giovedì 18 luglio 2019

Luna

Nel 1835 apparvero sul New York Sun diversi articoli che riferivano di incredibili scoperte dell'astronomo Sir John Herschel. Aveva scoperto grazie ad un nuovo modello di telescopio, forme di vita sulla Luna. In questi articoli si dava anche descrizione di queste creature. Vi erano esseri simili agli umani ma con grandi ali di pipistrello che vivevano alquanto pacificamente. Ci fu naturalmente un immediato interesse a livello mondiale di questo articolo. Un prete americano intraprese una colletta nella sua parrocchia per poter procurare delle Bibbie agli abitanti della Luna. Una società missionaria iniziò ad organizzare una spedizione al fine di evangelizzare quelle creature. Dopo poco tutto si rivelò una grande e ben congegnata bufala, una delle più strepitose nella storia del giornalismo. Su questa Great Moon Hoax sorprese non tanto la risonanza mondiale, quanto il fatto che le dettagliate descrizioni della flora e della fauna lunare non vennero quasi mai messe in discussione dagli scienziati.


giovedì 12 gennaio 2017

lunedì 18 aprile 2016

Intervista ad Alain de Benoist

Dopo gli incidenti suscitati nelle scuole dal rifiuto di alcuni studenti di osservare un minuto di silenzio in omaggio ai morti di “Charlie Hebdo”, Najat Vallaud-Belkacem annuncia il varo di un ampio programma di “formazione dei futuri cittadini ai valori della Repubblica” e aggiunge che “i candidati professori saranno d’ora in poi valutati sulla base della loro capacità di far condividere i valori della Repubblica”. Che cosa significa?
I «valori della Repubblica» che oggi vengono invocati ritualmente si riducono ad un solo concetto: la licità. Una laicità che non è la laicità “prudenziale” di cui parlava Émile Poulat, ma una sorta di nuova religione pubblica che, per imporsi, esige che il bambino sia sottratto a qualunque appartenenza, a qualunque credenza, a qualunque identità ereditata. È il principio stesso della metafisica progressista: l’idea che una società libera e fraterna potrà nascere solo dalla distruzione di tutte le forme particolari di radicamento. È altresì l’ideale di una società che si presume sia composta di soggetti autosufficienti, senza alcuna forma di impegno o di reciproco attaccamento che non sia volontaria, razionale o contrattuale. Vincente Peillon, d’altronde, lo aveva detto senza nascondersi dietro un dito: la scuola deve “strappare l’alunno a tutti i determinismi: familiare, etnico, sociale, intellettuale”. Per i moderni, essere liberi significa essere indeterminati. Il postulato basilare è che degli allievi a cui siano state tagliate le radici saranno portati alla “tolleranza”. In termini chiari: i bambini di origine immigrata si sentiranno meno stranieri in Francia quando i giovani francesi si sentiranno a loro volta stranieri a casa propria. Ovviamente, non è altro che un pio desiderio, giacché l’indistinzione generalizzata è fondamentalmente produttrice di conflitti. Inoltre, è una evidente deviazione del ruolo della scuola.
L’istituzione scolastica già non se la passa affatto bene. Negli ultimi anni, sono stati pubblicati innumerevoli libri per denunciare il calo di livello di una scuola trasformata in una “fabbrica di cretini”, come ha scritto Jean-Paul Brighelli. La colpa è delle riforme? Degli insegnanti?
Smettiamo di credere che la maggior parte degli insegnanti siano dei “sessantottini attardati”. Sono, anzi, nell’immensa maggioranza dei funzionari conformisti, che gestiscono le cose come possono e la cui principale preoccupazione è conformarsi all’ingiunzione che ricevono di evitare di “smuovere le acque”. Le continue riforme adottate da governi di destra o di sinistra da cinquant’anni a questa parte in genere hanno aggravato la situazione, ma è assolutamente inutile prendersela cin esse se non si capisce da quale ideologia discendono. La crisi della scuola ha fondamentalmente cause ideologiche. Ne distinguo almeno quattro. La prima è quella di cui ho già parlato. La si può riassumere in una frase: il rifiuto di trasmettere. François- Xavier Bellamy, nella sua eccellente opera intitolata Les déshérités, riporta queste parole di un ispettore generale dell’Educazione nazionale, che lo avevano profondamente segnato quando era un giovane insegnante: “Lei non ha niente da trasmettere!”. In questa prospettiva, la trasmissione della cultura è automaticamente sospetta di “alienazione” e “chiusura”. La cultura deve essere “decostruita” per poter fondare il sapere sulla sola ragione. Valérie Pecresse, ministro Ump dell’Insegnamento superiore, aveva perciò soppresso dai concorsi di ingresso alle “grandi scuole” la prova di cultura generale, giudicata “discriminatoria”. Oggi, interi pezzi di cultura vengono gradualmente abbandonati adducendo come motivo la lotta contro gli “stereotipi”, in particolare nell’ambito del “genere”. La memoria e l’identità di un popolo scompaiono così dall’apprendimento scolastico. A questa ideologia del rifiuto della trasmissione si aggiunge molto classicamente il vecchio egualitarismo. Poiché ci si rifiuta di ammettere che gli allievi non sono tutti egualmente capaci, dall’eguaglianza delle possibilità in partenza si passa all’eguaglianza dei risultati all’arrivo (l’intera classe deve “avere la maturità”). Risultati: crollo dei livelli, aumento degli illetterati e diplomi al ribasso. “A partire dal momento in cui si proibisce di trasmettere la cultura sostenendo che è discriminatoria”, scrive ancora François-Xavier Bellamy, “si rende l’origine sociale degli allievi più determinante che mai. Dato che il sapere non viene trasmesso a scuola, saranno salvati solo quelli che lo ricevono in famiglia”. La pensa così anche Michel Onfray: “La scuola di oggi uccide sul posto i figli di poveri e seleziona i figli delle classi favorite che monetizzano nella vita attiva non quel che hanno appreso a scuola ma quel che hanno appreso a casa”. In nome dell’eguaglianza si è così messo in piedi il sistema scolastico più inegualitario che esista. Bourdieu ha prodotto il sistema che metteva sotto accusa. Il terzo fattore, aggravato dal generale discredito del concetto di autorità, è il “pedagogismo” degli anni Ottanta e Novanta, il cui grande teorico è stato Philippe Meirieu (quello che un tempo proclamava che bisognava imparare a leggere sui fogli di istruzioni degli elettrodomestici). Con il pretesto di mettersi “all’altezza del bambino”, esso finisce con l’abbandonare ogni logica educativa, onde, come stabiliva la legge Jospin del luglio 1989, lasciare che il bambino “costruisca da solo i propri saperi”. Trasformato in gentile istruttore- accompagnatore, il buon professore sarebbe quello che lascia l’alunno “essere se stesso” in una scuola trasformata in “luogo di vita”. Da ciò discende la scomparsa dei corsi magistrali (a profitto delle “sequenze pedagogiche”) e la moltiplicazione delle “sperimentazioni” più aberranti, che hanno trascinato il sistema ancor più in basso. L’ultima influenza è più recente. È la concezione utilitaristica o “manageriale”, per la quale la scuola esiste non per educare ma per fornire “strumenti”, un “bagaglio” per trovare un mestiere. In questa concezione puramente mercantile della scuola, la cultura generale e gli studi classici vengono soppressi in dipendenza dal fatto che li si giudica “inutili”. La cultura, che appartiene all’ambito dell’essere, è ridotta ad un “capitale” quanto più leggero possibile, pensato nella sua totalità nel vocabolario dell’avere, giacché lo scopo è fabbricare “individui indeterminati, indifferenziati e indifferenti, attori e prodotti perfetti della società dei consumi”, come sostiene Bellamy. “Dal punto di vista antropologico”, scriveva Pasolini, “la rivoluzione capitalista esige uomini sprovvisti di legami con il passato”. Nel momento in cui si va verso l’instaurazione nella scuola del “tutto digitale”, questa tendenza è ovviamente destinata a svilupparsi.
Esistono delle soluzioni?
Se si vuol favorire negli allievi di qualsiasi origine la volontà di appartenere alla Francia, bisogna stabilire il principio che la Francia è prima di tutto una nazione (prima di essere una “Repubblica”) e che, come ha di recente ricordato Robert Redeker, l’amore di una nazione si nutre di due elementi basilari: l’amore della lingua e l’amore della storia. Ebbene: l’insegnamento della storia, della lingua e della letteratura francesi è stato sistematicamente distrutto. Non sarà la “laicità” a surrogarlo. In ultima analisi, non si può fare a meno di un’antropologia. Il problema è capire se l’uomo è o no un essere sociale la cui cultura è inerente alla sua natura umana, e se il dato specifico dell’esperienza umana sta nel fatto che noi non siamo immediatamente noi stessi. Finché queste questioni non saranno state poste, la scuola continuerà a sprofondare.
(28 gennaio 2015) 

domenica 10 aprile 2016

Un ricordo e un intervista al Card. Cottier



In un caldo mese di agosto, sul finire degli anni 90, mi ero recata, accompagnata dal mio vescovo di allora, Mons. Fernando Charrier, che amava trascorrere alcuni giorni di ferie tra le sue montagne, per un paio di settimane nella foresteria del Monastero della Visitazione di Pinerolo. Inizialmente non ero molto entusiasta a quell'idea. Quella delle "Visitandine" era una spiritualità che ancora non conoscevo e non mi diceva molto. Ma Mons. Charrier era legatissimo a quella comunità, vi era praticamente cresciuto, abitando vicino al monastero, me lo descriveva come un luogo storico, spiritualmente e artisticamente interessante, fondato nel '600, visitato dalla stessa S. Giovanna Freymot di Chantal, cofondatrice insieme a S. Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, dell'Ordine della Visitazione. Alla fine dovetti dargli ragione, oltre ogni aspettativa, perché conobbi una comunità accogliente e affettuosa, e vi trovai anche un ospite di riguardo. 

Padre Cottier si recava in quel luogo in estate, nei giorni precedenti alla festività dell'Assunta, per tenere delle catechesi alle monache. Lasciava sempre spazio a domande e curiosità, ed io, fresca di conversione, avevo trovato in lui una straordinaria disponibilità nel rispondere a tutte le questioni che mi arrovellavano. In quel bel contesto lessi le opere principali del S.Francesco di Sales e tutto quanto mi parve interessante nella fornita biblioteca del monastero. La mia prima chiacchierata con Padre Cottier, terminò con l'invito di andare a trovarlo qualora fossi passata da Roma. Così avvenne. Ma la prima volta fu per caso. Alla fine della storica celebrazione in S. Pietro, in cui si chiedeva perdono per le colpe della Chiesa, fortemente voluta da Giovanni Paolo II, lo incontrai all'uscita dalla Basilica di S. Pietro, alla fine del rito penitenziale.

Aveva un piccolo e spartano alloggio nel Palazzo Apostolico, sotto la loggia del Santo Padre, pieno di libri e riviste, con una minuscola cappellina, mi parlò del Priorato di Saint Pierre in Valle d'Aosta, una casa di riposo per sacerdoti anziani che in estate si trasforma in casa per esercizi spirituali.    Si recava in quel luogo ogni anno, sul finire del mese di agosto, per predicare gli esercizi. Da allora, per diversi anni, quello è diventato per me un appuntamento fisso. 

Venuta a conoscenza della sua scomparsa qualche giorno fa sono andata a ritrovare i miei taccuini di appunti sulle sue meditazioni, in genere leggeva e ci commentava le lettere paoline. Agli esercizi partecipavano persone molto diverse tra loro, laici, religiose, vi erano insegnanti di vario genere, ma anche operatori sociali, inutile dire che era sempre a disposizione di tutti, per le confessioni, per i consigli, per ogni necessità e tutti erano trattati allo stesso modo. Diventando cardinale, nel 2003, non ha cambiato il suo modo di trattare con le persone, continuava ad arrossire quando, alla fine delle meditazioni, qualcuno applaudiva. Anche quando alla fine del lungo pontificato di Giovanni Paolo II, venne sostituito come teologo della casa pontificia da un altro padre domenicano, è rimasto a servizio come teologo emerito spostandosi in un altro semplice piccolo alloggio non lontano dall'aula Nervi. Niente di più lontano dall'immagine di certi attici di cui si parla in questi giorni. 

L'ultima volta che ci siamo incontrati è stato circa quattro anni addietro. Ero a Roma per i miei esami  di "Scienze Religiose" e dovevo prendere una decisione che mi costava fatica. Ancora una volta mi veniva chiesto una radicale cambiamento di programma, ero molto recalcitrante e necessitavo di saggi consigli. Il Padre mi ascoltò con attenzione come sempre, poi non disse molte parole ma pregammo insieme nella sua cappellina per qualche minuto, prima del commiato, e, come sempre, mi diede la sua benedizione. 

L' intervista che segue è stata realizzata a Saint Pierre dopo i consueti esercizi spirituali ed è stata sicuramente determinante perché io mi decidessi a iniziare a studiare teologia in modo ordinato e sistematico.

                                                                           ***

"D. Quali sono i più diffusi errori teologici e le sfide per i cattolici del terzo millennio?

R. E’ una grossissima questione. Gli errori teologici ci sono sempre stati. Perciò c’è un Magistero della Chiesa che ci ricorda quale è l’interpretazione autentica della parola di Dio, perché la teologia è una riflessione umana alla luce della fede sul contenuto del messaggio biblico evangelico, questo messaggio è ricchissimo e anche complesso. Da sempre esistono errori di interpretazione, perciò per noi cattolici, questo messaggio della parola di Dio è affidato alla Chiesa e nella Chiesa è affidato al Magistero della Chiesa che ci dice qual è la linea giusta. Questo non toglie la necessità della teologia, nel senso di riflessione fatta da tutti i cristiani che devono “pensare” la loro fede, poi c’è una disciplina più specializzata, scientifica, chiamiamola teologia, che è un discorso di riflessione sul contenuto, le ricchezze e l’armonia del messaggio rivelato. Tutti i grandi Concili ecumenici sono intervenuti perché c’erano degli errori, prima di tutto sull’identità di Cristo, sul mistero stesso di Dio o sul mistero della S. Trinità. Questo mi sembra l’asse della riflessione teologica che ha provocato la Chiesa a precisare e lo fa lungo tutta la sua storia. Oggi i problemi riguardano l’incontro con le altre religioni.  C’è la tendenza da parte di molta gente ad accorgersi della ricchezza che tutte le religioni possono contenere e di porre come una sorta di equivalenza.

D. Si può dire che esistono delle mode nella teologia?

R. Si può dire, perché la teologia come tale è una disciplina umana, cioè non è Magistero. Il Magistero è assistito dallo Spirito Santo e può dire questo è giusto o questo è falso. Ma ciò non toglie la necessità della riflessione che può dipendere dai problemi ai quali un epoca è più o meno sensibile o può dipendere dalle filosofie che sono più forti in un’epoca che in un'altra. Tutto questo ha un influsso sul lavoro teologico.

D. Rahner in “Scritti teologici” aveva scritto che l’interlocutore della teologia in futuro non sarebbe più stata la filosofia ma la scienza. Cosa ne pensa?

R. Non sono pienamente d’accordo perché tutte le scienze “ricercano” e gli scienziati si rivolgono a dei problemi che non sono risolvibili dalla scienza stessa, cioè c’è sempre dietro le scienze una filosofia implicita e una mediazione della filosofia è necessaria. E’ vero che molti problemi ci arrivano proprio a partire delle scoperte scientifiche e anche dalle scienze umane, ma non vedo come si possa fare economia di questa mediazione.

D. La difficoltà di comprensione fra teologi e Magistero scaturiscono da un difficile compito di cui già parlò a Parigi nel 1980 Giovanni Paolo II di fronte ai responsabili delle università cattoliche: unificare due ordini di realtà che vengono talora percepiti come antitetici, la ricerca della verità e la certezza di conoscere già la fonte della verità stessa. Questo accadeva prima dell’enciclica “Fides et Ratio”. È cambiato qualcosa ?

R. No, la problematica è sempre la stessa e la risposta è sempre la stessa, già dai  tempi dei Padri della Chiesa. E’ stata elaborata in maniera magisteriale dal Concilio Vaticano I, quando si è parlato della ragione e della fede, perché la filosofia è una disciplina umana che cerca di rispondere ai grandi problemi che l’uomo si pone. L’uomo è dotato di ragione, è capace di cogliere il vero, tema che è sottolineato dalla “Fides et Ratio”. Invece la fede riceve la parola di Dio ma non si tratta dello stesso oggetto, perché la ragione conosce questo aspetto della realtà che è alla portata della ragione umana che ha dei limiti, può arrivare a conoscere per esempio le tracce di Dio nella natura, come Creatore, questo lo dice già S. Paolo all’inizio della Lettera ai Romani, invece la rivelazione cristiana biblica che comincia nel Vecchio Testamento e continua nel Nuovo, ci apre il mistero stesso di Dio, cioè una cosa che la ragione umana da se stessa non può penetrare. Dunque, al di là della ragione, c’è tutto il mondo del mistero di Dio e del disegno di salvezza di Dio che possiamo conoscere soltanto se Dio si fa conoscere lui stesso. Questo significa “rivelazione”. Allora il  Concilio Vaticano I ha aggiunto una cosa molto importante: dicendo come l’origine, la fonte, la radice sia della ragione umana, sia della rivelazione, è Dio stesso, le due non possono contraddirsi. Se c’è una contraddizione vuol dire che qualche cosa nel ragionamento umano non è andata bene, infatti la Chiesa ha sempre favorito la ricerca filosofica.

D. Negli ultimi decenni, la teologia, dopo essere stata appannaggio dei chierici, è coltivata da un numero considerevole di laici. Vede positivamente questo fenomeno? 

R. Certo. Pensare la nostra fede è una esigenza, l’ho detto all’inizio. Quando comincio  pensare la mia fede non sono solo e neanche il primo che lo fa, c’è stato lungo i secoli la costruzione di un patrimonio umano ricchissimo che è la tradizione teologica. Entrare nella conoscenza di questa grande riflessione umana dei credenti  lungo i secoli mi aiuta a riflettere, è una esigenza che ogni battezzato può sentire. Alcuni trovano proprio lì una vocazione specifica, molti laici, religiose, religiosi, fanno della teologia e, quando lo fanno bene, è un arricchimento molto positivo per la Chiesa.

D. Se dovesse dare un consiglio a chi incomincia lo studio della teologia...

R. Leggere il Catechismo della Chiesa Cattolica, che non è un libro di teologia ma ci dà la base. Se è possibile, seguire dei corsi, inizierei dai corsi biblici, l’esegesi, la fonte primaria della teologia è la Parola di Dio e dobbiamo conoscerla. Poi seguire i corsi sulle parti essenziali della teologia, quella speculativa, i grandi misteri della fede e la teologia morale che sono mondi immensi. Un corso di teologia sistematica, mi sembra utile per avere una visione globale del problema. Poi si può approfondire un tema, per arrivare a leggere i grandi teologi, S. Agostino, S. Tommaso, i Padri della Chiesa.

Vuole dare un  messaggio come religioso domenicano ai religiosi di oggi?

Se io sono filosofo e teologo è perché sono Domenicano. L’Ordine Domenicano è l’ordine della predicazione, cioè dell’annuncio della fede, tutto quello che abbiamo detto finora, l’aiuto ad aiutare la gente a penetrare il mistero della fede, con una dimensione missionaria e apostolica. S. Tommaso diceva che la nostra vita religiosa deve essere trasmettere agli altri il frutto della nostra contemplazione, la nostra teologia deve essere radicata nella preghiera, nella ricerca della perfezione cristiana, che è la carità. Due elementi fondamentali sono l’ufficio divino e la vita fraterna, perché, come diceva Paolo VI, la testimonianza fa parte della predicazione, non si può separare predicazione e testimonianza e la testimonianza è la testimonianza della comunità cristiana, cioè l’amore fraterno deve essere segno dell’amore di Dio. La vita consacrata, questo vale per tutti, è come un’anticipazione escatologica del regno, questo segno che è costituito dalla vita religiosa, la Chiesa ci tiene moltissimo. Essere teologo per me è quasi una conseguenza dell’essere religioso domenicano.


                                                                                                                      m.l.a. 

martedì 29 settembre 2015

I vincitori del Premio Acqui Storia 2015


           

                                                              Città di Acqui Terme


FRANCO CARDINI, PAOLO ISOTTA, LICIA GIAQUINTO, ANTONIO DE ROSSI, i vincitori della 48° edizione del Premio Acqui Storia 2015. DARIO BALLANTINI di Striscia la Notizia, PIETRANGELO BUTTAFUOCO, ITALO CUCCI, MARIA RITA PARSI E ANTONIO PATUELLI, Presidente dell’ABI,
Testimoni del Tempo. A GIGI MARZULLO il premio la Storia in TV. A GIUSEPPE GALASSO il Premio alla Carriera con la Medaglia Presidente della Repubblica.

Le Giurie del Premio Acqui Storia, riunitesi in Acqui Terme, hanno designato i vincitori della 48° edizione del Premio. Il Premio, nato nel 1969 per onorare il ricordo della “Divisione Acqui” e i caduti di Cefalonia nel settembre 1943, è divenuto in questi ultimi anni uno dei più importanti riconoscimenti europei nell’ambito della storiografia scientifica e divulgativa, del romanzo storico e della storia al cinema ed in televisione ottenendo un importante rilancio scientifico culturale ed una grande visibilità internazionale. “Il numero delle opere partecipanti al concorso quest’anno è stato di 170 a fronte di una media di circa 25 - 30 delle prime quaranta edizioni” - ha rimarcato il Responsabile Esecutivo del Premio Carlo Sburlati, artefice in questi ultimi anni di uno spettacolare rilancio scientifico, culturale, mediatico e mondano del Premio, come evidenziato dai maggiori quotidiani italiani, ripreso in quasi tutti i telegiornali Rai e Mediaset, oltreché dai network privati, confortato dalla presenza di un folto pubblico e di personaggi del jet-set internazionale, che affollano il pur capiente Teatro Ariston per la premiazione.
Franco CARDINI con il volume “L’appetito dell’Imperatore. Storie e sapori segreti della storia” Mondadori e Paolo Isotta con “La virtù dell’elefante. La musica, i libri, gli amici e San Gennaro” Marsilio, si sono aggiudicati il Premio da 6500 euro nella sezione storico divulgativa. La zuppa di riso di Ho Chi Minh, i sontuosi banchetti dei dittatori, l’alimentazione semplice ma fantasiosa del popolino, i “vizi” e le debolezze dell’intellighenzia… Il libro di Franco Cardini, storico rigorosissimo e raffinato gourmet che sa cedere alle
“frivolezze” della grande Storia, racconta il nostro passato, dal medioevo ai totalitarismi del Novecento, attraverso un punto di vista assolutamente originale, e particolarmente godibile oltre che “goloso”: il cibo (specchio dei popoli), i “sapori segreti”, e le caratteristiche della cucina dei diversi periodi storici. Tra aneddoti, testimonianze d’autore, ricordi e piccole rivelazioni, l’autore – proprio nell’anno dell’
Expo dedicato al tema “Nutrire il pianeta” - ci fa scoprire come, molto più spesso di quanto crediamo, gli sviluppi improvvisi della grande Storia possano essere stati decisi da un capriccio di gola.
Paolo ISOTTA, grande musicologo, scrittore di talento, colto, ironico e tutt’altro che politicamente corretto, pertanto per molti versi scomodo e urticante, con “La virtù dell’elefante. La musica, i libri, gli amici e San Gennaro” ci offre un libro di memorie, in cui l’ordine cronologico è sopraffatto e travolto da una valanga
di aneddoti e di curiosità (anche piccanti), ci offre un formidabile compendio di oltre mezzo secolo di vita musicale e nello stesso tempo un ampio campionario di quanti – giganti, mezze figure e figuranti – lo popolano. E mentre ci parla a dovizia delle sue predilezioni culturali, delle sue amicizie, dei suoi maestri e delle sue idiosincrasie, spaziando in lungo e in largo per l’Italia (ed anche fuori), innalza un monumento
forse più duraturo del bronzo alla napoletanità, di cui egli stesso è campione e cantore.
Licia GIAQUINTO viene premiata nella sezione romanzo – storico per il volume “La Briganta e lo sparviero” Marsilio Editori. “Ambientato negli anni Sessanta dell’Ottocento, tra i territori montuosi dove si incontrano Basilicata, Campania e Puglia, il romanzo “rilegge” il Risorgimento attraverso la storia del
bandito Giuseppe Schiavone, detto lo Sparviero, e della bellissima Filomena, la sua donna, la Briganta. Una storia dalla scrittura densa e potente che mette in scena la rappresentazione di un Medioevo “barbarico” dove la magia è di casa, insieme alle più feroci passioni”.
Antonio DE ROSSI, con il volume “La costruzione delle Alpi. Immagini e scenari del pittoresco alpino (1773-1914), Donzelli editore si aggiudica la sezione storico – scientifica. Sulla scorta di ampia ricerca bibliografica e di esplorazione archivistica in Italia e all’estero, l’Autore propone le Alpi come sfida sotto il profilo culturale, politico, economico, sociale e militare, con attenzione per scienza e tecnologia (in specie
l’ingegneria stradale e ferroviaria) e per l’industria turistica da fine Settecento alla Grande Guerra. L’opera è corredata da imponente e pertinente apparato iconografico.
Sabato 17 ottobre alle ore 17.15 presso il recentemente restaurato Teatro Ariston di Acqui Terme, Piazza Matteotti si terrà la cerimonia di premiazione della 48° edizione del Premio Acqui Storia. Sarà condotta da Mauro Mazza, ex direttore di Rai 1 e Tg2 ed Antonia Varini, di Uno Mattina, e sarà il culmine di un intenso programma di eventi, iniziato alla mattina alle ore 10.00 al Grand Hotel Terme di Acqui con l’incontro dei vincitori con la stampa, gli studenti ed il pubblico, orchestrato e moderato da Carlo Sburlati, patron anche dell’altro Premio Internazionale biennale ”Acqui Ambiente”.
Nel pomeriggio sul palco del Teatro Ariston, oltre alla presenza dei vincitori delle tre sezioni, le personalità insignite dei premi speciali “Testimone del Tempo”, “La Storia in TV”, Premio alla Carriera. L’assegnazione del premio Testimone del Tempo 2015, che rappresenta il momento più prestigioso della manifestazione,
vedrà calcare il palco del Teatro Ariston cinque figure di straordinario rilievo nel panorama artistico e culturale contemporaneo: Dario Ballantini, Pietrangelo Buttafuoco, Italo Cucci, Maria Rita Parsi e Antonio Patuelli.
Dario BALLANTINI ha conquistato una eccezionale notorietà televisiva, grazie a un programma di straordinario successo come Striscia la Notizia. Indossando i panni di Valentino e di Papa Francesco, di Roberto Maroni e di Matteo Renzi, di Matteo Salvini e di Angelino Alfano, di Angela Merkel e di Luca Cordero di Montezemolo, di Ignazio Marino e di Gianni Morandi. La galleria di personaggi interpretati con stile e precisione è lunghissima. Come ben sanno milioni di telespettatori. Sarebbe però estremamente riduttivo classificare Ballantini come “imitatore”. Perché in realtà è un artista completo. Pittore, innanzi tutto. Pittore di grande qualità che ha esposto le sue opere in importanti mostre e gallerie di tutta Europa. Sono molti i teatri più prestigiosi che han visto le esibizioni di Ballantini come attore, come autore, anche come scenografo. Perché, quando si hanno le doti di Ballantini, l’arte diventa una sola. Si può passare dalla realizzazione di un quadro all’interpretazione di un personaggio comico, dall’imitazione di un cantante alla satira politica. Per raggiungere questi risultati occorre capacità ed occorre anche uno studio approfondito. Non solo della pittura, ma anche degli scenari politici ed economici nazionali ed internazionali. Perché la satira, quando è fatta bene, non può prescindere dalla conoscenza della realtà.
Pietrangelo BUTTAFUOCO ha collaborato con alcune tra le principali testate giornalistiche italiane, dal “Giornale” al “Sole 24 ore”, da “Panorama”, a “Repubblica”, dal “Foglio” di Giuliano Ferrara , al “Fatto Quotidiano” di Travaglio, distinguendosi per la spregiudicatezza e talora per la conclamata irriverenza dei suoi interventi. Ha sempre amato analizzare e commentare i fatti da prospettive inedite, disdegnando intenzionalmente il politically correct, anche a costo di épater i benpensanti e di suscitare scalpore. Si è sempre dimostrato uno spirito (e un battitore) libero, preferendo restare amico e fedele alla (sua) verità, anziché accattivarsi e blandire il potere e i potenti, quelli amici compresi, non di rado pagando di persona. Presidente per un quinquennio del Teatro Stabile di Catania, per la televisione, oltre ad avere realizzato
per La 7 “Giarabub”, ha condotto alcuni programmi, come “Sali & Tabacchi” su Canale 5 (secondo Aldo Grasso, “la migliore trasmissione culturale della Tv italiana”) e “Otto e mezzo” in coppia con Alessandra Sardoni. E’ ospite fisso a Mix 24, la trasmissione di Giovanni Minoli su Radio24. Il suo talento di polemista e di scrittore si è rivelato in saggi e romanzi via via pubblicati: dal celeberrimo “Le uova del drago” al “Il lupo e la luna”, al “Il dolore pazzo dell’amore”, a “I cinque funerali della Signora Göring”; a “Cabaret Voltaire”, a
“Buttanissima Sicilia”, a “Il Feroce Saladino”. Italo CUCCI è, dopo Gianni Brera, il più autorevole ed innovativo giornalista sportivo italiano di questo secondo dopo guerra. E’stato più volte direttore del mitico
“Guerin Sportivo “, reinventandolo totalmente nel 1975, del “Corriere dello Sport – Stadio”, del Quotidiano Nazionale, del settimanale “Auto sprint”, editorialista di molti quotidiani italiani, tra cui il “Corriere della Sera”. Docente universitario di sociologia della comunicazione sportiva alla Facoltà di Scienze Politiche e di giornalismo alla Luiss di Roma. Volto noto del piccolo schermo come ideatore, conduttore ed opinionista di trasmissioni televisive e radiofoniche di successo. Ha scritto diversi volumi, non solo di sport, vincitore di importanti premi letterari. Grande interesse sta suscitando il suo ultimo libro “Ferrari Segreto” da pochi
giorni nelle librerie, dedicato al Mago di Maranello e alle rosse del cavallino rampante.
Maria Rita PARSI è docente, psicoterapeuta e psicopedagogista, collaboratrice di molti quotidiani e periodici, nonché volto noto della nostra televisione in qualità di psicologa ed opinionista. Oltre ad aver fondato e dirigere tuttora la Scuola Italiana di Psicoanimazione, è componente del comitato ONU per i
diritti per l’infanzia e ha sempre rivolto al mondo dei bambini e degli adolescenti uno sguardo affettuoso e attento, cercando di esplorarlo in profondità, di portarne alla luce la misteriosa ricchezza e di disegnarne il complesso profilo con quel “rispetto” a cui, per l’appunto, si faceva cenno. Per la Parsi - amare i nostri figli “non basta”, bisogna cercare di capire quello che “non dicono”, dobbiamo renderci conto che parole e comportamenti segnalano una realtà interiore che non può essere costretta nella maglie di una pedagogia
approssimativa , ma deve essere “letta”, con delicatezza di cuore e di intelletto, come un mondo tutto da scoprire. Maria Rita Parsi si è mossa sempre in questa direzione con una “ricerca sul campo” aperta agli aggiornamenti e promuovendo una serie di importanti iniziative nazionali ed internazionali.
ANTONIO PATUELLI è stato eletto all’unanimità nel 2013 Presidente dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana). Cavaliere del Lavoro, sottosegretario di Stato al Ministero della Difesa nel Governo Ciampi, giornalista. In ognuna delle attività che ha affrontato, Antonio Patuelli si è sempre contraddistinto per capacità, intelligenza, professionalità. Riuscendo a coniugare impegni diversi, affrontati sempre con successo. Patuelli è al vertice dell’associazione bancaria italiana ma è anche presidente dal 1995 della Cassa di Risparmio di Ravenna e titolare di una prestigiosa azienda agricola.
Nonostante il poco tempo libero a disposizione, è riuscito in questi ultimi mesi anche a scrivere un nuovo libro, “Nuova Europa e neonazionalismo”. Uno sguardo d’insieme su quanto sta avvenendo in Europa, sui sogni dei fondatori, sulle disillusioni attuali. Scritto con la competenza di chi si occupa di economia e di
finanza, ma anche con la passione civile di chi ha un ruolo di primo piano nella vita italiana. L’Italia, che spesso non ama i banchieri, prova ancora un atavico rispetto per chi si occupa di lavoro, impresa ed agricoltura. Patuelli, anche in questo settore, ha saputo coniugare la conoscenza tecnica, gli studi approfonditi, con l’attenzione agli aspetti più profondi di un lavoro antico. Ai vertici dell’Associazione bancaria ha portato le sue qualità, la sua capacità di osservare, di comprendere, di interpretare. In
uno scenario difficile, complesso, globale. Conquistando il rispetto e l’ammirazione generale per l’onestà intellettuale, la correttezza, la capacità di guardare al futuro. Il premio La Storia in TV 2015, inserito per la prima volta nei palmares dell’Acqui Storia nel 2003 e giunto quest’anno alla sua tredicesima edizione, vuole
rendere un significativo omaggio a Gigi MARZULLO e alla sua significativa carriera di autore e conduttore televisivo (dal 14 maggio 2013 è capo struttura cultura della prima rete RAI).
Ha scritto qualcuno che Gigi Marzullo, è una “garanzia”, ci “garantisce”, ci “rassicura”, con una presenza che è ormai, da anni, un appuntamento irrinunciabile per gli insonni cercatori di cultura. Un pubblico più ampio di quel che si creda e a cui Marzullo presenta- con uno sperimentato “taglio” televisivo fatto di domande e
interviste, dibattiti e immagini di repertorio- una ricca offerta di argomenti storici. L’uomo che, “a mezzanotte e dintorni”, viene a parlarci “sottovoce”, sfogliando le pagine di “mille e un libro”, tocca molteplici corde, stimola ogni sorta di curiosità storica e letteraria, si apre alla più varia umanità, con i diretti autori e
protagonisti, attraverso un approccio sempre garbato, ma al tempo stesso puntuale. Perché il celebre “tormentone” marzulliano “si faccia una domanda e si dia una risposta” significa che il pubblico vuol sapere chi ha davanti e che dunque bisogna farsi capire. Essere convincenti e non reticenti. In particolare quando si ha a che fare con la storia. Più in particolare ancora quando si ha a che fare con la storia del nostro
tempo dove è facile peccare in “pensieri, parole, opere e omissioni”. Sempre paziente e amabile, l’insonne Marzullo indaga. E, se necessario, “stana”. Perché sa che la storia non vuole zone d’ombra, giudizi sommari, pregiudizi ideologici. Lo spettatore vuol vederci chiaro. Più che mai quando scocca la mezzanotte (e dintorni). Il Premio speciale “Alla Carriera”, istituito nel 2009 da un’idea ed un progetto di Carlo Sburlati , è stato conferito a Giuseppe GALASSO.
Tra i massimi storici italiani del Novecento, unisce ricerca scientifica, alta divulgazione ed impegno civile. Alunno e poi segretario dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Benedetto Croce, libero docente dal 1963, ordinario di storia moderna e medievale all'Università Federico II di Napoli dal 1966 al 2006,
accademico dei Lincei dal 1977, presidente della Società Napoletana di Storia Patria dal 1980, ha pubblicato opere fondamentali sulla storia del Mezzogiorno, anche in collaborazione con Rosario Romeo, e ha ideato e diretto la Storia d'Italia in 24 volumi, aperta dal suo incisivo affresco dell'Italia come problema storiografico. Giuseppe Galasso al magistero storiografico ha accompagnato la partecipazione al dibattito culturale con articoli storiografici e politici in quotidiani e settimanali. Sottosegretario di Stato al Ministero dei Beni Culturali e ambientali (1983-1987) e al Ministero per l'Intervento straordinario nel Mezzogiorno (1988-
1991), ha legato il suo nome alla legge per la tutela dei beni naturalistici e ambientali, universalmente apprezzata. Con la sua opera Galasso insegna che la meditazione storiografica non solo è sempre storia contemporanea e visione del futuro ma anche diuturno impegno civile. L’Acqui Storia vanta il Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Patrocinio del Senato della Repubblica, il Patrocinio della Camera
dei Deputati e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo. Il Premio ogni anno è organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Acqui Terme. La Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria si conferma partner fondamentale dell’iniziativa, che si avvale inoltre del contributo della Regione
Piemonte, Egea, Istituto Nazionale Tributaristi, CTE, BRC, Terme di Acqui, Collino e Gruppo Benzi. L’Acqui Storia è gemellato con il Festival LUCCAUTORI - Premio Racconti nella Rete.