sabato 21 aprile 2012

La scuola pubblica per l'educazione


INTERVENTO DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA,
IN PRESENTAZIONE DELLA P RIMA CONFERENZA REGIONALE SULLA SCUOLA
(Torino, Facoltà Teologica, 18 aprile 2012)

PRIMA CONFERENZA REGIONALE SULLA SCUOLA
“LA SCUOLA PUBBLICA PER L’EDUCAZIONE”

Scuola Statale, Paritaria, Formazione Professionale
(Torino, Teatro Nuovo, 21 aprile 2012)

Obiettivi e finalità dell’iniziativa della Conferenza Episcopale del Piemonte e Valle d’Aosta
Anzitutto il titolo: una Conferenza regionale sulla scuola pubblica per l’educazione. Per “scuola
pubblica” intendiamo tutto il sistema di servizio pubblico della scuola in Italia che comprende scuole statali, paritarie  e formazione professionale. Infatti, la legge 62/2000, che ha istituito la parità
scolastica, dichiara che queste scuole, a differenza di quelle private con fini di lucro, sono inserite a
pieno titolo nel sistema scolastico pubblico del Paese.
“Per l’educazione” significa che intendiamo lavorare perché la scuola sia una comunità educante in tutti i suoi aspetti, quello culturale, quello formativo, quello etico, quello sociale. Una scuola
che ha al suo centro la persona di ogni alunno e quindi la sua promozione integrale.
Lo scopo di questo incontro è sorto dall’impegno per favorire una sempre migliore qualità educativa della scuola, che sta vivendo una serie di difficoltà dovute sia alla crisi in atto, che ha decurtato i finanziamenti, sia ad alcuni passaggi importanti che tendono a rinnovarne l’assetto istituzionale e il progetto formativo. Come mondo cattolico, ci siamo sempre sentiti particolarmente coinvolti
in questo discorso, in quanto la tradizionale riflessione e l’impegno, anche diretto, di tante componenti scolastiche, che si ispirano alla cultura e alla pedagogia radicate nella visione cristiana della
persona e della comunità, hanno operato all’interno della scuola e della società per favorire la qualificazione dei processi formativi e il loro spirito di servizio verso le nuove generazioni.
L’apporto che tanti cristiani, religiosi e laici, stanno dando alla scuola in Italia, sia nelle realtà
dello Stato che della scuola paritaria e della formazione professionale, è lì a dimostrare quanto ci
stia a cuore l’educazione delle nuove generazioni. Quello che mi sembra utile richiamare è che le
diverse riforme, che si sono susseguite in questi anni, hanno certamente contribuito a rendere la
scuola più efficiente e ne hanno garantito l’autorevolezza culturale ed educativa, come l’impegno di
tanti dirigenti e docenti dimostra concretamente. Resta determinante il fatto di porre al centro di ogni rinnovamento e di ogni scelta la crescita armonica della persona dell’alunno, che è la ragione
stessa dell’esistenza della scuola. Parlo di un alunno non isolato, ma inserito in una famiglia (di qui
l’importanza del rapporto e della valorizzazione delle famiglie in un costante dialogo e incontro con
le scuole) e nella comunità territoriale, in cui la scuola è inserita e da cui trae tanti valori culturali e
formativi.
La nostra Conferenza, partendo da queste premesse, affronta il pianeta scuola a partire dai tre
ambiti, che ne costituiscono oggi il plafond di base per il suo rinnovamento e la qualità del suo servizio: autonomia, federalismo e parità.
Si tratta di scelte complementari, che vanno di pari passo e debbono essere tutte considerate essenziali alla scuola dentro un quadro di riferimento unitario. La parità, in particolare, non è una
scelta a sé stante, ma inserita, a pieno titolo, come necessario valore aggiunto per l’intera scuola italiana, da riconoscere nei fatti e non solo in teoria e da promuovere in tutte le sue dimensioni: istituzionale, pedagogica, culturale, finanziaria e gestionale. Se la parità viene, infatti, definita dalla Legge 62/2000 un servizio pubblico dentro il sistema scolastico nazionale, è necessario che se ne trag-2
gano coerentemente le conseguenze in modo che la sua attuazione risponda alle finalità proprie della scuola in quanto tale e sia riconosciuta, anche sul piano finanziario oltre che pedagogico e culturale, una risorsa su cui la società italiana può contare per l’educazione delle nuove generazioni. Non
un “di più” e un privilegio per pochi eletti, ma una offerta formativa rivolta a tutti quelli che intendono usufruirne, con gli stessi doveri e diritti di ogni altra scuola. La scuola paritaria, pertanto, non
si pone “contro” o “in alternativa” alla scuola statale, perché garantisce il diritto all’istruzione e alla
formazione di ciascuno e di tutti.
Se è vero che l’autonomia delinea il passaggio da una scuola sostanzialmente dello Stato ad una
scuola della società civile, con un certo ed irrinunciabile ruolo dello Stato, ma nella linea della sussidiarietà, la scuola paritaria offre il suo contributo derivante dalla sua identità, arricchendo la qualità dell’offerta formativa senza per questo indebolire il riferimento alle norme generali
dell’istruzione. È dunque necessario che il tema della parità sia adeguatamente sostenuto dalla promozione di una cultura, che sia scevra da pregiudizi ideologici e stereotipi, che nulla hanno a che
vedere con il valore educativo e culturale espresso dalla scuola paritaria e dalla necessaria libertà
delle famiglie di poterne usufruire, secondo scelte che non le penalizzino rispetto alle famiglie che
scelgono per i figli la scuola statale.
Il fine che deve muovere l’intero quadro di riferimento scolastico e i diversi soggetti coinvolti,
a cominciare dalle famiglie, è dunque il bene di ogni singolo alunno, sia che frequenti una scuola
statale, sia una paritaria. E per questo fine occorre lavorare tutti insieme, collaborando per promuovere quel patto di responsabilità educativa, che vede interagire ogni componente della scuola e della
società. Certo, non possiamo nasconderci dietro un dito e non tenere nella dovuta considerazione
anche il problema, oggi più spinoso e difficile, che assilla tante scuole paritarie nel nostro territorio:
quello finanziario. Se la scuola paritaria è considerata un valore aggiunto necessario ed indispensabile, che proviene da diritti primari di scelta delle famiglie, oltre che di valorizzazione di una realtà
che da molti anni segna il cammino anche civile della nostra gente, non può essere lasciata a se
stessa nell’affrontare problemi vitali, come è quello delle risorse finanziarie di cui necessita per il
suo buon funzionamento. Non si chiedono risorse aggiuntive rispetto a quelle stabilite dallo Stato
per ogni scuola e per ogni bambino o alunno che la frequenta. Le famiglie e le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico? Allora le risorse pubbliche, che provengono anche da queste famiglie
per rispondere al diritto alla scuola di ogni alunno, debbono essere reinvestite anche nella scuola
che questi alunni frequentano, sia essa statale o paritaria.
Nessun diritto in più, ma nemmeno una penalizzazione per le famiglie. Attualmente c’è una evidente discriminazione tra la famiglia che sceglie di iscrivere i figli in una scuola statale e quella
che sceglie una paritaria. E lo Stato, nell’attuale situazione di crisi, risparmia ben cinque miliardi di
euro per il fatto che ci siano scuole paritarie, perché queste gli consentono di utilizzare quelle risorse per la scuola statale. Questo non è giusto, perché, secondo la Costituzione, ogni cittadino è uguale davanti alla legge e il diritto allo studio è sancito come universale e rivolto a tutti, senza discriminazioni alcuna.
Inoltre, la scuola paritaria offre la concreta possibilità di attivare dal basso una serie di interventi solidali e propositivi, da parte delle famiglie e delle comunità locali, che sentono la scuola come
propria e rispondente a valori vissuti nel territorio. Il radicamento, ad esempio, di tantissime scuole
dell’Infanzia nei Comuni della nostra Regione è un valore sociale importante, che dovrebbe essere
sostenuto ed incoraggiato dalle istituzioni e da tutte le componenti delle comunità religiosa e civile.
Su questo punto sarà dunque opportuno mantenere alta la vigilanza, pungolando lo Stato, la Regione e i Comuni, ma anche le comunità cristiane di base, perché si facciano carico, ciascuno per la sua
parte, del mantenimento e della crescita in qualità delle scuole paritarie sul territorio.
Una parola va anche detta sulla formazione professionale, che rappresenta per molti alunni una
realtà di indiscusso valore per il loro futuro e la loro professione. Occorre pertanto che non sia considerata di serie inferiore ai licei o alle scuole secondarie superiori similari, ma abbia un suo speci-3
fico posto nel sistema scolastico nazionale, come altro canale possibile per dare ai giovani concrete
possibilità di impiego nel mondo del lavoro. Una appropriata cultura del lavoro, infatti, dovrebbe
favorire anche nelle famiglie, oltre che nella mentalità dei giovani, un saggio orientamento di studi
che valorizzi le risorse e le attitudini proprie di ogni alunno senza falsi modelli di ruoli sociali riconosciuti più nobili di altri. Ogni lavoro è nobile e dignitoso e merita rispetto e considerazione.
Il federalismo e l’autonomia mi auguro che permettano di raggiungere questi obiettivi, insieme
agli altri più generali, di rendere il servizio di ogni scuola – sia statale o paritaria di ispirazione cristiana o comunale, sia la formazione professionale – protagonista del suo stesso rinnovamento e
della costante qualificazione dei docenti e dirigenti, dell’inserimento nel tessuto del territorio,
dell’impegno di accogliere anche alunni di altre fedi e religioni e alunni diversamente abili. Scelta
che la scuola paritaria cattolica da tempo ha operato, dimostrando così di essere aperta a quel pluralismo proprio delle famiglie, in materia religiosa o non, e al sostegno di quelle che hanno particolari
necessità  per i propri figli diversamente abili.
La scuola, ogni scuola, deve essere sempre scuola di tutti e muoversi dentro il quadro di riferimento del sistema scolastico nazionale secondo le linee tracciate dalle recenti riforme. Questa Conferenza sulla scuola intende indicare vie e modalità concrete per raggiungere questi obiettivi entro il
più breve tempo possibile, anche nel nostro Paese, mettendolo così in sintonia con tanti Paesi della
Comunità Europea, come ad es. la Francia o la Germania e i Paesi del Nord Europa, dove il problema della scuola non statale è stato da tempo affrontato e risolto con la piena soddisfazione di tutti.
La Conferenza ha anche un altro scopo: quello di suscitare nelle comunità cristiane, parrocchie
e realtà ecclesiali, sacerdoti, religiosi e religiose e laici, l’assunzione di condivise responsabilità verso la scuola – quella paritaria in particolare,  così  come quella della formazione professionale. La
comunità cristiana è chiamata a stabilire raccordi con la scuola del territorio e a interessarsi dei suoi
problemi. Verso la scuola paritaria e la formazione professionale in particolare, le Diocesi e le parrocchie, i consigli pastorali e presbiterali sono chiamati a sviluppare un costante dialogo e collaborazione perché siano inserite dentro il progetto pastorale e i cammini di evangelizzazione e promozione culturale di cui c’è oggi un forte bisogno nella pastorale della Chiesa.
Termino con l’auspicio che dalla Conferenza escano indicazioni concrete di azione idonee a favorire, presso le istituzioni e le forze politiche, ma anche nell’opinione pubblica, una più concreta
convinzione della centralità della scuola nella società italiana e pertanto della necessità che sia sostenuta e qualificata. E così per tutta la scuola, quella statale e quella paritaria e la formazione professionale, perché solo in tal modo il Paese crescerà insieme e la scuola diventerà il suo volano per un domani di progresso culturale e civile.
Una illustrazione ora del programma, dei soggetti invitati e di autorevoli relatori e partecipanti
(oltre ai Vescovi, abbiamo la presenza dei ministri Profumo e Fornero, del Sindaco Fassino, del
Provveditore e di molte altre personalità politiche e del mondo della scuola, della cultura e della società civile e religiosa del territorio) vi permetterà di avere una idea completa dell’ordine del giorno.
Al termine della Conferenza presenteremo due documenti importanti: una mozione condivisa
da tutte la realtà del mondo cattolico organizzato che opera nella scuola, un messaggio alle comunità cristiane delle due Regioni, perché dedichino al tema della scuola paritaria in particolare una cura
e attenzione anche mediante una apposita assemblea locale che prenda in esame le conclusioni della
Conferenza.

 Cesare Nosiglia,
Arcivescovo di Torino
e Presidente della Conferenza Episcopale
del Piemonte e Valle d’Aosta

martedì 17 aprile 2012

ROMA, VIII Seminario Professionale della Facoltà di Comunicazione n.2

“Volti, persone, storie”

ROMA,  16 APR 2012  – Oltre trecento partecipanti, provenienti da 44 nazioni, stanno
assistendo da oggi e fino a mercoledì all'ottava edizione del Seminario professionale
sugli Uffici di comunicazione della Chiesa organizzato dalla Facoltà di Comunicazione
della Pontificia Università della Santa Croce e rivolto a direttori di uffici di
comunicazione, portavoce, operatori pastorali e giornalisti.

MONS. CELLI: NON PROPONIAMO UN PRODOTTO MA TESTIMONI DI UNA PERSONA
La Chiesa vive oggi una sorta di “apprendistato” in un mondo dove è richiesto il rispetto
di altre verità e comunque per la verità degli altri. Deve pertanto imparare sempre meglio
ad esercitare un “dialogo senza ambiguità e rispettoso delle parti coinvolte”, perché
attraverso di esso “si possono aprire nuove porte per la trasmissione della Verità”. È
quanto affermato dal Presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali,
Mons. Claudio Maria Celli, che ha portato il suo saluto ai partecipanti prima di partire
per il Libano. Nel “supermercato delle scelte”, tipico della cultura del nostro tempo, è possibile – come
insegna Papa Benedetto XVI – trasmettere un annuncio fedele, integro e a volte sofferto,
nella consapevolezza che “non proponiamo un prodotto commerciale ma siamo testimoni
di una Persona, Cristo nel mondo di oggi”, ha concluso il vescovo.

FUMAGALLI (CATTOLICA): COMUNICAZIONE NON SOLO VERA MA EFFICACE,
ATTRAVERSO STORIE
Le istituzioni e organizzazioni della Chiesa devono imparare a realizzare una
“comunicazione che non solo sia vera, ma che sia anche efficace” se vogliono superare
con successo la maggior parte degli ostacoli dovuti a disinteresse, chiusure ideologiche,
pregiudizi, stereotipi o semplificazioni. Ne è convinto il prof. Armando Fumagalli,
professore all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a cui è stata affidata la
relazione introduttiva del seminario, su “Tra realtà e racconto: una riflessione per gli uffici
di comunicazione della Chiesa”.

Mentre nella comunicazione professionale si sono sviluppate “tecniche sempre più
sofisticate e coinvolgenti che tendono a puntare sull'emozione, sull'attivazione di
empatia, sulla scelta di parole fortemente connotate, sull'invenzione di immagini, ecc.”,
da parte delle istituzioni della Chiesa si è spesso riposto “una fiducia totale nella capacità
della ragione da sola di arrivare ad aprirsi ai contenuti della comunicazione”, ma spesso
le condizioni “ideali” non corrispondono alle “situazioni di fatto”.

Una delle soluzioni proposte dallo studioso è quella di ricorrere allo “storytelling”
(narrazione di storie), mutuandolo dalla comunicazione aziendale, perché “le storie
attivano emozioni, riconoscimento di analogie con le vite degli ascoltatori, empatia”.
Evidentemente, “comunicare di più attraverso le storie non significa trasformare la verità
in menzogna, o 'abbellire' nel senso di manipolare la verità, ma significa riuscire a
superare – in molti casi – gli sbarramenti del disinteresse, della freddezza, del
pregiudizio”. Infatti, per aprirci alla verità “molto spesso abbiamo bisogno che l'emozione,
l'empatia, faccia sorgere interesse verso la verità stessa”.

Piazza di Sant’Apollinare, 49 – 00186 ROMA – Tel. +39 06 68164399 – Fax +39 06 68164400

1© 2012 - PONTIFICIA UNIVERSITÀ DELLA SANTA CROCE
Ufficio Comunicazionestampa@pusc.it

MILAN (SANTA CROCE): PREMIARE CREATIVITÀ, SPONTANEITÀ E LIBERTÀ
Su “La Chiesa negli schermi; offrire volti e testimonianze” è invece intervenuto il prof.
Jorge Milán, della Pontificia Università della Santa Croce, che ha offerto alcune
indicazioni per i direttori di comunicazione su come mettere a disposizione del pubblico
buone testimonianze attraverso i distinti canali audiovisivi. In particolare, occorre partire
dalla consapevolezza che non si lavora “con personaggi, ma con persone reali”. Per cui,
seppure a volte può sembrare rischioso, bisogna sempre avere fiducia “nella loro
creatività, spontaneità, libertà e diritto a mettersi in prima fila e rappresentare la Chiesa,
pur a costo di sbagliare”.

Il direttore ha come missione quella di “scoprire talenti, preparali e lanciarli nella
mischia”. Ovviamente, per raggiungere l'obiettivo è necessario investire molto tempo e
contare sulla dedicazione dei propri collaboratori. Tra i compiti fondamentali, quello di
“cercare testimonianze e volti da proporre, studiare il linguaggio audiovisivo,
concettualizzare idee ed esempi”, ma anche “istruire le persone a promuovere attività di
comunicazione nelle parrocchie o scuole”.

COMUNICARE L'AZIONE UMANITARIA DELLA CHIESA: LE ESPERIENZE “WHERE
GOD WEEPS” (Germania) E “CHIEDILO A LORO” (Italia)
In linea con il tema principale del Seminario, il primo Case studies  ha riguardato la
comunicazione dell'azione umanitaria in ambito ecclesiastico, con la presentazione delle
campagne “Where God Weeps” (Dove Dio Piange), un programma settimanale di Aiuto
alla Chiesa che Soffre dedicato alle zone dove la Chiesa è maggiormente perseguitata, con
Mark Riedemann; e “Chiedilo a loro”, promossa dal Servizio per la Promozione del
sostegno economico alla Chiesa Cattolica Italiana (8x1000), con Marco Calabresi e don
Domenico Pompili.

PANEL DI GIORNALISTI
La prima giornata dei lavori si è conclusa con un panel di giornalisti televisivi che hanno
portato la loro esperienza sul come raccontare “storie personali nella comunicazione
televisivi”. Moderati da Ioana Adriana Azamfirei, ne hanno discusso Patricia Thomas
(APTN, Usa), Marina Ricci  (TG5, Italia), Javier Martínez-Brocal (TV Azteca, Messico –
RomeReports, Italia) e Mary Shovlain (Lucem Communications, Usa).

ROMA, VIII Seminario Professionale della Facoltà di Comunicazione

Volti, persone, storie”. 

All'Università della Santa Croce Seminario per portavoce e comunicatori di istituzioni religiose a Roma
Piazza di Sant'Apollinare, 49 / 16-18 aprile 2012

* * *
ROMA, 12 APR 2012 – È possibile, per chi lavora in un ufficio di comunicazione
della Chiesa, riuscire a raccontare la vitalità della fede superando la visione solo
istituzionale della realtà ecclesiale? Può il comunicatore della Chiesa andare oltre
il suo compito di produrre comunicati stampa e diffondere informazioni, per far
sentire ai media la viva voce dei cristiani?

L'8° Seminario professionale - che si svolgerà a Roma dal 16 al 18 aprile presso
la Facoltà di Comunicazione della Pontificia Università della Santa Croce -
affronta una sfida estremamente attuale per gli Uffici di Comunicazione della
Chiesa, soprattutto in vista dell'imminente Anno della Fede: raccontare la vitalità
dell'esperienza cristiana superando la visione solo istituzionale della Chiesa,
attraverso i volti e le storie dei suoi protagonisti.

A questo appuntamento, pensato soprattutto come uno spazio di riflessione e
dialogo, si ritroveranno i principali esperti del settore e professionisti provenienti
da diversi Paesi e culture. Come personalità ecclesiastiche interverranno 
Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali;
Padre Federico Lombardi, Portavoce della Santa Sede e il Card. Raymond Burke, Prefetto del
Tribunale Supremo della Segnatura Apostolica.

Un momento molto interessante sarà quello dedicato ad alcune iniziative
comunicative raccontate dagli stessi protagonisti, tra cui la campagna "Where
God weeps", presentata da Mark Riedemann, Direttore del CRTN, o "Chiedilo a
loro", presentata da Mons. Domenico Pompili, Direttore dell'Ufficio Nazionale per
le Comunicazioni Sociali. Inoltre, l'esperienza professionale del noto regista
Marcus Vetter; il programma "Catholic Voices" nel Regno Unito, o il progetto
“Vatican Insider”, proposto dal direttore de "La Stampa", Mario Calabresi.

Il seminario prevede inoltre due diversi panel, uno con giornalisti dell'ambito
televisivo (APTN, TG5, TvAzteca e RomeReports, Lucem Communications) e uno
con portavoce di alcune diocesi e conferenze episcopali del mondo (Vienna,
Repubblica Ceca, Lione, Coira).

Piazza di Sant’Apollinare, 49 – 00186 ROMA – Tel. +39 06 68164399 – Fax +39 06 68164400
1© 2012 - PONTIFICIA UNIVERSITÀ DELLA SANTA CROCE
Ufficio Comunicazionestampa@pusc.it

Numerose anche le comunicazioni che saranno presentate dei partecipanti,
relative a cinque aree tematiche: si va dalle  “strategie per migliorare l'impatto dei
siti web ecclesiali” ai  “volti e le storie come risposta alle controversie”; dalle
esperienze utili di  “media training” per voci cristiane ai  “social media” e le  “idee e
progetti di comunicazione” in vista dell'Anno della Fede.

I Seminari professionali della Facoltà di Comunicazione della Santa Croce si
svolgono sin dal 1997 e sono rivolti a direttori di uffici di comunicazione delle
diocesi e delle istituzioni religiose, a operatori pastorali e a giornalisti che si
occupano di informazione religiosa. Tra i temi trattati finora,  “metodi, valori,
professionalità”,  “cultura della vita”,  “luoghi della fede”,  “il lavoro degli uffici
stampa”,  “strategie di comunicazion ecclesiale”,  “cultura della controversia” e
“identità e dialogo”.

Programma dettagliato del Seminario: http://www.pusc.it/csi/ucc2012/

Procedura di accreditamento per i giornalisti: http://eventi.pusc.it/accreditamento/index.jsp?e=UCC2012

Per interviste ed ulteriori informazioni: Ufficio stampa (www.pusc.it/press_office/):
Giovanni Tridente, stampa@pusc.it, +39 0668164399 - +39 380346338

lunedì 16 aprile 2012

AD MULTOS ANNOS ...



Auguri Santità!
"Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti": così, appena eletto, si rivolgeva ai romani e al mondo. E così si può ben dire oggi, festeggiando un compleanno tondo, che lo proietta tra i pontefici più longevi. In queste semplici parole c’è anche forse la linea del pontificato, giunto ormai alla fine del settimo anno. Anni accelerati nella Chiesa e in un mondo, globalizzato sì, ma almeno altrettanto disorientato. A questo disorientamento, aggravato dalla crisi finanziaria e dall’incertezza, Benedetto XVI ha riproposto i fondamentali. Ha parlato in termini particolarmente accorati all’Occidente ed alle Chiese dei Paesi occidentali, ma ha costantemente guardato anche alle più giovani ed esuberanti chiese e ai popoli dell’Africa, dell’America centrale e meridionale ed anche dell’Asia.
Il 19 aprile 2005 si era definito "un umile lavoratore nella vigna del Signore". In realtà era ben consapevole del tanto lavoro e già allora lo aveva indirizzato secondo le tre linee che risalteranno anche quest’anno. La prima è quella del Concilio, allora il quarantesimo dalla conclusione, oggi il cinquantesimo dall’inizio. Sono tanti anni, lo spazio di due generazioni. Ed è giusto da un lato vedere l’evento nella sua corretta prospettiva storica, dall’altro raccoglierne e proiettarne in avanti le linee. La forza propulsiva del Vaticano II, come Benedetto XVI ha spiegato in tante circostanze, è proprio il dinamismo dell’evangelizzazione in un mondo "moderno" e, oggi, più confusamente, "post"-moderno. 
Ecco quindi il significato dell’impegno per la "nuova evangelizzazione", che Benedetto rilancia e su cui si gioca appunto la continuità tra i pontificati del dopo-Concilio. Di essa infatti Paolo VI ha dato, nell’Evangeli Nuntiandi, la linea e Giovanni Paolo per essa ha testimoniato "una Chiesa più coraggiosa, più libera, più giovane". Ci sono qui anche i temi della presenza nel mondo, della "sana" laicità, del dialogo inter-culturale su cui Benedetto XVI, in dialogo aperto con la cultura, ha sviluppato un importante magistero. 
Poche settimane fa, aveva chiesto ai cardinali di pregare "affinché possa sempre offrire al popolo di Dio la testimonianza della dottrina sicura e reggere con mite fermezza il timone della Santa Chiesa". Ecco allora la terza e decisiva linea, il terzo e decisivo tema che il Papa propone alla Chiesa e al mondo: la questione della fede e in concreto l’anno della fede. Nella recentissima messa crismale, il 5 aprile, ha affrontato con semplicità e chiarezza, secondo la sua linea patristica, che lo accomuna cioè ai Padri della Chiesa di cui è profondissimo conoscitore, il tema dell’unità nella Chiesa e della fede. E ha rilanciato "la dinamica del vero rinnovamento", con riferimento alla vicenda post-conciliare, come risposta da un lato agli "appelli alla disobbedienza", dall’altro all’"analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo ad una società così intelligente". Un programma chiarissimo, che ha la sua radice e il suo fondamento nella "conformazione a Cristo", da svolgere con fiduciosa determinazione.
Sir

lunedì 9 aprile 2012

Le tuniche di Gesù


Quest’anno ricorre il V centenario della prima ostensione ufficiale della Tunica di Treviri (come ha riferito «Avvenire» domenica scorsa). Secondo la tradizione, sarebbe la «Tunica inconsutile», quella che l’apostolo Giovanni, nel suo vangelo, descrive come «senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo». Ecco perché i soldati «dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: "Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte"» (Gv 19, 23-24).

Nello stesso tempo, però, sempre secondo un’altra tradizione, ci sarebbe anche ad Argenteuil, nei pressi di Parigi, una seconda Tunica di Gesù. Questa Tunica sarebbe stata offerta nell’800 dall’Imperatore Carlo Magno a sua figlia Teodorada, allora abbadessa del Monastero dell’Humilité-de-Notre-Dame di Argenteuil, lo stesso monastero che successivamente accoglierà Eloisa, l’amante di Abelardo.

Due Tuniche di Gesù dunque! Ma la quale sarà davvero la vera? Quando vengono confrontate tra di loro, possiamo notare tre differenze importanti. Innanzi tutto la Tunica di Treviri è più ampia: è lunga 1,47 m davanti e 1,57 m dietro e la sua larghezza sotto le braccia è di 1,09 m; quella di Argenteuil invece è lunga 1,22 m e ha una larghezza sotto le braccia di 0,90 m - anche se, secondo la descrizione del secolo XVIII, doveva esser un po’ più alta di 25 cm e la maniche intere avere una lunghezza di 80 cm. Poi, c’è una secondo differenza: è di lino o di cotone, mentre quella di Argenteuil è di lana. Infine, non presenta macchie di sangue al contrario di quella di Argenteuil.

Di conseguenza, se queste due Tuniche sono vere, è probabile che Gesù abbia portato la Tunica di Treviri come un mantello sopra quella di Argenteuil e che venne tolta prima della sua Passione, cosa che spiegherebbe perché non ci sono tracce di sangue.

La storia della Tunica di Argenteuil è un po’ tormentata. Dopo essere stata nascosta durante le invasioni normanne, è stata dopo ritrovata ed è riuscita ad attraversare i momenti bui della crisi protestante e della rivoluzione francese durante la quale è stata menomata. Però, è ancora qua, ben presente fra noi - anche se praticamente totalmente ignorata. Oggetto solo di culto per tanti secoli, diventerà anche oggetto di studi scientifici - ovviamente a seconda dell’evoluzione delle tecniche.

Già alla fine del ’800, erano state eseguite le prime ricerche. Però, grazie a tecniche di laboratorio sempre più moderne e sofisticate che hanno permesso di approfondire le conoscenze, si sono scoperti tanti aspetti comuni con la Sindone non evidenziabili ad occhio nudo. In questo breve articolo, non si possono elencare tutti gli studi scientifici eseguiti e i risultati ottenuti.

Però, si può citare per esempio lo studio della stoffa (è di origine orientale) e del suo colore (è colorata con un coloro rosso, chiamato anche la «porpora del povero»); delle macchie di sangue (che corrispondono a quella della Sindone) e dei globuli rossi (che presentano una forma anomala, sia sferica che appiattita, indice di una sofferenza cellulare intensa provocata da un’anemia e da una disidratazione, e che si sono svuotati dalla loro emoglobina); del gruppo sanguigno (gruppo Ab) e del Dna (maschile, la cui formula cromosomica corrisponde a quella di un uomo semita non arabo); della presenza di cristalli di urea (componente importante del sudore); della presenza di piattole (dovute alla sua ultima notte che ha trascorso in carcere); dei pollini (di cui alcuni provengono dal Medio Oriente e due dalla Palestina biblica) e di altre polveri (alcune delle quali rinvenute identiche sulla Sindone)…

Ovviamente, è stato anche fatto lo studio con il radiocarbonio 14. Ma come la Sindone di Torino, ha avuto esattamente le stesse problematiche… Per esempio, nel 2003, uno studio col Carbonio 14 su un primo campione di questa Tunica di Argenteuil ha fissato una data tra il 530 e il 650 d.C. con una data media del 590 e con una percentuale di sicurezza del 95,4 %; poi, su un secondo campione, analizzato in un altro laboratorio, la data indicata era tra il 670 e l’880 d.C. con una data media del 775 e la stessa probabilità di sicurezza. Così possiamo constatare che la stessa metodica usata sullo stesso campione ma in laboratori diversi, ha fornito una differenza nella datazione di ben 200 anni! Questi esami al C14 sono dunque contraddetti da alcuni dati storici e da altri scientifici: se il tessuto è del 530 e 650 d.C. o del 670 e 880 d.C. allora non poteva esistere prima…

Però, sarebbe molto interessante continuare ad approfondire le conoscenze fin qui acquisite, confrontando i risultati ottenuti dalle analisi effettuate sulla Tunica di Argenteuil con quelli che provengono dalla Sindone e dalle altre vesti di Gesù come quella di Treviri, il sudario di Oviedo, il «velo della Veronica»…
Queste Tuniche che la storia ha frammentato in più parti, possono essere anche oggi il richiamo a riscoprire e ad approfondire, durante questa preparazione alla Pasqua, il simbolo, purtroppo ancora in divenire, dell’unità voluta da Cristo per tutti i cristiani. Sempre presente fra noi, è anche sempre portatrice di un’altra dimensione: la tensione verso l’unità alla quale devono tendere i cristiani come il Padre e il Figlio sono uno (Gv 17, 21).


Jean-Charles Le Roy
29 marzo 2012   Avvenire