trouvé transformé au nom de ce concile, notre position est alors devenue tout à coup scandaleuse. Ainsi nous avons été poussés à la marge de l’Eglise et maintenant, quand l’échec de ces changements se révèle clairement au vu des églises vides et d’un clergé qui a passé l’âge, nous revenons au centre. C’est comme cela, chez nous, les conservateurs : nous continuons à avoir raison, nous devons seulement attendre suffisamment longtemps.

S. : Il a été affirmé au Vatican que l’on ne vous connaissait pas. En est-il bien ainsi ?
W. : La plupart des contacts ont eu lieu avec Mgr Fellay et le Conseil Général, auquel je n’appartiens pas. Mais trois de nous quatre, évêques, avons été invités à un repas privé en 2000 chez le cardinal Castrillon Hoyos. C’était plutôt une prise de connaissance, bien sûr nous avons aussi parlé de questions théologiques et avons philosophé un peu. Le cardinal était très aimable.

S. : Parmi les grandes conquêtes de l’Eglise catholique, on compte le concile Vatican II. Pourquoi ne le reconnaissez-vous pas dans tout son amplitude ?
W. : Ce que nous devons reconnaître est complètement flou. Un document important s’appelle « Gaudium et Spes », joie et espérance. Là-dedans, on s’enthousiasme pour le tourisme de masse reliant les peuples. Mais on ne peut tout de même pas demander à une communauté conservatrice d’approuver pareille vulgarité1. Par la suite, il s’agit des angoisses et des souffrances. On mentionne là une guerre atomique entre les grandes puissances. Vous le voyez bien, de cela beaucoup de choses sont dépassées. Ces textes du concile sont toujours ambigus. Puisque personne ne savait en fait ce que cela voulait dire, tout de suite après le concile chacun commença à faire ce qui lui plaisait. Cela mène à ce chaos théologique que nous avons aujourd’hui. Que devons-nous reconnaître maintenant, l’ambiguïté ou le chaos ?

S. : Etes-vous en réalité bien conscient que, avec vos opinions extrêmes, vous divisez l’Eglise ?
W. : Seulement l’atteinte portée aux dogmes et aux déclarations infaillibles (du Magistère) détruit la foi. Le concile Vatican II a lui-même expliqué qu’il ne proclamait pas de nouveaux dogmes. Aujourd’hui, les évêques libéraux font comme s’il était devenu une sorte de superdogme récapitulant tout, et ils justifient par là la dictature du relativisme. Cela contredit le texte du concile.

S. : Votre position par rapport au judaïsme est de bout en bout antisémite.
W. : Saint Paul formule cela ainsi : les Juifs sont aimés pour l’amour des patriarches, mais nos adversaires pour l’amour de l’Evangile.

S. : Dans votre antisémitisme, voulez-vous vous appuyer le plus sérieusement qui soit sur la Tradition catholique et sur la Bible ?
W. : Sous ce terme ‘antisémitisme’, on met de nos jours énormément de choses. Entre autres, quand on critique la manière d’agir d’Israël dans le conflit à Gaza. L’Eglise entendait toujours sous le terme d’antisémitisme le fait de rejeter les juifs, parce qu’ils ont des racines juives. C’est condamné par l’Eglise. Et cela va d’ailleurs de soi dans une religion dont les fondateurs et les personnages importants au début de son histoire étaient juifs. Mais ce qui concerne tous ces judéochrétiens de cette époque est aussi très clair : que tous les hommes ont besoin du Christ pour leur salut, y compris les Juifs.

S. : Le pape va voyager d’ici peu en Israël et visiter le mémorial de l’Holocauste. Rejetez-vous aussi cela ?
W. : Etre pèlerin en Terre Sainte est une grande joie pour les chrétiens. Je présente au Saint Père mes meilleurs souhaits pour son voyage. Cela me dérange qu’à Yad Vashem le pape Pie XII soit agressé bien que, pendant la période nazie, personne n’ait sauvé plus de Juifs que lui. Il fit établir des attestations de baptême pour des Juifs persécutés pour les empêcher d’être arrêtés. Ces faits sont au contraire déformés. Par ailleurs je souhaiterais que le pape porte son regard et ouvre son cœur vers les femmes et les enfants qui ont été blessés dans la Bande de Gaza et qu’il intervienne en faveur de la population chrétienne de Bethléem qui se trouve, en attendant, emmurée.

S. : Vos déclarations ont causé de grandes blessures et indignations dans le monde juif. Pourquoi ne vous excusez-vous pas ?
W. : Si je devais reconnaître que je me suis trompé, je le ferais. Je demande à chacun de me croire que je n’ai intentionnellement rien dit qui soit faux. Sur la base de mes recherches dans les années 1980, je suis convaincu de l’exactitude de mes déclarations. Je dois maintenant encore une fois tout vérifier et examiner les preuves.

S. : Reconnaissez-vous au moins les droits universels de l’homme ?
W. : Quand les droits de l’homme furent proclamés en France, des centaines de milliers de personnes ont été tuées dans toute la France. Là où les droits de l’homme sont compris comme un ordre objectif que l’Etat doit mettre en pratique, on en arrive toujours à une politique antichrétienne. Quand il s’agit de préserver à un individu sa liberté de conscience contre un état démocratique, là les droits de l’homme remplissent une fonction importante. L’individu a besoin de ces droits contre un Etat qui se prend pour le Léviathan. Mais la compréhension chrétienne de l’Etat est tout autre, à tel point que les théories chrétiennes des droits de l’homme insistent plus sur le fait que la liberté n’est pas une fin en soi. Il n’en va pas de la liberté de quelque chose mais pour quelque chose. Pour le Bien.

S. : Vos déclarations et la levée de votre excommunication ont suscité des protestations dans le monde entier. Pouvez-vous comprendre cela ?
W. : Une seule interview à la télévision suédoise est maintenant depuis des semaines devenu un thème majeur en Allemagne. Oui, cela m’étonne. Est-ce que cela se produit de même pour toutes les infractions à la loi ? Probablement pas. Non, je suis ici seulement l’instrument que l’on utilise contre notre Fraternité sacerdotale et contre le pape. Visiblement, les catholiques de gauche en Allemagne n’ont toujours pas pardonné à Ratzinger d’être devenu pape.

www.la-Croix.com

martedì 17 febbraio 2009

Bernardo dei Tolomei


(Tra i prossimi beati che saranno presto canonizzati)
Figlio di Mino della nobile famiglia dei Tolomei, Giovanni che in seguito cambierà il nome in Bernardo, nacque a Siena nel 1272; la sua biografia è tratta dalla ricerca del domenicano Gregorio Lombardelli (†1613) anche se non tutta documentata.
La madre Fulvia Tancredi ebbe una visione prima della nascita; da giovane avrebbe studiato nel convento domenicano di s. Domenico in Siena, proseguendo gli studi fino a diventare maestro di diritto nell’Università della città e cavaliere dell’Impero.
In preda a crisi religiosa, ottenne, per intercessione della Madonna, la guarigione da una malattia agli occhi, questo lo portò ad abbandonare la città e la sua vita mondana; seguendo l’ispirazione nel 1313, anno di nuove cruente lotte fra le fazioni cittadine, Bernardo Tolomei con due concittadini i nobili Patrizio Patrizi e Ambrogio Piccolomini, lasciarono Siena ritirandosi ad Accona una proprietà dei Tolomei a 15 km dalla città.
Deposti gli abiti signorili, li sostituirono con più modesti, cambiati i nomi, si dedicarono ad una vita di preghiera, di penitenza e solitudine eremitica; sono ancora conservate le grotte di questo periodo, compresa una piccola cappella che il Tolomei si era fatto costruire.
Ma la loro vita ascetica, richiamò presso di loro molti uomini, nobili e plebei, desiderosi di associarsi alla loro vita. Bernardo che si riteneva responsabile di tutti, si rivolse al vescovo di Arezzo nella cui giurisdizione era il luogo prescelto, per avere l’autorizzazione canonica alla sua posizione e a quella di tutti gli altri.
Il 26 marzo 1319, il vescovo d’Arezzo Guido Tarlati, rilasciò a Bernardo Tolomei e Patrizio Patrizi, convenuti nell’episcopio, la ‘Charta fundations’ del nascente monastero di S. Maria di Monte Oliveto, sotto la Regola di s. Benedetto. Fu scelto un abito bianco con l’intento di onorare la Vergine Maria a cui era devotissimo Bernardo e la cui devozione mariana rimarrà in eredità alla spiritualità della Congregazione.
Nello stesso 1319 il monastero di Accona diventò di Monte Oliveto con in seguito l’aggiunta di Maggiore, per distinguerlo dagli altri che verranno, Bernardo e i suoi compagni, fanno nello stesso anno la professione religiosa, ricevendo l’abito monastico dalle mani del delegato del vescovo.
Lasciato lo stile di vita eremitica, presero a professare la Regola Benedettina arricchita dalla precedente esperienza ascetica, però stabilirono che l’abate fosse eletto per un solo anno. I monaci lo elessero come primo abate, ma Bernardo adducendo il fatto delle difficoltà visive, non accettò e così fu eletto Patrizio Patrizi; ma nel 1321 non poté più rifiutarsi e divenne abate del suo monastero; la prova della sua eccezionale personalità, la si ebbe quando i monaci, anno dopo anno, lo elessero per 27 volte abate, praticamente fino alla morte, dandogli ogni facoltà di decisione senza rendere conto a loro.
Cercò per almeno due volte di lasciare l’incarico, nel 1326 e 1342, facendo presente le sue difficoltà di vista e il fatto che non era sacerdote, avendo ricevuto soltanto gli ordini minori, ma i giuristi ed i legati pontifici, ribadirono la sua legittimità canonica. Ancora in vita Bernardo, si aggiunsero alla prima abbazia perlomeno altri undici monasteri, l’abate ottenne anche dal papa Clemente VI, residente ad Avignone, il 21 gennaio 1344, l’approvazione pontificia.
Il misticismo di Bernardo ci è raccontato dalla tradizione dei suoi colloqui con il Crocifisso e altre apparizioni di santi. Nel 1348 imperversò la grande peste e l’abate scese da Monte Oliveto per recarsi nel monastero di S. Benedetto colpito dal morbo, come tutta Siena; numerose furono le vittime anche fra i monaci; dopo aver aiutato e confortato i propri figli e fratelli nella fede, proprio nel 1348 Bernardo morì colpito anche lui dalla peste, secondo la tradizione il 20 agosto e sepolto nel monastero cittadino.
Purtroppo delle sue reliquie si sono perse le tracce, dopo la distruzione del monastero di Siena nel 1554, durante la guerra fra Carlo V e la Repubblica Senese.
La Congregazione Olivetana ha sempre portata avanti la causa di beatificazione del suo fondatore, considerandolo beato sin dal secolo XV, se ne ha la prova nel ‘diario’ di papa Pio II (Piccolomini), che visitò il monastero di Monte Oliveto nel 1462.
Il suo culto comunque fu confermato come beato con decreto della Congregazione dei Riti del 24 novembre 1644. Nel 1680 la festa religiosa del 20 agosto fu spostata al 21 agosto a causa della concomitanza della festa del grande s. Bernardo di Chiaravalle.
Per lo scompiglio portato dalle persecuzioni contro gli Ordini religiosi, specie nel Regno di Napoli e in Toscana, la causa è stata interrotta e solo nell’ottobre 1968 è stata ripresa in esame dalla Congregazione dei Riti. E’ esistente un’enorme mole di biografie che lo riguardano, in contrasto con l’assenza di suoi scritti.
Cicli di affreschi pittorici che lo raffigurano sono un po’ in tutti i monasteri e chiese olivetane e nei palazzi delle Istituzioni di Siena.


Autore: Antonio Borrelli

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martedì 10 febbraio 2009



Arcivescovo Bruno Forte: l’amore è più forte della morte
Il caso di Eluana apre “un buco nero nella nostra convivenza civile”



ROMA, lunedì, 9 febbraio 2009 (ZENIT.org).- “Se una sentenza può decidere di togliere acqua e cibo a qualcuno per farlo morire, stabilendo che questo è legale, mi sembra che una voragine si apra davanti a noi, un buco nero nella nostra convivenza civile”, ha scritto mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, in un articolo pubblicato il 4 febbraio su Il Messaggero.

“Chi vincerà se Eluana morirà così?”, si domandava il presule alcuni giorni fa, quando Eluana Englaro era ancora in vita. “Non certo la dignità della persona umana, di qualunque persona umana, quale che sia la sua condizione fisica o mentale, economica o sociale, la nazionalità, il colore, la storia”.

“La dignità di tante persone diversamente abili, con gradi a volte altissimi di disabilità, come di tanti pazienti in stato vegetativo, il valore della vita personale, di ogni vita personale, è qui fortemente messo in questione, è anzi perfino minacciato”, affermava mons. Forte.

Dicendosi cosciente della profonda sofferenza patita da Beppino Englaro, l’Arcivescovo affermava tuttavia: “Non comprenderò mai una Legge che consenta a un medico di porre fine alla vita di Eluana”.

“Per chi crede, quella vita viene da Dio e spetta a Lui solo chiamarla a sé – proseguiva –. Per chi non crede, quella persona viva e vitale, anche se priva di ogni apparente coscienza, è un fratello, una sorella in umanità”.

“E questo dovrebbe bastare per riconoscere che la sua vita è un assoluto davanti a cui è necessario arrestarsi con rispetto, cura e attenzione d’amore”, sottolineava con forza.

“L’amore comunica dove altrimenti non c’è che solitudine e rinuncia – scriveva –: l’amore intesse dialoghi non verbali, fatti anche soltanto del contatto di una mano sull’altra, di una prossimità attenta e discreta, di un essere accanto con la tenerezza infinita che si ha verso la creatura amata, anche quando questa vive in uno stato solo vegetativo”.

“L’amore ti fa sentire la musica che le orecchie non odono, e dire le parole che le labbra non sanno pronunciare. ‘Forte come la morte è l’amore’, dice Shir ha-Shirim, il Cantico dei Cantici (8,7)”, continuava il presule.

“E la via del dialogo attraverso cui far vincere la vita sulla morte – osservava poi –, non sono le parole, ma la prossimità: ‘Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio’”.
(Zenit Agenzia Internazionale di notizie)

lunedì 9 febbraio 2009

Lefebvre's Father

The Rest of the Story -- Lefebvre's Father
The father of the conservative French Archbishop Marcel Lefebvre died in 1944 in a Nazi concentration camp

By Robert Moynihan

February 8, 2009 -- The worldwide uproar over the opinions of Bishop Richard Williamson about the Shoah, following on the decision of Pope Benedict XVI, announced in Rome on January 24, to lift the 20-year-old excommunication of Williamson and three other bishops consecrated illicity in 1988 by French Archbishop Marcel Lefebvre, has been loud, emotional -- and very confusing. Reasoned discourse has been ill-served.

As the attacks against Pope Benedict XVI began to include suggestions that he resign his papacy because of this decision regarding Williamson, it almost seemed as if the fabric of goodwill and trust, carefully woven between Christians and Jews through numerous meetings and common actions over several decades, was unraveling.
There are many open questions in this affair, and in our upcoming February issue of Inside the Vatican, which will soon go to press, we will have a comprehensive report on the controversy, from the Pope's reasons for lifting the excommunications, to the views of Bishop Williamson on the Holocaust, to the concerns expressed by representatives of the Jewish community (to obtain a copy of this issue, click on the link at the bottom of this email.)
But in this brief newsflash, we thought it right to make a point which has not received sufficient attention in the midst of the tumult.
That point is that the man at the remote origin of this entire controversy, Archbishop Marcel Lefebvre, who in 1988 consecrated Williamson a bishop, along with the three others, in order to ensure the continuation of his Pius X Society after his death (he died in 1991), experienced "in his own flesh," as it were, the same cruelty millions of Jews experienced prior to and during the Second World War: his own father died in a Nazi concentration camp.

Marcel Lefebvre was born in Tourcoing, Nord (département), the second son and third child of factory-owner René Lefebvre. René Lefebvre died in 1944 in the Nazi concentration camp at Sonnenburg (in East Brandenburg), where he had been imprisoned by the Gestapo because of his work for the French Resistance and British Intelligence. (Reference: http://www.absoluteastronomy.com/topics/Marcel_Lefebvre#encyclopedia)
At the time of the First World War (1914-1918), Mr. Lefebvre had served his country by operating as a spy. Decades later, when the Nazis occupied France, he resumed this work, risking his life an incalculable number of times helping soldiers and escaped prisoners return to un-occupied France and London. (Reference: http://leflochreport.com/site/?Rene-Lefebvre-and-the-Holocaust RENE LEFEBVRE AND THE HOLOCAUST; see also the Russian web site: http://dic.academic.ru/dic.nsf/enwiki/47825)
"Not very far from Cracow, in the Polish town of S?onsk, near the German border, there (was) a small concentration camp and prison. In the Sonnenburg prison, a brave Catholic Frenchman died after years of torture and suffering in the hands of the Nazis. His name was René Lefebvre (photo below, with his wife and children), loving father of the founder of the Priestly Fraternity of Saint Pius X (FSSPX/SSPX). (Reference: http://rorate-caeli.blogspot.com/2006/05/wit-alert.html)








And there is perhaps even more information about Lefebvre's father.
A recent Reuters new story on Williamson (Go to: http://blogs.reuters.com/faithworld/2009/02/06/holocaust-denying-bishop-holed-up-in-the-pampas/#comments) contains, among other comments sent in and posted by readers from around the world, a statement by Dr. Chaim Lehmann (his comment is the 6th comment down from the top) who says he is a Jewish citizen in France. Lehmann describes how Archbishop Lefebvre's father, René, helped rescue his (Chaim's) Jewish relatives, and how René himself died in a concentration camp. Here is the passage (the text is left exactly as it was posted on the intenet, grammatical errors included):
February 6th, 2009
1:49 pm GMT
Why all the insults against the Society of St. Pius X, a monarchist but very tolerant group whom my brothers as a Rabbi in Lyon highly respects. They are open and not politically correct nice-talkers, but their founder, Archbishop Marcel Lefebvre, lost his own very pious Catholic father René Lefebvre, who helped some of my Jewish relatives escape to neutral Spain from the Nazi tyranny. Marcel lost his own dad to the Nazi’s tyranny campaign, and now the entire Catholic Church and Pius XII (who saved almost one million Jews by helping them flee, go underground, hide or emigrate! cf. Pinchas E. Lapide, Three Popes and the Jews), as well as this great SSPX group are being demonized by anti-religious mass media. It is insulting to me as a Jew, that the suffering of my relatives in the Shoah camps, is instrumentalized by anti-Catholic propagandists and their political agenda! I am insulted also by the ADL this time. They seem to have become anti-Catholic bigots themselves. I respect Bishop Fellay much. I only loathe Williamson’s hurtful statements. But why should I care? I just ignore his ridiculous claims. Nothing more. We as Jews should be solidarious with the Catholics.

- Posted by Dr. Chaim Lehmann, France
We have not yet been able to confirm that this passage is authentic. We do not know for sure whether this Dr. Chaim Lehmann really exists, and whether he really has relatives helped by Lefebvre's father, or not, so these words are not yet ones we can take as reliable information. But, if it were proven to be true, we would have a witness to the action of Archbishop Lefebvre's father in helping Jews escape from France to Spain during World War II. (Note: Any corroboration of this information would be greatly appreciated.)
It is important as we report this story, and as readers read about it and try to understand what is happening, that we keep in mind that there may be elements that are overlooked -- like the actions and fate of Archbishop Lefebvre's father -- which can shed important light on the suffering, tragic fate, and heroic courage, of those who made the often tragic history we have inherited.

(Inside the Vatican magazine)

venerdì 6 febbraio 2009

Messaggio


Messaggio per la 13a Giornata mondiale
della vita consacrata

2 febbraio 2009

Alle consacrate e ai consacrati,
ai sacerdoti, ai diaconi e ai fedeli laici
.

“Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Con queste parole l’apostolo Paolo ci comunica la sua totale conformazione a Gesù. Esse esprimono in modo sublime la bellezza della vita consacrata e ad esse vogliamo ispirarci nell’ormai tradizionale messaggio in occasione della 13a Giornata mondiale della vita consacrata, nella festa della Presentazione del Signore. Tale giornata offre a tutta la Chiesa l’occasione per ringraziare Dio per il dono dei consacrati e delle consacrate, e allo stesso tempo li incoraggia a vivere la loro particolare vocazione con la passione di san Paolo, ponendolo quale modello e prototipo della loro vita.
Inaugurando l’Anno Paolino, il Santo Padre Benedetto XVI ha richiamato la splendida professione di fede dell’Apostolo, affermando: “Tutto ciò che Paolo fa, parte da questo centro. La sua fede è l’esperienza dell’essere amato da Gesù Cristo in modo tutto personale; […] è l’essere colpito dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fin nell’intimo e lo trasforma; [...] è l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore” (omelia nei Primi Vespri della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, 28 giugno 2008).
È questo il fondamento della vita cristiana e della vita consacrata in particolare: è il Signore a irrompere nella storia dell’uomo, chiamandolo ad appartenergli completamente. Proprio così, in modo straordinario sulla via di Damasco, il Signore Gesù ha folgorato e conquistato (cfr. Fil 3,12) Saulo di Tarso. Nella luce abbagliante dell’incontro con Cristo, il consacrato è chiamato a vivere tutta la sua esistenza fino a poter dire: “Cristo vive in me”; a lasciarsi coinvolgere in un rapporto interpersonale tanto appassionato da non vedere altro se non il Cristo crocifisso e risorto, conformandosi a Lui fino a portare nel proprio corpo le sue stimmate. Emergerà così, in modo sempre più convinto e decisivo, che “l’amore del Cristo ci possiede” (2Cor 5,14). È stato osservato che l’originale greco ha tre sfumature: l’amore agapico di Cristo ci avvolge, ci coinvolge, ci travolge. In ogni caso, Paolo arriva alla certezza che nulla potrà mai separarlo e separarci da questo amore: la vita consacrata diventa così “epifania dell’amore di Dio nel mondo” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Vita consecrata, cap. III).
Questo amore appassionato di Gesù suscita una risposta totalizzante da parte del consacrato nella reciprocità amicale e sponsale: “Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura” (Fil 3,8). “Per me il vivere è Cristo” (Fil 1,21).
È proprio in questa luce che si devono comprendere i voti religiosi. San Paolo è modello di obbedienza allo Spirito e anche agli apostoli e agli anziani (cfr. At 15,2), sceglie una vita povera e dedita al lavoro intenso per non essere di peso ad alcuno, vive nel celibato consacrato per essere totalmente dedito al Signore e alla comunità, si dona con tutte le sue forze alla missione dell’evangelizzazione in mezzo a molte tribolazioni (cfr. 1Tes 2,2).
In questo orizzonte, ci sembra particolarmente importante sottolineare l’importanza dell’obbedienza, anche perché la festa della Presentazione del Signore mette in evidenza più volte come Maria, Giuseppe e Gesù obbedirono umilmente alla legge del Signore data a Mosé. In tutta la
sua vita Gesù ha obbedito alla volontà del Padre, “fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,8). La recente Istruzione della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, invita a cercare “ogni mattina il contatto vivo e costante con la Parola che in quel giorno è proclamata, meditandola e custodendola nel cuore come tesoro, facendone la radice d’ogni azione e il criterio primo d’ogni scelta” (n. 7). Infatti, obbedendo alla Parola di Dio che si rivela attraverso le mediazioni umane, “ci inseriamo nel disegno con cui Egli ci ha concepito con amore di Padre. Dunque l’obbedienza è l’unica via di cui dispone la persona umana, essere intelligente e libero, per realizzarsi pienamente” (n. 5).
Questa Giornata sia per tutti i consacrati e le consacrate l’occasione per rinnovare l’offerta totale di sé al Signore nel generoso servizio ai poveri, secondo il carisma dell’Istituto di appartenenza. Le comunità monastiche e religiose siano oasi nelle quali si vive il primato assoluto di Dio, della sua gloria e del suo amore, nella gioia della comunione fraterna e nella dedizione appassionata ai poveri, agli ultimi, ai sofferenti nel corpo e nello spirito.
La Vergine Maria, che si è associata completamente all’offerta di Gesù dicendo “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1, 37), accolga l’offerta della vostra vita e la unisca strettamente a quella del Figlio suo, in un legame indissolubile che la condurrà sino al Calvario: “È lei la Vergine Figlia di Sion che per adempiere la legge presentò nel tempio il Figlio, gloria d’Israele e luce delle genti. Così, o Padre, per tua disposizione, un solo amore associa il Figlio e la Madre, un solo dolore li congiunge, una sola volontà li sospinge: piacere a te, unico sommo bene”
(Prefazio della Messa Maria Vergine nella Presentazione del Signore).

Roma, 1° gennaio 2009
Solennità di Maria SS. Madre di Dio
LA COMMISSIONE EPISCOPALE
PER IL CLERO E LA VITA CONSACRATA