sabato 26 marzo 2011

Il messaggio per la Quaresima di Benedetto XVI

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA QUARESIMA 201
1
 “Con Cristo siete sepolti nel Battesimo,
con lui siete anche risorti
” (cfr Col 2,12)

Cari fratelli e sorelle,
la Quaresima, che ci conduce alla celebrazione della Santa Pasqua, è per la Chiesa un tempo liturgico assai prezioso e importante, in vista del quale sono lieto di rivolgere una parola specifica perché sia vissuto con il dovuto impegno. Mentre guarda all’incontro definitivo con il suo Sposo nella Pasqua eterna, la Comunità ecclesiale, assidua nella preghiera e nella carità operosa, intensifica il suo cammino di purificazione nello spirito, per attingere con maggiore abbondanza al Mistero della redenzione la vita nuova in Cristo Signore (cfr Prefazio I di Quaresima).
1. Questa stessa vita ci è già stata trasmessa nel giorno del nostro Battesimo, quando, “divenuti partecipi della morte e risurrezione del Cristo”, è iniziata per noi “l’avventura gioiosa ed esaltante del discepolo” (Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 10 gennaio 2010). San Paolo, nelle sue Lettere, insiste ripetutamente sulla singolare comunione con il Figlio di Dio realizzata in questo lavacro. Il fatto che nella maggioranza dei casi il Battesimo si riceva da bambini mette in evidenza che si tratta di un dono di Dio: nessuno merita la vita eterna con le proprie forze. La misericordia di Dio, che cancella il peccato e permette di vivere nella propria esistenza “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5), viene comunicata all’uomo gratuitamente.
L’Apostolo delle genti, nella Lettera ai Filippesi, esprime il senso della trasformazione che si attua con la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, indicandone la meta: che “io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3,10-11). Il Battesimo, quindi, non è un rito del passato, ma l’incontro con Cristo che informa tutta l’esistenza del battezzato, gli dona la vita divina e lo chiama ad una conversione sincera, avviata e sostenuta dalla Grazia, che lo porti a raggiungere la statura adulta del Cristo.
Un nesso particolare lega il Battesimo alla Quaresima come momento favorevole per sperimentare la Grazia che salva. I Padri del Concilio Vaticano II hanno richiamato tutti i Pastori della Chiesa ad utilizzare “più abbondantemente gli elementi battesimali propri della liturgia quaresimale” (Cost.Sacrosanctum Concilium, 109). Da sempre, infatti, la Chiesa associa la Veglia Pasquale alla celebrazione del Battesimo: in questo Sacramento si realizza quel grande mistero per cui l’uomo muore al peccato, è fatto partecipe della vita nuova in Cristo Risorto e riceve lo stesso Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti (cfr Rm 8,11). Questo dono gratuito deve essere sempre ravvivato in ciascuno di noi e la Quaresima ci offre un percorso analogo al catecumenato, che per i cristiani della Chiesa antica, come pure per i catecumeni d’oggi, è una scuola insostituibile di fede e di vita cristiana: davvero essi vivono il Battesimo come un atto decisivo per tutta la loro esistenza.
2. Per intraprendere seriamente il cammino verso la Pasqua e prepararci a celebrare la Risurrezione del Signore - la festa più gioiosa e solenne di tutto l’Anno liturgico - che cosa può esserci di più adatto che lasciarci condurre dalla Parola di Dio? Per questo la Chiesa, nei testi evangelici delle domeniche di Quaresima, ci guida ad un incontro particolarmente intenso con il Signore, facendoci ripercorrere le tappe del cammino dell’iniziazione cristiana: per i catecumeni, nella prospettiva di ricevere il Sacramento della rinascita, per chi è battezzato, in vista di nuovi e decisivi passi nella sequela di Cristo e nel dono più pieno a Lui.
La prima domenica dell’itinerario quaresimale evidenzia la nostra condizione dell’uomo su questa terra. Il combattimento vittorioso contro le tentazioni, che dà inizio alla missione di Gesù, è un invito a prendere consapevolezza della propria fragilità per accogliere la Grazia che libera dal peccato e infonde nuova forza in Cristo, via, verità e vita (cfr Ordo Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). E’ un deciso richiamo a ricordare come la fede cristiana implichi, sull’esempio di Gesù e in unione con Lui, una lotta “contro i dominatori di questo mondo tenebroso” (Ef 6,12), nel quale il diavolo è all’opera e non si stanca, neppure oggi, di tentare l’uomo che vuole avvicinarsi al Signore: Cristo ne esce vittorioso, per aprire anche il nostro cuore alla speranza e guidarci a vincere le seduzioni del male.
Il Vangelo della Trasfigurazione del Signore pone davanti ai nostri occhi la gloria di Cristo, che anticipa la risurrezione e che annuncia la divinizzazione dell’uomo. La comunità cristiana prende coscienza di essere condotta, come gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, “in disparte, su un alto monte” (Mt 17,1), per accogliere nuovamente in Cristo, quali figli nel Figlio, il dono della Grazia di Dio: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” (v. 5). E’ l’invito a prendere le distanze dal rumore del quotidiano per immergersi nella presenza di Dio: Egli vuole trasmetterci, ogni giorno, una Parola che penetra nelle profondità del nostro spirito, dove discerne il bene e il male (cfr Eb 4,12) e rafforza la volontà di seguire il Signore.
La domanda di Gesù alla Samaritana: “Dammi da bere” (Gv 4,7), che viene proposta nella liturgia della terza domenica, esprime la passione di Dio per ogni uomo e vuole suscitare nel nostro cuore il desiderio del dono dell’ “acqua che zampilla per la vita eterna” (v. 14): è il dono dello Spirito Santo, che fa dei cristiani “veri adoratori” in grado di pregare il Padre “in spirito e verità” (v. 23). Solo quest’acqua può estinguere la nostra sete di bene, di verità e di bellezza! Solo quest’acqua, donataci dal Figlio, irriga i deserti dell’anima inquieta e insoddisfatta, “finché non riposa in Dio”, secondo le celebri parole di sant’Agostino.
La “domenica del cieco nato” presenta Cristo come luce del mondo. Il Vangelo interpella ciascuno di noi: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. “Credo, Signore!” (Gv 9,35.38), afferma con gioia il cieco nato, facendosi voce di ogni credente. Il miracolo della guarigione è il segno che Cristo, insieme alla vista, vuole aprire il nostro sguardo interiore, perché la nostra fede diventi sempre più profonda e possiamo riconoscere in Lui l’unico nostro Salvatore. Egli illumina tutte le oscurità della vita e porta l’uomo a vivere da “figlio della luce”.
Quando, nella quinta domenica, ci viene proclamata la risurrezione di Lazzaro, siamo messi di fronte al mistero ultimo della nostra esistenza: “Io sono la risurrezione e la vita… Credi questo?” (Gv11,25-26). Per la comunità cristiana è il momento di riporre con sincerità, insieme a Marta, tutta la speranza in Gesù di Nazareth: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (v. 27). La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare il confine della morte, per vivere senza fine in Lui. La fede nella risurrezione dei morti e la speranza della vita eterna aprono il nostro sguardo al senso ultimo della nostra esistenza: Dio ha creato l’uomo per la risurrezione e per la vita, e questa verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro esistenza personale e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica, all’economia. Privo della luce della fede l’universo intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza speranza.
Il percorso quaresimale trova il suo compimento nel Triduo Pasquale, particolarmente nella Grande Veglia nella Notte Santa: rinnovando le promesse battesimali, riaffermiamo che Cristo è il Signore della nostra vita, quella vita che Dio ci ha comunicato quando siamo rinati “dall’acqua e dallo Spirito Santo”, e riconfermiamo il nostro fermo impegno di corrispondere all’azione della Grazia per essere suoi discepoli.
3. Il nostro immergerci nella morte e risurrezione di Cristo attraverso il Sacramento del Battesimo, ci spinge ogni giorno a liberare il nostro cuore dal peso delle cose materiali, da un legame egoistico con la “terra”, che ci impoverisce e ci impedisce di essere disponibili e aperti a Dio e al prossimo. In Cristo, Dio si è rivelato come Amore (cfr 1Gv 4,7-10). La Croce di Cristo, la “parola della Croce” manifesta la potenza salvifica di Dio (cfr 1Cor 1,18), che si dona per rialzare l’uomo e portargli la salvezza: amore nella sua forma più radicale (cfr Enc. Deus caritas est, 12). Attraverso le pratiche tradizionali del digiuno, dell’elemosina e della preghiera, espressioni dell’impegno di conversione, la Quaresima educa a vivere in modo sempre più radicale l’amore di Cristo. Il digiuno, che può avere diverse motivazioni, acquista per il cristiano un significato profondamente religioso: rendendo più povera la nostra mensa impariamo a superare l’egoismo per vivere nella logica del dono e dell’amore; sopportando la privazione di qualche cosa - e non solo di superfluo - impariamo a distogliere lo sguardo dal nostro “io”, per scoprire Qualcuno accanto a noi e riconoscere Dio nei volti di tanti nostri fratelli. Per il cristiano il digiuno non ha nulla di intimistico, ma apre maggiormente a Dio e alle necessità degli uomini, e fa sì che l’amore per Dio sia anche amore per il prossimo (cfrMc 12,31).
Nel nostro cammino ci troviamo di fronte anche alla tentazione dell’avere, dell’avidità di denaro, che insidia il primato di Dio nella nostra vita. La bramosia del possesso provoca violenza, prevaricazione e morte; per questo la Chiesa, specialmente nel tempo quaresimale, richiama alla pratica dell’elemosina, alla capacità, cioè, di condivisione. L’idolatria dei beni, invece, non solo allontana dall’altro, ma spoglia l’uomo, lo rende infelice, lo inganna, lo illude senza realizzare ciò che promette, perché colloca le cose materiali al posto di Dio, unica fonte della vita. Come comprendere la bontà paterna di Dio se il cuore è pieno di sé e dei propri progetti, con i quali ci si illude di potersi assicurare il futuro? La tentazione è quella di pensare, come il ricco della parabola: “Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni…”. Conosciamo il giudizio del Signore: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita…” (Lc 12,19-20). La pratica dell’elemosina è un richiamo al primato di Dio e all’attenzione verso l’altro, per riscoprire il nostro Padre buono e ricevere la sua misericordia.
In tutto il periodo quaresimale, la Chiesa ci offre con particolare abbondanza la Parola di Dio. Meditandola ed interiorizzandola per viverla quotidianamente, impariamo una forma preziosa e insostituibile di preghiera, perché l’ascolto attento di Dio, che continua a parlare al nostro cuore, alimenta il cammino di fede che abbiamo iniziato nel giorno del Battesimo. La preghiera ci permette anche di acquisire una nuova concezione del tempo: senza la prospettiva dell’eternità e della trascendenza, infatti, esso scandisce semplicemente i nostri passi verso un orizzonte che non ha futuro. Nella preghiera troviamo, invece, tempo per Dio, per conoscere che “le sue parole non passeranno” (cfr Mc 13,31), per entrare in quell’intima comunione con Lui “che nessuno potrà toglierci” (cfr Gv 16,22) e che ci apre alla speranza che non delude, alla vita eterna.
In sintesi, l’itinerario quaresimale, nel quale siamo invitati a contemplare il Mistero della Croce, è “farsi conformi alla morte di Cristo” (Fil 3,10), per attuare una conversione profonda della nostra vita: lasciarci trasformare dall’azione dello Spirito Santo, come san Paolo sulla via di Damasco; orientare con decisione la nostra esistenza secondo la volontà di Dio; liberarci dal nostro egoismo, superando l’istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla carità di Cristo. Il periodo quaresimale è momento favorevole per riconoscere la nostra debolezza, accogliere, con una sincera revisione di vita, la Grazia rinnovatrice del Sacramento della Penitenza e camminare con decisione verso Cristo.
Cari fratelli e sorelle, mediante l’incontro personale col nostro Redentore e attraverso il digiuno, l’elemosina e la preghiera, il cammino di conversione verso la Pasqua ci conduce a riscoprire il nostro Battesimo. Rinnoviamo in questa Quaresima l’accoglienza della Grazia che Dio ci ha donato in quel momento, perché illumini e guidi tutte le nostre azioni. Quanto il Sacramento significa e realizza, siamo chiamati a viverlo ogni giorno in una sequela di Cristo sempre più generosa e autentica. In questo nostro itinerario, ci affidiamo alla Vergine Maria, che ha generato il Verbo di Dio nella fede e nella carne, per immergerci come Lei nella morte e risurrezione del suo Figlio Gesù ed avere la vita eterna.
Dal Vaticano, 4 novembre 2010

venerdì 25 marzo 2011

Conferenza di Jean Kouchner

AOSTA – Le concentrazioni editoriali sono compatibili con il pluralismo dell’informazione? I principi deontologici dei giornalisti hanno ancora senso e sono sufficienti in una realtà in cui la notizia è allo stesso tempo merce e servizio?
Sono alcune delle domande intorno alle quali si è svolto un interessante dibattito a seguito della conferenza di  Jean Kouchner, giornalista francese che accanto alla professione di cronista coltiva la ricerca teorica come professore associato all’Università di Montpellier 1, dove è direttore del Master di gestione dei media. 


Kouchner ne ha parlato ad Aosta, lunedì 21 marzo, in Biblioteca regionale alle 18, nell’ambito del ciclo di conferenze inserito nel programma della Saison Culturelle organizzata dall’assessorato alla Cultura. Giornalista della carta stampata, ma anche di radio e televisione, Kouchner ricopre un ruolo di direzione anche all’interno del gruppo Glenat, uno dei più importanti oltralpe. Le sue riflessioni si basano dunque anche sull’esperienza diretta che lo ha portato a porsi domande sul ruolo dei mezzi di comunicazione di massa e su chi vi lavora. 


Quello in Valle d’Aosta, per Kouchner, è un ritorno. In tempi recenti il giornalista-professore ha pubblicato, con il patrocinio del Consiglio regionale, il libro “L’odeur de la neige. Aventures valdotaines extraordinaires”, edito dalla casa editrice Musumeci.

mercoledì 23 marzo 2011

Jean- Luc Nancy

Jean-Luc Nancy, nato a Bordeaux nel 1940, insegna presso l’Università di Strasburgo, nonché alle Università di Berlino, San Diego, Berkeley e Irvine. Una delle figure più importanti e originali del pensiero contemporaneo internazionale, Nancy è il filosofo francese vivente più noto al mondo. Insieme a Jacques Derrida – che poco prima di morire dedicò un libro al suo pensiero – è il più grande maestro del decostruzionismo e del pensiero filosofico postmoderno.
Le sue riflessioni – partite dalle questioni della politica, della libertà e della comunità nonché della soggettività e della corporeità, si sono ampliate negli anni all’ambito dell’arte e dell’estetica, nonché a una rifondazione post-heideggeriana di un’ontologia che ci consegna tutti “non a un senso finale, bensì a un senso finito”, ovvero non trascendente, declinato in una molteplicità infinita di interpretazioni nella pluralità dei diversi soggetti viventi.
Nelle sue opere più recenti, Nancy si è dedicato alla decostruzione del cristianesimo, ovvero a un’analisi interna della religione cristiana per ritrovare al suo interno quei principi che, superando i confini di quella fede, costituiscono anche molti dei fondamenti della civiltà occidentale. Notevole interesse hanno suscitato inoltre i suoi libri autobiografici sulla condizione di trapiantato di cuore.
Tra le sue opere più significative tradotte in italiano segnaliamo: L’esperienza della libertà (Einaudi), sul tema della libertà come “dis-chiusura” del limite e di ogni identità; La comunità inoperosa (Cronopio); Il mito nazi (con Philippe Lacoue-Labarthe, Il Melangolo; Corpus (Cronopio); Essere singolare plurale (Einaudi), sul tema della unità/molteplicità, principi chiave della sua rifondazione dell’ontologia; La creazione del mondo o la mondializzazione (Einaudi); Noli me tangere: saggio sul levarsi del corpo (Bollati Boringhieri);
L’intruso (Cronopio), sull’esperienza autobiografica del trapianto cardiaco e della sopravvivenza consentita dalla presenza inassimilabile di un intruso, il cuore dell’altro; La pelle delle immagini (Bollati Boringhieri), sul tema della nudità intesa come svestirsi delle categorie logico-razionali del pensiero; La dischiusura. Decostruzione del Cristianesimo I (Cronopio); Il giusto e l’ingiusto (Feltrinelli); Il peso di un pensiero, l’approssimarsi (Mimesis). Il suo libro più recente, L’Adoration (Déconstruction du christianime II), apparso nel 2010 e non ancora tradotto, approfondisce il discorso della decostruzione del cristianesimo.

“Cortile dei Gentili”

L’apparato dei “media” cattolici francesi è in piena attività per sostenere l’iniziativa del “Cortile dei Gentili” che la prossima settimana proporrà due intensi giorni di incontri a Parigi (24 e 25 marzo). Notizie generali sull’iniziativa si possono avere consultando i siti internet www.atriumgentium.org, promosso dal Pontificio Consiglio, e per la Francia il sito www.parvisdesgentils.fr. La tivu cattolica KTO (sito www.ktotv.com/) seguirà l’evento in diretta, anche via satellite, insieme alla rete nazionale delle emittenti locali Radio Chretiennes Francophone (www.rcf.fr). Anche Radio Notre Dame manderà in onda i vari momenti, che potranno essere seguiti al di fuori di Parigi tramite una apposita radio-web creata per l’occasione e quindi fruibile in tutto il mondo. Per la stampa c’è la mobilitazione del quotidiano “La Croix” e di altre testate nazionali e locali. “Un evento molto significativo – ha spiegato p. Laurent Mazas, direttore esecutivo del “Cortile dei Gentili” – sarà costituito dall’invito ai non credenti, che vorranno partecipare all’incontro conclusivo sul piazzale della cattedrale di Notre-Dame, a entrare nella stessa cattedrale lasciando, se vorranno, un pensiero e una preghiera al ‘Dio sconosciuto’”. All’incontro presso l’Institut de France di venerdì 25 marzo (ore 15-18) sui temi della etica politica ed economica, è stata annunciata la presenza anche del ministro italiano alle Finanze, Giulio Tremonti, non ricompreso nel primo elenco dei relatori.
“L’intenzione dell’iniziativa del ‘cortile dei gentili’ che prende il via da Parigi non è quella di sostituirsi all’attività e alla pastorale delle Chiese nazionali, ma di offrire un contributo al dialogo tra i credenti e i non credenti, favorendo in seguito la nascita e lo sviluppo di analoghe iniziative da parte delle comunità cattoliche locali”: lo ha detto oggi in Vaticano il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, durante la presentazione del “Cortile dei Gentili” che prenderà il via a Parigi la prossima settimana con due giorni di incontri (24-25 marzo) all’Unesco, alla Sorbona, all’Institut de France e al College des Bernardins e incontro di chiusura sul sagrato di Notre-Dame con video messaggio del Papa. “Il ‘Cortile dei Gentili’ – ha detto ancora il cardinale – è uno spazio che deve avere una sua autonomia, non deve cercare un minimo comune denominatore, ma favorire il dialogo tra i credenti e i non credenti, allentando il muro di separatezza che li divide”. Secondo il card. Ravasi, “in questa prima fase che prende il via da Parigi il dialogo verrà stimolato in forma ‘alta’, coinvolgendo figure rappresentative dei diversi orizzonti scientifici e culturali, e toccando temi scottanti e fondamentali dell’esistere”.Tre colloqui su “Illuminismo, religioni e ragione comune” segneranno il 24 e 25 marzo il lancio a Parigi del “Cortile dei gentili”, la nuova “iniziativa di scambio, dialogo e azioni comuni fra credenti e non credenti”, promossa su indicazione di Benedetto XVI e affidata al Pontificio Consiglio della cultura. L’iniziativa, che viene presentata questa mattina in Vaticano, prende il nome dal vasto spazio un tempo dedicato nei pressi del tempio di Gerusalemme alla discussione fra ebrei e non ebrei, “si pone come complementare al dialogo interreligioso sviluppato da molti decenni – spiega una nota del dicastero vaticano - e costituisce un impegno della Chiesa sul lungo termine che interesserà numerose persone nel mondo, credenti e non credenti”. L’obiettivo è “contribuire a far sì che i grandi interrogativi dell’esistenza umana, soprattutto quelli di carattere spirituale, siano veramente presi in conto e dibattuti nelle nostre società grazie a una riflessione razionale comune”. La scelta per l’avvio del progetto è caduta su Parigi, “città che contiene l’eredità dell’illuminismo”. I tre colloqui si svolgeranno alla presenza del presidente del Pontificio Consiglio della cultura, card. Gianfranco Ravasi, in tre luoghi simbolici dello spazio laico. Il pomeriggio del 24 marzo all’Unesco, con la partecipazione della direttrice generale Irina Bokova, “perché questo dialogo è fondamentalmente una questione culturale ed è internazionale”.All’incontro interverranno tra gli altri Giuliano Amato, già presidente del Consiglio italiano, e Jean Vanier, fondatore de L’Arche. Il mattino del 25 marzo sarà l’Université Sorbonne ad ospitare l’incontro, “perché la realizzazione di questo dialogo deve essere favorita dalle esigenze e dagli apporti del dibattito universitario”. Tra i relatori Patrick Gerard, rettore d’Accademia e cancelliere delle università di Parigi, e il filosofo Jean-Luc Marion (Académie Française). Il pomeriggio dello stesso giorno appuntamento all’Institut de France, “perché sono interessati tutti gli ambiti del sapere e le discipline rappresentate nelle cinque Accademie”. Interverranno tra gli altri il cancelliere dell’Institut, Gabriel de Broglie, e Rémi Brague, membro dell’Académie des sciences morales et politiques. In serata si terrà al Collège des Bernardins una tavola rotonda conclusiva. La stessa sera si svolgerà anche un momento di festa sul sagrato della cattedrale di Notre-Dame. I partecipanti verranno accolti dal card. André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi. Un maxischermo sul sagrato trasmetterà un discorso del Papa sul senso e gli obiettivi dell’iniziativa. La cattedrale resterà aperta per chi vorrà pregare con la comunità di Taizé”. Dopo Parigi, altre città accoglieranno manifestazioni del “Cortile dei gentili”. Tra queste Firenze, Tirana, Stoccolma, Praga, Berlino, Quebec, Mosca, Chicago e Washington.

lunedì 21 marzo 2011

Scuola di Alta Formazione Filosofica: Jean-Luc Nancy

Giovedì 31 marzo ore 18 Galleria d’Arte Moderna Via Magenta 31 – Torino
 Jean-Luc Nancy - Che cosa vuol dire “collettivo”? con Ugo Perone

Lezione magistrale del IX ciclo di seminari
della Scuola di Alta Formazione Filosofica

Jean-Luc Nancy, massimo decostruzionista vivente, dedica al “superamento della decostruzione” il suo ciclo di seminari presso la Scuola di Alta Formazione Filosofica di Torino. Giovedì 31 marzo la lezione magistrale incentrata sul senso dell’“essere insieme”.

Sarà Jean-Luc Nancy – massimo esponente del decostruzionismo e del pensiero filosofico postmoderno francese insieme a Jacques Derrida, che qualche anno prima di morire gli fece l’onore di dedicare al suo pensiero un ampio volume – il docente ospite, dal 28 marzo al 1º aprile 2011, del IX ciclo di seminari, intitolato Pensare oltre e dopo la decostruzione, della Scuola di Alta Formazione Filosofica (SdAFF) di Torino.
Allievo di Paul Ricoeur, nel corso della sua carriera filosofica Nancy si è interessato alla politica, con ricerche sulle nozioni di comunità, libertà e soggettività, all’arte e all’estetica, anche in collaborazione con artisti quali Claudio Parmiggiani e Abbas Kiarostami, alla corporeità, in particolare con un libro autobiografico sulla sua esperienza di trapiantato di cuore e, più recentemente, alla decostruzione del cristianesimo.

Nel suo ciclo di incontri seminariali presso la Scuola di Alta Formazione Filosofica, Jean-Luc Nancy svilupperà, in una direzione del tutto inedita, uno dei concetti cardine delle sue ultime riflessioni, quello di “dis-chiusura”, ovvero di riapertura degli orizzonti concettuali del pensiero dell’Occidente, affrontando i temi della creazione di senso e del mondo, dell’ad-orazione – intesa come un rivolgersi all’altro –, nonché della pulsione – concepita come un andare verso – e dell’infinito.

Giovedì 31 marzo alle ore 18 presso la Galleria d’Arte Moderna di Torino, Nancy terrà inoltre una lezione magistrale in italiano intitolata Che cosa vuol dire “collettivo”?, in cui il concetto di “collettivo”, ovvero di “essere insieme”, inteso come presupposto e fondamento di uno dei temi centrali del suo pensiero, ovvero quello politico-sociale della comunità, verrà analizzato in stretta relazione con la nozione di libertà, vista come atto di dare inizio e far esistere qualcosa di nuovo, qualcosa che non c’è ancora. Con lui sarà presente Ugo Perone.

La Scuola di Alta Formazione Filosofica – fondata e diretta da Ugo Perone, ordinario di Filosofia Morale e direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Piemonte Orientale, organizzata dal Centro Studi Filosofico-religiosi “Luigi Pareyson” con il sostegno della Compagnia di San Paolo, la collaborazione della Società Filosofica Italiana, il patrocinio di Regione Piemonte, Provincia di Torino e Città di Torino – si pone come luogo d’incontro tra le grandi figure della filosofia mondiale invitate di volta in volta e un gruppo di giovani studiosi italiani e stranieri selezionati mediante bando e chiamati a mettersi in gioco, con il sostegno di alcuni tutor, all’interno dei seminari settimanali intensivi di 5 ore giornaliere a loro riservati.

Nell’ottica di un confronto più allargato sul tempo presente e sull’interpretazione della modernità, a ogni ciclo di seminari a numero chiuso la Scuola di Alta Formazione Filosofica affianca una conferenza pubblica intesa quale momento di dialogo con la società e la cultura. L’intento di rappresentare l’ampiezza e la complessità degli studi filosofici contemporanei della SdAFF si manifesta anche nella scelta dei filosofi ospiti dei seminari semestrali e della conferenza collegata.
Ai precedenti cicli seminariali sono stati invitati il fenomenologo francese Jean-Luc Marion, il filosofo tedesco Dieter Henrich, gli americani Charles Larmore e John R. Searle, l’ungherese Ágnes Heller, Emanuele Severino e il fenomenologo tedesco Bernhard Waldenfels.

Il "cortile dei gentili": dialogo tra credenti e non credenti

CITTA' DEL VATICANO, 18 MAR. 2011 (VIS). Questa mattina, presso la Sala Stampa della Santa Sede, ha avuto luogo la Conferenza Stampa di presentazione dell'iniziativa del Pontificio Consiglio della Cultura denominata "Cortile dei Gentili" - Due giorni di incontro e di dialogo fra credenti e non credenti a Parigi (24-25 marzo).
Alla Conferenza Stampa sono intervenuti il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura; il Padre Jean-Marie Laurent Mazas, F.S.J., Direttore Esecutivo del "Cortile dei Gentili" e il Signor Stanislas de Laboulaye, Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede.

"Per volere di Papa Benedetto XVI" - ha spiegato il Cardinale Ravasi - "la Chiesa ha deciso di impegnarsi in una nuova fase di dialogo, di scambi e di azioni comuni fra credenti e non credenti, fase affidata al Pontificio Consiglio della Cultura".

Il Nome "Cortile dei Gentili" rappresenta "l'immagine del vasto spazio, in prossimità del Tempio di Gerusalemme, una volta riservato alle discussioni fra giudei e non giudei. Complementare del dialogo interreligioso sviluppatosi da diversi decenni, costituisce un impegno a lungo termine della Chiesa e riguarda le numerose persone nel mondo, credenti e non credenti".

"Il suo obiettivo" - ha proseguito il Cardinale Ravasi - "è quello di contribuire affinché i grandi interrogativi dell'esistenza umana, in particolare gli interrogativi di carattere spirituale, siano effettivamente tenuti in conto e discussi nella nostra società, ponendo in opera la nostra ragione comune".

"Quel simbolo di apartheid e di separatezza sacrale" - ha proseguito il Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura - "che era il muro del 'Cortile dei Gentili' è, quindi, cancellato da Cristo che desidera eliminare le barriere per un incontro nell'armonia tra i due popoli. (...) Credenti e non credenti stanno su territori differenti, ma non si devono rinserrare in un isolazionismo sacrale o laico, ignorandosi o peggio scagliandosi sberleffi o accuse, come vorrebbero i fondamentalisti di entrambi gli schieramenti. Certo, non si devono appiattire le differenze, liquidare le diverse concezioni, ignorare le discordanze. Ognuno ha i piedi piantati in un 'cortile' separato, ma i pensieri e le parole, le opere e le scelte possono confrontarsi e persino incontrarsi".

"Ricorrendo a un gioco di parole assonanti (ma non di etimologie), tra Cristiani e Gentili si potrebbe adottare la tecnica del duello in uno scontro all'arma bianca, alla maniera dell'ateo e del gesuita del film La Via Lattea di Buñuel" - ha concluso il Cardinale Ravasi - "Quello che il progetto denominato 'Cortile dei Gentili' vuole proporre è, invece, un duetto (dal latino duo) ove le voci possono appartenere anche agli antipodi sonori, come un basso e un soprano, eppure riescono a creare armonia, senza per questo rinunciare alla propria identità, cioè, fuor di metafora, senza scolorirsi in un vago sincretismo ideologico".

Nel pomeriggio di giovedì 24 marzo, presso la sede dell'UNESCO, avrà luogo la sessione inaugurale, presieduta dalla Direttrice Generale Signora Irina Bokova, alla quale assisteranno diplomatici e rappresentanti della cultura.

Venerdì 25 marzo, sono previsti tre colloqui sul tema: "Religione, lume e ragione", la mattina presso l'Università la Sorbona, e nel pomeriggio presso l'Institut de France e le Collège des Bernardins. La giornata si concluderà con una festa aperta a tutti, in particolare ai giovani, sul tema: "L'Atrio dello Sconosciuto", organizzata in Notre Dame de Parìs. In questa occasione il Papa parlerà sul significato e gli obiettivi di questa iniziativa del Pontificio Consiglio della Cultura in un discorso che sarà trasmesso su di un maxi schermo.

giovedì 17 marzo 2011

150 anni: S. Maria degli angeli



Omelia del Card. Angelo Bagnasco
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia

Roma, 17 marzo 2011, Basilica di S. Maria degli Angeli

Siamo qui oggi – insieme ai Presidenti delle conferenze episcopali regionali - per elevare a Dio l’inno di ringraziamento per l’Italia. Non è retorica, né tantomeno nostalgia quella che ci muove, ma la consapevolezza che la Patria che ci ha generato è una preziosa eredità e insieme una esigente responsabilità. L’Eucaristia che stiamo celebrando in questa Basilica di S. Maria degli Angeli - uno degli innumerevoli scrigni di bellezza custoditi dal nostro Paese - ci invita ad oltrepassare le contingenze del momento presente e ad allargare lo sguardo a quella singolare ‘Provvidenza’ che ha condotto gli italiani a diventare sempre più consapevoli dell’Italia. Ben prima dell’Italia in senso stretto, infatti, è esistita una sotterranea tensione morale e spirituale in cui si sono forgiate la lingua e progressivamente la sensibilità e la cultura e che ha condotto, per vie non sempre rettilinee, a dar vita all’Italia. Di essa tutti ci sentiamo oggi orgogliosamente figli perché a lei tutti dobbiamo gran parte della nostra identità umana e religiosa.

Signore, la tua bontà dura per sempre”

La Liturgia ci ha posto sulle labbra queste parole e ancor più nel nostro cuore: sentimento di lode e di gratitudine per i doni di Dio, e, tra questi, la grazia di appartenere ad un popolo, di avere una storia e un destino comune, di avere un volto: di non essere civilmente orfani. La Patria, nello stesso linguaggio comune, esprime una paternità, così come la Madrepatria esprime una maternità: il popolo che nasce da ideali alti e comuni, che vive secondo valori nobili di giustizia e solidarietà, che sviluppa uno stile di relazioni virtuose, respira un anima spirituale capace di toccare le menti e i cuori, è un popolo vivo, prende volto, assapora e si riconosce uno, diventa Nazione e Patria, offre sostanza allo Stato. L’unificazione, come ha scritto il santo Padre, Benedetto XVI, al Presidente della Repubblica, “è il naturale sbocco di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo”. E’ questa la vera forza della società e dello Stato, il tesoro più grande da custodire con amore e da trasmettere alle giovani generazioni. Si è parlato di volto: senza volto infatti non ci si incontra, non si riesce a conoscersi, a stimarsi, a correggersi, a camminare insieme, a lavorare per gli stessi obiettivi, ad essere “popolo”.
Tale volto rivela l’identità plurale e variegata della nostra Patria, in cui convivono peculiarità e tradizioni che si sviluppano in modo armonico e solidale, secondo quello che don Luigi Sturzo chiamava il “sano agonismo della libertà”. E potremmo aggiungere della operosità.
La religione, in genere, e in Italia, le comunità cristiane in particolare, sono state e sono lievito accanto alla gente: sono prossimità di condivisione e di speranza evangelica, sorgente generatrice del senso della vita, memoria permanente di valori morali. I 100.000 campanili della nostra Italia, ispirano un sentire comune diffuso che identifica senza escludere, che fa riconoscere, avvicina, sollecita il senso di cordiale appartenenza e di generosa partecipazione alla comunità cristiana, alla vita del borgo e del paese, delle città e delle regioni, dello Stato.
Come non esprimere, poi, affetto ed ammirazione per Roma, capitale d’Italia, memoria vivente della nostra storia plurimillenaria e provvidenziale sede del Successore di Pietro, centro della Cattolicità! Significative al riguardo le parole del card. Giovanni Battista Montini all’indomani del I centenario dell’Unità:”Il nome di Roma appare nelle intenzioni divine” (Campidoglio, 10 ottobre 1962).

Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”

Il Vangelo di oggi evidenzia una delle grandi regole di ogni comunità, la legge della relazione. La nostra vera identità infatti sta nel legame. La beatitudine della vita si pesa nel dare e nel ricevere amore. A partire da dove? A partire dalla regola evangelica che gli esegeti chiamano la regola d’oro: “Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, questo anche voi fate a loro”. Prodigiosa semplificazione della legge etica. Tutta la legge la imparerò a partire da ciò che desidero per me: fate agli altri quello che desiderate per voi.
“Come agire allora? A partire da me, ma non per me” (Martin Buber, Il cammino dell’uomo). Nessuno è l’obiettivo di se stesso!
Solo uscendo dalla trappola mortale di un individualismo che ha mostrato chiaramente le sue falle e i suoi inganni, sarà possibile ritrovare un bene più ampio e a misura umana, che tutti desideriamo. L’uomo non è una monade gettata per caso nel caos, un caos abitato da innumerevoli altre che vagano come scintille nella notte, ma è relazione, come Dio-Creatore è relazione di persone nell’ intimità del suo essere. Da questa origine deriva nell’uomo un indirizzo di marcia che, prima che essere un imperativo morale, è un’esigenza ontologica, scritta cioè nelle fibre del suo essere uomo. Seguire questa direzione profonda significa per la persona raggiungere se stessa, compiersi, creare una società ricca di relazioni positive. Viceversa, allontanarsi vuol dire negarsi a se stessa, e perdersi in una libertà innamorata di sé: l’individuo è destinato a trovarsi solo con se stesso, e la società che ne consegue sarà tendenzialmente frammentata e insicura, diventerà progressivamente paurosa e aggressiva, ripiegata e autoreferenziale. Il prendersi in carico gli uni gli altri, nella quotidianità dei giorni e degli anni, sarà visto come un insopportabile attentato alla libertà individuale e alla felicità, o come un peso insostenibile per la collettività.

Da questo altare, da dove eleviamo un’intesa preghiera per il nostro Pese, la Chiesa rinnova il suo amore per l’Italia e la gioia di servire il popolo italiano secondo il Vangelo. Come Pastori, al nostro Paese auguriamo di far proprie le parole del salmo: “Rendo grazie al tuo nome, Signore, per la tua fedeltà e la tua misericordia. Nel giorno in cui t’ho invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza.
Amen.



Card. Angelo Bagnasco
Arcivescovo di Genova
Presidente della CEI

giovedì 10 marzo 2011

I significati della nostra bandiera

Come ogni bandiera del mondo, la bandiera italiana non è nata per caso. Infatti esistono vari motivi per cui essa è com’è definita dalla Costituzione:il verde, il bianco e il rosso erano presenti nelle bandiere dei più importanti Stati Italiani[1];

il verde simboleggia la speranza, a lungo coltivata e spesso delusa durante l'Ottocento, in un'Italia unita e libera, e la macchia mediterranea, fondamentale elemento del paesaggio italiano;

il bianco rappresenta le fede cristiana cattolica, professata dalla maggioranza degli Italiani, e le Alpi, famose per i loro ghiacciai;

il rosso ricorda il sangue sparso per l'Unità d'Italia;

questi tre colori, inoltre, erano già noti ai tempi di Dante Alighieri, e lo si vede nella sua Commedia, come simboli delle tre virtù teologali: verde-speranza; bianco-fede; rosso-carità (Purg. canto XXX, v.30-33): di conseguenza rappresentano la cultura e la letteratura italiana in generale;

i tre colori sono stati disposti a bande verticali di uguale spessore perché tale motivo ricorda la Rivoluzione Francese (è infatti lo schema della Bandiera della Francia) e di conseguenza gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità.

UNITÀ D'ITALIA : Le ragioni dei cattolici

Il 17 marzo si celebra il 150° dell'Unità d'Italia. Per l'occasione il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, presiederà una Messa nella basilica di santa Maria degli Angeli a Roma. "Non devono stupire il sostegno e la sottolineatura della Chiesa a questo significativo anniversario", ha detto al SIR Giuseppe Dalla Torre, giurista e rettore della Lumsa. Lo abbiamo intervistato.

Il Risorgimento è nato in ambito principalmente anticlericale, eppure oggi sono proprio i cattolici i maggiori sostenitori del 150° dello Stato unitario. Perché?

"Non esiste solo un Risorgimento 'scomunicato'. Indubbiamente c'è stato un serio conflitto tra Stato e Chiesa, ma insistervi eccessivamente - come spesso ha fatto la storiografia - conduce ad una lettura parziale che non fa cogliere a pieno la profondità e complessità dei processi che hanno portato all'Unità, e fa dimenticare quel moto risorgimentale 'cattolico' che conta esponenti come Pellico, Manzoni, Rosmini e Gioberti. I cattolici hanno offerto un contributo fondamentale a 'fare gli italiani', ossia la base dell'unità politica. Senza questa identità comune l'unità politica non avrebbe retto".

Dopo il Forum del progetto culturale dedicato all'Unità, la Messa del card. Bagnasco il 17 marzo. Come se lo spiega?

"La Chiesa italiana auspica che questa commemorazione non abbia funzione meramente evocativa o celebrativa, ma sia un richiamo per il presente e il futuro. Di fronte ad una società che rischia di vedere attenuati il senso di identità e appartenenza, mi sembra che la preoccupazione della Cei sia quella di far riscoprire nelle radici comuni le ragioni dello stare insieme oggi e domani per rinsaldarle. Il discorso investe due aspetti. Nell'attuale contesto italiano multietnico e multiculturale occorre un'identità nazionale ben forte. Ma vi sono anche implicazioni interne. I fenomeni dei localismi, di per sé non negativi, debbono essere orientati verso profili di autentica solidarietà per rafforzare l'unità nazionale scongiurando il rischio di disgregazioni".

Quale, secondo lei, il ruolo dei cattolici nel Risorgimento, soprattutto a livello di territorio accanto alla gente comune?

"Il conflitto verificatosi a livello istituzionale - non a livello di società - tra Stato e Chiesa ha portato tra l'altro al non expedit. Con l'astensione dei cattolici dalla vita politica il loro impegno e le loro energie si sono convogliate nel sociale: istituzioni educative, caritative, assistenziali. Negli anni dello Stato liberale i cattolici hanno lavorato intensamente in questo ambito, in maniera capillare e con un fortissimo radicamento sul territorio, immettendo un capitale di esperienza, idee e pensiero che nel secondo dopoguerra ha concorso in modo rilevante alla creazione di una società nuova e diversa, sostanzialmente ispirata ai grandi valori della solidarietà, della socialità e della sussidiarietà".

Qualche esempio, al di là degli episodi più noti legati alle istituzioni religiose o al nascente associazionismo cattolico?

"Nel 1865 venne introdotto il matrimonio civile obbligatorio. Di lì partì l'impegno sociale dei parroci di informazione nei confronti delle masse rurali incolte, per le quali il matrimonio era solo quello celebrato in chiesa, per convincerle a sposarsi anche in Comune, pena il non riconoscimento degli effetti civili. E ancora, il prezioso ruolo dei cappellani militari. Durante la prima guerra mondiale in cui centinaia di migliaia di poveri contadini analfabeti hanno conosciuto la tremenda vita di trincea, l'unico a tenere per loro i contatti con la famiglia tentando di mantenere una dimensione di umanità in quel contesto disumano, era il cappellano militare. Esempi di una Chiesa impegnata concretamente, attraverso i suoi uomini, nell'animazione umana oltre che religiosa della società civile".

Quale il contributo dei cattolici nel vuoto politico-istituzionale del 1943?

"La Chiesa è stata la 'levatrice saggia' della transizione dal regime precedente al nuovo Stato. I cattolici sono riusciti a favorire un passaggio che ha visto convergere le diverse posizioni politiche e culturali e ha costituito la premessa per l'assunzione, da parte loro, della guida del Paese nel secondo dopoguerra. Illuminanti le parole di Guido Gonella, al primo convegno Dc del 1945, sulla volontà di 'costruire il nuovo Stato' con il concorso di tutte le forze politiche. Uno stile che rivela lo spessore di responsabilità dei cattolici nei confronti del Paese".

In che modo la ricorrenza del 17 marzo interpella oggi il mondo cattolico?

"Chiamandolo ad una duplice responsabilità. Anzitutto di tipo sostanziale: la religione non demonizza la politica, ma prevede un impegno. Per il credente, quindi, essere un buon cittadino e offrire il proprio contributo alla crescita della società civile è un dovere 'religioso'. Il secondo compito attiene alla pedagogia: mi sembra che le agenzie educative - scuola, parrocchia, associazioni - dovrebbero imprimere nuovo vigore alla formazione delle nuove generazioni all'amore di patria, al senso di cittadinanza e allo spendersi per il bene comune".

(Fonte: SIR)

venerdì 4 marzo 2011

Cultura e Società: La diocesi e il Risorgimento, incontro alla Gregoriana

Nei primi anni dell'unità d'Italia il Vicariato passa da istituzione giuridica a prettamente pastorale. Il ruolo svolto dalle Opere Pie e dagli istituti religiosi femminili di Jacopo D'Andrea

L’unità d’Italia, il ruolo della diocesi di Roma nel Risorgimento e nuovi spunti di ricerca storiografica su di alcuni temi. Di questo e di altro si è parlato il 2 marzo alla Pontificia Università Gregoriana, durante il convegno “La Diocesi di Roma e il Risorgimento, spunti per nuove letture storiografiche” organizzato dalla stessa Gregoriana e dalla Pontificia Facoltà di scienze dell’educazione Auxilium in collaborazione con l’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa. A moderare il dibattito il giornalista e saggista Giuseppe Novero che ha sottolineato come «gli storici spesso sono stati troppo celebrativi sul Risorgimento dimenticando a volte che il processo d’unificazione fu complesso e travagliato».

E complesso è stato l’argomento di cui ha parlato il professor Domenico Rocciolo della Pontificia Università Gregoriana, direttore anche dell’archivio storico diocesano, ovvero “I circoli giovanili cattolici del primo Novecento”. L’analisi di Rocciolo, basata sulla documentazione originale degli statuti di queste organizzazioni, ha verificato come le varie congreghe giovanili cattoliche siano riuscite a radicarsi sul territorio durante il primo trentennio del ‘900 allo scopo di richiamare quanti più giovani fedeli ad un impegno sociale in favore degli svantaggiati.

Su di un argomento poco battuto dalla storiografia sul Risorgimento è stata anche la relazione di suor Grazia Loparco. La religiosa, attraverso l’esperienza documentata di Marietta Guerrini (un ispettrice del Ministero dell’Istruzione di fine ‘800), ha potuto stabilire come «effettivamente le religiose degli istituti educativi femminili parteciparono alla trasformazione dell’Italia venendo giudicate ottime educatrici».

Su “Gli ospedali romani dopo l’Unificazione” si è invece soffermata la professoressa Manola Ida Venzo dell’Archivio di Stato di Roma, che ha studiato le maggiori strutture ospedaliere dell’epoca (alcune esistono tutt’ora) come il Fatebenefratelli e il San Gallicano. «Le Opere Pie – ha sottolineato Venzo – davano asilo e aiutavano la gran parte della popolazione romana dell’epoca (1870 circa) che si trovava in stato d’indigenza: ben 65mila persone su di un totale di 213mila».

Spazio anche alla storia del Vicariato di Roma dopo il 1870. «Da istituzione prettamente giuridica e basata sui tribunali al suo ruolo prettamente pastorale e diocesano» ha affermato il professor Roberto Regoli della Pontificia Università Gregoriana. E ha rimarcato come sotto Pio XI «si consolida la distinzione tra Vaticano e Vicariato: cioè l’accentuazione del lato politico nel primo e il ruolo pastorale nel secondo». Distinzione che, comunque, non impedirà al Vicariato di divenire dopo il pontificato di Papa Ratti «un canale prezioso di comunicazione fra le due sponde del Tevere».

Il convegno si è concluso con lo studio del professor Filippo Lovison della Pontificia Università Gregoriana che ha parlato dello scontro fra «liberi pensatori e reduci della difesa del Papato» cioè dei sostenitori di un anticlericalismo spesso esasperato contrapposti ai cattolici intransigenti. Contrapposizione da cui la Chiesa riuscirà a «essere una presenza fondamentale anche dopo la breccia di Porta Pia, nel superare l’ottica delle due Rome: quella dei Cesari e quella dei Papi», ha concluso Lovison.

3 marzo 2011

(fonte: www.romasette.it)