venerdì 30 aprile 2010

La Trinità di Laurentin

ROMA: IL 4 MAGGIO IL NUOVO LIBRO DI LAURENTIN PRESENTATO AL REGINA APOSTOLORUM
“Trattato sulla Trinità”: questo il titolo del nuovo volume di Renè Laurentin, che verrà presentato presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma martedì 4 maggio. Ad introdurre l’incontro Padre Pedro Barrajòn LC, Rettore dell’Ateneo, Padre Juan Pablo Ledesma Lc, decano della Facoltà di Teologia, e Angelo Serra, coordinatore editoriale di Edizioni ART. Successivamente a diversi interventi, concluderà l’autore stesso. Il “Trattato sulla Trinità” segue, tra le altre, una prima voluminosa pubblicazione dello stesso autore sulla Trinità (“La Trinité, mystère et lumière”, Fayard, 1999). René Laurentin è dottore in lettere e professore in numerose università francesi ed estere, è stato esperto del Concilio Vaticano II, membro del consiglio di redazione della rivista teologica internazionale “Concilium”. Ha ricevuto 12 premi internazionali, ha scritto un centinaio di opere e molti articoli su riviste specializzate.
Essere chiari, precisi, trasparenti e con carità a servizio della verità: sono queste le caratteristiche che devono avere i comunicatori della Chiesa. Lo ha sottolineato ieri a Roma, alla Pontificia Università della Santa Croce, mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, invitato a concludere l’incontro internazionale dei portavoce della Chiesa sul tema “Mostrare un’identità chiara e definita è un punto di forza comunicativo”. Fra i temi discussi la relazione fra identità e dialogo. Tiziana Campisi ha chiesto a mons. Celli come far funzionare questo binomio nella Chiesa:

R. – Credo che la Chiesa in questo momento non facile debba avere una chiara consapevolezza di ciò che siamo. Quindi, oltre una provata professionalità ci vuole anche una chiara e precisa identità. Vale a dire che dobbiamo sapere che cosa portiamo nel cuore: quindi, non infingimenti non camuffamenti ma una chiarezza a tutta prova di ciò che siamo. Bisogna creare una cultura di dialogo, di rispetto e anche di amicizia. Un buon comunicatore non solamente deve avere chiarezza dottrinale e alta professionalità ma deve anche entrare in sintonia con la sua comunità, la sua Chiesa, perché a volte la tentazione è quella della difesa. Abbiamo molto da imparare ancora.

D. – Non sempre nella Chiesa c’è una comunicazione concorde. In che modo può emergere allora un’identità chiara e definita?


R. – Dobbiamo migliorare le forme di coordinamento tra di noi. Anche in questo momento così doloroso non sempre abbiamo fatto riferimento a una strategia comunicativa, credo che in ogni situazione abbiamo sempre qualcosa da imparare. C’è una grande volontà di servire la verità. Non siamo patrocinatori del nascondimento o del nascondere qualche cosa. Credo che anche nella sua ultima Lettera alla Chiesa in Irlanda, toccando quel tema così delicato e fonte di tanta sofferenza, il Papa ci invita a essere precisi, chiari, trasparenti. Credo che qui dobbiamo camminare un poco tutti insieme e credo che ancora una volta la rete ci aiuti a esprimere ancora di più una vera e più profonda comunione ecclesiale. Non siamo isolati gli uni dagli altri e quindi c’è bisogno di un migliore coordinamento, di un sentire e comprendere l’altro, anche all’interno della Chiesa e nel mondo della comunicazione. Credo che, quindi, questi momenti così difficili ci hanno aiutato a capire ancora di più che abbiamo bisogno l’uno dell’altro e che oggigiorno quando si affronta il mondo della comunicazione - basti pensare che un episodio in un settore del mondo nel giro di poche ore è conosciuto a livello mondiale - questo ci deve aiutare a capire come questa nostra operatività comunicativa debba essere coordinata, dobbiamo creare delle sinergie per essere annunciatori sereni, obiettivi. Chi opera nei media deve sapere che è a servizio della verità e chi è a servizio della verità sa che non può nascondere, deve essere trasparente sa che è un servitore dell’uomo. Credo che anche nella Chiesa debba sempre più prevalere una cultura di trasparenza e non di nascondimento, anche se alle volte questo ci costa. Ma la verità è momento di crescita per tutti noi, una verità - come ci ricorda anche il Papa con la sua ultima Enciclica - che va vissuta nella carità, come è vero che non esiste vera carità, vero amore, che non abbia una profonda connessione con la verità.


D. – Dunque, per lei oggi è necessaria una formazione alla comunicazione nella Chiesa? Cosa sta facendo il Pontificio Consiglio da lei guidato?


R. – Il Pontificio Consiglio deve ricordare che questa è una esigenza profonda. Noi siamo chiamati ad animare, a sostenere, a promuovere. Dobbiamo aiutare a capire sempre più cosa significa comunicare e cosa significa comunicare nella Chiesa. Credo che il Pontifico Consiglio in questi anni sia sempre più coinvolto ad aiutare e a riflettere e siamo coinvolti a tutto tondo a far sì che questo messaggio così preciso anche del Papa diventi realtà nel tessuto ecclesiale.

(dal sito della Radio Vaticana)

martedì 27 aprile 2010

Gregoriana, padre Dumortier è il nuovo rettore

La nomina di Benedetto XVI. Il gesuita francese guida il Centre Sèvres a Parigi. Succederà a padre Ghirlanda dal prossimo primo settembre di R. S. (da www.Romasette.it)

Il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato il nuovo magnifico rettore della Pontificia Università Gregoriana il padre François-Xavier Dumortier; succederà a partire dal prossimo 1 settembre all'attuale rettore, il gesuita padre Gianfranco Ghirlanda.

Padre Dumortier è nato il 4 novembre 1948 a Levroux, in Francia, è entrato nella Compagnia di Gesù all’età di 25 anni. Ha studiato scienze politiche all’Institut d’Etudes Politiques de Paris e si è laureato anche in diritto all’Università Panthéon-Assas Paris II (D.E.A. e specializzazione in filosofia del diritto). Ha quindi studiato filosofia e teologia al Centre Sèvres di Parigi e alla Weston Jesuit School of Theology a Cambridge-Massachusetts. È stato ordinato nel 1982 emettendo i voti perpetui nella Compagnia di Gesu nel 1990. Ha insegnato per oltre 20 anni al Centre Sèvres (la facoltà dei Gesuiti a Parigi) di cui attualmente è rettore e all’Institut Catholique de Paris. Ha svolto diversi altri incarichi pastorali e accademici.

Appresa la nomina da parte del Santo Padre, in un messaggio alla comunità accademica padre Dumortier ha scritto: «In questo momento, in cui viene resa pubblica la mia nomina da parte del Santo Padre a prossimo Rettore accademico della vostra università, desidero dirvi quanto io misuri la fiducia che mi è concessa, e insieme la pesante responsabilità che avrò da portare. Sono in effetti pienamente consapevole dell’importanza della Pontificia Università Gregoriana nella Chiesa e per la Chiesa».

Il rettore in carica, padre Ghirlanda, ha espresso felicitazioni per la nomina di grande valore e augura al padre Dumortier un proficuo lavoro.

27 aprile 2010

domenica 25 aprile 2010

Volti e linguaggi nell’era crossmediale


22-24 aprile 2010
Hotel Summit, Roma


La fede nella Rete delle relazioni: comunione e connessione

23 aprile 2010


di P. Antonio Spadaro,
Redattore de La Civiltà Cattolica

1.Internet: mezzo o ambiente?
2.L’uomo religioso: radar o decoder?
3.La ricerca di Dio: motore o domanda?
4.L’amicizia: connessione o comunione?
5.La Chiesa: fili di rete o tralci di vite?
6.I Sacramenti: «presenza reale» o «presenza virtuale»?
7.L’Autorità: emittenza o testimonianza?
8.La Rivelazione: codice «proprietario» o «aperto»?
9.La Grazia: «peer-to-peer» o «face-to-face»?
10.L’Eschaton: coscienza collettiva o Parusia?


Internet è una realtà che ormai fa parte della vita quotidiana di molte persone. Se fino a qualche tempo fa era legata all’immagine di qualcosa di tecnico, che richiedeva competenze specifiche sofisticate, oggi è diventato un «luogo» da frequentare per stare in contatto con gli amici che abitano lontano, per leggere le notizie, per comprare un libro o prenotare un viaggio, per condividere interessi e idee.
L’avvento di internet è stato, certo, una rivoluzione. E tuttavia è necessario sfatare un mito: che la Rete sia un’assoluta novità del tempo moderno. Essa è una rivoluzione che potremmo definire «antica», cioè con salde radici nel passato: replica antiche forme di trasmissione del sapere e del vivere comune, ostenta nostalgie, dà forma a desideri e valori antichi quanto l’essere umano. Quando si guarda a internet occorre non solo vedere le prospettive di futuro che offre, ma anche i desideri e le attese che l’uomo ha sempre avuto e alle quali prova a rispondere, e cioè: connessione, relazione, comunicazione e conoscenza. Nella Rete ogni informazione (un’immagine, un video, una registrazione audio, un link, un testo,…) entra in una rete di relazioni di persone che collega tra loro i contenuti e ne potenzia ed estende il valore e il significato.
Internet: mezzo o ambiente?
Sappiamo bene come da sempre la Chiesa abbia nell’annuncio di un messaggio e nelle relazioni di comunione due pilastri fondanti del suo essere. L’allora card. Ratzinger, nel suo intervento al convegno C.E.I. Parabole mediatiche del 2002, ha chiaramente individuato la domanda della Chiesa: «come il vangelo può superare la soglia fra me e l’altro? Come si può giungere ad una comunione nel vangelo, così che esso non solo mi unisca all’altro, ma unisca entrambi con la parola di Dio e così ne nasca un’unità che vada veramente in profondità?»1. L’uomo «non è una “tabula rasa”, come secondo Aristotele e Tommaso d’Aquino è lo spirito umano nel primo momento del risvegliarsi alla vita. No, la tavola dello spirito, alla quale giunge la nostra predicazione, è riempita di molteplici scritte e viene continuamente in contatto con innumerevoli comunicazioni»2. La Chiesa che evangelizza è dunque naturalmente presente – ed è chiamata ad esserlo – lì dove l’uomo sviluppa la sua capacità di conoscenza e di relazione. Ecco perché la Rete e la Chiesa sono due realtà da sempre destinate ad incontrarsi.
Internet non è affatto un semplice «strumento» di comunicazione che si può usare o meno, ma un «ambiente» culturale, che determina uno stile di pensiero e crea nuovi territori e nuove forme di educazione, contribuendo a definire anche un modo nuovo di stimolare le intelligenze e di stringere le relazioni, addirittura un modo di abitare il mondo e di organizzarlo. L’uomo non resta immutato dal modo con cui manipola la realtà: a trasformarsi non sono soltanto i mezzi con i quali comunica, ma l’uomo stesso e la sua cultura. La Chiesa dunque, per attuare sino in fondo la sua missione, è chiamata a vivere nella Rete e incarnare in essa il messaggio del Vangelo.
In questo senso la Rete non è un nuovo «mezzo» di evangelizzazione, ma innanzitutto un contesto in cui la fede è chiamata ad esprimersi non per una mera «volontà di presenza», ma per una connaturalità del cristianesimo con la vita degli uomini. Già nella Redemptoris missio leggevamo che l’impegno nei cosiddetti media «non ha solo lo scopo di moltiplicare l’annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa “nuova cultura” creata dalla comunicazione moderna. È un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici» (Redemptoris missio, n. 37).
In effetti una delle sfide maggiori, specialmente per coloro che non sono «nativi digitali» è quella di non vedere nella Rete una realtà parallela, cioè separata rispetto alla vita di tutti i giorni, ma uno spazio antropologico interconnesso in radice con gli altri della nostra vita. La Rete sempre di più tende a diventare trasparente e invisibile, tende esponenzialmente a non essere più «altro» rispetto alla nostra vita quotidiana. Del resto lo sappiamo bene: per essere wired, cioè «connessi», non c’è più bisogno di sedersi al computer, ma basta avere uno smartphone in tasca3, magari con il servizio di notifica push attivato4. La Rete è un piano di esistenza sempre più integrato con gli altri piani.
Persino Second Life non fa eccezione rispetto a questa logica di lettura5. Infatti anche quando un uomo agisce in quanto avatar non vive in realtà uno sdoppiamento di personalità. L’avatar è un’estensione digitale dello stesso soggetto che vive e agisce nella prima vita, non un essere autonomo o una parte staccata di se stessi. Tutta la libertà e la responsabilità dell’uomo della «prima vita» dunque sono anche attributi del suo avatar, perché sono esse a muoverlo. È la stessa persona che tramite il suo avatar si muove nel mondo simulato. Questo avatar non è «altro» da sé. Al contrario, è sempre la stessa persona che vive in un differente spazio antropologico6.
È evidente, dunque, come la Rete con tutte le sue «innovazioni dalle radici antiche» ponga una serie di questioni rilevanti di ordine educativo e pastorale. Tuttavia le questioni più rilevanti sono quelle che riguardano la stessa comprensione della fede e della Chiesa. La logica del web ha un impatto sulla logica teologica e internet comincia a porre delle sfide alla comprensione stessa del cristianesimo. Quale sono i punti di maggiore contatto dialettico tra la fede e la Rete? Occorre provare a individuare questi punti critici per avviare una loro discussione alla luce anche di palesi connaturalità come anche di evidenti incompatibilità.
L’uomo religioso: radar o decoder?
La «navigazione», in generale, è una via per la conoscenza. Oggi capita sempre più spesso che, quando si necessità di una informazione, si interroghi la Rete per avere la risposta da un motori di ricerca come Google o Bing o altri ancora. Internet sembra essere il luogo delle risposte. Esse però raramente sono univoche: la risposta è un insieme di link che rinviano a testi, immagini e video. Ogni ricerca può implicare una esplorazione di territori differenti e complessi dando persino l’impressione di una certa esaustività.
Quale fede troviamo in questo spazio antropologico che chiamiamo web? Digitando in un motore di ricerca la parola God oppure anche religion, Christ, spirituality, otteniamo liste di centinaia di milioni di pagine. Nella Rete si avverte una crescita di bisogni religiosi che la «tradizione» religiosa riesce a fatica a soddisfare. L’uomo alla ricerca di Dio oggi avvia una navigazione. Quali sono le conseguenze?
Si può cadere nell’illusione che il sacro o il religioso sia a portata di mouse. La Rete, proprio grazie al fatto che è in grado di contenere tutto, può essere facilmente paragonata a una sorta di grande supermarket del religioso, in cui è possibile trovare ogni genere di «prodotto» religioso con grande facilità: dalle riflessioni più serie e valide alle religioni che una persona annoiata si inventa per gioco. Ciascuno può attingere dalla Rete non secondo reali esigenze spirituali, ma secondo bisogni da soddisfare. Ci si illude dunque che il sacro resti «a disposizione» di un «consumatore» nel momento del bisogno.
Per comprendere il pericolo dell’omogeneizzazione religiosa sono da visitare siti come Beliefnet, dove le religioni sono messe in mostra, una al pari dell’altra, in un cocktail spesso disarmante7. E tuttavia, proprio attraversando questi siti e gli strumenti che essi mettono a disposizione, è anche possibile farsi un’idea del bisogno profondo di Dio che agita il cuore umano.
In questo contesto occorre però considerare un possibile cambiamento radicale nella percezione della domanda religiosa. Una volta l’uomo era saldamente attratto dal religioso come da una fonte di senso fondamentale. L’uomo era una bussola, e la bussola implica un riferimento unico e preciso. Poi l’uomo ha sostituito nella propria esistenza la bussola con il radar che implica una apertura indiscriminata anche al più blando segnale e questo, a volte, non senza la percezione di «girare a vuoto». L’uomo però era inteso comunque come un «uditore della parola», alla ricerca di un messaggio del quale sentiva il bisogno profondo. Oggi queste immagini, sebbene sempre vive e vere, reggono meno. L’uomo da bussola prima e radar poi si sta trasformando in un decoder, cioè in un sistena di decodificazione delle domande sulla base delle molteplici risposte che lo raggiungono. Viviamo bombardati dai messaggi, subiamo una sovrainformazione, la cosiddetta information overload. Il problema oggi non è reperire il messaggio di senso ma decodificarlo, riconoscerlo sulla base delle molteplici risposte che io ricevo. La testimonianza digitale diventa sempre di più un «rendere ragione della speranza» (1Pt 3, 15) in un contesto in cui le ragioni si confrontano rapidamente e «selvaggiamente». A farsi largo è il classico meccanismo della pubblicità, che offre risposte a domande che ancora non sono state formulate. La domanda religiosa in realtà si sta trasformando in un confronto tra risposte plausibili e soggettivamente significative.
La grande parola da riscoprire, allora, è una vecchia conoscenza del vocabolario cristiano e, in particolare, della spiritualità ignaziana: il discernimento. Le domande radicali non mancheranno mai, ma oggi sono mediate dalle risposte che si ricevono e che richiedono il filtro del riconoscimento. La risposta è il luogo di emersione della domanda. Tocca all’uomo d’oggi, dunque, e soprattutto al formatore, all’educatore, dedurre e riconoscere le domande religiose vere dalle risposte che lui si vede offrire continuamente. E’ un lavoro complesso, che richiede una grande preparazione e una grande sensibilità spirituale.
La ricerca di Dio: motore o domanda?
Forse anzi è il caso di educare le persone al fatto che ci sono realtà che sfuggono sempre e comunque alla logica del «motore di ricerca» e che la googlizzazione della fede è impossibile perché falsa. E’ certamente da privilegiare invece la logica dei motori semantici. E’ il caso di Wolfram|Alpha, un «motore computazionale di conoscenza», cioè un motore che decodifica ed elabora, intrecciando i dati a sua disposizione, le parole chiave inserite dall’utente e propone direttamente una risposta. Visto che, al momento, l’unica lingua che comprende è l’inglese, è interessante notare la risposta alla domanda Does God exist? (Dio esiste?): «Mi dispiace, ma un povero motore computazionale di conoscenza, non importa quanto potente possa essere, non è in grado di fornire una risposta semplice a questa domanda»8. Lì dove Google va a colpo sicuro fornendo centinaia di migliaia di risposte indirette, Wolfram|Alpha fa un passo indietro. La differenza è che il motore «sintattico» quale è Google, si preoccupa unicamente di «censire» le parole che ci sono all’interno di un testo senza in alcun modo tentare di determinare il contesto in cui queste parole vengono utilizzate. La ricerca semantica tenta di invece di avvicinarsi al modo di apprendere dell’uomo, cercando di interpretare il significato logico delle frasi e tentando di carpirne il significato dal contesto. Dunque il modo in cui si pone la domanda può influenzare l’efficacia della risposta, e dunque deve essere ben posta. La ricerca di Dio è sempre semantica e il suo significato nasce e dipende sempre da un contesto.
Il cristiano non è mai un «consumatore di servizi religiosi» né una persona che ha in pugno una risposta. Il cristianesimo si autocomprende come portatore di un messaggio, quello della morte e resurrezione di Cristo, resistente alle assimilazioni, «scandaloso», capace di superare la stessa domanda dell’uomo.
La presenza cristiana in Rete deve far leva sul fatto che la parola del Vangelo scuote, non acquieta o appaga: non serve a «far star bene», ma, al contrario, rischia sul serio di mettere in crisi le coscienze, cioè di «far star male», potremmo dire. La strada da affrontare è quella dialetticamente attraversata «dal gioco accorto della spontaneità e della reticenza, della trasparenza e della simulazione, dell’azzardo della esposizione pubblica e della custodia dell’intimità altrimenti inaccessibile»9 all’interno di un «mercato» già saturo di messaggi.
«Forse il vangelo non è un’informazione fra le altre – si chiedeva nel 2002 l’allora card. Ratzinger durante il convegno Parabole digitali –, una riga sulla tavola accanto ad altre, ma la chiave, un messaggio di natura totalmente diversa dalle molte informazioni, che ci sommergono giorno dopo giorno? Dalla questione della caratteristica di questo messaggio dipende anzi anche la questione della forma giusta della sua comunicazione. Se il vangelo appare solo come una notizia fra molte, può forse essere scartato in favore di altri messaggi più importanti. Ma come fa la comunicazione, che noi chiamiamo vangelo, a far capire che essa è appunto una forma totalmente altra di informazione - nel nostro uso linguistico, piuttosto una “performazione”, un processo vitale, per mezzo del quale soltanto lo strumento dell’esistenza può trovare il suo giusto tono?». E la sfida è seria perché segna la demarcazione tra la fede come «merce» da vendere in maniera seduttiva, e la fede come atto dell’intelligenza dell’uomo che, mosso da Dio, dà a Lui liberamente il proprio consenso.
L’amicizia: connessione o comunione?
La pastorale dunque deve infatti confrontarsi con la Rete in quanto ambiente di vita, spazio antropologico e di domanda religiosa. Ma lo spazio è abitato da persone e questo concretamente significa un confronto con le nuove «identità di Rete». Che cosa significa essere persone che abitano la Rete come un ambiente di vita? Internet connette persone, ma ciascuno al suo interno può costruire una propria identità fittizia, simulata e intendere la relazione come un gioco. I rischi sono connessi innanzitutto alla fragilità di identità e relazioni. In Rete ciascuno può far credere di essere ciò che non è a livello di età, sesso e professione, esprimendosi senza i limiti dati dalla propria identità pubblica. In Rete si diventa sostanzialmente messaggio. Insomma si dialoga per quel che ci si sente di essere e per il «pensiero puro», diciamo così, che si esprime.
Ma proprio per questo dunque, la Rete è potenzialmente anche molto confidenziale, perché permette di dire di sé cose che altrimenti difficilmente una persona direbbe nei suoi panni quotidiani. Si può avere un’apertura completa e un grande livello di autenticità, fino a scadere anche nello spontaneismo senza limiti e senza pudori. Il cyberspazio comunque è un «luogo» emotivamente caldo e non tecnologicamente algido, come qualcuno sarebbe tentato di immaginare. Certo, basta disconnettersi o chiudere il programma per chiudere la relazione. In alcuni casi, però, al contrario, si «buca» la Rete e le persone si incontrano in uno spazio reale. Se questo avviene nei casi tristemente noti degli approcci erotici, avviene anche nel caso di relazioni di aiuto spirituale.
Lo sviluppo del web 2.0 ha fatto comprendere come i rapporti tra le persone siano al centro del sistema e dello scambio dei contenuti, che sempre più appaiono fortemente legati a chi li produce o li segnala. Riemergono dunque con forza i concetti di persona, autore, relazione, amicizia, intimità… Occorre comprendere bene come il concetto stesso di «prossimo» e, più specificamente di «amicizia» si modifichi e si evolva proprio a causa della Rete.
Tutte le piattaforme di social network sono insieme un potenziale aiuto alla relazioni ma anche una loro minaccia. La relazione umana non è così un semplice gioco, e richiede tempi, conoscenza diretta. La relazione mediata dalla Rete è sempre necessariamente monca se non ha un aggancio nella realtà. Benedetto XVI ha insistito molto sulla assoluta necessità di non banalizzare il concetto e l’esperienza dell’amicizia: «Sarebbe triste se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare on-line le amicizie si realizzasse a spese della disponibilità per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontrano nella realtà di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero. Quando, infatti, il desiderio di connessione virtuale diventa ossessivo, la conseguenza è che la persona si isola, interrompendo la reale interazione sociale. Ciò finisce per disturbare anche i modelli di riposo, di silenzio e di riflessione necessari per un sano sviluppo umano». Se la Rete, chiamata a connettere, in realtà finisce per isolare, allora tradisce se stessa in ciò che è nel suo significato.
D’altra parte è evidente, come Benedetto XVI ha scritto nel suo messaggio per la Giornata della Comunicazioni 2010, che «i moderni mezzi di comunicazione sono entrati da tempo a far parte degli strumenti ordinari attraverso i quali le comunità ecclesiali si esprimono, entrando in contatto con il proprio territorio ed instaurando, molto spesso, forme di dialogo a più vasto raggio». Insomma la «connessione» è chiamata ad essere luogo di «comunione», a tal punto che – scrive il Papa – essa diventa importante nell’ambito dello stesso ministero sacerdotale. La missione dei consacrati che operano nei media è, tra l’altro, proprio quello di «spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualità del contatto umano».
La Chiesa: fili di rete o tralci di vite?
Tuttavia, certo, non è possibile immaginare una vita ecclesiale essenzialmente di Rete: una «chiesa di Rete» in sé e per sé è una comunità priva di qualunque riferimento territoriale e di concreto riferimento di vita. Non è una comunità locale o omogenea di quartiere o di villaggio, ma emerge come un fungo, potremmo dire, dal «villaggio globale». Ciò ha alcuni risvolti positivi perché rende possibili aggregazioni spontanee per sensibilità e comunanze elettive. Tuttavia in tal modo rischia di annullare il confronto, anche difficile, con le differenze di età, di cultura, di mestiere, di idee, di sensibilità. Potrebbe così, ad esempio, dare alla pastorale un impulso eccessivo alla segmentazione, diciamo così, «di mercato»: pastorale giovanile, della famiglia, della terza età, dei malati, e così via.
Pensiamo alle «chiese» generate dai telepredicatori, che producono una pratica religiosa individuale, la quale conferma l’esasperata privatizzazione degli scopi della vita e l’individualismo estremo della società dei consumi capitalistica per il quale vale il motto «ciascuno per sé e Dio per tutti». Non è dovuto al caso il successo dei siti di spiritualità diffusa, svincolata da qualunque forma di mediazione storica, comunitaria e sacramentale (tradizione, testimonianza, celebrazione,…), tendente a includere tutti i valori religiosi unicamente nella coscienza individuale e spesso di ispirazione new age.
Queste tensioni ovviamente hanno una ricaduta sul significato dell’«appartenenza» ecclesiale. Essa rischia di essere considerata il frutto di un «consenso» e dunque «prodotto» della comunicazione. In questo contesto i passi dell’iniziazione cristiana rischiano di risolversi in una sorta di «procedura di accesso» (login) all’informazione, forse anche sulla base di un «contratto», che permette anche una rapida disconnessione (logoff). Il radicamento in una comunità si risolverebbe in una sorta di «installazione» (install) di un programma (software) in una macchina (hardware), che si può dunque facilmente anche «disinstallare» (uninstall). Infine la partecipazione virtuale rischierebbe di risolversi in qualcosa di simile alla partecipazione a uno spettacolo.
D’altra parte la Rete è destinata sempre di più ad essere non un mondo parallelo e distinto rispetto alla realtà di tutti i giorni, quella dei contatti diretti: le due dimensioni sono chiamate ad armonizzarsi e a integrarsi quanto più è possibile in una vita di relazioni piene e sincere.
Certo però la Rete pone domande che riguardano la mentalità e il modello con cui può essere compresa la Chiesa nel suo essere «comunità» e nel suo sviluppo. La Lumen gentium al n. 6, parlando dell’intima natura della Chiesa, afferma che essa si fa conoscere attraverso «immagini varie». Nel passato, oltre a quelle bibliche, sono state usate anche immagini di altro genere per «significare» la Chiesa; ad esempio, le metafore navali e di navigazione10. Alcune immagini infatti possono anche essere «modelli» ecclesiologici. Per «modello» si intende un’immagine impiegata in modo riflesso e critico per approfondire la comprensione della realtà11. La domanda a questo punto è se oggi non si ponga la necessità di confrontarsi seriamente con la figura della «Rete» e con ciò che da essa deriva a livello di comprensione ecclesiologica. È possibile pensare a internet come a una metafora per comprendere la Chiesa, naturalmente senza credere che essa possa esser esaustiva?
Certamente la relazionalità della Rete funziona se i collegamenti (link) sono sempre attivi: qualora un nodo o un collegamento fosse interrotto, l’informazione non passerebbe e la relazione sarebbe impossibile. La reticolarità della vite nei cui tralci scorre una medesima linfa non è distante dall’immagine di internet, tutto sommato. Da ciò si intende che la Rete è immagine della Chiesa nella misura in cui la si intende come un corpo che è vivo se tutte le relazioni al suo interno sono vitali. Poi l’universalità della Chiesa e la missione dell’annuncio «a tutte le genti» rafforzano la percezione che la Rete possa essere un buon modello di valore ecclesiologico.
Tuttavia restano aperti alcuni interrogativi. Il primo si fonda sul fatto che la Rete può essere compresa come una sorta di grande testo autoreferenziale e dunque puramente «orizzontale»: essa non ha radici né rami e dunque rappresenta un modello di struttura chiusa in se stessa12. La Chiesa invece non è una rete di relazioni immanenti, ma ha sempre un principio e un fondamento «esterno». Se le relazioni in Rete dipendono dalla presenza e dall’efficace funzionamento degli strumenti di comunicazione, la comunione ecclesiale è radicalmente un «dono» dello Spirito. L’agire comunicativo della Chiesa ha in questo dono il suo fondamento e la sua origine.
D’altra parte però possono risultare illuminanti le parole di Karl Rahner, quando afferma che ogni realizzazione, anche germinale, della socialità umana è una attuazione, seppure ampia e diffusa, della Chiesa. Infatti «l’uomo non è l’essere dell’intercomunicazione solo in maniera marginale, bensì questa sua qualità condetermina in lungo e in largo tutta la sua esistenza». Posto ciò, «se la salvezza riguarda tutto l’uomo, lo pone in rapporto con Dio nella sua totalità e in tutte le dimensioni della sua esistenza», allora «con ciò è già detto che questa interumanità caratterizza anche la religione del cristianesimo», che va concepita come una «religione ecclesiale»13.
Benedetto XVI nel suo Messaggio per Giornata Mondiale delle Comunicazioni del 2009 ha letto alla luce del messaggio biblico proprio questa tensione fondamentale che le nuove tecnologie sono in grado di sviluppare. Questo desiderio infatti, egli scrive, «va letto piuttosto come riflesso della nostra partecipazione al comunicativo ed unificante amore di Dio, che vuol fare dell’intera umanità un’unica famiglia. Quando sentiamo il bisogno di avvicinarci ad altre persone, quando vogliamo conoscerle meglio e farci conoscere, stiamo rispondendo alla chiamata di Dio – una chiamata che è impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza di Dio, il Dio della comunicazione e della comunione». Il passaggio è rilevante perché connette direttamente la trasformazione di internet inteso come rete sociale, alla chiamata di Dio che vuol fare dell’umanità un’unica famiglia.
I Sacramenti: «presenza reale» o «presenza virtuale»?
Legata alla questione ecclesiologica appare essere quella dei sacramenti. È possibile immaginare i sacramenti nel mondo della Rete? La domanda è complessa: andrebbe articolata e compresa bene, e certo non lo si può fare in poche battute. Il primo livello della questione ha radici negli anni che ha visto trasmettere la celebrazione eucaristica per televisione, e oggi si allarga a una possibile partecipazione a suo modo «interattiva» in videoconferenza. La questione si apre toccando la possibilità dell’assoluzione sacramentale via internet, che prosegue quella della confessione telefonica. Poi tocca anche quello della consacrazione a distanza. Ma alla fine tocca questioni più complesse e tipiche legate all’evoluzione della Rete, cioè quella della possibilità di «sacramenti virtuali».
Cerco di chiarire la questione con una applicazione concreta. Un avatar in Second Life non è un essere autonomo o una parte staccata di se stessi ma un’estensione digitale dello stesso soggetto che vive e agisce nella «prima vita». Posto ciò, allora, un avatar può partecipare a un evento di preghiera? Ciò che sembra di poter osservare è che col crescere degli spazi virtuali, molti hanno cominciato ad avvertire il bisogno di creare luoghi di preghiera o addirittura chiese, cattedrali, chiostri e conventi per tempi di sosta e di meditazione. L’elenco delle chiese nella Second Life è lungo: esistono anche cattedrali, come le simulazioni delle cattoliche Notre-Dame di Parigi o della cattedrale di Salisburgo o della anglicana St. Paul di Londra, ma anche la basilica di San Francesco in Assisi14.
Ma che cosa significa pregare nella Second Life? «Io metto il mio avatar in posizione di preghiera e nello stesso tempo io prego. La mia preghiera nella mia stanza è valida e la mia preghiera online è simbolica»15, ha scritto un fedele. Ma – ecco la questione chiave – è possibile anche che gli avatar vivano anche una forma di preghiera comune che sia da considerare liturgica? Da alcuni anni esiste una cattedrale anglicana in Second Life dove si tengono regolarmente services liturgici a orari precisi16. Ma, in particolare, la domanda è se sia possibile pensare a una celebrazione eucaristica virtuale dove gli avatar ricevono le specie eucaristiche nel mondo simulato. Si è occupato della questione, ad esempio il pastore battista Paul S. Fiddes, professore di Teologia Sistematica ad Oxford in un testo breve che ha fatto il giro della Rete, provocando un ampio dibattito.
La Chiesa cattolica insiste sempre sul fatto che sia impossibile e antropologicamente errato considerare la realtà virtuale come capace di sostituire l’esperienza reale, tangibile e concreta della comunità cristiana visibile e storica, e così dunque anche i sacramenti. Il documento La Chiesa e Internet (2002) del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, è stato quanto mai chiaro: «La realtà virtuale non può sostituire la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia, la realtà sacramentale degli altri sacramenti e il culto partecipato in seno a una comunità umana in carne e ossa. Su Internet non ci sono sacramenti. Anche le esperienze religiose che vi sono possibili per grazia di Dio sono insufficienti se separate dall’interazione del mondo reale con altri fedeli» (n. 9).
La risposta è netta e mette al riparo da qualunque deriva che astragga la dimensione sacramentale da quella incarnata dei segni visibili e tangibili. Del resto il concetto di «sacramento virtuale» in senso stretto si fonderebbe sul fatto che sarebbe un avatar a ricevere la grazia di Dio, e da questo si trasferirebbe alla persona della quale è estensione. È chiaro che dietro questo pensiero c’è la considerazione riduttiva che ricevere un sacramento significhi sostanzialmente essere coinvolto semplicemente in maniera psicologica a un evento, reale o virtuale che sia. In questo senso pane e vino, così come l’acqua nel caso del battesimo, sarebbero tutti elementi accessori e, alla fine, privi di reale rilevanza.
Chiarito la «realtà» del sacramento, resta aperta però la questione di come l’abitudine alla virtualità possa in qualche modo incidere nella stessa comprensione del sacramento, e di come sia possibile evitare il rischio di una deriva «magica» capace di sbiadire fino a cancellarlo il senso della comunità e della mediazione ecclesiale17. È questa la vera sfida alla comprensione dei sacramenti posta dalla Rete.
L’Autorità: emittenza o testimonianza?
In questa medesima linea di riflessione si colloca il problema dell’autorità nella Chiesa e delle mediazioni ecclesiali in senso più generale. Il primo ordine di problemi nasce dal fatto che internet permette il collegamento diretto col centro delle informazioni, saltando ogni forma di mediazione visibile. In sé ciò è un fatto positivo, perché permette di attingere dati, notizie, commenti alla fonte, saltando ogni forma di passaggio intermedio, e il tutto in tempo reale. Pensiamo alla reperibilità dei documenti ufficiali della Santa Sede, ad esempio. D’altra parte la fede non è fatta soltanto di informazioni, né la Chiesa è luogo di mera «trasmissione», cioè non è una pura «emittente». Essa è luogo di «comunicazione» e «testimonianza» vissuta del messaggio che si «annuncia». Il rapporto diretto, che si crea in Rete, tra centro e qualsiasi punto della periferia forma un’abitudine all’inutilità della mediazione incarnata in un certo momento e in un certo luogo, e dunque anche alla testimonianza e alla comunicazione autorevole. Qualcuno, per fare un esempio, potrebbe chiedersi: perché devo leggere la lettera del parroco se posso realizzare la mia formazione attingendo materiali direttamente dal sito della Santa Sede? Molti, del resto già, grazie alla televisione, ben conoscono il volto del Santo Padre, ma non riconoscerebbero il vescovo della propria diocesi.
Un secondo ordine di problema è legato al riconoscimento dell’autorità «gerarchica». La Rete, di sua natura, è fondata sui link, cioè sui collegamenti reticolari, orizzontali e non gerarchici. La Chiesa vive di un’altra logica, cioè di un messaggio donato, cioè ricevuto, che «buca» la dimensione orizzontale. Non solo: una volta bucata la dimensione orizzontale, essa vive di testimonianza autorevole, di tradizione, di magistero: sono tutte parole queste che sembrano fare a pugni con una logica di Rete. In fondo potremmo dire che sembra prevalere nel web la logica dell’algoritmo Page Rank di Google che determina per molti l’accesso alla conoscenza. Esso si fonda sulla popolarità: in Google è più accessibile ciò che è maggiormente linkato, quindi le pagine web sulle quali c’è più accordo. Il suo fondamento è nel fatto che le conoscenze sono, dunque, modi concordati di vedere le cose. Questa a molti sembra la logica migliore per affrontare la complessità. Ma la Chiesa non può sposare questa logica, che nei suoi ultimi risultati, è esposta al dominio di chi sa manipolare l’opinione pubblica. L’autorità non è sparita in Rete, e anzi rischia di essere ancora più occulta.
Ma il terzo e più decisivo e generale momento critico di questa orizzontalità è l’abitudine a fare a meno di una trascendenza, l’indebolimento della capacità di rinvio a una realtà e una alterità che ci supera a favore dell’appiattimento sull’immediatezza e dell’autoreferenzialità. «Il punto di riferimento delle dinamiche simboliche accese nello spazio digitale non è più un’alterità trascendente, ma la mia identità: il mondo virtuale è una promanazione del mio io; un mondo che alla fine non mi spiega, non mi apre a una percezione dell’universo e della storia che non sia egocentrica. […] Il mondo digitale rischia quindi di strutturasi come uno spazio simbolico autoreferenziale, chiuso all’alterità. Uno spazio alla fine alienante: mi attira nel suo contesto fino a farsi percepire come l’unico spazio di realtà, pur non essendo in grado di soddisfare la mia ricerca di verità, la mia sete di comprensione e di collocazione dentro un universo che vada oltre le mie percezioni e i miei pensieri»18.
Tuttavia, nonostante i tre ordini di problemi qui illustrati, esiste anche un aspetto importante sul quale riflettere: la società digitale non è più pensabile e comprensibile solamente attraverso i contenuti, ma soprattutto attraverso le relazioni e lo scambio dei contenuti che avviene all’interno delle relazioni. È necessario dunque non confondere nuova complessità con «dis-ordine» e aggregazione spontanea con «an-archia».
Occorre così comprendere la grammatica della Rete e l’articolazione dell’autorità in un contesto fondamentalmente orizzontale. Determinante appare la categoria e la prassi della testimonianza. È questo l’aspetto positivo su quale far leva. Oggi l’uomo della Rete si fida delle opinioni in forma di testimonianza. Facciamo un esempio: se oggi voglio comprare un libro o farmi una opnione sulla sua validità vado su un social network come aNobii o visito una libreria on line e leggo le opinioni di altri lettori. Esse hanno più il taglio delle testimonianze che delle classiche recensioni: spesso fanno appello al personale processo di lettura e alle reazioni che ha suscitate. E lo stesso accade se voglio comprare una applicazione o un brano musicale su iTunes. Esistono anche testimonianze sulla correttezza delle persone nel caso in cui esse sono venditrici di oggetti su eBay. Ma gli esempi si possono moltiplicare: si tratta sempre e comunque di quegli user generated content che hanno fatto la «fortuna» e il significato dei social network. La «testimonianza» è da considerare dunque, all’interno della logica delle reti partecipative, un «contenuto generato dall’utente».
La Chiesa in Rete è chiamata dunque non solo a una «emittenza» di contenuti, ma a una «testimonianza» in un contesto di relazioni ampie: «una pastorale nel mondo digitale, infatti, è chiamata a tener conto anche di quanti non credono, sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche, dal momento che i nuovi mezzi consentono di entrare in contatto con credenti di ogni religione, con non credenti e persone di ogni cultura»19.
La Rivelazione: codice «proprietario» o «aperto»?
Il problema dell’auctoritas in Rete si è posto nella sua ampia portata soprattutto con la nascita di Wikipedia. Questa forma di enciclopedia collaborativa, redatta dai suoi stessi utenti, ha spinto qualcuno a porre una domanda radicale. È il caso, ad esempio, di Justin Baeder, creatore di Radical Congruency, un blog legato al fenomeno della cosiddetta emerging ecclesiology («ecclesiologia emergente»), che si è chiesto: «Quali implicazioni potrebbero avere per la chiesa questi siti web? Quali implicazioni potrebbero avere per un approccio comunitario alla teologia?»20.
Non è facile definire il fenomeno della emerging ecclesiology a cui corrisponde una emerging church. Queste espressioni fanno riferimento a un movimento complesso e fluido dell’area evangelico-carismatica, che intende reimpiantare la fede cristiana nel nuovo contesto post-cristiano. Esso va al di là delle singole confessioni cristiane e si caratterizza per il rifiuto delle strutture ecclesiali cosiddette «solide». Molta enfasi è invece posta sui paradigmi relazionali, su tutte le espressioni che – citando Zygmunt Bauman –  potremmo definire «liquide» della comunità, su approcci inediti e fortemente creativi alla spiritualità e al culto. Qualcuno parla di Liquid Church.
La domanda, nelle intenzioni di Baeder, non riguarda solamente un’applicazione pastorale. Essa intende chiedere se il wiki non possa ispirare un modo di fare teologia, una sorta di metodo teologico. Egli risponde alla domanda indicando la cosiddetta open source theology. L’espressione utilizza il gergo informatico che indica un tipo di licenza per software, la open source appunto, per la quale il «codice sorgente» (source) di un programma per computer è lasciato alla disponibilità di eventuali sviluppatori, così che con la collaborazione, in genere libera e spontanea, il prodotto finale possa raggiungere una complessità maggiore di quanto potrebbe ottenere un singolo gruppo di programmazione.
Con teologia open source Andrew Perriman, l’ideatore di questa espressione, intende dunque indicare un metodo teologico, quello di una teologia «esplorativa, aperta nelle conclusioni, incompleta, meno preoccupata di stabilire punti fissi e confini che a nutrire un dialogo sollecito e costruttivo tra testo e contesto»21. È giusto notare subito l’importanza che questo metodo di «teologia collaborativa», come viene anche definita, attribuisce alla riflessione teologica, intesa non come puro studio accademico, ma come attività comunitaria che si sviluppa dinamicamente all’interno di precisi contesti storici.
Tuttavia il «caso serio» qui è il seguente: qual è il «codice sorgente» della teologia? È la Rivelazione, che dunque resta «aperta» alle forme più disparate di lettura, applicazione e presentazione. La open sourche theology è molto ambigua perché chiaramente cede al rischio di un appiattimento di ordine sociologico o vagamente umanistico, e a uno smarrimento o al fraintendimento del depositum fidei. Infatti, se il «codice sorgente» della teologia, la Rivelazione, non venisse solamente elaborato a livello di «interfaccia», cioè a livello di categorie di comprensione e comunicazione, ma anche modificato in se stesso, non saremmo più davanti a una teologia cristiana, ma a una più generale discussione su temi di significato teologico-religioso. A questa vaghezza si accompagna il rifiuto di ogni forma di carisma d’autorità e il disinteresse per la tradizione considerata forma «imperiale», come l’ha definita Brian McLaren22. Il cristianesimo tenderebbe ad assumere i caratteri di una «narrazione partecipativa» realizzata da individui o gruppi in cornici e contesti culturali disparati.
In ogni caso è con questa forma mentis che la fede cattolica dovrà confrontarsi sempre di più e che richiede una nuova forma di «apologetica» che non potrà non partire dalle mutate categorie di comprensione del mondo e di accesso alla conoscenza.
La Grazia: «peer-to-peer» o «face-to-face»?
Uno dei punti critici della riflessione su ciò che in Rete va sotto il nome di open è in realtà il concetto di «dono», reso ancora più radicale dal freeware, dal «software libero». Per la Chiesa la Rivelazione è un dono indeducibile e l’agire ecclesiale ha in questo dono il suo fondamento e la sua origine. Ma è il concetto stesso di «dono» che oggi sta mutando. E, di conseguenza, questo non potrà non avere qualche riflesso (o anche qualcosa di più) nel campo della comprensione ulteriore e della formulazione migliore, anche a livello pastorale, della Rivelazione.
La Rete è il luogo del dono, infatti. Concetti come file sharing, free software, open source, creative commons, user generated content, social network hanno tutti al loro interno, anche se in maniera differente, il concetto di «dono», di abbattimento dell’idea di «profitto». A ben guardare, però, più che di «dono» si tratta di uno «scambio» libero reso possibile e significativo grazie a forme di reciprocità che risulta «proficua» per coloro che entrano in questa logica di scambio. Comunque c’è una idea «economica» che ha in mente il concetto di «mercato».
Il modello di Rete che più radicalmente riflette questa dimensione è quella «paritaria» detta peer-to-peer (o P2P) che non possiede nodi gerarchizzati come i client e i server fissi, ma un numero di nodi equivalenti (in inglese peer) aperti verso altri nodi della Rete e che mentre ricevono trasmettono e viceversa. Quando effettuo un download all’interno del P2P il mio computer prende «pezzi» del documento (video, musica, testi,...) da molti singoli computer che sono contemporaneamente connessi in Rete e che contengono quel documento. A loro volta il mio computer mentre scarica permette ad altri computer di caricare pezzi di quello o di altri file che io metto a disposizione. Poi tutto alla fine viene ricomposto nei singoli computer. Il processo si chaima file sharing ed è, dunque, all’insegna della condivisione. Questa tecnologia permette in maniera agevole di scaricare anche file multimediali molto pesanti in tempi ragionevoli o comunque di trovare una molteplicità di materiali rari. Il motivo per cui questa tecnologia è stata spesso contestata è che permette di scaricare qualsiasi cosa a costo zero e violando tutte le norme del copyright.
Quindi, in altri termini, la logica peer-to-peer si basa sul fatto che io ricevo qualcosa nella sua interezza non da un depositum (cioè un client) unico che la contiene tutta intera in un rapporto 1 a 1. Essa si basa su un processo per cui io condivido ciò che ho nel momento stesso in cui lo ricevo. Ma non ricevo mai un contenuto nella sua interezza: lo ricevo in un processo che rende me stesso il nodo di una rete condivisa di scambio e che mi fa più «ricco», diciamo così, nel momento in cui do quel che ho ricevuto fino a quel momento.
Se questa logica di condivisione viene applicata in genere a livello etico sulla distribuzione dei beni, essa appare senza problemi e, anzi, decisamente virtuosa. Tuttavia già a livello commerciale comprendiamo che essa pone un problema di «diritti» perché permette lo «scambio», cioè la «condivisione» di materiali protetti da copyright per i quali la condivisione, anche da parte di chi legalmente detiene i diritti, è invece «reato». Per questo sta emergendo un movimento che sostiene – specialmente in contesti ecclesiali – il software dal codice libero, cioè open source, e il copyleft o «permesso d’autore».
Se però spostiamo questa logica sul piano teo-logico comprendiamo che la questione invece si fa più problematica proprio perché la natura della Chiesa e la dinamica della Rivelazione cristiana sembrano seguire un modello client-server che è invece l’opposto di quello peer-to-peer. Esse non sono il prodotto di uno scambio (che possiamo definire più propriamente un «baratto» fluido) orizzontale, ma l’apertura a una Grazia indeducibile e inesauribile che passa attraverso mediazioni gerarchiche e sacramentali, storiche e di «tradizione». Se ci fermassimo qui rischieremmo di giungere alla incompatibilità radicale tra la «logica» della teologia e quella della Rete.
In realtà il nodo consiste nel fatto che la logica del dono in Rete sembra sostanzialmente essere legata a ciò che in slang viene chiamato freebie, cioè qualcosa che non ha prezzo nel senso che non costa nulla. Essa si fonda sulla domanda implicita: «quanto costa?» e l’ottica è tutta spostata su chi «prende» (e non «riceve», dunque). Il freebie è ciò che si può prendere liberamente. La gratia gratis data invece non si «prende» ma si «riceve», ed entra sempre in un rapporto al di fuori del quale non si comprende. La Grazia non è un freebie, anzi, per citare Bonhoeffer, è «a caro prezzo». Nello stesso tempo la Grazia si comunica attraverso mediazioni incarnate e si diffonde capillarmente in una logica compatibile con quella peer-to-peer ma non riducibile ad essa, la quale può essere benissimo anonima, su base individuale, e impersonale: si può prendere tutto ciò che è a disposizione e non si sa quanto dei propri file verrà condiviso.
La logica della Grazia invece crea «legami» face-to-face come è tipico della logica del dono, cosa che invece è estranea di per sé alla logica del peer-to-peer, che in se stessa è una logica di connessione e di scambio, non di comunione. E un «volto» non è mai riducibile a semplice «nodo». Certo, tra l’anonimo peer-to peer del file sharing e la logica dello user generated content dei social network la seconda appare formalmente più «compatibile» con una logica ecclesiale perché il contenuto condiviso viene «donato» all’interno di una relazione e ha come «ricompensa» la relazione stessa, cioè l’incremento e il miglioramento delle relazioni reciproche.
Sia chiaro che questo non significa che la logica peer-to-peer sia sbagliata o negativa di per sé: essa è importante in una logica di condivisione generale e diffusa. Si dice qui solamente che la logica teologica non è riducibile ad essa: è «altro» e «più» di essa.
Ma proprio in questa differenza si fonda la sfida per i credenti: la Rete da luogo di «connessione» è chiamata a diventare, come si è detto, luogo di «comunione». Il rischio di questi tempi è di confondere i due termini: la connessione non produce automaticamente una comunione, anche se ne è conditio sine qua non. La connessione di per sé non basta a fare della Rete un luogo di condivisione pienamente umana. È vero che la connessione crea communities, come si suol dire, ma ad esse non sono affatto indispensabili le effettive relazioni, i legami, la familiarità, e le loro conseguenze23. Le nuove community rischiano di considerare accessorie la fisicità, e tutto il corredo di codici legati al linguaggio «incarnato» del corpo. La relazione finisce per essere fondata sostanzialmente su pratiche retoriche, e questo sarebbe un grosso impoverimento. La parola chiave è dunque l’integrazione tra differenti livelli di vissuto.
D’altra parte, se il «cuore umano anela ad un mondo in cui regni l’amore, dove i doni siano condivisi», come ha scritto Benedetto XVI24, allora la Rete può essere davvero un ambiente privilegiato in cui questa esigenza profondamente umana possa prendere forma.
E questo riguarda anche la fede per una condivisione ad ampio raggio, come lo stesso Pontefice ha prospettato ponendo una domanda a conclusione del suo Messaggio per la 43a Giornata delle Comunicazioni Sociali: «Come il profeta Isaia arrivò a immaginare una casa di preghiera per tutti i popoli (cfr Is 56,7), è forse possibile ipotizzare che il web possa fare spazio – come il “cortile dei gentili” del Tempio di Gerusalemme – anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto?». Ancora una volta è la testimonianza la categoria fondamentale.
L’Eschaton: coscienza collettiva o Parusia?
La Rete, come abbiamo visto fino a questo momento, pone sfide davvero significative alla comprensione della fede cristiana. La cultura digitale ha la pretesa di rendere l’uomo più aperto alla conoscenza e alle relazioni. Fin qui abbiamo identificato alcuni nodi critici che questa cultura pone alla vita di fede e alla Chiesa. L’immagine che forse rende meglio il ruolo e la pretesa del cristianesimo nei confronti della cultura digitale è quella dell’ «intagliatore di sicomori» mutuata dal profeta Amos (7, 14) e interpretata da san Basilio. Il card. Ratzinger nel suo discorso al convegno Parabole mediatiche usò questa fortunata immagine per dire che il cristianesimo è come un taglio su un fico. Il sicomoro è un albero che produce molti frutti che restano senza gusto, insipidi, se non li si incide facendone uscire il succo. I frutti, i fichi, dunque, rappresentano per Basilio la cultura del suo tempo. Il Logos cristiano è un taglio che permette la maturazione della cultura. E il taglio richiede saggezza perché va fatto bene e al momento giusto. La cultura digitale è abbondante di frutti da intagliare e il cristiano è chiamato a compiere quest’opera di mediazione tra il Logos e la cultura digitale. E il compito non è esente da difficoltà e appare oggi più che mai complesso.
Forse il genio religioso che, pur tra ombre e ambiguità, ha inciso anzi tempo un taglio profondo nella cultura digitale è stato p. Teilhard de Chardin. Lo ha fatto – per intuizioni a loro modo «profetiche», essendo lui morto nel 1955 – con il suo concetto di «Noosfera», una sorta di «coscienza collettiva» che si sviluppa con l’interazione degli esseri umani a mano a mano che essi hanno popolato la Terra e poi si sono (e si stanno) organizzando in forma di reti sociali complesse.
Già negli anni Venti Teilhard aveva teorizzato la nozione di un sistema nervoso tecnologico planetario. Aveva inoltre capito che le tecnologie non solo formano un sistema nervoso planetario, ma formano anche una sorta di intelligenza collettiva. Oggi possiamo affermare che essa è resa possibile dalla telematica, dalle connessioni, dalla Rete. Ma per Teilhard la noosfera sta espandendosi verso una crescente integrazione e unificazione che culminerà in quello che egli definisce «Punto Omega», che è il fine della storia. Il Punto Omega è il massimo della complessità e della coscienza, ed è indipendente dall’universo che si evolve, è cioè ad esso «trascendente». È il Logos ossia il Cristo, attraverso cui tutte le cose furono create.
Il Punto Omega non è un’idea astratta, ma un essere personale che unisce il creato attraendolo magneticamente verso di Sé. Questo Punto Omega non costituisce il risultato della complessità e della coscienza: preesiste all’evoluzione dell’universo, perché è la causa dell’evolvere dell’universo verso la maggiore complessità, coscienza e personalità. Il punto di maturazione della Noosfera nella visione di Teilhard coincide con la Parusia.
La sua complessa visione, così sbilanciata in direzione escatologica, sposta gli accenti della riflessione teologica sulla «logica» della Rete. L’intuizione teologica teilhardiana intravede e manifesta una attrazione magnetica che parte dalla fine e dal di fuori della storia e che rende ragione e valorizza tutti gli sforzi dell’interazione fra le menti umane in reti sociali sempre più complesse. In questo senso dà un significato di fede alle dinamiche proprie dello spazio antropologico che è la Rete che a questo punto diventa anch’essa parte dell’unico milieu divin, di quell’unico «ambiente divino» che è il nostro mondo.

martedì 20 aprile 2010

Document de l'enseignement catholique sur l'éducation affective et sexuelle.

Pour la première fois de son histoire, l’enseignement catholique a promulgué vendredi 16 avril un document consacré à l’éducation « affective, relationnelle et sexuelle ». Voté en mars par le comité national, son instance représentative, ce texte d’une cinquantaine de pages sera bientôt adressé aux établissements. (da www.lacroix.com)
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Education affective, relationnelle et sexuelle dans les établissements catholiques d’enseignement.
Texte promulgué par la Commission permanente 16/04/2010

Le projet éducatif d’un établissement catholique d’enseignement vise à la formation intégrale de la personne, qui prend en compte une meilleure connaissance de soi, une meilleure relation à l’autre, la création de lien social, l’ouverture au monde et la dimension spirituelle. Si toute personne humaine est désireuse d’entrer en relation, cela peut rester difficile et demande une éducation formelle dont le parcours doit être construit et fondé.
L’éducation affective et sexuelle s’intègre naturellement dans ce processus global d’éducation mais requiert une attention particulière. C’est l’objet du présent document. Pour bien souligner néanmoins qu’au-delà de l’éducation affective et sexuelle, il s’agit d’ouvrir à l’éducation relationnelle d’une personne sexuée, nous faisons le choix d’intituler ce texte d’orientation : « L’éducation affective, relationnelle et sexuelle dans les établissements catholiques d’enseignement. »

Aborder l’Education affective, relationnelle et sexuelle dans un établissement catholique d’enseignement relève de notre mission
Le projet spécifique de l’Enseignement catholique attaché à la formation intégrale de la personne humaine, réfère l’éducation affective, relationnelle et sexuelle à la vision chrétienne de l’anthropologie et l’inscrit dans une éducation plus large à la relation, qui concerne tout le parcours scolaire. Il s’agit d’accompagner une personne en croissance, dont le développement psycho affectif connaît de fortes évolutions au cours de la scolarité. Cet accompagnement vise à inscrire ce développement dans la construction d’un vivre ensemble harmonieux et requiert un sens juste de la dignité humaine de l’enfant, de l’adolescent et du jeune, et une compréhension exacte de la responsabilité.
Cette préoccupation s’inscrit aussi dans l’obligation qui est faite par l’Education Nationale aux établissements associés à l’Etat par contrat de dispenser une éducation à la sexualité et de travailler à la prévention1. Les textes demandent d’aller au-delà des connaissances biologiques pour développer des approches psychologique, sociale et éthique2.

Au sens propre, l’affectivité est ce qui « affecte », ce qui touche, et ainsi, ce qui révèle aussi la vulnérabilité. La sexualité qui atteint chacun à l’intime est donc en lien étroit avec l’affectivité et ne peut être réduite à la génitalité. La dimension affective engage la totalité de la personne. Une personne appelée à se construire par la relation, à se connaître et à répondre d’elle-même et de l’autre. Cette préoccupation ne peut donc se limiter à des initiatives ponctuelles à l’âge de la puberté ou parce qu’un événement de la vie de l’école appelle une intervention. L’éducation affective, relationnelle et sexuelle s’inscrit dans le projet de l’établissement pour que la communauté éducative dans son ensemble la prenne en charge, sans s’empêcher de faire appel à des partenaires extérieurs pour des contributions spécifiques.
Beaucoup d’établissements mettent déjà en place des activités pertinentes, que le présent document appelle à mutualiser. En d’autres lieux, ces préoccupations peuvent générer des questions : les adultes peuvent ne pas être à l’aise en ce domaine ; la sollicitation et / ou le choix d’intervenants extérieurs peuvent susciter des réserves, soit que des enseignants craignent l’ingérence, soit que des personnels ou des parents contestent la visée développée ; des parents peuvent contester le principe même de l’Education affective, relationnelle et sexuelle, au motif qu’ils sont en ce domaine les seuls éducateurs ; la référence à l’enseignement de l’Eglise quant à la morale sexuelle est souvent mal comprise ; les choix d’un établissement peuvent générer ici et là des tensions, autour, par exemple, du choix du manuel de SVT ou de l’organisation d’un forum santé. Le présent document propose des outils pour aborder ces diverses questions.
La vie affective et sexuelle, qui obéissait naguère à des normes communément admises, se construit et s’expérimente aujourd’hui dans un environnement où s’expriment de multiples « modèles », laissés le plus souvent à l’appréciation de tout un chacun. Or l’éducation affective, relationnelle et sexuelle ne peut consister en l’apprentissage de comportements prescrits par l’opinion ou les modes. Il s’agit bien plutôt d’aider chacun à mieux se connaître, à discerner ce qu’il cherche pour son bonheur et à faire des choix sensés respectueux de lui-même et d’autrui.
Les jeunes et les adultes de ce temps restent travaillés par le désir d’être reconnus, d’être aimés et d’aimer. L’attente d’un amour partagé, de la fidélité, d’une famille stable reste toujours vive, même si elle se confronte souvent à l’expérience de la difficulté, voire de l’échec.
L’Eglise - et l’Enseignement catholique avec elle- reconnaît la grandeur de cette attente humaine partagée et donne des repères pour un horizon universel. Il ne s’agit pas d’opposer un idéal inaccessible à la réalité qu’il faudrait condamner. Cet horizon universel invite à définir le chemin du souhaitable au possible. L’action et la relation éducatives telles que nous cherchons à les vivre sont au service de la marche et de la progression de chaque personne sur le chemin de la découverte et de l’expression d’elle-même et des autres, y compris dans les dimensions affective et sexuelle. Il convient d’aider à se situer vis-à-vis de repères en ouvrant, pour chacun, des chemins réalistes et cohérents.
L’éducation affective, relationnelle et sexuelle requiert une attention particulière des éducateurs. Elle touche à l’intime de l’expérience de chacun. C’est pourquoi elle demande beaucoup de respect, de discernement dans le vocabulaire employé, d’attention aux difficultés rencontrées, de bienveillance pour aider sans jamais juger. Si des comportements posent gravement question, ce n’est pas la condamnation, mais la parole claire ayant la force de remettre debout qui convient. Dans l’Evangile de la Femme adultère3, Jésus ne condamne pas cette femme appelée à comparaître devant lui parce qu’elle a transgressé la Loi. Il lui donne d’abord son estime et sa sollicitude. Et c’est parce qu’il porte sur elle ce regard aimant, qu’il peut l’appeler à de plus grandes exigences. Sa Parole ne se veut pas contrainte, mais bien plutôt libération : « Je ne te condamne pas. Va, désormais ne pèche plus. »
Le présent texte d’orientation rappelle la vision anthropologique de la personne humaine, homme et femme, déployée par l’enseignement de l’Eglise, et notamment la théologie du corps4, qui fonde les convictions de l’Eglise et de l’Enseignement catholique sur ces questions. Il décrit ensuite le contexte sociétal d’aujourd’hui. Puis il expose les dimensions éducatives à travailler en communauté éducative pour s’efforcer de construire, sur une parole vraie et cohérente, un parcours de formation. Il énonce enfin des principes d’organisation pour l’animation des établissements et la formation des personnels, au regard de l’éducation affective, relationnelle et sexuelle.
Des fiches pratiques sont aussi proposées à titre d’outillage. C’est là le début d’un travail qui sera régulièrement entretenu par le Département Education du Secrétariat général, pour que les responsables institutionnels puissent disposer de données régulièrement mises à jour.


Convictions éducatives et Enseignement de l’Eglise.

Les profonds bouleversements du regard de beaucoup de nos contemporains sur la sexualité génèrent des incompréhensions nombreuses sur l’enseignement de l’Eglise catholique dans le domaine de la morale sexuelle. Les sujets de discorde avec la culture ambiante sont nombreux : respect absolu de la vie humaine naissante, indissolubilité du lien conjugal, non dissociation de la sexualité et de la fécondité, affirmation de la différence sexuelle…Ces questions sont à prendre en compte dans les formations mises en place dans le cadre des projets d’animation pastorale des établissements. Le présent document n’a pas pour objet d’aborder directement ces sujets, mais d’en traiter les implications en termes d’enjeux éducatifs.
Il est important, pour préciser les enjeux de l’éducation affective, relationnelle et sexuelle, de rappeler le regard positif porté par l’Eglise sur la sexualité humaine.
L’attention de l’Eglise à la sexualité humaine ne vise pas d’abord à édicter des prescriptions disciplinaires, encore moins à mépriser ou dévaluer la sexualité. Par son attention à la condition sexuée de toute personne humaine, masculine et féminine, elle veut au contraire rappeler la beauté de la sexualité humaine, qui participe de la dignité du corps humain.


La condition sexuée comme richesse humaine et don de Dieu.
Les premières pages de l’Ancien Testament affirment l’importance de la condition sexuée « Dieu créa l’homme à son image, il le créa à l’image de Dieu, il créa l’homme et la femme »5, ainsi que l’appel à la conjugalité : « l’homme quittera son père et sa mère, et s’attachera à sa femme, et ils deviendront une seule chair »6. Si de nombreuses références dans l’histoire de la pensée pourraient être données pour expliquer que la différence sexuelle porte en elle l’appel à la communion, le croyant biblique y reconnaît le don de Dieu. 7
Dans la Bible, la sexualité humaine est un lieu de bénédiction : elle est promesse de bonheur dans la communion conjugale entre l’homme et la femme et cette communion porte en elle une autre bénédiction, celle de pouvoir transmettre la vie. La tradition biblique n’a pas hésité à retenir dans sa tradition le magnifique poème d’amour qu’est le Cantique des cantiques qui n’hésite pas à prendre l’image de la rencontre conjugale entre la femme et l’homme et la joie qu’elle procure, pour signifier l’alliance entre Dieu et l’humanité : «  Que tu es belle, ma bien-aimée, que tu es belle (…) Tu me fais perdre le sens par un seul de tes regards, par un anneau de ton collier (…) Que mon bien aimé entre dans son jardin et qu’il en goûte les fruits délicieux ».8
La sexualité est bonne parce qu’elle contribue à l’unification de la personne par la rencontre de l’autre, dans sa différence. Chacun se reconnaît homme ou femme, dans la découverte émerveillée de l’altérité, voulue par Dieu et inscrite dans la nature humaine.

Le mystère de l’Incarnation et la dignité du corps.

L’attention de l’Eglise à la sexualité humaine ne vise pas d’abord à édicter des prescriptions disciplinaires, encore moins à mépriser ou dévaluer la sexualité. Par son attention à la condition sexuée de toute personne humaine, elle veut au contraire rappeler la dignité de la sexualité humaine, qui participe de la dignité du corps humain. Par l’Incarnation, le corps humain accède à une dignité nouvelle, puisqu’il est, d’une certaine manière, le lieu où Dieu demeure. « Le Verbe s’est fait chair, il a habité parmi nous »9. Il est devenu « un homme en tout semblable à nous, hormis le péché »10. Le Christ est devenu semblable à nous en ayant un corps et l’a fait pleinement sien en assumant notre nature humaine sexuée, dans toutes ses dimensions corporelles et relationnelles.


La sexualité intégrée dans la conception de la personne.

Parce que la sexualité est une dimension fondamentale de la personne, elle ne peut être dissociée de la dynamique de tout l’être et d’un projet de vie. On ne peut l’instrumentaliser pour la seule satisfaction d’un besoin ou la seule obtention d’un plaisir fugace. L’éducation affective, relationnelle et sexuelle doit viser à une « intégration »11 de la sexualité dans la personne. Le langage du corps, du cœur et de l’esprit doit être en cohérence. Les gestes disent la qualité de la relation vécue.
Cette dynamique de l’intégration conduit chacun à unifier la représentation de son propre corps, les relations à l’autre, les affects, les sentiments et les pulsions. Une telle démarche se fonde aussi sur une véritable capacité d’intériorisation.
Cette dynamique de l’intégration concerne aussi la capacité de chacun à communiquer et à entrer en relation. La sexualité n’est réellement humanisée que si elle s’inscrit dans des échanges comportant de multiples dimensions et laissant place à la parole. La rencontre sexuelle ne peut être le premier acte de la rencontre entre deux personnes. Seule une histoire déjà engagée lui donne sens, conduisant à une union des cœurs, des corps, sans oublier la dimension spirituelle.12. Il s’agit bien d’intégrer la relation sexuelle dans une relation de tendresse et d’amour, et de reconnaître dans les actes du corps l’expression la plus profonde de la personne.
L’Eglise souhaite intégrer la sexualité dans la construction de la personne qui ne trouve son identité qu’en relation. Lorsque la sexualité s’inscrit dans une telle visée, toutes ses dimensions sont légitimes : la dimension procréatrice, la dimension érotique où le plaisir a toute sa place s’inscrivent à l’intérieur de la dimension la plus fondamentale qu’est la communion de l’homme et de la femme qui, par amour, se donnent totalement l’un à l’autre.13 C’est ainsi que Benoît XVI dans l’encyclique « Dieu est amour » développe la nécessaire unité d’éros et d’agapè, l’amour en quête de plaisir qui cherche à saisir, et l’amour gratuit qui se donne : « En réalité éros et agapè (…) ne se laissent jamais séparer complètement l’un de l’autre. Plus ces deux formes d’amour, même dans des dimensions différentes, trouvent leur juste unité dans l’unique réalité de l’amour, plus se réalise la véritable nature de l’amour en général. »14

Sexualité, liberté et engagement.

C’est au nom de cet idéal de la sexualité humaine que l’Eglise appelle à une maîtrise de ses comportements. L’exercice de la sexualité ne peut pas être au service de la seule satisfaction de la libido, au risque d’instrumentaliser et de s’approprier l’autre. Il s’agit d’orienter le désir à l’amour authentique et au don de soi. La maîtrise de cette énergie vitale, des passions qui habitent chacun contribue grandement à l’exercice de la responsabilité puisque la sexualité engage non seulement l’intimité de la personne, mais aussi autrui. C’est à un chemin de liberté qu’appelle l’Eglise, en demandant d’échapper aux déterminismes biologiques, ou à des conditionnements imposés par une culture ambiante.
Parce qu’elle touche au plus intime, la sexualité engage. L’acte sexuel ne peut être vécu ni comme isolé, ni comme simplement ludique. C’est un acte chargé de sens qui doit être finalisé à un projet de vie. C’est pourquoi l’Eglise a toujours voulu que la sexualité soit inscrite dans un engagement institué, le mariage.15
De ce mystère de l’être humain qui se donne totalement, l’Eglise a fait le sacrement de l’amour du Christ pour son Eglise. Pour le croyant, la vie conjugale est image de la vie trinitaire.16
La révélation rappelle ainsi toutes les dimensions de la sexualité et de l’affectivité qui dépassent la relation intime de l’homme et de la femme pour exprimer un engagement social et un sens de la vie.

Ces convictions s’expriment dans un contexte sociétal dont elles peuvent paraître éloignées. Indiquer l’horizon demande aussi de bien connaître l’environnement d’aujourd’hui. L’un ne va pas sans l’autre. Il n’est pas de saine ambition éducative sans une lucidité, critique et bienveillante, sur le réel.


Contexte sociétal.

Le déplacement des repères.

Les modèles familiaux, le regard porté sur la sexualité, l’attention accordée aux interdits connaissent de fortes mutations. L’écart est grand entre les comportements de beaucoup de jeunes et d’adultes d’aujourd’hui et les cadres moraux traditionnels, et, plus encore, les exigences rappelées par l’Eglise.
Les éducateurs doivent en prendre acte. Ce sont les enfants et les jeunes d’aujourd’hui que nous avons à accueillir et à éduquer. Nos convictions éducatives nous invitent à porter un regard d’espérance sur chacun : la recherche d’expériences qui peuvent être contestées n’empêche pas une quête semblable à celle des générations qui ont précédé.
Quand les modèles communément admis s’imposaient à tous, les éducateurs n’avaient qu’à les relayer. Aujourd’hui les choix sont divers et les éducateurs doivent donc former à l’usage raisonné de la liberté et au discernement. C’est là l’enjeu essentiel d’une éducation affective, relationnelle et sexuelle. Nous vivons cette nécessité d’aujourd’hui non comme une contrainte, mais comme un appel pour les adultes à rendre compte des repères structurants pour un projet de vie.
Dans une société multiculturelle, et dans des établissements ouverts à tous, il est aussi indispensable de se montrer attentif à des approches du corps, du couple et de la famille, diverses selon les traditions culturelles. S’il n’est pas question de cautionner des comportements et des conceptions qui iraient à l’encontre de la dignité humaine, la découverte d’autres cultures peut utilement questionner nos représentations habituelles. L’éducation affective, relationnelle et sexuelle est ainsi marquée du dialogue entre les cultures.


Le rapport au temps.

Le consensus social et les dispositions législatives inscrivaient les relations sexuelles dans le mariage, la sexualité ne pouvait se vivre isolément d’un projet de vie, celui de fonder un couple et une famille. C’était là une étape qui marquait l’entrée dans la responsabilité d’une vie pleinement adulte. Ce fut notamment le cas au XIXème siècle et dans la première partie du XXème siècle.
La libéralisation des mœurs a conduit à ne plus toujours articuler ces deux réalités. Si des formes d’engagement de couple peuvent se vivre hors du mariage institué, la relation sexuelle peut aussi être vécue comme une expérience qui n’engage plus. Dans un rapport au temps qui peut privilégier l’instant, les sincérités successives et fugaces, des actes peuvent être posés sans s’inscrire dans la durée. Ainsi les rapports sexuels peuvent se vivre isolément, sans être articulés à un projet de vie qui a du sens.
Pourtant le désir de fidélité demeure même si elle paraît difficilement accessible et la famille est une valeur consensuelle. Son soutien devient aujourd’hui un enjeu éducatif.

La généralisation de la mixité à l’école.

Lorsque l’école n’était pas mixte, l’apprentissage de la mixité se vivait ailleurs, en famille, d’abord, où les rôles masculins et féminins étaient répartis.
La mixité scolaire qui s’est souvent installée pour des raisons économiques ou d’architecture des filières de formation, n’a pas toujours été sérieusement pensée. Ce qui devait conduire à une meilleure égalité entre les sexes a pu générer d’autres formes d’incompréhension, de stigmatisation de violence, ou de sexisme, qui peuvent s’exprimer à travers des actes graves à sanctionner, mais aussi à travers un langage cru de mépris et d’irrespect.
S’il est indispensable de réprimer des comportements inacceptables, l’école doit surtout s’interroger sur la façon de faire vivre la mixité comme un lieu de découverte et de respect de l’autre sexe.17

Evolution de la structure familiale.

La structure familiale a beaucoup évolué en quelques décennies. Cette évolution ne peut être sommairement jugée. Il est certain que la vie de couple repose aujourd’hui beaucoup plus sur l’amour que se portent les deux conjoints que sur la pression sociale ou des nécessités économiques. C’est assurément un gain, mais cela a pu, aussi, fragiliser le lien matrimonial.
Beaucoup d’enfants sont élevés, au quotidien, par un seul parent ou dans des « familles recomposées ». Si certains couples et enfants y ont trouvé un nouvel équilibre de vie, ces situations peuvent susciter des tensions au quotidien ou des écartèlements plus fondamentaux. Le parent biologique n’est plus nécessairement le parent nourricier et éducateur. Le rapport à la filiation s’est donc largement complexifié, voire brouillé.
Il appartient à l’éducateur d’accueillir avec délicatesse ces situations très diverses, tout en permettant de discerner les repères utiles pour cheminer pour un mieux être.
Les éducateurs doivent aussi être formés à exercer vigilance et discernement dans les présomptions de maltraitance familiale.


Déplacement des repères intergénérationnels.

Les repères intergénérationnels sont aussi bousculés. Jadis, les passages entre les diverses étapes de la vie étaient ritualisés, et chaque stade de la vie était marqué par des codes spécifiques, tels que le vêtement ou l’exercice de telle ou telle activité. L’adolescence se prolonge désormais, tandis que beaucoup d’adultes s’efforcent de rester indéfiniment jeunes. Un parent peut ainsi être flatté d’être confondu avec son fils ou sa fille. C’est ce que veut désigner le néologisme d’ « adulescent ».
Or pour grandir sur un chemin de vie fait de ruptures et de seuils, le jeune a besoin de se confronter à des comportements et des paroles pleinement adultes. Il y a une forte responsabilité pour tous ceux qui participent à l’éducation affective, relationnelle et sexuelle à marquer la différence des générations.

Questions autour de l’identité sexuelle.

L’anthropologie a toujours reconnu l’importance structurante de la différence sexuelle. Un courant récent, néanmoins, conteste ce modèle. La « gender theory »18 privilégie le « genre », considéré comme une pure construction sociale, et diversifié selon les orientations sexuelles, aux dépens du « sexe ». Elle manifeste un déni de la différence corporelle et psychologique qui préexiste aux rôles culturels.
Ce constructivisme s’applique ensuite à la culture et aux règles sociales pour les modifier : l’identité sexuelle imposée par la société doit devrait s’effacer devant l’orientation librement choisie, et les choix individuels devraient être également respectés et soutenus socialement.19 Le but de la gender theory est donc de « libérer » l’individu de tout cadre normatif donné par la nature, la société, la tradition, la religion et de permettre à chacun de choisir librement son identité, son orientation sexuelle et sa forme de famille. La diffusion de publicités androgynes de plus en plus nombreuses, la popularité du personnage de Michaël Jackson sont les signes patents de la séduction de ce nouveau modèle proposé, auprès des jeunes générations.
Traversés malgré eux par ces influences, de plus en plus de jeunes se posent la question de leur identité sexuelle et pensent qu’il est nécessaire d’expérimenter des pratiques sexuelles pour vérifier l’orientation de leur désir. Dans ce contexte, la parole des éducateurs est donc fortement requise, surtout vis-à-vis d’adolescents qui ont à découvrir leur condition d’être masculin ou d’être féminin.
Affirmer l’importance structurante de la différence sexuelle ne peut conduire à porter de jugement sur les personnes homosexuelles. L’homosexualité est un donné de l’existence pour certains : «  Un nombre non négligeable d’hommes et de femmes présentent des tendances homosexuelles foncières. Ils ne choisissent pas leur condition homosexuelle. »20.
L’éducation aborde donc, ici, une question extrêmement sensible. Des formes diverses d’homophobie peuvent gravement blesser les personnes. La découverte par des jeunes de leurs tendances homosexuelles peut être porteuse d’angoisse. L’éducateur doit donc veiller tout particulièrement à articuler ce qu’il peut dire de la différence sexuelle au respect inconditionnel des personnes.

Un rapport complexe au corps.

Le corps est très valorisé par le milieu ambiant, mais de façon paradoxale. Les médias contribuent à diffuser des représentations stéréotypées de corps tous beaux, jeunes et performants, au risque de rendre difficile l’acceptation de son propre corps.
Si l’accès à la santé est un gain indéniable, les progrès de la médecine suscitent le rêve d’une maîtrise absolue du corps. Ils peuvent donner l’illusion d’une jouvence et d’une longévité assurées. Les méthodes contraceptives ou procréatives visent à maîtriser la fécondité, mais l’acceptation du handicap et de la différence, dans un foyer, peut devenir plus difficile.
La valeur du plaisir est reconnue mais, simultanément, le corps est instrumentalisé comme un « outil de plaisir » dans la production pornographique. L’époque contemporaine a vu s’accroître l’exploitation du corps qu’a toujours été la prostitution. D’autres formes de dévalorisation du corps se développent. Cela concerne, par exemple, la marchandisation du corps par la publicité.
Un tel contexte complique assurément la tâche des éducateurs amenés à aider des jeunes à vivre en harmonie dans un corps qui se transforme.


L’intimité battue en brèche par l’ « extimité ».

Les espaces publics et privés étaient auparavant clairement séparés. Cette séparation stricte était grandement structurante pour former au sens de l’intimité. Les nouveaux moyens de communication ont considérablement bouleversé cette réalité. Lorsque le journal intime devient un blog, il passe dans un espace public. Lorsque le téléphone mobile permet de communiquer en tout lieu, la confidentialité des échanges disparaît. Les émissions de téléréalité permettent aussi une complète exhibition des sentiments, des relations, et, souvent, des corps. Plus encore, la pornographie est très prégnante sur l’internet et les jeunes sont immanquablement confrontés à cette réalité. Une réflexion éducative et un travail de prévention s’imposent sur la vision dégradée donnée de la sexualité humaine et sur les risques d’addiction au net.
La juste conscience de l’intimité est une nécessité de l’éducation affective, relationnelle et sexuelle. La tâche des éducateurs se trouve complexifiée par le passage à ce qu’on a pu désigner par l’ « extimité »,21 ce besoin aujourd’hui entretenu de tout dire et de tout montrer.

La revendication de la liberté personnelle et la pression du groupe et de la société en tension.

Le dernier tiers du XXème siècle est marqué par l’idée d’une libération sexuelle. Beaucoup de tabous ont été levés. La surveillance de la censure sur les médias s’est considérablement atténuée, et l’érotisme a envahi l’image publicitaire ou cinématographique. La sexualité – réduite à la génitalité, souvent – fait l’objet d’investigations multiples à l’occasion d’émissions diverses, d’articles de presse nombreux, de rapports scientifiques. La pornographie qui exhibe une sexualité pulsionnelle et non relationnelle se diffuse largement avec les nouveaux médias. Dès lors il semble que tout peut se dire, s’entendre, se montrer mais aussi s’expérimenter. Les défenseurs de la libération sexuelle décrivent l’avènement d’une sexualité qui serait enfin librement assumée après des siècles de répression.
Mais l’observation des comportements et l’écoute des jeunes montrent bien que la situation n’est pas aussi simple. La libéralisation des mœurs a permis que des actes qualifiés d’ «anormaux » soient peu à peu apparus comme possibles, puis « normaux ». La normalité est progressivement devenue normativité. Par un retournement, l’interdit d’autrefois a pu devenir l’obligation d’aujourd’hui, et générer ainsi des formes de pression importante. Pour « être normal », quand on est adolescent, il faut faire l’expérience de rapports sexuels précoces, ou de telle ou telle pratique… Une telle pression explique, pour une part, le grand nombre de grossesses précoces et le recours à l’IVG.
Les jeunes sont donc en attente d’une parole d’adulte sur ces questions. Notre société est passée d’un silence à un autre. Pendant longtemps on ne pouvait rien dire de la sexualité. Aujourd’hui, on a le sentiment qu’on peut largement en parler, mais sans rien en dire de fondamental. En outre, le silence sur la sexualité, autrefois, pouvait néanmoins s’accompagner d’une expression du sentiment, comme en témoigne, par exemple la littérature d’introspection. Aujourd’hui, le bavardage incessant sur le sexe plus que sur la sexualité n’est qu’informatif, descriptif ou n’est qu’une incitation vide de sens. Et ce bavardage passe souvent par des médias : brochures officielles, revues, sites internet. Les jeunes sont souvent seuls devant ces données, ou entre eux.
Or les jeunes sont désireux, au-delà d’une information tellement surabondante qu’elle en devient inaudible, d’une parole vraie qui qualifie, questionne et oriente les actes et les pratiques. C’est d’abord en réponse aux attentes des jeunes eux-mêmes qu’une éducation affective, relationnelle et sexuelle s’impose.

L’injonction à la sécurité et la libération des mœurs en tension.

La libération sexuelle a achoppé sur la propagation du sida. La sexualité qui était présentée sous un aspect léger, ludique se heurtait à la gravité de la maladie et de la mort. Par ailleurs, le grand nombre de grossesses précoces provoque le recours à l’IVG, entraînant des séquelles psychologiques graves et durables. La sexualité apparemment sans contrainte avec le développement de la contraception réinterroge la responsabilité. Un autre choc est survenu avec la révélation d’actes graves de pédophilie ou d’autres violences sexuelles. Si de tels faits ont toujours existé, leur reconnaissance dans la sphère publique ne permet plus désormais de les ignorer. On redécouvre que la sexualité libre, présentée comme une forme de retour à des relations spontanées et innocentes, peut mener à des déviances graves.
On reprend conscience que la sexualité est ce lieu d’ambivalence qui peut conduire au plaisir comme à la souffrance, qui peut être le signe d’une relation accomplie, mais aussi de violence destructrice.
Ce retour à la réalité est assurément l’occasion de ressaisir, en milieu éducatif, l’interrogation sur le sens de la sexualité. Or le discours officiel s’est surtout focalisé sur la prévention, certes légitime, mais sans toujours la fonder sur une approche raisonnée des enjeux de la sexualité pour la personne et la relation humaines. Il n’y a pas d’éducation sans prise de conscience des risques et sans installation de garde fous. Bien davantage l’éducation requiert surtout d’acquérir le sens de la responsabilité.
Les jeunes vivent donc entre des injonctions paradoxales, celle d’une incitation à une sexualité libérée, et celle d’une méfiance à avoir à l’égard des rapports sexuels qui comportent des risques multiples : grossesse précoce ; risque de IST ; risque du sida…
L’éducation affective, relationnelle et sexuelle est bien une nécessité pour que les jeunes trouvent, pour affronter ces messages contradictoires, des lieux d’échange et de médiation pour cheminer dans leurs questions et construire des choix réellement personnels et épanouissants.

Les éducateurs ne peuvent ignorer ces déplacements multiples des repères traditionnels. Ils doivent partir des représentations que l’environnement donne de la sexualité, comme un donné, pour ouvrir à la réflexion à partir de connaissances objectives. Les textes de l’Education Nationale le rappellent : « L’éducation à la sexualité vise principalement à apporter aux élèves, en partant de leurs représentations et de leurs acquis, les informations objectives et les connaissances scientifiques qui permettent de connaître et de comprendre les différentes dimensions de la sexualité ; elle doit également susciter leur réflexion à partir des informations à développer des attitudes de responsabilité individuelle, familiale et sociale. »22. Les établissements associés à l’Etat par contrat honorent bien évidemment cette nécessité, comme ils participent à l’indispensable travail de prévention. Ils le font à partir d’une conception de la personne, et en subordonnant l’information et la prévention aux enjeux éducatifs.

Ce réel à accueillir est certes, pour une part, à distance des convictions rappelées par le présent document. Cette distance donne précisément toute sa place à l’éducation qui va s’efforcer d’ouvrir le champ des possibles et, dans le respect de chacun, d’offrir des chemins proportionnés pour grandir en humanité, par des relations mieux ajustées.



Dimensions éducatives.


Dans le contexte qui vient d’être rappelé, les dimensions éducatives déploient la vision chrétienne sur l’anthropologie (voir I) et rejoignent les objectifs fixés par l’Education Nationale : la prise en compte de la pluralité des dimensions de l’être humain ; l’éducation au discernement ; la construction de l’image de soi en lien avec sa relation aux autres ; la formation d’attitudes de responsabilité individuelle et collective ; la sollicitation de toutes les disciplines et de toutes les compétences éducatives pour ce projet de formation.23

Toute personne ne se construit qu’en relation.

Tout être humain est un être relationnel et social. La prise de conscience de son identité sexuée, masculine ou féminine, va de pair avec la découverte de l’altérité sexuelle. Cette découverte est particulièrement importante pendant l’adolescence. Le sexe dit, étymologiquement, la séparation du masculin et du féminin, et par conséquent l’incomplétude de chaque personne. Pour être en relation, il faut s’accepter différent, puisque seule la reconnaissance de la différence permet la rencontre.
La personne humaine ne se construit qu’en relation. C’est pourquoi il est en chacun un désir de rencontrer l’autre, d’aimer et d’être aimé durablement. Il est en chacun un désir de donner et de recevoir, un désir de protéger et d’être rassuré. Il est en chacun un désir de tendresse.
La sexualité, pour être pleinement vécue, a vocation à s’inscrire dans une relation durable. L’aspiration à un amour réciproque et respectueux de l’autre prend tout son sens dans un réel engagement et non à l’occasion d’actes isolés.
L’éducation affective, relationnelle et sexuelle n’a de sens que dans un apprentissage plus large à la vie relationnelle. C’est là le seul chemin qui permet d’intégrer la sexualité à un projet de vie. Le vocabulaire à cet égard n’est pas neutre. Parler de « rapports sexuels », de « rapports protégés » n’a pas le même sens que d’évoquer « la relation sexuelle » ou « la rencontre sexuelle ».

L’éducation au bien demande une éducation au discernement.

L’affectivité et la sexualité sont lieux d’ambivalence. L’éducateur doit simultanément porter un regard confiant sur les enfants et les jeunes et rester lucide sur les fragilités qui marquent chacun. L’éducation affective, relationnelle et sexuelle doit certes former à une maîtrise de soi, des émotions, des pulsions et de la violence, parfois. Elle doit aussi aider à révéler en chacun les aspirations profondes au beau, au bien et au vrai.
L’éducation au beau doit rendre attentif à toutes les formes de beauté en se libérant des normes imposées par la culture ambiante. Apprendre à découvrir la beauté de toute personne, quelle qu’elle soit, est un véritable enjeu éducatif qui interroge aussi le regard porté sur la maladie, le handicap, la vieillesse…Cela demande aux éducateurs de former la capacité à s’émerveiller, à contempler.
L’éducation au vrai revêt aussi pour ces questions une importance particulière, tant le sujet peut connaître des difficultés pour faire la vérité sur ses propres désirs, tant il peut être complexe de mettre des mots sur la sexualité, tant la rencontre de l’autre peut être biaisée par des mots qui dissimulent, voire manipulent. La question de la vérité est cruciale pour construire des relations sincères.
L’éducation au bien doit former au discernement. « Que dois-je faire pour bien faire ?». L’expression de l’affectivité et de la sexualité engage à construire des relations ajustées qui permettent l’épanouissement personnel et le respect de l’autre.
Pour ce faire, il est nécessaire d’aider chacun à se construire un caractère solide, apte à de telles relations. Cela requiert la maîtrise de soi, l’apprentissage de la patience et d’une force intérieure. L’éducation se fonde sur des témoignages qui rendent compte de la fécondité de la fidélité, de la recherche de chemins de vie cohérents…

L’éducation au bien requiert l’interdit.

L’expression de la sexualité est régulée dans toutes les sociétés par des interdits. Les sociétés occidentales ont cherché à s’en libérer voici quelques décennies, en réaction contre ce qui pouvait apparaître comme une répression excessive. Pourtant des faits divers graves ont rappelé la nécessité d’imposer des limites. Le scandale des actes pédophiles a contraint à renforcer les dispositifs législatifs et les sanctions, et à systématiser le travail de prévention en milieu scolaire. L’actualité informe aussi sur d’autres événements dramatiques comme des viols collectifs. Mais les interdits ne peuvent pas concerner que les actes les plus graves dus à des déviances. Il est aussi une violence ordinaire qui peut s’exprimer à travers un langage ou des gestes obscènes. L’interdit est structurant pour toute personne confrontée à l’expression de ses désirs et de sa sexualité.
L’éducation affective, relationnelle et sexuelle est un lieu privilégié pour réfléchir aux interdits nécessaires pour qu’une vie sociale soit possible. Aider à l’intériorisation d’interdits est indispensable pour réfléchir à l’exercice de la liberté individuelle. Il ne peut s’agir d’imposer par la contrainte. L’appropriation d’interdits passe par une parole, un échange, comme le dit bien d’ailleurs le terme « inter-dit », un dire qui se partage pour permettre la vie. Les interdits sont indispensables à la recherche du bien et du vrai.







La connaissance de soi, étape indispensable vers la maturité.

De la connaissance de soi à l’estime de soi.

L’éducation affective, relationnelle et sexuelle s’inscrit dans une formation à la connaissance de soi, qui vise à développer chez les enfants et les jeunes une connaissance valorisante de leurs capacités physiques et mentales, comme de leurs centres d’intérêts, et des points forts sur lesquels ils peuvent s’appuyer. Il s’agit également de faire percevoir à chacun ses limites, et d’accepter ses fragilités. Il s’agit enfin de repérer les contradictions entre les valeurs de chacun, ses besoins et ses actes.
La connaissance de soi requiert des possibilités de prendre la parole, de dire « je » et de se confronter à la parole de l’autre pour pouvoir se différencier. Elle requiert d’explorer et d’exprimer ses désirs et de pouvoir ainsi apprendre à dire de vrais « oui » et de vrais « non ». Elle suppose des temps d’intériorité.
Se connaître permet de se maîtriser, de mieux canaliser son énergie et ses possibilités pour ses projets, et, à terme, de se réaliser à partir de la valorisation de ses potentialités. Ceci permet d’unifier la personne et de vivre une meilleure estime de soi.

L’éducation du corps et du cœur.

Le corps est fortement valorisé dans notre société. Mais s’agit-il du corps réel, ou d’une représentation imaginaire qui nierait la souffrance, la fatigue, le vieillissement ? Assez curieusement d’ailleurs, l’éducation du corps n’a pas une grande place à l’école qui s’intéresse prioritairement à la formation de l’intelligence, de « l’esprit » dans la seule acception de « mental ». Or le corps est bien ce qui permet à l’être humain d’être au monde, de ressentir, de comprendre et d’entrer en relation. Une formation intégrale de la personne conduit à former simultanément le corps et l’esprit, « le corps de l’esprit », pour reprendre le titre d’un ouvrage de Xavier Lacroix24.
L’éducation du corps dépasse donc la formation au développement de ses possibilités physiques par l’éducation physique ou sportive, ou à l’entretien de son corps par l’acquisition de règles d’une saine nutrition ou d’hygiène. L’éducation du corps doit former à la connaissance, à l’observation, à l’expression et à la maîtrise des besoins, des sensations, des sentiments, des émotions. Il s’agit d’aider chacun à identifier ces diverses réalités, à les accueillir, à en percevoir les liens et à les nommer grâce à un vocabulaire adapté. Il s’agit aussi d’apprendre chacun à gérer ses émotions et les signes corporels liés au ressenti émotionnel.
Cette éducation du corps a des implications spirituelles. La tradition ignatienne, par exemple, invite à se rendre attentif à ses « motions », ses mouvements intérieurs pour aider chacun à mieux discerner comment se rendre attentif à sa vocation véritable.
Une telle éducation affective conduit à faire prendre conscience qu’au-delà des besoins élémentaires à satisfaire, l’être humain est un être de désir.25. Une telle visée ouvre la formation de l’intériorité.
C’est dans ce contexte que l’éducation à la sexualité trouve son sens et sa pertinence. L’éducation au corps est aujourd’hui à assurer dans un environnement qui abuse de l’exhibition du corps. Certains comportements dénient la séparation nécessaire de l’espace privé et de l’espace public, au risque de compromettre le sens de l’intimité. Une réflexion est nécessaire avec les enfants et les jeunes pour prévenir des tenues ou des attitudes provocantes. Il est donc important de donner toute sa place à la pudeur, à ne pas confondre avec la pudibonderie26
C’est bien dire que l’éducation sexuelle est inséparable de l’éducation affective et relationnelle. Une sexualité réduite à la génitalité conduit à une vision fragmentée du corps. Il n’est pas anodin que le vocabulaire la langue courante désigne les organes génitaux par l’expression « les parties ». La sexualité inscrite dans l’affectivité et la relation va au contraire considérer la personne dans sa totalité, et faire de l’acte sexuel une relation et une rencontre entre deux personnes, qui engagent des gestes, leur parole et leur histoire.
Il est donc indispensable de proposer une éducation formelle à la relation, qui intègre l’ensemble de ces dimensions. 27 Cette éducation à la relation concerne tous les âges de la scolarité et s’engage dès l’entrée à l’école.


Toute personne est appelée à répondre d’elle-même et de l’autre.

Responsabilité et liberté.

L’éducation affective, relationnelle et sexuelle comporte donc une dimension éthique puisque s’y trouvent engagées la dignité de son propre corps, la dignité du corps de l’autre et la dignité de toute personne humaine.
Le sens des paroles prononcés, des gestes posés est légitimé autant par leur émetteur que par celui qui en est le destinataire. C’est là le fondement de la responsabilité : un appel est fait auquel un autre doit répondre librement. Les deux personnes concernées doivent répondre d’elle-même et de l’autre. « Au fond ce que réprouve l’éthique n’est rien d’autre que la dissociation : dissociation du sujet d’avec son corps, ou de l’intention d’avec les gestes. »28L’éducation affective, relationnelle et sexuelle est l’un des lieux privilégiés pour faire découvrir l’articulation féconde de la liberté et de la responsabilité.
La prévention des conduites à risque assurée par l’école trouve là son vrai sens.

La nécessaire prévention.

L’école est responsable de la prévention. Le Ministère de l’Education Nationale a régulièrement rappelé cette obligation et plus encore depuis l’apparition du sida. Les chefs d’établissement savent les responsabilités qui leur incombent en ce domaine mais l’Enseignement catholique ne peut désolidariser la prévention de la visée éducative qui est la sienne. C’est ainsi que dès les premières circulaires relatives à la prévention du sida, le Secrétaire Général de l’Enseignement Catholique avait souhaité que les documents de l’Education Nationale soient diffusés aux lycées privés, tout en publiant, simultanément, un cahier destiné aux enseignants et aux éducateurs, pour inscrire les actes de prévention dans une démarche éducative.29
Cette posture garde toute sa légitimité aujourd’hui, dès lors que les documents proposés respectent la vision anthropologique que nous souhaitons promouvoir. L’école catholique doit s’associer aux campagnes de prévention, et contribuer à diffuser les informations utiles. Elle ne peut le faire en revanche, sans conduire un discernement précis, dans chaque établissement, pour décider ou non de la distribution des documents proposés. Il convient toujours d’accompagner les documents distribués d’une parole éducative, qui donne sens. 30

La vie de couple à instituer.

La relation affective ou amoureuse a aussi une part de visibilité. Ce que nous donnons à voir de notre façon d’être en relation dit une conception des rapports humains, de la considération de l’autre. Au-delà de la relation interpersonnelle, notre responsabilité est engagée pour donner signe d’une manière d’être et de vivre ensemble humanisée. Cette responsabilité s’exprime dans l’institution matrimoniale qui repose sur la liberté des conjoints, la volonté de vivre une relation dans la durée, une alliance qui suscite l’engagement à une assistance mutuelle et qui se tourne vers l’accueil de la vie.

L’appel à donner la vie.

Le projet de procréation n’est certes pas la première préoccupation des jeunes confrontés à l’éveil de leur désir sexuel. Mais la question se pose, et la perspective de donner la vie dépasse le cadre réducteur du simple « risque de grossesse ». Tout être humain est confronté à cette extraordinaire puissance de donner la vie. La procréation se trouve donc au cœur des deux questions existentielles que sont celles des origines et du devenir.
Le trouble de la puberté, entre autres raisons, tient à cette conscience diffuse de cette capacité, nouvelle, à transmettre la vie. Toute information donnée sur la régulation des naissances ne peut trouver sens que dans un processus éducatif qui rendra capable de s’émerveiller de cette grandeur que l’être humain trouve à donner la vie.


Le choix d’une pédagogie signifiante.

La place de l’écoute.

Dans un environnement multipolaire, qui privilégie la liberté individuelle et l’expérience, il n’est pas possible pour un éducateur de se présenter devant les élèves avec un discours injonctif. Il est aussi indispensable de respecter les itinéraires de vie de chacun, sans jugement. Etre écouté permet souvent de se réconcilier avec soi-même, de sortir de la culpabilité, et de reconstruire l’estime de soi.
Avant de venir « dire », l’éducateur doit se mettre à l’écoute, pour que chacun se sente dans un climat de confiance, avec l’assurance de la confidentialité. Il est donc nécessaire que chaque établissement puisse repérer les personnes ressources aptes à ce travail d’écoute. Cette préoccupation doit aussi être prise en compte dans les plans de formation. C’est ainsi, par exemple, que les formations « Educateur à la vie » font une large place à l’acquisition de compétences pour l’écoute.

Le choix d’une pédagogie inductive.

L’abord de ces questions en grand groupe requiert un savoir faire pédagogique adapté. Ces préoccupations touchent chacun de près, au point qu’il est souvent difficile de libérer la parole. Il importe donc de diversifier les supports pédagogiques et de proposer des façons de participer, d’exposer, de partager et de réagir qui ne passent pas d’abord par le récit personnel. Il est important d’apporter aux jeunes des outils conceptuels pour analyser les messages véhiculés par les divers médias et pour leur permettre de bien distinguer fiction et réalité.
Le recours à un brain storming autour de quelques affirmations, à un photo langage, à une séquence vidéo mettant en scène des situations…permettent de rester à distance tout en s’impliquant. Les éducateurs et les enseignants recourront aussi au conte, à la poésie…pour susciter la réflexion des enfants et des jeunes, et pour leur permettre de « mettre en mots », les réalités de l’affectivité et de l’amour, dans un environnement qui recourt d’abord à l’image. Le débat philosophique pratiqué dès l’école primaire est aussi un lieu porteur pour favoriser l’expression en groupe sur ces questions.
C’est alors le partage en groupe qui permet de souligner qu’il n’est pas possible de construire des relations sans repères, tant vis-à-vis de soi, que vis-à-vis de l’autre.
La pédagogie inductive doit permettre de co-construire des repères entre l’adulte et le jeune, avant de pouvoir souligner que ces repères rejoignent souvent les convictions éducatives partagées.




Principes d’organisation.

L’éducation affective, relationnelle et sexuelle, un des enjeux du projet d’établissement.

Un projet éducatif a pour ambition de faire de l’école un lieu qui va au-delà de la transmission des connaissances. Il s’agit de favoriser l’épanouissement de chacun, de former les enfants et les jeunes à se situer dans leur vie affective, relationnelle et sexuelle pour qu’adultes, ils soient prêts à assumer leurs responsabilités tant sur le plan social que familial.
L’éducation affective, relationnelle et sexuelle doit faire l’objet d’une démarche explicitée dans le projet d’établissement. Si l’éducation est bien conçue comme un parcours, au sein d’une « école des ruptures et des seuils », le projet d’établissement doit donner un cadre pour un parcours progressif articulé aux étapes du développement psycho-affectif. C’est dans cette progressivité que peuvent trouver place et sens des temps spécifiques, tels que le moment où les programmes scolaires abordent la transmission de la vie, la sollicitation de partenaires extérieurs pour réfléchir à la dimension affective, relationnelle et sexuelle de la vie humaine, ou des campagnes de prévention.
Cette préoccupation concerne tous les âges de la scolarité. Dès l’école, la socialisation implique une éducation affective et relationnelle. Il est même là des comportements à fonder, pour permettre une croissance relationnelle harmonieuse. Des initiatives sont donc à prendre à tout moment de la scolarité.31
Des points de vigilance sont à souligner.

La relation aux familles.

L’éducation affective, relationnelle et sexuelle s’exerce d’abord en famille où l’enfant, le plus souvent, est accueilli dans toutes les dimensions de son être et trouve la richesse d’une écoute attentive et affectueuse. Les parents sont les premiers éducateurs de leurs enfants. Mais l’école a aussi une responsabilité importante, pour confirmer ce que les enfants reçoivent en famille, ou, parfois, pour aider des parents démunis. L’établissement doit donc se donner des moyens réguliers d’information et de concertation avec les familles, voire proposer des lieux de formation et des lieux d’écoute.


La vie scolaire.

L’école, comme lieu de vie, donne l’occasion quotidienne de relations interpersonnelles. Les éducateurs doivent former les enfants et les jeunes à maîtriser leur énergie, leur impulsivité, leur violence, parfois, pour respecter l’autre et pour se situer dans un groupe. Le rôle des éducateurs est d’aider les enfants et les jeunes à relire leur vie relationnelle, pour en dégager les richesses, les potentialités, les insuffisances et les limites. Le dialogue avec la classe, l’heure de vie de classe en second degré, le dialogue interpersonnel entre un adulte et un élève sont autant de lieux structurants pour l’éducation affective. Le règlement intérieur de l’établissement est un élément constitutif de l’éducation, lorsqu’il fixe les interdits et prévoit les règles de la vie collective, fondées sur la tolérance, la civilité, le respect de soi et de son intimité et le respect de l’autre, notamment de l’autre sexe.32

La sollicitation de toutes les disciplines.

Toutes les disciplines sont concernées par l’éducation affective, relationnelle et sexuelle. Le patrimoine littéraire et artistique fait une grande place à l’expression du sentiment, de l’amour, de la passion, et mettent en scène des expériences multiples. Les mythes, les contes et les récits divers peuvent aider à la construction de l’identité par leur dimension symbolique. Le choix des œuvres proposées aux élèves n’est pas indifférent. L’histoire, la géographie qui font découvrir dans le temps et dans l’espace des institutions matrimoniales, des structures familiales diverses aident à s’interroger sur une recherche existentielle fondamentale. La biologie, au-delà même des chapitres consacrés à la transmission de la vie, aide à se forger une représentation du corps et du respect qui lui est dû. L’éducation physique et sportive aide à connaître son corps, ses possibles performances, ses limites et forme à la maîtrise de soi. L’éducation civique, juridique et sociale intègrent nécessairement ces dimensions dans la formation au respect d’autrui, à la responsabilité et à la vie sociale. De nombreux thèmes du programme de philosophie peuvent aussi contribuer à l’éducation affective, relationnelle et sexuelle.
Ce sujet peut donc être un lieu privilégié pour un travail interdisciplinaire. Dans le premier degré, la polyvalence des professeurs des écoles permet facilement cette articulation entre les disciplines. La classe, comme lieu de vie, est un lieu privilégié pour l’éducation à la relation.
Les établissements catholiques d’enseignement sont légitimement soumis au respect des programmes de l’Education nationale. Les programmes de SVT sont bien entendu intégralement assumés. Mais le choix des manuels n’est pas indifférent. Le conseil des professeurs concerné sera donc particulièrement vigilant dans ses choix.33
De la même façon, l’établissement portera une grande attention aux documents concernant d’éducation affective, relationnelle et sexuelle, mis à disposition au CDI, ainsi qu’à la liste des sites éventuellement conseillés.34

La mixité à penser.

La mixité scolaire qu’il n’est pas question de remettre en cause peut être un levier utile de l’éducation affective et sexuelle. Il est néanmoins indispensable d’en faire un objet de réflexion et de travail. Il peut être utile dans un établissement mixte de prévoir des activités éducatives proposées à chacun des deux sexes séparément, et tout particulièrement pour les séances d’éducation affective, relationnelle et sexuelle dans les classes de collège.

La nécessité de lieux d’écoute et d’accompagnement.

L’éducation affective, relationnelle et sexuelle exige des moments personnalisés pour certains élèves. L’enfant, le jeune qui en éprouverait le besoin doit pouvoir recevoir une éducation personnalisée, être écouté, poser les questions qui sont les siennes, exprimer ses éventuelles souffrances.
L’établissement doit donc s’interroger sur les personnes ressources aptes et formées à l’écoute. La mission de l’infirmière en ce domaine sera précisée.

Les situations d’urgence.

L’établissement doit aussi prévoir les démarches à initier dans des cas graves mettant en danger ou en risque de danger un jeune ou plusieurs dans ce registre de l’affectivité ou de la sexualité. Pour faire face à ces situations, il importe que l’établissement se dote d’un protocole précis de façon à réagir de manière rationnelle, en concertation avec l’équipe éducative, en interne, et, selon la gravité de la situation, en s’appuyant sur des référents extérieurs à l’établissement.35
La responsabilité du chef d’établissement est première dans de telles situations, qui font nécessairement appel au jugement de conscience.
Le lien au projet d’animation pastorale.

Le projet éducatif d’un établissement catholique d’enseignement est référé à l’Evangile et à l’enseignement de l’Eglise. Cette dimension est particulièrement importante pour l’éducation affective, relationnelle et sexuelle. Sous la responsabilité du chef d’établissement, l’équipe d’animation pastorale veillera à proposer une découverte de l’enseignement de l’Eglise, sous des formes appropriées et audibles pour les jeunes d’aujourd’hui.

La nécessaire mobilisation de tous les acteurs.

L’éducation affective, relationnelle et sexuelle ne peut être confiée aux seuls spécialistes que peuvent être le psychologue, l’infirmière ou les professeurs de SVT, même si leur contribution spécifique est bien entendu essentielle. Le chef d’établissement, dans le profil de poste des infirmières et des psychologues, veille à préciser les responsabilités de chacun pour l’éducation affective et sexuelle.
La question de l’éducation affective, relationnelle et sexuelle se pose dans tous les établissements, y compris dans les écoles du premier degré qui n’ont pas souvent de personnel dédié. Il convient donc de penser à un partage et une formation en ce domaine.
Il appartient donc au chef d’établissement de proposer des temps d’animation de la communauté éducative sur cette question, pour que chacun des acteurs puisse entendre des sollicitations et repérer la contribution qu’il peut apporter au nom de sa responsabilité spécifique. Cette exigence est prévue dans les textes de l’Education Nationale : « Il est important d’organiser un travail pluridisciplinaire s’appuyant sur les compétences complémentaires des divers personnel, inscrit dans le projet d’école et le projet d’établissement, voire inséré dans une politique d’établissement »36. Elle s’impose plus encore au regard du projet éducatif d’un établissement catholique d’enseignement.
Les enjeux et les actions à conduire sont donc multiples. Il peut être utile de mettre en place dans l’établissement un groupe de suivi spécialement dédié à ce projet.
Ce groupe réunit des enseignants et des éducateurs, des parents. Si l’établissement dispose d’un APS, d’une infirmière et / d’un psychologue, ils font aussi partie de ce groupe. Il est fortement souhaitable que parmi ces personnes, certaines aient été formées à l’éducation à la vie.
Ce groupe projet aide à la concertation des acteurs, à la sollicitation de partenaires extérieurs et à l’élaboration d’un parcours cohérent. Il suit les actions mises en place et les évalue.37

L’importance de la formation.38

Cette responsabilité éducative de l’ensemble des personnels requiert une formation adaptée qui exige de concilier savoirs, éthique, culture et respect des personnes.
Ce travail de formation doit certes conduire à mieux maîtriser la connaissance des mécanismes psychologiques et les stades du développement psychoaffectif des enfants et des jeunes. Ce travail doit rendre apte à ne pas désolidariser l’éducation sexuelle de la dimension affective.
Cette formation doit aussi permettre aux divers acteurs de s’approprier la posture pertinente pour un travail éducatif qui est toujours délicat parce qu’il implique que les adultes soient au clair et à l’aise dans un sujet qui touche chacun dans son intimité, et parce qu’il implique aussi de se situer devant les jeunes comme des adultes crédibles et bienveillants. La formation permettra aux adultes de situer la juste distance nécessaire pour être à l’écoute des questions des enfants et des jeunes, sans risquer l’intrusion.
Ces formations doivent donc donner une large place aux capacités d’écoute et de relation.
La formation initiale et continue des enseignants doit tenir compte de ces dimensions, tant dans le premier degré que dans le second degré. L’organisation du premier degré donne un poids décisif à la présence éducative de chaque enseignant. Des aspects importants de l’éducation affective et relationnelle se jouent à l’école. La formation initiale doit intégrer ces dimensions dans la connaissance de la psychologie de l’enfant, qui peut aussi faire l’objet de modules de formation continue. L’animation des établissements, les temps de concertation, le travail en réseau peuvent aussi être l’occasion d’échanges et d’analyse de pratiques.
Une attention particulière est à porter à la formation en ce domaine, des personnels d’éducation puisque les lieux de vie dont les personnels d’éducation ont la responsabilité sont des lieux privilégiés d’observation des comportements des élèves. Beaucoup d’éducateurs sont aussi sollicités pour une écoute de proximité. La formation des maîtres d’internat doit accorder une large place à ces questions.
Le référentiel de formation des APS prévoit d’aborder ces champs.39
Le plan de formations des établissements doit donc régulièrement proposer aux divers personnels des temps de formation à l’éducation affective, relationnelle et sexuelle. Si la formation peut s’adresser séparément à diverses catégories de personnel, il est aussi utile de proposer des sessions réunissant des personnels divers pour structurer au sein de la communauté éducative une parole adulte et cohérente.
Les chefs d’établissement accorderont une grande attention pour le choix des organismes de formation retenus. Les centres de formation chrétienne des diocèses ou des provinces ecclésiastiques font aussi des propositions. L’Education Nationale a donné son agrément à un certain nombre d’organismes. Le travail de discernement sera concerté avec les tutelles.

Instances diocésaines et nationales de l’Enseignement catholique.

Ce projet s’inscrit dans les orientations données au réseau des établissements catholiques d’un diocèse. Ces orientations s’inscrivent dans les recommandations données par l’Eglise diocésaine pour la pastorale des jeunes et la pastorale familiale. Il est intéressant de mutualiser les initiatives de formation.
Il est donc utile que les Directions diocésaines mettent en place une commission Education affective, relationnelle et sexuelle.

Le Secrétariat Général de l’Enseignement Catholique, au sein de la mission action éducative du département éducation met en place un groupe de travail permanent pour :
expertiser l’évolution des textes officiels de l’Education nationale sur l’éducation sexuelle et la politique de prévention.
recenser les outils d’animation et les documents pédagogiques utiles.
recenser les partenaires extérieurs à solliciter pour animer des groupes d’élèves.
aider à structurer une politique de formation pour les personnels.

Le Secrétariat Général de l’Enseignement Catholique cherche à élaborer des accords cadres nationaux avec des organismes désireux de participer à des projets partagés. Une première convention est signée avec le CLER amour et famille.


Education affective et sexuelle et sollicitation de partenaires extérieurs.


Dans le cadre d’un projet cohérent et concerté, les établissements peuvent utilement solliciter des partenaires extérieurs pour des temps forts ou des actions plus régulières. De telles interventions peuvent permettre une parole plus libre et plus distanciée. La sollicitation de partenaires extérieurs ne peut néanmoins désengager la communauté éducative de sa responsabilité.40

Boîte à outils





Les outils sont actuellement présentés sous un format papier. Ils seront actualisés et complétés dans une version numérisée et interactive, sur le site du département éducation lorsque celui-ci ouvrira, en mars 2010.


Sommaire




1- L’éducation à la relation. 26
2- éléments à prendre en compte pour solliciter un intervenant extérieur dans un établissement. 28
3- Ressources interventions et formations 30
4- Aide à la lecture des documents qui arrivent dans un établissement scolaire, ministère, associations, I.N.P.E.S... 32
5- PRÉSENTATION D’actions raisonnées dans les établissements ou dans une direction diocésaine. 33
6- MISE EN PLACE D’UN GROUPE DE SUIVI DANS LES ÉTABLISSEMENTS. 34
7- QUESTIONS À SE POSER PAR RAPPORT À UN MANUEL DE S.V.T. 36
8- Protocole des actions à mettre en place en cas d’urgence. 37
9-Ressources documentaires. 38








1- L’éducation à la relation.

Le désir d’entrer en relation est un acte naturel pour l’être humain, mais peut rester difficile et a, par conséquent, besoin d’être éduqué. Il est donc une nécessaire éducation formelle à la relation. Cela touche de nombreuses situations, tout au long de la vie, et dès la scolarité : relations avec les parents, la fratrie, les camarades, l’autre sexe, les enseignants, les autres adultes…relations de personne à personne, relations en groupe… Les relations peuvent être paisibles, tendues, conflictuelles… Il est donc à éduquer, à la fois, une habileté relationnelle et une perception de la finalité de la relation. La relation touche bien entendu l’affectivité de chacun.

C’est pourquoi l’éducation affective et sexuelle doit s’inscrire dans un parcours de formation à la relation beaucoup plus large. Les enseignants et les éducateurs ont besoin de se former, mais aussi d’être outillés. Les outils ne manquent pas mais doivent être expertisés. La formation à la relation, en effet, touche au cœur de l’humain et engage une vision de l’homme.

La proposition ci-dessous expérimentée dans l’Enseignement catholique41 est celle mise en place dans le cadre de la Décennie internationale de la promotion d’une culture non violente et de la paix, organisée par l’ONU.42 La coordination française comprend l’ACAT, le CCFD et Pax Christi France. Celle-ci a créé le Réseau-École-Non-violence pour une éducation formelle à la relation. Le site www.ecole-nonviolence.org a mis en ligne des dizaines de fiches, libres de droits qui sont autant d’outils disponibles. Ces fiches réalisées par des enseignants d’adressent à diverses tranches d’âge et recourent à des supports pédagogiques diversifiés (étude de textes, photo langage, organisation de débats…)

Ces fiches disponibles sur internet sont organisées autour de dix pôles :

Apprentissage de l’écoute et du corps.
Apprentissage de l’estime de soi.
Apprentissage de l’ouverture au monde.
Apprentissage de la communication.
Apprentissage de la coopération.
Apprentissage de la différence.
Apprentissage des règles.
Apprentissage du conflit.
Apprentissage du genre.
Apprentissage du respect.

Chaque pôle donne des propositions détaillées de séquences pédagogiques.


A titre d’exemple, le pôle « apprentissage du genre » propose des axes divers de réflexion :

Mixité / égalité.
Que fait Maman / que fait Papa ?
Sexisme, discrimination, fantasme, stéréotypes, préjugés.
Masculin / Féminin.
Carte des professions.
QCM pour le droit des femmes et des citoyennes.
Garçons / filles, tous égaux.
Quand je serai grand / quand je serai grande…
Je décore une chambre de fille…


Tout sur le site : www.ecole-nonviolence.org rubrique fiches pédagogiques.
2- éléments à prendre en compte pour solliciter un intervenant extérieur dans un établissement.

1.En amont de l’intervention, quelques questions peuvent venir aider la réflexion autour de la demande:
Pourquoi faire appel à un intervenant extérieur?
Quelle est la place de l’éducation affective et sexuelle dans le projet éducatif et sa dimension pastorale ?
Il convient de pointer la place de l’intervention demandée dans un dispositif éducatif plus global.

Au delà du rappel à la loi ou du cadre réglementaire, comment susciter le besoin au sein de l’équipe de parler de ces questions?
De qui le chef d’établissement a-t-il entendu la demande ?
Un professeur, une équipe, un parent, l’animateur en pastorale, un personnel d’éducation….

A quel moment l’intervention est-elle souhaitée ?

Les interventions sont souhaitées à partir de la fin du premier trimestre afin que les groupes puissent avoir le temps de se connaître.

L’établissement a-t’il vécu un événement marquant ?

Si c’est le cas, il est intéressant de prévoir plusieurs interventions pour ne pas stigmatiser sur l’événement en lui-même.

A qui s’adresse l’intervention ?

Quelque soit le niveau scolaire ou la classe d’âge, la démarche gagne en cohérence lorsqu’elle est proposée aux élèves et parallèlement aux parents. Il est toujours intéressant de réfléchir à la composition des groupes, non mixtes par exemple.


Quelle communication et à qui ?

Les modalités de communication appartiennent à chaque établissement et le conseil d’établissement représente le lieu de circulation privilégiée des informations.La communication aux familles et à l’ensemble de l’équipe est élément indispensable à la réussite de la démarche visée.
La recherche de partenaires :

Cette recherche peut être facilitée en prenant appui sur la partie 3 de la boîte à outils, concernant les partenaires connus et reconnus de l’enseignement catholique.

Quelle adéquation entre les besoins de l’établissement et l’organisme contacté ?

La qualité des intervenants et l’ensemble des documents utilisés ou distribués sont à consulter avant de contractualiser une intervention.

Quelle sera la démarche pédagogique de l’association ou de l’organisme contacté ? Les élèves seront-ils actifs ? Spectateurs ? Les outils utilisés vous seront-ils présentés, distribués aux élèves (voir la fiche 4 « Aide à la lecture de documents ») ? Quel retour de l’intervention ; l’organisme pense-t’il communiquer, sous quel forme ? A qui ?

La demande est-elle suffisamment explicite ?

Présenter ce qui se fait déjà à l’intervenant, dans l’établissement et comment son intervention va compléter l’existant. L’intervenant s’inscrit dans la continuité.

Quelle(s) articulation(s) entre l’intervention demandée et l’ensemble de la vie de l’établissement, cours, pastorale, vie scolaire… ?
L’éducation affective et sexuelle est une chance pour l’interdisciplinarité.

Quelle type de convention l’organisme en question, propose-t-il ?

2.Au moment de l’intervention :
L’accueil de l’intervenant est-il organisé ? Qui va-t-il rencontrer ?

Les délégués de classe peuvent être associés à cet accueil.

L’intervenant sera-t-il seul dans la classe ?

Etant donné l’espace confidentiel de parole que représente ce type d’intervention, il est souhaitable qu’il le soit. Cependant le suivi d’une autre équipe dans un autre établissement peut être envisagé pour mieux connaître les démarches proposées.


3.Après l’intervention :
Qui à l’intérieur de l’établissement est chargé du retour sur l’intervention ?
Au sein de l’équipe et du côté des demandeurs de l’intervention, comment analyser les effets de l’intervention ? Quels prolongements éventuels, à court terme ? Long terme ?




3- Ressources interventions et formations

Certaines directions diocésaines ou réseaux congréganistes ont leur propre formation d’éducateur à la vie. Il est donc dans certains lieux, possible de bénéficier de ressources locales. Une prise de contact avec la commission diocésaine chargée de l’éducation affective et sexuelle permet aux établissements de trouver des réponses locales ou non. Certaines associations peuvent aussi être agréées localement.
Certaines universités catholiques proposent aussi des intervenants pour des conférences et des formations d’éducateur à la vie.
Deux associations interviennent majoritairement au sein des établissements scolaires de l’enseignement catholique. Le projet fondateur de ces deux associations est en cohérence avec celui de l’Enseignement Catholique. Pour tout autre partenaire, avant toute demande d’intervenant, il convient de vérifier le projet fondateur, les modalités précises d’intervention, les outils proposés et de rencontrer les intervenants.



Nom de l’association
Le Cler Amour Famille
Type d’association
Reconnue d’utilité publique depuis le 17 mai 1977.
Projet fondateur

Le projet du Cler s’appuie sur des valeurs humanistes et une vision positive de l’homme, de l’amour humain et de la sexualité.
Objectifs
Renforcer le lien social, développer l’épanouissement affectif et familial de toute personne jeune ou adulte, en couple ou non.
Outils
Le Cler produit ses propres outils et documents qui sont présentés avant les interventions.
Qualité des intervenants
Ils sont détenteurs d’une attestation de formation « Educateur à la vie » et ont suivi une formation complémentaire spécifique au Cler.
Site internet
www.cler.net
Agrément
Association nationale de jeunesse et d’éducation populaire (renouvellement en mai 2007)
Convention
Le Cler est le seul organisme reconnu par la conférence des évêques de France pour l’éducation affective et sexuelle. Il a signé une convention avec le Secrétariat Général de l’Enseignement Catholique le 8 Décembre 2010.
Formations
Educateur à la vie et formation de différents acteurs éducatifs à l’éducation affective et sexuelle.













































































Nom de l’association
Sésame
Type d’association
Association laïque et apolitique pour l’éducation affective et sexuelle en milieu scolaire.
Projet fondateur

Créée en 1966, l’association défend des valeurs comme le respect réciproque de l’estime de soi, une sexualité liée à l’amour qu’elle exprime et l’importance de la construction du couple.
Objectifs
Les objectifs de l’association sont en lien avec ceux de l’éducation nationale.
Outils
Sésame a ses propres outils d’animation qu’ils présentent avant les interventions.
Qualité des intervenants
Les intervenants sont formés en interne par Sésame.
Site internet
www.sesame-educ.org
Agrément
Agrée par le ministère de l’éducation nationale et le ministère de la jeunesse et des sports.
Formations
Formations pour devenir un intervenant dans le milieu scolaire.










4- Aide à la lecture des documents qui arrivent dans un établissement scolaire, ministère, associations, I.N.P.E.S...
C’est bien sûr toujours sous la responsabilité du chef d’établissement que des documents extérieurs à celui-ci, peuvent être diffusés au sein de l’établissement. Une telle diffusion relève de la vie scolaire, et donc de la liberté de l’établissement. Il convient de porter un regard critique, même si le document provient d’une source officielle, notamment en cherchant quelle vision de l’homme est privilégiée dans ces documents et quelque soit la forme de ceux-ci, papier ou multimédia.

1.Quelques questions à se poser avant la diffusion des documents :

Qui envoie le document ?

Quelle est la nature du document ?

Il s’agit de distinguer dans un premier temps le type de document. Provient-il d’une association, une entreprise (laboratoire…), est-ce une publicité déguisée ?  Est-il en adéquation avec le projet d’établissement ? De quel regard éducatif est-il porteur ?

Quels contenus précis sont proposés ?
Le type de texte, le niveau de langage, les illustrations sont-elles explicites sans pour autant choquer ? Le texte renvoie-t-il à un site internet ?

Quelques informations pour mieux comprendre les éventuels diffuseurs d’informations :

L’I.N.P.E.S., Institut National de Prévention et d’Éducation à la santé, est un établissement public administratif créé par la loi du 4 mars 2002 relative aux droits des malades et à la qualité du système de santé. L’Institut est un acteur de santé publique plus particulièrement chargé de mettre en œuvre les politiques de prévention et d’éducation pour la santé dans le cadre plus général des orientations de la politique de santé publique fixées par le gouvernement.
http://www.inpes.sante.fr/

Les centres de planification et d’éducation familiale dépendent du ministère de la santé. Ils délivrent entre autres une contraception d’urgence, pas de valeur spécifique affichée.

Le planning familial est une association militante qui défend le droit à l’avortement et à la contraception.

2.Après l’étude du document plusieurs options :
Le document est diffusé dans l’établissement, simplement distribué aux élèves.
Le document est diffusé dans l’établissement avec une démarche explicative.
Le document s’intègre dans une démarche pédagogique au sein d’une séquence pédagogique, ou dans un temps éducatif précis.
Le document est utilisé en classe ou dans des temps éducatifs mais sans être diffusé auprès des élèves.
Le document n’est pas diffusé.
5- PRÉSENTATION D’actions raisonnées dans les établissements ou dans une direction diocésaine.

Une démarche de mutualisation des expériences est en cours, elle sera accessible sur le site du département éducation sous la forme de fiches d’expériences analysées et commentées.
Nous en présentons deux, qui inaugurent la démarche de mutualisations.







6- MISE EN PLACE D’UN GROUPE DE SUIVI DANS LES ÉTABLISSEMENTS.

L’objectif d’inscrire l’éducation affective et sexuelle dans un parcours, et dans le cadre plus large d’une éducation à la relation amène à mettre en place un groupe de suivi dans les établissements. Cela dépasse le cadre du Comité éducation à la Santé et à la Citoyenneté, même si des préoccupations communes peuvent être en cause.

Composition.
Le groupe de suivi se constitue sous l’autorité du chef d’établissement et comprend des représentants des divers acteurs de la communauté éducative :

Enseignants.
Éducateurs.
Parents.
Adjoint en pastorale scolaire ou un membre de l’équipe d’animation pastorale.
Psychologue scolaire, là où ce poste est pourvu.
Infirmière scolaire là où ce poste est pourvu.
Dans un groupe scolaire, ce groupe de suivi a intérêt à rassembler les diverses unités pédagogiques pour élaborer un parcours concernant l’ensemble des niveaux scolaires.

Objectifs.
Ce groupe de suivi est chargé de la mise en œuvre des orientations du projet éducatif concernant l’éducation affective, relationnelle et sexuelle.
Il a principalement pour objet :
d’élaborer, pour ce domaine, un projet progressif et cohérent.
d’envisager, à partir de ce projet, comment chacun des acteurs de l’établissement peut être sollicité au nom de sa fonction : les enseignants des diverses disciplines ; les éducateurs ; les acteurs de l’animation pastorale ; les personnels spécialisés…
de proposer au chef d’établissement la sollicitation de partenaires extérieurs à l’établissement.
de proposer au chef d’établissement la communication à mener auprès de parents sur ces questions.
d’évaluer les dispositifs mis en place et le projet.





7- QUESTIONS À SE POSER PAR RAPPORT À UN MANUEL DE S.V.T.43
Les manuels sont choisis par l’équipe enseignante, sous la responsabilité du chef d’établissement.
Qui ?
D’où vient-il : manuel, document du ministère de l’éducation ? de la santé ? laboratoire pharmaceutique ?...
Qui l’a écrit ? Qualité de l’auteur ? Légitimité à écrire ou à valider l’ouvrage ? Individu, collectif, organisme ?
Pour qui ?
Niveau de diffusion ? Document grand public ou population ciblée ?
Mode de diffusion ?
Est-ce un document rédigé pour
des adultes ?
des jeunes ? des enfants ?
des adultes en responsabilité de jeunes ou d’enfants ?

Quoi ?
Quelle dimension est traitée dans ce document ou manuel ?
Biologique ? (physique et physiologique)
Intelligence ? (maitrise, discernement, projet de vie…)
Affectivité (sentiments)
Pulsionnelle ? (désirs)
Relationnelle ? (place de l’autre)
Sociale et culturelle ? (normes et modèles)
Éthique ? (valeurs personnelles et collectives)
Spirituelle ? (référence religieuse)
Juridique ? (lois, décrets, circulaires, …)
Quelles sont les zones laissées dans l’ombre ?
Quel est le contenu de ce qui est dit sur les dimensions traitées ? Est-l pertinent avec le projet éducatif de l’établissement ?

Pour quoi ?
Les objectifs visés :
Ils sont annoncés
Ils ne sont pas annoncés, mais on peut les percevoir
Ils ne sont pas annoncés, et on ne peut pas les percevoir
Ils sont centrés sur
les connaissances ?
la capacité de discernement ?
un travail sur les attitudes ?

Pourquoi ?
Les finalités poursuivies sont-elles explicites ? visibles ? floues ?
L’éthique de référence correspond-elle à celle de l’établissement ?
Comment ?
Ce document ou cet ouvrage apporte-t-il essentiellement
des données ?
des messages injonctifs ?
des mises en activité ?
S’il y a des activités prévues, sont-elles individuelles, par groupe ou collectives ?
Quelle est l’adéquation entre les images et le texte ? Y a-t-il concordance ou divergence ?
8- Protocole des actions à mettre en place en cas d’urgence.

Les services de l’Éducation Nationale ont des protocoles d’urgence, qui peuvent convenir à certaines situations. L’enseignement catholique a mis en place une démarche originale d’analyse et de gestion de crises qui comprend un suivi et un approfondissement des questions éducatives posées dans la situation ou l’événement en question.

Si un événement a lieu au sein de l’établissement, il convient d’avertir :

Le directeur diocésain, qui peut contacter le référent A.N.P.E.C. de sa région pour une intervention rapide.

Des fiches spécifiques pour chaque situation de crise sont détaillées dans l’ouvrage « Drames en milieu scolaire ».


Le livre s’inscrit dans une démarche plus globale de formation des psychologues de l’éducation à la gestion des situations difficiles et de crises. Le psychologue aide à la lecture de la situation, il peut déterminer si c’est une situation de crise ou une situation difficile, si elle gérable seul ou non.
A travers cette démarche, il s’agit aussi de pointer les questions éducatives que la situation révèle. Le travail délicat des psychologues de l’éducation fait émerger une question centrale : comment s’emparer des questions éducatives soulevées sans être intrusif ?


L’A.N.P.E.C. (Association Nationale des Psychologues de l’Enseignement Catholique) a édité un ouvrage pour mieux appréhender les situations difficiles que peuvent rencontrer certains établissement :
Drames en milieu scolaire
Catherine GUIHARD, Agnès OBRINGER, Daniel BRICE, sous la direction de Jean-Luc PILET, Editions Masson, 2009.


Carte des référents diocésains (à venir).














9-Ressources documentaires.

Livres

La liste ci-dessous a été établie par des documentalistes de l’Andep. Pour d’autres ouvrages et supports documentaires, le ou la documentaliste de l’établissement peut fournir d’autres références.

Athea Nicole, Couder Olivier. Parler de sexualité aux ados - Une éducation à la vie affective et sexuelle. Eyrolles, 2006. [E.A.N. 9782708136205]

Ce guide, conçu pour les parents et les intervenants scolaires, réunit tout ce qu'il faut savoir sur la sexualité des adolescents. II propose un ensemble d'outils pour aborder avec eux les questions délicates des premiers rapports, de la violence, du respect de soi et de l'autre, de la maternité, etc.


Plus ciblé sur le collège :
Casterman, Jean-Benoît. Pour réussir ta vie sentimentale et sexuelle. Les chemins de l'amour de 14 ans jusqu'au mariage. Éditions des Béatitudes, 2006. [E.A.N. 9782840242598]

Sans détour ni tabou, le père Jean-Benoît aborde les problèmes sexuels et affectifs qui se présentent aux jeunes : relations sexuelles, différences entre garçons et filles, avortement, contraception, déceptions sentimentales, etc. En partant du concret, il conduit le jeune lecteur vers un respect de son corps et vers une approche chrétienne de sa sexualité et de son affectivité.

Quatrième de couverture :
Avertissement
Ce document est subversif. Il croit que la sexualité est belle et sacrée. Il croit que l'amour peut être à la fois passionné et chaste, complice et fidèle, sensuel et spirituel.
Déconseillé en cas d'allergie à la beauté, à la vérité, et à Dieu.
«Enfin un document adapté aux jeunes, avec des images et leur langage, sans en mettre des tartines. Car il y a trop de gros bouquins où on se perd vite et qu'on abandonne vite.»
«Ce journal m'a fait craquer, comme s'il avait été écrit pour moi.»
«Il présente les choses objectivement et librement. Tout est dit.»
«Je croyais être la seule à ne pas encore avoir fait l'amour. Je suis heureuse de savoir qu'il existe des jeunes de mon âge (18 ans) qui partagent le même point de vue.»
«Ce document m'a permis de briser les tabous. Je l'utilise à fond pour discuter avec mes camarades sans paraître ridicule.»


Delhez Charles, Joncheray Loïc, Terlinden Myriam, Sonet Denis. Tu peux croire à l'amour ! Salvator, 2008. [E.A.N. 9782706705373]
L'amour, l'amitié, la naissance du désir, la fécondité, tous ces aspects de la vie des jeunes sont ici évoqués simplement et sans tabous. C'est tout le talent pédagogue de Charles Delhez que nous retrouvons après "Tu peux changer le monde" et qui se révèle dans ce livre conçu et pensé pour les jeunes à partir de 14 /15 ans. Un très beau livre à offrir pour tous les adolescents qui s'éveillent à l'amour.

Dolto Françoise, Dolto Catherine, Percheminier Colette. Paroles pour adolescents - Ou le complexe du homard. Gallimard Jeunesse, 2007. [E.A.N. 9782070553068]

Un adolescent, disait Françoise Dolto, c'est un homard pendant la mue : sans carapace, obligé d'en fabriquer une autre, et en attendant, confronté à tous les dangers.
Découverte de soi, sexualité, révolte, tentations de la violence, de la drogue ou de la dépression : à tous ces défis, Françoise et Catherine Dolto essayent de répondre. Elles s'adressent aux adolescents, mais aussi à leurs parents et aux éducateurs. Parler directement aux adolescents au lieu de parler d'eux : telle aura été la dernière audace de la grande psychanalyste, auteur de Lorsque l'enfant paraît et de La Cause des enfants.
Ce livre veut fêter la force de vie des adolescents, leur capacité à inventer l'avenir car, pensent F. Dolto et C. Dolto, la société changera sous la pression des jeunes.


Dolto-Tolitch Catherine. Dico ado. Les mots de la vie. Gallimard, 2001. 513 p. [E.A.N. 9782070586370]

Autour de Catherine Dolto-Tolitch, médecin haptopsychothérapeute, des médecins, des gynécologues, des diététiciens, des psychanalystes mettent DES MOTS SUR TOUT ce qui vous turlupine, vous enthousiasme ou vous déprime, tout ce qui fait signe, tout ce qui fait peur, ce qui secoue, ce qui râpe et dérape et se répare…

Le Breton David. Cultures adolescentes - Entre turbulence et construction de soi. Autrement Editions, 2008. [EAN 9782746711860]
Les adolescents d'aujourd'hui ne dépendent plus de traditions, de chemins tout tracés ou d'idéologies, et nul ne vient plus leur dicter leur conduite.
L'école et la famille, les deux premières instances de socialisation, sont en pleine mutation et font l'objet de débats intenses. La sociabilité juvénile n'est pas toujours heureuse, les relations entre garçons et filles sont souvent tendues, les incivilités, les rackets, les rapports de force sont relativement courants. Pour une partie des jeunes, les difficultés familiales ou sociales génèrent un mal de vivre, des conduites à risque qui traduisent leur sentiment de ne pas réussir à trouver leur place dans le monde.
Aujourd'hui, la culture adolescente, qui s'impose dans le paysage de notre vie quotidienne, se décline en de multiples codes de conduite : passion du portable, des forums internet, de l'image, du hip-hop, des raves ou des free parties, pratiques sportives, addiction aux marques, etc. Les adolescents d'aujourd'hui vivent dans un monde de représentations, sur une scène, dans la peur du jugement des autres.
L'adolescence est une période culturellement et socialement spécifique qui précède l'entrée dans la vie et se traduit par un va-et-vient entre turbulence et construction de soi.


Raith-Paula Élisabeth. Que se passe-t-il dans mon corps ? - Guide à l'usage des jeunes filles. Oskar éditions, 2005. [E.A.N. 9782350000268]

Sonet Denis. Découvrons l’amour. Droguet et Ardant, 1999. [E.A.N. 9782704107360]
Sonet Denis. L'amour, la vie...Parlons-en ! Edifa-Mame, 2005. [E.A.N. 9782914580595]

Denis Sonet travaille comme formateur, en France et à l'étranger, dans un mouvement familial, le C.L.E.R., ce qui lui permet de rencontrer chaque année plusieurs milliers de jeunes et d'être attentif à leurs problèmes.
Découvrir l'amour...
N'est-ce pas une gageure ? L'amour n'est-il pas un mystère qui ne saurait se laisser " encager " dans une définition ? Et pourtant, avec humour et clarté, l'auteur se risque à l'analyse de la plus passionnante des réalités humaines. Ce livre intéressera les jeunes de 13 à 20 ans et... rendra un très grand service à leurs parents et éducateurs. Rien n'est négligé pour les informer, tant sur le plan moral que sur les plans sentimental et sexuel.
Rien n'y est austère, cependant : des réflexions profondes, des dessins humoristiques, des citations fortes ou poétiques, des documents précis sur les problèmes qui les préoccupent (M.S.T., drogues, régulation des naissances) contribuent à faire de cet ouvrage un document indispensable.
Pourquoi n'ai-je pas d'amis ? Pourquoi l'amour fait-il souffrir ? Comment choisir ? L'amour peut-il durer ? Les jeunes ont parfois du mal à aborder avec leur entourage immédiat les sujets qui les préoccupent vraiment : l'amitié, l'amour, les relations garçons/filles, la sexualité...
Dans un langage direct, le père Denis Sonet apporte à leurs questions des réponses claires et concrètes, leur proposant une vision de la vie qui soit à la hauteur de leurs espérances.


Stagnara Pierre et Denise. L'éducation affective et sexuelle en milieu scolaire. Dunod, 1995. 207 p. [E.A.N. 9782100028139]
Stagnara Denise. L’amour, c est génial mais... - 60 questions d’ados sur le sexe et l’amour et comment y répondre. Dunod, 2005. 173p. [E.A.N. 9782100488681°
Stagnara Denise, GORCE Xavier. La première fois. Éditions de la Martinière, 2002. 109 p. (Collection Hydrogène) [E.A.N. 9782732429083]

Denise Stagnara a, depuis 1971, publié plusieurs ouvrages concernant les problèmes affectifs et sexuels des enfants et des adolescents. Pierre Stagnara, docteur en médecine, s'est associé à son épouse pour soutenir une thèse de doctorat d'État ès Lettres-Sciences de l'Éducation (Lyon II, 1989) étudiant la relation amoureuse sous ses deux aspects complémentaires " Utopie et Réalités ".
Aux éditions Fayard, ce fut la matière de " Amours fidèles " 1990, puis Livre de Poche 1992.
Depuis 1966, ils ont créé une séquence pédagogique " Sésame " qui est mise en application par de nombreux intervenants formés à cette école.
La richesse de leur pratique et de leur documentation rend leur apport incontournable en ce qui concerne les enfants et les adolescents.
Ils sont mariés depuis plus de cinquante ans : ils ont de nombreux enfants et petits-enfants.

Lacroix Xavier, Le corps de l’Esprit, Foi vivante, 1999. 128 p. [E.A.N. 9782204064415]
DOCUMENTS D’ÉGLISE

Benoît XVI, Deus caritas est, 25 décembre 2005
Gaudium et Spes, Constitution Pastorale du Concile Vatican II, 8 décembre 1965 (http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_fr.html), plus particulièrement le n.49
Vérité et signification de la sexualité humaine, Conseil Pontifical pour la Famille, 8 décembre 1995 (http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/family/documents/rc_pc_family_doc_08121995_human-sexuality_fr.html)



D.V.D.

Qu’est-ce qu’aimer ? Denis Sonnet, Edition du CLER, 2009.





LOIS:
Bulletins officiels :

Guide repère de l’Éducation Nationale « L’éducation à la sexualité au collège et au lycée », Repères, édition décembre 2005.

Loi n°2001-588 du 4 juillet 2001, relative à l’interruption volontaire de grossesse et à la contraception.

Loi n°98-468 du 17 juin 1998 relative à la prévention et à la répression des infractions sexuelles ainsi qu’à la protection des mineurs.

Décret n°92-1200 du 6 novembre 1992, relatif aux relations du ministère de l’Éducation Nationale avec les associations qui prolongent l’action de l’enseignement public. JO du 13 novembre de 1992.






CIRCULAIRES:

Circulaire n°2003-027 du 17 février 2003, relative à l’éducation à la sexualité dans les écoles, les collèges et les lycées. BO n°9 du 27 février 2003.

Circulaire n° 2003-210 du 1er décembre 2003, relative à la santé des élèves : programme quinquennal de prévention et d’éducation. BO n°46 du 11 décembre 2003.

Circulaire n°98-108 du 1er juillet 1998, relative à la prévention des conduites à risques et au comité d’éducation à la santé et à la citoyenneté. BO n°28 du 9 juillet 1998.

Circulaire n°98-237 de 24 novembre 1998, relative aux orientations pour l’éducation à la santé à l’école et au collège. BO n° 45 du 3 décembre 1998.

Circulaire n°97-175 du 26 août 1997, relative aux instructions concernant les violences sexuelles. BO hors série n°5 du 4 septembre 1997.

Code de l’éducation, article L.312-16 du 9 août 2004 : « Une information et une éducation à la sexualité sont dispensées dans les écoles, les collèges et les lycées à raison de trois séances annuelles et par groupe d’âge homogène… ». JO du 11 août 2004.