domenica 25 gennaio 2009


(Nell'immagine Olivier Clement, il teologo ortodosso francese recentemente scomparso)

Battezzati in Cristo

Il Concilio Vaticano II aveva affermato: "Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione, perché il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall'abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità" (Unitatis redintegratio, 7).

Ma è davvero così? O sono solo belle parole? Più di tante belle parole di solito funzionano gli esempi. La recente scomparsa del grande teologo francese ortodosso Olivier Clement, proprio a ridosso dell'inizio della settimana di unità di preghiera ci offre una opportunità. Leggendo alcune testimonianze riportate dai quotidiani scopriamo grazie a fratel Aloise,attuale priore della Comunità di Taizé che molti anni fa in un incontro tra il teologo Clement e la comunità con il priore-fondatore fratel Roger, questi si illuminò di felicità sentendolo nel suo discorso citare un brano di Isacco di Ninive: "Dio non può che donare il suo amore". Fratel Roger ha voluto subito che con quella frase fosse composto un canto a Taizé, uno di quei canti meditativi che ripetono a lungo le stesse parole. E noi continuiamo a essere nutriti da quel canto ancora oggi. Chi l'avrebbe mai immaginato che uno dei più noti canti della Comunità di Taizé l'aveva per così dire "creato" un teologo ortodosso? Nel parlare di Taizé, Olivier Clément amava sottolineare come gli piaceva che in quel luogo i giovani venissero sollecitati ad approfondire la vita interiore e allo stesso tempo la solidarietà umana. Trovava ciò importante poiché, disse un giorno, "nulla è più responsabile del pregare". Fratel Roger si è talmente ritrovato in quella frase da farne il titolo di un capitolo di uno dei suoi libri.

Funziona sempre in questi contesti l'immagine della "ruota", i cui raggi più vicini al centro (=Dio) sono anche i più vicini tra loro e viceversa. C'è un aneddoto che forse sarebbe piaciuto a sia fratel Roger che al teologo Clement. “Un giorno padre Galaction pose questa domanda a un eremita che aveva incontrato per caso nella foresta: “Ditemi padre, quando verrà la fine del mondo?” E quel sant'uomo sospirando rispose: “Lo vuoi sapere padre Galaction? Quando non ci sarà più sentiero tra l'uomo e il suo vicino!” (I. Balan, Pateric romanesc, Institutul biblic, Bucarest 1980, p. 621)

Anche Benedetto XVI, nella scorsa estate, a Sydney, nel corso di un incontro ecumenico con circa 50 leader religiosi svoltosi nel contesto della XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, ha ricordato: “Per andare avanti, dobbiamo continuamente chiedere a Dio di rinnovare le nostre menti con la grazia dello Spirito Santo, che ci parla attraverso le Scritture e ci guida alla verità tutta intera”. Dobbiamo stare in guardia contro ogni tentazione di considerare la dottrina come fonte di divisione e perciò come impedimento a quello che sembra essere il più urgente ed immediato compito per migliorare il mondo nel quale viviamo”. Il Papa ha affermato che la storia della Chiesa dimostra che la praxis non solo è inseparabile dalla didaché, cioè dall’insegnamento, ma anzi ne promana. “Quanto più assiduamente ci dedichiamo a raggiungere una comune comprensione dei divini misteri, tanto più eloquentemente le nostre opere di carità parleranno dell’immensa bontà di Dio e del suo amore verso tutti. Sant’Agostino espresse l’interconnessione tra il dono della conoscenza e la virtù della carità quando scrisse che la mente ritorna a Dio attraverso l’amore e che dovunque si vede la carità, si vede la Trinità”. Quindi il dialogo, ha detto Benedetto XVI, “avanza non solo attraverso uno scambio di idee, ma condividendo doni che ci arricchiscono mutuamente. Un’idea’ è finalizzata al raggiungimento della verità; un ‘dono’ esprime l’amore. Ambedue sono essenziali al dialogo. L’aprire noi stessi ad accettare doni spirituali da altri cristiani stimola la nostra capacità di percepire la luce della verità che viene dallo Spirito Santo”.

Allora "ecumenismo" e/o "dialogo" non devono essere tanto qualcosa da vivere solo in certi giorni dell'anno avvalendosi di appositi sussidi e di speciali iniziative, ma un atteggiamento del cuore da avere sempre, con l'umiltà e la consapevolezza della umana fragilità. L'Apostolo ci viene in aiuto, “Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quando siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è Giudeo, né Greco; non c'è schiavo, né libero; non c'è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.” (Gal 3,26-29).


M.L.A.

mercoledì 14 gennaio 2009

Settimana Ecumenica


(nella foto amici ortodossi della Georgia e di Mosca ospiti del recente convegno "Human Rights and Democracy" organizzato da The World Political Forum, 6 novembre 2008, Complesso Monumentale di Santa Croce di Bosco Marengo, Alessandria)

Sussidio per la settimana di preghiera

“Essere riuniti nella tua mano”
(cfr. Ezechiele 37, 17)

    La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2009 parte da uno sforzo unitario di cristiani di varie parti del mondo. In primo luogo si tratta dei cristiani coreani che ci offrono come spunto di meditazione questo versetto tratto dalla seconda grande visione del profeta Ezechiele. I Coreani citano questa visione perché si trovano nella situazione da cui era partito Israele prima dell’esperienza dell’esilio fatto da Ezechiele e dalla sua generazione. Anche la Corea, come Israele di allora, è un paese diviso in due stati: quello del nord e quello del sud, che malgrado la divisione e una terribile guerra di oltre cinquant’anni fa, si sente un’unica nazione. Ma questa è anche la realtà della cristianità di oggi, una realtà divisa ma che ha come speranza centrale quella di “formare un solo bastone nella mano di Dio” (cf Ez 37, 17).
    Nella storia d’Israele il periodo dell’esilio e del post-esilio fu senz’altro difficile e sentito come un’immane sciagura, ma fu in quel periodo che il monoteismo si espresse definitivamente e Israele, che era stato uno dei tanti piccoli regni della sponda asiatica del Mediterraneo, diventa il porta bandiera del Dio Creatore e Signore e l’annuncio di una nuova speranza per l’umanità. Il miracolo fu che un popolo disperso dalla zona di Assuan fino alla Tracia, dall’India fino alla Libia, poté portare, anche per il contributo dei persiani, un messaggio unitario al mondo. Il dono che quel popolo portò a termine in quegli anni è la Bibbia ed è un dono di cui non possiamo che dover riconoscenza agli uomini del tempo di Ezechiele e di Esdra.
    Anche oggi il mondo cerca unità. È un altro momento in cui sembra impossibile l’intervento di Dio; il mondo occidentale, dove non mancano i mezzi di sussistenza, corre dietro a sogni irraggiungibili e sembra dimenticare quali siano i significati veri della vita. Il cosiddetto terzo mondo si trova nella quasi impossibilità di vivere per la mancanza assoluta dei beni di sostentamento. La natura stessa è così condizionata dall’inquinamento prodotto dalle grandi nazioni che rende più visibile e di attualità stringente il gemito di cui parla l’apostolo Paolo (“Tutto l’universo aspetta con grande impazienza il momento in cui Dio mostrerà il vero volto dei suoi figli” Rm 8, 19).
    Questi ultimi, spesso disorientati e ben divisi sentono l’urgenza di fare propria la visione di Ezechiele: essere riuniti in modo di formare un solo bastone nella mano di Dio. In questa direzione essi hanno una sola arma: la preghiera, che rivolgono a Dio da ogni parte della terra e che esige da loro una conversione all’amore e ad alla giustizia che trovano insieme la loro realizzazione sulla croce di Cristo.

    I titoli proposti per ciascuno dei giorni della Settimana sembrano registrare questo schema appena indicato perché pongono le comunità cristiane di fronte alle vecchie e alle nuove divisioni, alla guerra e alla violenza, all’ingiustizia economica e alla povertà, alla crisi ecologica, alla discriminazione e al pregiudizio sociale, alla malattia e alla sofferenza, alla pluralità delle religioni per giungere infine a proclamare la speranza cristiana in un mondo di separazione. Siamo dunque in attesa dello splendido annuncio di Apocalisse 21 “Ora faccio nuova ogni cosa”.
Con cuore rinnovato prepariamoci a questa particolare settimana di preghiera per l’unità.

Chiesa Cattolica

Vincenzo Paglia
Vescovo di
Terni-Narni-Amelia

Presidente, Commissione CEI per l'Ecumenismo e il Dialogo


PREGHIERE PROPOSTE DALLE CHIESE LOCALI 1


Woo-Ri Gi-Do - Ascolta la nostra preghiera
Preghiera coreana
O Signore, ascolta la nostra preghiera.
Tu sai ciò di cui abbiamo bisogno
e ci esaudisci.
Donaci la pace.
Comune preghiera per la pace e la riunificazione della penisola coreana
Speriamo
che la nostra riunificazione sarà salda e splendida.
Speriamo
che la nostra storia di dolore e sofferenza,
rechi unità alla nostra nazione
e offra speranza al mondo.
O Signore,
in te, ancora una volta, culliamo un alto sogno
il tuo stesso sogno sulla croce, nei tempi antichi,
il grande sogno che ogni persona e tutta la storia dimori in te.
È anche il nostro sogno.

Preghiera di Pasqua, comune alle chiese del sud e del nord: O Signore, che hai vinto la morte e sei risorto alla vita! (“Io ho vinto il mondo”, Gv 16, 33)

Preghiera scritta congiuntamente dal Consiglio nazionale delle chiese in Corea (NCCK) e dalla Federazione cristiana coreana (KCF).
Lodiamo il nostro Dio, il Signore risorto,
Che il Terzo giorno
ha vinto la croce
ha lasciato dietro di sé, vuota, la tomba
ed è risorto, in bianche vesti.
Il nostro Signore risorto,
le cui lacrime del Getsemani hanno fatto fiorire boccioli di fiori,
il cui dolore sul Golgota ha portato luce nelle tenebre,
Che ha trasformato la disperazione attorno alla tomba
in gioia,
Egli è la speranza eterna dell’umanità intera.
Ora,
noi che siamo senza forze
per la lunga oscurità della divisione,
noi che, portando la croce,
abbiamo vagato su questa terra come in un luogo selvaggio,
noi che abbiamo camminato lungo la strada coronata di spine,
attendendo l’alba,
qui,
oggi,
attraverso ogni valle della nostra vasta terra,
chiese del nord e del sud, riunite come fossero una,
cristiani del nord e del sud che uniscono i loro cuori
lodano Dio per il nuovo mattino della Pasqua.
O Dio,
fa’ che noi diventiamo testimoni viventi della resurrezione,
lascia che le nostre mani, insanguinate per aver conficcato
il chiodo dell’odio
e inferto la lanciata della condanna,
divengano mani capaci di fasciare le ferite,
mani reciprocamente tese nella riconciliazione.
Nel cammino di sofferenza,
fa’ che torniamo ad avere voce di conforto, passi di pace.
A capire, finalmente, che possiamo cambiare
la nostra storia di morte.
E,
come la croce e la resurrezione sono uno,
come il fiume Daedong nel nord e il fiume Han nel sud
confluiscono nello stesso mare,
fa’ che la nostra incompleta liberazione,
dal monte Halla nel sud al monte Baekdu nel nord,
dai monti Kaesong a ovest, fino ai monti Keumgang ad est,
possa divenire perfetta riunificazione.
E infine,
che il nostro saluto pasquale nel Signore: “La pace sia con te” (Gv 20, 19)
possa raggiungere oltre l’Asia, tutto il mondo,
e unirci tutti nella pace,
in grida di gioia, in esultanza, in abbracci fraterni.
Possano i giorni incerti del villaggio globale,
divenire, invece, il Terzo giorno di speranza.
Te lo chiediamo nel nome di Gesù Cristo risorto,
Che guida la nostra terra a divenire un solo paese,
una nuova creazione.

La croce
di Yun Dongju, poeta e martire che combatté per l’indipendenza della Corea nel periodo coloniale giapponese, fu condannato a morte nel 1945.
La luce del sole
che mi seguiva
fino ad un istante fa
si è ora impigliata sopra la croce
in cima alla chiesa.
Mi chiedo
come abbia potuto scalare
un così alto pinnacolo.
Camminavo su e giù senza posa,
sospirando
nessuna campana di chiesa suonava.
E se si stesse preparando una croce
la stessa di quell’Uomo agonizzante
di Cristo Gesù, beato,
stillerei sangue lungo il collo,
in silenzio,
come un fiore che sboccia
sotto il cielo che volge al crepuscolo.

Che possano essere uno
O Padre mio, Dio santo,
proteggili per la potenza del tuo nome,
per il nome che Tu hai dato loro,
che possano essere uno come io e te siamo uno.
Come Tu mi hai mandato nel mondo,
io ho mandato loro nel mondo.
Per loro io santifico me stesso,
perché anch’essi possano essere santificati in verità.
Io in loro e Tu in me.
Possano essere condotti alla piena unità
perché il mondo sappia che Tu mi hai mandato
e che li hai amati come hai amato me.


SITUAZIONE ECUMENICA IN COREA 2

Il popolo coreano: cinquemila anni di storia come nazione unita
    Al fine di comprendere la situazione ecumenica in Corea, è necessario capire la peculiare storia della nazione e del popolo coreani.
    La Corea, fondata nel 2333 a.C. dai Dankun, rimase una nazione etnicamente omogenea per cinquemila anni. Nonostante avesse dovuto sopportare gravi minacce da parte della Cina durante i primi duemila anni, la Corea mantenne la propria dignità e libertà come nazione (antico Choson).
    Nel periodo che va dal I secolo a.C al VII secolo d.C., si susseguirono varie dinastie in Corea. Dal 57 a.C. al 935 d.C., le dinastie Koguryô (37 a.C. - 668 d.C.), Paekche (18 a.C. - 660 d.C.) e Silla (57 a.C. - 935 d.C.) diedero vita a quello che sarà chiamato, nella storia coreana, il periodo dei “Tre regni” (Samguk). Nel X secolo, nel nord, alla dinastia Balhae (698-926 d.C.) succedette la dinastia Koryô (918 d.C. - 1392 d.C.), seguita, nel XIV secolo, dalla dinastia Choson (1392 d.C. - 1910 d.C.). Durante l’intero periodo la Corea non solo rimase una nazione omogenea, ma raggiunse anche un grande sviluppo culturale.
    Nel 1897 venne fondata la Corea imperiale (Daehan Jeguk) che segnò l’inizio dell’era moderna nella storia coreana. Dal 1910 al 1945 la Corea fu occupata dai Giapponesi; nonostante ciò i Coreani non persero mai la speranza e non smisero mai di lottare per la propria indipendenza. Questa lotta e tutto l’impegno che ne derivò, li condussero alla liberazione dall’occupazione giapponese nel 1945, con la fine dell Seconda Guerra mondiale. La storia riflette la sorte della Corea; a motivo, infatti, della sua strategica ubicazione geo-politica, ha dovuto sopportare molte ingerenze e invasioni da parte delle grandi potenze mondiali.
    La Corea ha anche dovuto combattere con conflitti interni che riflettevano le varie ideologie. Il perdurare di questa situazione per molti anni ha portato all’istituzione, al nord, della Repubblica popolare di Corea (Democratic People’s Republic of Korea, DPRK), basata sul Comunismo, e, al sud, alla fondazione della Repubblica di Corea (Republic of Korea, ROK), basata sulla democrazia e sulla libertà. Il contrasto e il conflitto fra queste due ideologie hanno portato alla tragedia della guerra coreana (1950-53), che ha mietuto molte vittime. Nel 1953 fu firmato un armistizio, e il confine fra la Corea del Nord e la Corea del Sud, con la sua zona smilitarizzata (DMZ), divenne il simbolo visibile della tragedia della storia coreana.
    Il numero di famiglie divise dalla guerra e dalle sue conseguenze raggiunge quasi i dieci milioni. Solo recentemente a queste famiglie sono state concesse limitate opportunità di incontro, ma nella maggior parte dei casi le famiglie non sanno neppure se i loro membri che si trovano aldilà della divisione nord-sud, siano ancora vivi o meno. Il loro dolore rimane nel cuore di ognuno e costituisce una profonda ferita all’onore e all’identità della nazione.
 
Riconciliazione e collaborazione fra nord e sud
    Il 4 luglio del 1972, la penisola coreana ha vissuto una svolta storica. La Dichiarazione congiunta firmata in quell’occasione ha cambiato l’atmosfera di conflitto e ostilità, attenuando il clima di reciproca violenza, facilitando la discussione e muovendo passi concreti verso l’unificazione nazionale, come un compito comune.
    Il Consiglio ecumenico delle chiese e la Chiesa cattolica si sono impegnati nell’alleggerire la tensione e facilitare il processo di pace. Nel 1988 l’Assemblea generale del Consiglio nazionale di chiese in Corea (National Council of Churches in Korea, NCCK) ha reso nota la Dichiarazione delle chiese coreane sulla riunificazione nazionale e sulla pace (Korean Churches’ Declaration on the National Reunification and Peace); e la Conferenza episcopale coreana (Catholic Bishops Conference of Korea, CBCK) ha organizzato una Commissione per la riconciliazione nazionale (Committee on National Reconciliation). Facendo seguito a questi eventi sono state fondate molte chiese nel nord Corea (come la chiesa cattolica Changchungdang e la chiesa Chilkok) dove si sono tenute celebrazioni.
    In questo contesto il premio Nobel per la Pace Kim Dae-Jung, già Presidente della Repubblica di Corea (ROK), ha tenuto un summit con il leader Nord coreano Kim Jong-Il. Da questo incontro è scaturita la pubblicazione della Dichiarazione del 15 giugno 2000, che rafforzò il governo Sud coreano nella sua politica di distensione denominata “del sole splendente” (sunshine policy) nei confronti del nord. Nonostante ciò, la situazione nella zona demilitarizzata (DMZ) mostra l’alto livello di tensione fra nord e sud. Le energie spese per ricostituire la pace nella penisola coreana, guidate dai paesi coinvolti nelle “trattative delle sei nazioni” (six party talks) hanno portato frutti di cooperazione e collaborazione in vari ambiti, ad esempio: sostegno materiale a livello governativo e civile, scambi a livello culturale, ma anche sportivo, religioso e artistico, così come a livello accademico ed economico.

Superare i conflitti e le divisioni per progredire verso l’unità
    Nonostante i molti sforzi per raggiungere la pace e la riconciliazione nella penisola coreana, rimangono ancora profonde radici di conflitto, divisione e contrasto. Per realizzare un’unificazione pacifica, i due paesi devono affrontare insieme alcune realtà: la tensione fra liberalismo e socialismo, il divario fra ricchezza e povertà, l’oppressione a danno della fede e della religione.
    Vi è un muro fra la popolazione del nord e quella del sud, un muro che sembra difficile abbattere. La speranza e il desiderio ardente di unificazione sono pur sempre presenti da entrambe le parti, come espresso dal comune canto: Uri Ui Sowon Eun Tongil!. Tutti i Coreani, anche se devono affrontare ancora la separazione e la tensione, sperano in una riunificazione di pace e in una autentica riconciliazione per la loro penisola. Come cristiani attendiamo con speranza il giorno in cui Dio renderà le due parti ora divise una sola, e noi potremo lodare Dio e rendergli grazie per questo atto di nuova creazione.

La cornice della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: il movimento ecumenico in Corea.
    La comunità cattolica coreana fu fondata nel 1784 dal primo battezzato cattolico coreano: Lee Sung-Hun, che divulgò la dottrina cristiana fra i suoi compatrioti. Il Protestantesimo fu introdotto in Corea verso il 1880. Nel 1919 i cristiani coreani cooperarono con i loro vicini di altre fedi, ad esempio con i leader del Buddismo, dei Taoismo Chon, e delle Religioni tradizionali, per resistere contro il potere giapponese, per amore della propria indipendenza.
    La nascita del movimento ecumenico in Corea può ricondursi alle raccomandazioni e allo spirito del Concilio Vaticano II (1962-65), e soprattutto al Decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio, che ha sottolineato l’importanza di unificare gli sforzi di tutti i cristiani per l’unità fra le chiese. Le chiese e gli organismi che, in Corea, prendono parte a colloqui interconfessionali sono: la Metropolia Ortodossa di Corea, la Conferenza episcopale coreana, il Consiglio nazionale di chiese in Corea e le sue chiese membro: la Chiesa presbiteriana in Corea, la Chiesa metodista coreana, la Chiesa presbiteriana nella Repubblica della Corea, l’Esercito della salvezza nel territorio della Corea, la Chiesa anglicana di Corea, la Chiesa evangelica in Corea, le Assemblee di Dio Full Gospel in Corea e la Chiesa luterana in Corea.
    Il Consiglio di chiese nazionale in Corea, che rappresenta il Protestantesimo, e la Chiesa cattolica in Corea, hanno ospitato alternativamente celebrazioni congiunte per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sin dall’inizio degli anni settanta. La preghiera comune ha costituito uno spazio per pregare e lavorare insieme, rafforzando il movimento ecumenico coreano. Nel 1977 biblisti di tradizione protestante e cattolica hanno ultimato la traduzione comune della Bibbia, in modo che, per la prima volta, tutte le Chiese coreane hanno potuto avere la medesima versione della Bibbia in lingua coreana.
    Il movimento ecumenico in Corea si avvale oggi di programmi congiunti diversificati per differenti gruppi: per l’organico di varie denominazioni, per teologi, studenti di seminari, e per moderatori di diverse denominazioni. Un gruppo di studio di teologi ha ospitato un Forum Ecumenico dal 2000, che tratta dei diversi temi teologici al fine di incoraggiare la reciproca comprensione fra chiese cattoliche e protestanti. Inoltre, un gruppo organizzato da seminaristi studenti ha portato avanti programmi di reciproche visite a vari seminari e ha ospitato gare di atletica per sviluppare l’amicizia fra i membri delle varie chiese. I moderatori di varie confessioni si incontrano e pranzano insieme normalmente per approfondire la loro amicizia, comprensione e per uno scambio di idee.
    Un seminario sull’unità dei cristiani in Asia, che si è tenuto dal 24 al 28 luglio 2006 alla Aaron’s House, si è rivelato essere un evento memorabile per la storia del movimento ecumenico coreano. Il seminario era ospitato dal cardinal Walter Kasper, Presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità fra i cristiani. Responsabili ecumenici da diversi paesi asiatici si sono riuniti e hanno discusso sulla visione dell’unità. Il 23 luglio 2006, alla XIX Conferenza metodista mondiale che si è tenuta proprio in Corea, a Seul, il Consiglio mondiale metodista ha firmato la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della Giustificazione che era già stata firmata dalla Chiesa cattolica e dalla Federazione mondiale luterana nel 1999. Questo evento ragguardevole per l’unità della chiesa a livello internazionale, ha quindi avuto luogo in Corea.
    Radicati sull’esperienza di reciproca fiducia che si è costruita negli anni attraverso programmi congiunti e attività, i capi delle chiese protestanti e cattoliche in Corea hanno compiuto un pellegrinaggio ecumenico dall’8 al 16 dicembre 2006, che includeva una visita a Benedetto XVI e al Vaticano, una visita al Segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese a Ginevra, e a Sua Santità il Patriarca ecumenico a Istambul, Turchia. A Roma hanno anche incontrato l’organico del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità fra i cristiani, e, similmente, a Ginevra membri dello staff della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle chiese. Durante queste visite è stata avanzata la proposta che le chiese coreane avrebbero potuto preparare il materiale per la Settimana di preghiera del 2009. I due organismi hanno valutato positivamente la proposta e hanno concordato, affidando loro la stesura del materiale preparatorio.
    Il 23 gennaio 2007 le chiese coreane hanno celebrato la Settimana di preghiera presso la chiesa anglicana di Chongiu, cui è seguito un incontro fra teologi di entrambe le confessioni, cattolica e protestante, durante il quale sono state nominate due persone da parte protestante e tre da parte cattolica come membri della Sottocommissione preparatoria per la stesura del testo della Settimana di preghiera 2009. La Sottocommissione ha avuto il suo primo incontro l’8 febbraio 2007 e ha scelto come tema il brano di Ezechiele 37, 15-28 che contiene la profezia della riunificazione del regno di Israele, esso infatti, evoca la situazione della penisola coreana. È stato poi stabilito che ciascuna denominazione avrebbe scritto una riflessione biblica o una preghiera per ciascuno degli otto giorni. Così ha avuto inizio il lavoro che ha portato alla redazione del materiale per la Settimana 2009.

Conclusione
    Lo stato attuale della penisola coreana - che impedisce ai Coreani che vivono in una parte di essere in contatto con i loro genitori, figli, fratelli e sorelle, parenti e amici che vivono nell’altra parte - è inaccettabile e deve essere superato e risolto definitivamente. La situazione politica nella Corea del Nord, che non permette alle persone di scegliere la propria fede religiosa, rappresenta una situazione oppressiva, che condiziona la coscienza umana. Queste situazioni di confronto, antagonismo, conflitto, violenza, guerra radicati nelle ostilità religiose, razziali, etniche, non sono limitate alla sola penisola coreana, ma accadono in molte parti del mondo oggi. L’esperienza coreana di divisione e di sofferenza è certamente rilevante per i cristiani e per le società di tutto il mondo. I cristiani in Corea - cattolici, ortodossi, protestanti - lavorano insieme per il bene comune, e per portare un’autentica pace alla penisola, anche ai i vicini di altre fedi, Buddisti, Confuciani e altre Religioni tradizionali, incluse il Buddismo Won e il Taoismo Chon (ChonDoGyo).
    Durante la Settimana di preghiera, i cristiani sono chiamati a pregare per la promozione dell’unità e della pace, compiti che sono importanti responsabilità per i cristiani in questo mondo. La speranza che ispira questa preghiera è che tutti i popoli nel mondo possano diventare il popolo di Dio, così Dio sarà il loro Dio e al popolo sarà data la felicità della gioia e della prosperità quando il contrasto, il conflitto e la divisione saranno superate e sarà stata raggiunta l’unità. I cristiani devono pregare con pazienza per “i nuovi cieli e la nuova terra”, e allora si realizzerà la parola del Signore: “Essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio” (Ez 37, 23).
SUGGERIMENTI PER L’ORGANIZZAZIONE
DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

Cercare l’unità: un impegno per tutto l’anno
    La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste (come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), tempo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.
    Consapevoli di una tale flessibilità nella data della Settimana, incoraggiamo i fedeli a considerare il materiale presentato in questa sede come un invito a trovare opportunità in tutto l’arco dell’anno per esprimere il grado di comunione già raggiunto tra le chiese e per pregare insieme per il raggiungimento della piena unità che è il volere di Cristo stesso.

Adattamento del testo
    Il testo viene proposto nella convinzione che, ove possibile, venga adattato agli usi locali, con particolare attenzione alle pratiche liturgiche nel loro contesto socio-culturale e alla dimensione ecumenica.

    In alcune località già esistono strutture ecumeniche in grado di realizzare questa proposta, ma ove non esistessero se ne auspica l’attuazione.

Utilizzo del testo
— Per le chiese e comunità cristiane che celebrano la Settimana di preghiera in una singola liturgia comune viene offerto un servizio di culto ecumenico.

— Le chiese e comunità cristiane possono anche inserire il testo della Settimana di preghiera in un servizio liturgico proprio. Le preghiere della celebrazione ecumenica della parola di Dio, gli “otto giorni”, nonché le musiche e le preghiere aggiuntive possono essere utilizzate a proprio discernimento.

— Le comunità che celebrano la Settimana di preghiera in ogni giorno dell’ottavario, durante la loro preghiera, possono trarre spunti dai temi degli “otto giorni”.

— Coloro che desiderano svolgere studi biblici sul tema della Settimana di preghiera possono usare come base i testi e le riflessioni proposte negli “otto giorni”. Ogni giorno l’incontro può offrire l’occasione per formulare preghiere d’intercessione conclusive.

— Chi desidera pregare privatamente per l’unità dei cristiani può trovare utile questo testo come guida per le proprie intenzioni di preghiera. Ricordiamo che ognuno di noi si trova in comunione con i fedeli che pregano nelle altre parti del mondo per costruire una più grande e visibile unità della Chiesa di Cristo.
PRIMO GIORNO
“Essere riuniti nella tua mano”
Le comunità cristiane di fronte a vecchie e nuove divisioni

Ezechiele 37, 15-19.22-24a
Uno nella tua mano
Salmo 103(102), 8-13 (o 8-18)
Il Signore è bontà e misericordia; è paziente, costante nell’amore
1 Corinzi 3, 3-7.21-23
Le vostre discordie e le vostre divisioni [...] voi invece appartenete a Cristo
Giovanni 17, 17-21
Fa’ che siano tutti una cosa sola [...] così il mondo crederà

Commento:
 
    I cristiani sono chiamati ad essere strumenti dell’amore costante e riconciliatore di Dio, in un mondo segnato da vari tipi di separazione e alienazione. Essendo battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e professando l’unica fede nel Cristo crocefisso e risorto, siamo un popolo che appartiene a Cristo, un popolo inviato ad essere il corpo di Cristo nel e per il mondo. Cristo ha pregato per i suoi discepoli: che possano essere una cosa sola, cosicché il mondo possa credere.
    Le divisioni fra noi cristiani su contenuti fondamentali della fede e del discepolato feriscono gravemente la nostra capacità di testimonianza di fronte al mondo. In Corea, come in molte altre nazioni, il messaggio cristiano è stato portato da voci in conflitto, che annunciavano una discordante proclamazione dell’evangelo. Vi è la tentazione di vedere le attuali divisioni e i conflitti che le accompagnano come un’eredità naturale della nostra storia cristiana, piuttosto che come una contraddizione interna dell’annuncio che Dio Padre ha riconciliato il mondo in Cristo.
    La visione di Ezechiele dei due bastoni, su cui sono scritti i nomi delle tribù divise dell’antico Israele, e che diventano un solo regno nella mano di Dio, è un’immagine vigorosa della potenza di Dio nel portare la riconciliazione, nel realizzare ciò che un popolo radicato nella divisione non può realizzare. Si tratta di una immagine altamente evocativa per i cristiani divisi, che prefigura la sorgente della riconciliazione che si trova al cuore stesso della proclamazione cristiana. Sui due pezzi di legno che formano la croce di Cristo, il Signore della storia prende su di sé le ferite e le divisioni dell’umanità. Nella totalità del dono di se stesso sulla croce, Gesù tiene unito il peccato umano con l’amore misericordioso e redentivo di Dio. Essere cristiani significa essere battezzati in questa morte, nella quale il Signore, per la sua misericordia senza limiti, incide sul legno della croce i nomi dell’umanità ferita, tenendo noi tutti stretti a lui e ricostituendo la nostra relazione con Dio e fra noi.
    L’unità dei cristiani è una comunione fondata nella nostra appartenenza a Cristo, a Dio. Nel convertirci sempre più a Cristo, veniamo riconciliati dalla potenza dello Spirito Santo. La preghiera per l’unità dei cristiani è un riconoscimento della nostra fede in Dio, una totale apertura di noi stessi allo Spirito. Assieme agli altri nostri intenti per l’unità - il dialogo, la testimonianza comune e la missione - la preghiera è uno strumento privilegiato attraverso cui lo Spirito Santo rende la riconciliazione in Cristo visibilmente manifesta al mondo che Cristo stesso è venuto a salvare.

Preghiera:
Dio Padre compassionevole,
Tu ci hai amato e perdonato in Cristo,
e hai voluto, in quell’amore redentivo, perdonare l’intera umanità.
Guarda con benevolenza a noi
che lavoriamo e preghiamo per l’unità delle comunità cristiane divise.
Donaci l’esperienza di essere fratelli e sorelle nel tuo amore,
affinché noi possiamo essere uno, uno nella tua mano. Amen.




 
    SECONDO GIORNO
“Essere riuniti nella tua mano”
I cristiani di fronte alla guerra e alla violenza

Isaia 2, 1-4
Cesseranno di prepararsi alla guerra
Salmo 74(73), 18-23
Non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri
1 Pietro 2, 21-25
Le sue ferite sono state la vostra guarigione
Matteo 5, 38-48
Pregate per quelli che vi perseguitano

Commento:
 
    La guerra e la violenza sono ancora i maggiori ostacoli a quell’unità voluta da Dio per l’umanità. Dopotutto, la guerra e la violenza sono il risultato di una divisione non sanata, che esiste in noi stessi, e dell’arroganza umana che impedisce di ritrovare il reale fondamento della nostra esistenza.
    I cristiani della Corea desiderano ardentemente mettere fine a più di cinquanta anni di separazione fra la Corea del Nord e la Corea del Sud, e vedere la pace consolidata nel mondo. La precarietà che prevale nella penisola coreana non solo rappresenta il dolore dell’unica nazione al mondo ancora divisa, ma simboleggia anche i meccanismi della divisione, dell’ostilità e della vendetta che affliggono l’umanità.
    Come si può mettere fine a questa spirale di guerra e di violenza? Gesù ci mostra la forza che può fermare il circolo vizioso della violenza e dell’ingiustizia anche nella più brutale delle situazioni. Ai suoi discepoli, che rispondono alla violenza e reagiscono secondo la logica del mondo, paradossalmente, Egli insegna la rinuncia alla violenza (cfr. Mt 26, 51-52).
    Gesù svela la verità sulla violenza umana. Fedele al Padre, Egli muore sulla croce per salvarci dal peccato e dalla morte. La croce rivela il paradosso e il conflitto inerenti a Gesù fattosi uomo. La morte violenta di Gesù marca l’inizio di una nuova creazione, che inchioda il peccato umano, la violenza e la guerra proprio a quella croce.
    Gesù Cristo insegna una non violenza basata non sul semplice umanitarismo; insegna il ristabilimento della creazione di Dio, la speranza e la fede nella venuta finale dei nuovi cieli e della nuova terra. Questa speranza, fondata sulla vittoria finale di Gesù sulla morte, ci incoraggia a perseverare nella ricerca dell’unità dei cristiani, per contrastare più efficacemente ogni forma di guerra e di violenza.

Preghiera:
O Signore, che hai dato te stesso sulla croce per l’unità del genere umano,
ti offriamo la nostra natura umana deturpata dall’egoismo,
dall’arroganza, dalla vanità e dal risentimento.
O Signore, non abbandonare gli oppressi
che soffrono per le tante forme di violenza, di avversione e di odio,
vittime di erronee credenze e ideologie di conflitto.
O Signore, nella tua compassione tendici la mano,
e prenditi cura del tuo popolo,
cosicché possiamo gustare pienamente la pace e la gioia, nell’ordine della tua creazione.
O Signore, fa’ che tutti i cristiani possano operare insieme
per portare la tua giustizia nel mondo.
Dacci il coraggio di aiutare il nostro prossimo a portare la croce,
invece che mettere la nostra sulle loro spalle.
Signore, insegnaci la saggezza di trattare i nostri nemici con amore,
invece che con odio. Amen.



 
    TERZO GIORNO
“Essere riuniti nella tua mano”
I cristiani di fronte all’ingiustizia economica e alla povertà

Levitico 25, 8-14
Il giubileo che libera
Salmo 146(145), 1-10
Il Signore difende la causa dei perseguitati
1 Timoteo 6, 9-10
L’amore dei soldi è la radice di tutti i mali
Luca 4, 16-21
Gesù e il giubileo come liberazione

Commento:
 
    Noi preghiamo per l’avvento del regno di Dio. Attendiamo un mondo dove le persone non muoiano precocemente a causa della povertà, mentre il sistema economico del mondo di oggi aggrava la situazione dei poveri e accentua l’iniquità sociale.
    Oggi la comunità mondiale deve far fronte alla crescente precarietà nel lavoro e alle sue conseguenze. L’idolatria del mercato e del profitto, come la brama di denaro secondo l’autore della lettera a Timoteo, appare come “la radice di tutti i mali”. Che cosa possono e devono fare le chiese in questo contesto? Guardiamo al tema biblico del giubileo che Gesù evoca per definire il suo ministero.
    Secondo il testo del Levitico, durante il giubileo doveva essere proclamata la liberazione; gli immigrati per motivi economici potevano tornare alle loro case e alle loro famiglie; se qualcuno aveva perso i proprio beni, avrebbe potuto vivere modestamente come residente straniero. I soldi non potevano essere prestati per interesse, né il cibo dato per guadagno.
    Il giubileo implicava un’etica della comunità, la liberazione dei prigionieri e il loro ritorno a casa, il ristabilimento dei diritti finanziari e la cancellazione dei debiti. Per le vittime di strutture sociali ingiuste, ciò significava il ristabilimento della legge e dei loro mezzi di sussistenza.
    Al contrario, la logica del mondo di oggi, in cui l’“avere più denaro” è visto come il più alto valore e il fine della vita, può solo portare morte. Come chiese siamo chiamate a contrapporci a tutto ciò, vivendo insieme nello spirito del giubileo biblico, seguendo Cristo, e proclamando questo evangelo. Nella misura in cui i cristiani sperimentano la guarigione delle loro divisioni, essi divengono più sensibili alle altre divisioni che feriscono l’umanità e la creazione.

Preghiera:
O Dio di giustizia,
in questo mondo ci sono luoghi che sovrabbondano di ogni bene,
ed altri dove manca il necessario, e sono molti gli affamati e i malati.
O Dio di pace,
ci sono molti in questo mondo che traggono profitto dalla violenza e dalla guerra,
e altri che a causa della guerra e della violenza sono costretti a lasciare le loro case, esuli.
O Dio di compassione,
aiutaci a comprendere che non possiamo vivere solo per la ricchezza,
ma che possiamo vivere per la parola di Dio;
aiutaci a comprendere che non possiamo ottenere l’autentica vita e la vera prosperità,
eccetto che nell’amore per Dio e nell’obbedienza ai suoi insegnamenti.
Ti preghiamo nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.



 
    QUARTO GIORNO
“Essere riuniti nella tua mano”
I cristiani di fronte alla crisi ecologica

Genesi 1, 31 - 2, 3
E Dio vide che tutto quel che aveva fatto era davvero molto bello
Salmo 148, 1-5
A un suo comando foste creati
Romani 8, 18-23
La distruzione della creazione
Matteo 13, 31-32
Il più piccolo di tutti i semi

Commento:
 
    Dio creò il nostro mondo con saggezza ed amore, e quando ebbe finito la grande opera della creazione, vide che era cosa buona.
    Oggi, tuttavia, il mondo si trova ad affrontare una seria crisi ecologica. La terra soffre per il riscaldamento globale come conseguenza del nostro eccessivo consumo di energia. L’estensione delle foreste nel nostro pianeta è diminuita del 50% negli ultimi quaranta anni, mentre i deserti si stanno espandendo sempre più velocemente; ¾ della vita dell’oceano è già sparita. Ogni giorno più di cento specie viventi muoiono, e questa perdita di bio-diversità è una seria minaccia per l’umanità stessa. Possiamo affermare, assieme all’apostolo Paolo, che la creazione è stata consegnata al potere della distruzione, e geme come nelle doglie del parto.
    Non possiamo negare che gli esseri umani abbiano una pesante responsabilità nella distruzione ambientale. La loro sfrenata avidità porta l’ombra della morte su tutta la creazione.
    Insieme i cristiani devono fare il massimo possibile per salvare il creato. Davanti all’immensità di questo compito, essi devono unire i loro sforzi. Solo insieme possono proteggere l’opera del creatore. È impossibile ignorare la centralità che gli elementi naturali rivestono nelle parabole e negli insegnamenti di Gesù. Cristo mostra grande rispetto anche per il più piccolo seme. Riaffermando la visione biblica della creazione, i cristiani possono contribuire con un’unica voce all’attuale riflessione sul futuro del pianeta.

Preghiera:
O Dio nostro creatore,
il mondo è stato creato dalla tua parola e Tu vedesti che era buono,
ma oggi noi stiamo diffondendo morte e distruzione nell’ambiente.
Concedici il pentimento per la nostra avidità,
aiutaci a rispettare tutto ciò che Tu hai fatto.
Insieme, desideriamo proteggere la tua creazione. Amen.



 
    QUINTO GIORNO
“Essere riuniti nella tua mano”
I cristiani di fronte alla discriminazione e al pregiudizio sociale

Isaia 58, 6-12
Non abbandonare il proprio simile
Salmo 133(132), 1-4
Come è bello e piacevole che i fratelli vivano insieme
Galati 3, 26-29
Uniti a Gesù Cristo tutti voi siete diventati un solo uomo
Luca 18, 9-14
Per alcuni che si ritenevano giusti

Commento:
 
    All’inizio, gli esseri umani creati ad immagine di Dio erano uno nelle sue mani. Quando il peccato, però, è entrato nel cuore degli uomini e delle donne, abbiamo alimentato ogni genere di pregiudizio; l’identità etnica o anche il solo fatto di essere maschio o femmina può essere motivo di discriminazione. In altri luoghi ancora può essere il fatto di essere disabili, o di aderire ad una particolare religione a causare l’emarginazione. Tutti questi fattori discriminatori sono disumanizzanti, fonte di conflitto e di grande sofferenza.
    Nel suo ministero terreno, Gesù si è mostrato particolarmente sensibile verso la parità di uomo e donna come esseri umani. Egli continuamente ha denunciato la discriminazione in ogni sua forma, così come l’orgoglio che ne derivava. I giusti non sempre sono quelli che potremmo immaginare. Il disprezzo non ha posto nel cuore dei fedeli.
    Il salmo 133 paragona la gioia di una vita condivisa con le sorelle e i fratelli, alla bontà dell’olio prezioso o alla rugiada del Monte Ermon. Ci viene dato di gustare questa gioia con le nostre sorelle e i nostri fratelli ogni volta che ci liberiamo da questi pregiudizi confessionali nei nostri incontri ecumenici.
    Il ristabilimento dell’unità di tutto il genere umano è missione comune a tutti i cristiani. Insieme essi devono opporsi a ogni discriminazione. È anche la loro speranza comune, perché tutti sono uno in Cristo e non vi è più Giudeo o Greco, schiavo o libero, uomo o donna.

Preghiera:
O Signore, aiutaci a riconoscere la discriminazione
e l’emarginazione che reca danno alla società;
dirigi il nostro sguardo e aiutaci a riconoscere i nostri pregiudizi.
Insegnaci a bandire ogni disprezzo
e a gustare la gioia di vivere insieme in unità. Amen.



 
    SESTO GIORNO
“Essere riuniti nella tua mano”
I cristiani di fronte alla malattia e alla sofferenza

2 Re 20, 1-6
Ricordati di me, o Signore!
Salmo 22(21), 1-12
Perché mi hai abbandonato?
Giacomo 5, 13-15
Questa preghiera, fatta con fede, salverà il malato
Marco 10, 46-52
Gesù gli domandò: Che cosa vuoi che io faccia per te?

Commento:
 
    Quante volte Gesù incontra i malati e vuole guarirli! La consapevolezza della compassione del Signore per i malati è comune a tutte le nostre chiese, sebbene ancora separate. I cristiani hanno sempre seguito il suo esempio, curando gli ammalati, costruendo ospedali e strutture sanitarie, organizzando missioni mediche, e prendendosi cura dei figli di Dio.
    Ma non è sempre così ovvio. I sani tendono a dare per scontata la salute, e a dimenticare coloro che non possono prendere parte alla vita quotidiana della comunità perché sono malati o disabili. Questi ultimi possono allora sentirsi esclusi dalla grazia di Dio, dalla sua presenza, benedizione e potenza salvifica.
    La profonda e radicata fede di Ezechia lo sostiene nella sua malattia. In un momento di dolore, egli trova le parole per ricordare a Dio la sua grazia. Sì, chi soffre potrebbe anche usare parole dalla Bibbia per gridare a Dio o protestare: Perché mi hai tradito? Se nei tempi lieti si stabilisce un’onesta relazione con Dio, fondata sul linguaggio della fedeltà e della gratitudine, nelle avversità la preghiera può anche esprimere dolore, sofferenza o rabbia.
    I malati non sono oggetti, non sono l’ultimo anello in condizioni solo di ricevere cure; essi sono invece soggetti di fede, come imparano i discepoli dalla storia del vangelo di Marco. I discepoli vogliono continuare dritti per la loro via insieme a Gesù; sul ciglio della strada l’uomo malato è ignorato. Ma quando grida, li distoglie dalla loro meta. Se pure siamo abituati a prenderci cura dei malati, non siamo abituati, però, a che gridino o ci disturbino. Il loro grido oggi reclama medicine accessibili nei paesi poveri, e una soluzione per la questione dei brevetti esclusivi e dei profitti. I discepoli che volevano impedire all’uomo cieco di avvicinarsi a Gesù, devono invece diventare i messaggeri della diversa e provvidente risposta di Dio: Vieni, Egli ti sta chiamando.
    Solo quando i discepoli portano l’uomo malato da Gesù, essi comprendono che cosa vuole Gesù: dedicare del tempo per parlare con il malato, ascoltando che cosa voglia e di che cosa abbia bisogno. Una comunità può crescere quando i malati sentono la presenza di Dio nella mutua relazione con le loro sorelle e fratelli in Cristo.

Preghiera:
O Dio,
ascolta il tuo popolo quando grida a te nella malattia e nel dolore.
Possano i sani renderti grazie per la loro salute,
e intendano servire i malati con cuore amorevole e mani aperte.
O Dio, fa’ che tutti noi viviamo nella tua grazia e provvidenza,
divenendo una vera comunità che sana e ti loda insieme. Amen.



 
    SETTIMO GIORNO
“Essere riuniti nella tua mano”
I cristiani di fronte alla pluralità delle religioni

Isaia 25, 6-9
Egli è il Signore! Abbiamo riposto in lui la nostra fiducia
Salmo 117(116), 1-2
Lodate il Signore, nazioni tutte!
Romani 2, 12-16
Sono giusti non quelli che ascoltano la Legge, ma quelli che la mettono in pratica
Marco 7, 24-30
Hai risposto bene. Torna a casa tua felice

Commento:
 
    Quasi ogni giorno udiamo di violenze in varie parti del mondo fra i seguaci di diverse fedi. Sappiamo anche, però, che in Corea persone di diverse fedi - buddisti, cristiani, confuciani - coesistono, per lo più pacificamente.
    Nel grande inno di lode, il profeta Isaia rassicura che tutte le lacrime verranno asciugate e che vi sarà una grande festa per tutti i popoli e tutte le nazioni. Un giorno, afferma il profeta, tutti i popoli della terra loderanno Dio e si rallegreranno della salvezza che Egli dona. Il Signore “in cui abbiamo riposto la nostra fiducia” è l’ospite nella festa eterna nel canto di lode di Isaia.
    Quando Gesù incontra una donna non giudea che implora la guarigione di sua figlia, inizialmente, in modo sorprendente, Egli si rifiuta di aiutarla. La donna insiste, dicendo: “sotto la tavola i cagnolini possono mangiare almeno le briciole”. Gesù riconosce le ragioni di lei sulla propria missione, volta in egual modo sia ai Giudei che ai non Giudei, e le dice di andare, con la promessa che sua figlia sarà guarita.
    Le chiese si sono impegnate a dialogare per la causa dell’unità cristiana. Negli ultimi anni il dialogo si è sviluppato anche fra popoli di fedi diverse, soprattutto fra quelli “del Libro” (Cristianesimo, Ebraismo e Islamismo); si tratta di incontri che aiutano non solo a conoscersi meglio, ma anche a promuovere il rispetto e le buone relazioni fra vicini, e a costruire pace dove ci sia conflitto. Se la nostra testimonianza cristiana sarà una a motivo della nostra fede in Cristo, la nostra opposizione ai pregiudizi e ai conflitti sarà assai più efficace. E se ascoltiamo attentamente i nostri vicini di fedi diverse, non possiamo forse imparare qualcosa in più sull’amore inclusivo di Dio per tutti i popoli e sul suo regno?
    Il dialogo tra i cristiani non dovrebbe condurre alla perdita dell’identità confessionale, ma alla gioia di aderire alla preghiera di Gesù, che si divenga una cosa sola, come Egli è uno con il Padre. L’unità non arriverà oggi, e forse neppure domani, ma insieme con tutti i credenti, camminiamo verso il destino finale comune di amore e di salvezza.

Preghiera:
O Signore Dio nostro,
Ti ringraziamo per la saggezza che apprendiamo dalle Scritture.
Infondici il coraggio di aprire il nostro cuore e la nostra mente al prossimo,
ai vicini di altre confessioni cristiane e di altre fedi.
Concedici la grazia di superare le barriere dell’indifferenza,
del pregiudizio o dell’odio;
donaci la visione degli ultimi giorni,
quando i cristiani potranno camminare insieme verso la festa finale,
quando le lacrime e il dissenso saranno superati attraverso l’amore. Amen.



 
    OTTAVO GIORNO
“Essere riuniti nella tua mano”
Proclamazione cristiana della speranza in un mondo di separazione

Ezechiele 37, 1-14
Aprirò le vostre tombe
Salmo 104(103), 24-34
Rinnovi la faccia della terra
Apocalisse 21, 1-5a
Ora faccio nuova ogni cosa
Matteo 5, 1-12
Beati siete voi...

Commento:
 
    “Metterò il mio spirito in voi e voi vivrete”. La fede biblica è permeata di speranza certa che l’ultima parola della storia appartiene a Dio, e che non sarà di giudizio, ma di nuova creazione. Come abbiamo visto riflettendo sulle meditazioni dei giorni scorsi, i cristiani vivono in mezzo ad un mondo segnato da ogni genere di divisioni e alienazioni. Eppure la posizione della chiesa rimane quella della speranza, radicata non in ciò che possono fare gli esseri umani, ma nella volontà e potenza di Dio di trasformare la frattura e la frammentazione in unità e integrità, e l’odio che procura morte in amore che dà vita.
    Il popolo coreano continua a subire le tragiche conseguenze della divisione nazionale, ma nonostante ciò, permane in esso la speranza. La speranza cristiana vive anche nella profonda sofferenza, perché è nata dall’amore misericordioso di Dio rivelato nella croce di Cristo. La nostra speranza risorge con Gesù dal sepolcro, mentre la morte e le forze della morte sono sopraffatte; essa si propaga con la missione dello Spirito Santo a Pentecoste, che rinnova la faccia della terra. Il Cristo risorto è l’inizio di una nuova autentica vita, e la sua resurrezione annuncia la fine del vecchio ordine e semina il seme della nuova creazione senza fine, dove tutto sarà riconciliato in Cristo e Dio Padre sarà tutto in tutti.
    “Ora faccio nuova ogni cosa”. La speranza cristiana comincia con il rinnovarsi della creazione, che porta a compimento l’intenzione originaria di Dio nell’atto del creare. Nel Libro dell’Apocalisse, al capitolo 21, Dio non dice “Ora faccio una cosa nuova”, ma: “Ora faccio ogni cosa nuova”. La speranza cristiana non implica una lunga attesa passiva della fine del mondo, ma il desiderio per questo rinnovamento, già cominciato nella resurrezione e nella pentecoste. Non è la speranza di un culmine apocalittico della storia, che faccia collassare il nostro mondo, ma piuttosto la speranza per un cambiamento radicale e fondamentale del mondo già conosciuto da noi. Il nuovo inizio di Dio mette fine al peccato, alla divisione e alla finitezza del mondo, trasfigurando la creazione, cosicché possa prendere parte alla gloria di Dio e condividerne l’eternità.
    Quando i cristiani si riuniscono per pregare per l’unità sono motivati e sostenuti da questa speranza. La forza della preghiera per l’unità è la forza che ci viene dal rinnovamento del mondo operato da Dio; la sua saggezza è quella dello Spirito Santo che soffia vita nuova alle ossa aride e le restituisce alla vita; la sua integrità è quella dell’aprirci completamente alla volontà di Dio, per essere trasformati in strumenti dell’unità che “Metterò il mio spirito in voi e voi vivrete”. La fede biblica è permeata di speranza certa che l’ultima parola della storia appartiene a Dio, e che non sarà di giudizio, ma di nuova creazione. Come abbiamo visto riflettendo sulle meditazioni dei giorni scorsi, i cristiani vivono in mezzo ad un mondo segnato da ogni genere di divisioni e alienazioni. Eppure la posizione della chiesa rimane quella della speranza, radicata non in ciò che possono fare gli esseri umani, ma nella volontà e potenza di Dio di trasformare la frattura e la frammentazione in unità e integrità, e l’odio che procura morte in amore che dà vita.
    Il popolo coreano continua a subire le tragiche conseguenze della divisione nazionale, ma nonostante ciò, permane in esso la speranza. La speranza cristiana vive anche nella profonda sofferenza, perché è nata dall’amore misericordioso di Dio rivelato nella croce di Cristo. La nostra speranza risorge con Gesù dal sepolcro, mentre la morte e le forze della morte sono sopraffatte; essa si propaga con la missione dello Spirito Santo a Pentecoste, che rinnova la faccia della terra. Il Cristo risorto è l’inizio di una nuova autentica vita, e la sua resurrezione annuncia la fine del vecchio ordine e semina il seme della nuova creazione senza fine, dove tutto sarà riconciliato in Cristo e Dio Padre sarà tutto in tutti.
    “Ora faccio nuova ogni cosa”. La speranza cristiana comincia con il rinnovarsi della creazione, che porta a compimento l’intenzione originaria di Dio nell’atto del creare. Nel Libro dell’Apocalisse, al capitolo 21, Dio non dice “Ora faccio una cosa nuova”, ma: “Ora faccio ogni cosa nuova”. La speranza cristiana non implica una lunga attesa passiva della fine del mondo, ma il desiderio per questo rinnovamento, già cominciato nella resurrezione e nella pentecoste. Non è la speranza di un culmine apocalittico della storia, che faccia collassare il nostro mondo, ma piuttosto la speranza per un cambiamento radicale e fondamentale del mondo già conosciuto da noi. Il nuovo inizio di Dio mette fine al peccato, alla divisione e alla finitezza del mondo, trasfigurando la creazione, cosicché possa prendere parte alla gloria di Dio e condividerne l’eternità.
    Quando i cristiani si riuniscono per pregare per l’unità sono motivati e sostenuti da questa speranza. La forza della preghiera per l’unità è la forza che ci viene dal rinnovamento del mondo operato da Dio; la sua saggezza è quella dello Spirito Santo che soffia vita nuova alle ossa aride e le restituisce alla vita; la sua integrità è quella dell’aprirci completamente alla volontà di Dio, per essere trasformati in strumenti dell’unità che Cristo vuole per i suoi discepoli.

Preghiera:
O Dio ricco di grazia,
Tu sei sempre con noi,
anche in mezzo alle sofferenze e alle fatiche,
e sarà così fino alla fine dei tempi.
Aiutaci ad essere un popolo profondamente permeato di speranza,
che viva le beatitudini
e serva l’unità che Tu desideri. Amen.

TESTO BIBLICO
        Il Signore mi parlò: “Ezechiele, prendi un bastone e scrivici sopra queste parole: Giuda e le tribù d’Israele unite a lui. Poi prendi un altro bastone e scrivici sopra: Giuseppe e tutte le altre tribù d’Israele unite a lui. Poi accostali l’uno all’altro in modo da formare un solo bastone nella tua mano. I tuoi compatrioti ti chiederanno che cosa significa. Tu dirai loro quel che io, il loro Dio, il Signore, dichiaro: Sto per prendere il bastone che rappresenta Giuseppe e le tribù d’Israele unite a lui e lo metto vicino al bastone che rappresenta Giuda. Uniti nella mia mano formeranno un solo bastone. E tu, Ezechiele, sotto i loro occhi, tieni in mano tua quei pezzi di legno sui quali hai scritto. Riferisci quel che io, Dio, il Signore, dichiaro: Sto per prendere gli Israeliti dalle nazioni dove sono andati, li radunerò da ogni luogo e li condurrò nella loro terra. Li unirò e formeranno una sola nazione sulle montagne d’Israele. Un solo re regnerà su tutti loro. Non esisterà più la divisione in due popoli e in due regni. Non si contamineranno più con i loro sporchi idoli, con riti disgustosi e con ogni sorta di peccato. Li libererò da tutte le loro infedeltà di cui si sono resi colpevoli verso di me. Li purificherò: essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio. Il mio servo Davide sarà il loro re, il loro unico pastore. Ubbidiranno alla mie leggi, osserveranno e applicheranno gli ordini che ho dato loro. Vivranno nella terra che ho dato al mio servo Giacobbe e dove hanno vissuto i loro antenati. Vi abiteranno per sempre loro, i figli e tutti i discendenti. Il mio servo Davide regnerà su di loro per sempre. Farò con loro un’alleanza valida per sempre, che assicurerà la pace. Li insedierò stabilmente e li renderò molto numerosi. Stabilirò il mio santuario in mezzo a loro per sempre. Abiterò con loro: essi saranno il mio popolo, io sarò il loro Dio. Quando avrò messo il mio santuario in mezzo a loro per sempre, allora le nazioni riconosceranno che io sono il Signore e che ho consacrato Israele al mio servizio.

(Ezechiele 37, 15-28)
INTRODUZIONE TEOLOGICO PASTORALE

“Essere riuniti nella tua mano”
(cfr. Ezechiele 37, 17)



Il tema biblico
    La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2009 scaturisce dall’esperienza delle chiese cristiane in Corea. Nel contesto di divisione nazionale del paese, le chiese hanno trovato ispirazione nel profeta Ezechiele, che visse in una nazione tragicamente divisa e che desiderava ardentemente l’unità del suo popolo.
    Ezechiele, profeta e sacerdote, fu chiamato da Dio alla giovane età di trent’anni. Egli operò dal 594 fino al 571 a.C. e fu perciò fortemente influenzato dalle riforme politiche e religiose che il re Giosia aveva intrapreso nel 621 a.C.. Il re Giosia aveva inteso eliminare l’eredità distruttiva della conquista di Israele da parte dell’Assiria, attraverso riforme che avevano ricostituito la legge e il vero culto del Dio di Israele. Ma dopo la morte del re Giosia in battaglia, suo figlio, re Ioiachìm, pagò il tributo all’Egitto e fece fiorire un culto volto ad una varietà di dei. I profeti che osarono criticare Ioiachìm furono brutalmente ridotti al silenzio: Uria fu ucciso e Geremia fu arrestato. Dopo l’invasione babilonese e la distruzione del Tempio, nel 587 a.C., i responsabili e gli artigiani del paese - fra cui il giovane Ezechiele - furono catturati e deportati a Babilonia. Lì Ezechiele, come Geremia, criticò i “profeti” che offrivano false speranze, e per questo motivo dovette soffrire, durante l’esilio, l’ostilità e il disprezzo da parte dei compaesani Israeliti. In questa grande sofferenza l’amore di Ezechiele per il suo popolo crebbe. Egli criticò i capi che agivano contro i comandamenti di Dio e volle riportare il popolo a Dio, sottolineando la fedeltà del Signore all’alleanza e la solidarietà con il suo popolo. Seppure in una situazione apparentemente senza speranza, Ezechiele non cedette alla disperazione e proclamò un messaggio di speranza: l’intenzione originaria di Dio di rinnovare ed unificare il suo popolo poteva ancora essere realizzata. Ezechiele trasse coraggio nel suo annuncio da due visioni, la prima delle quali è la visione ben nota della valle di ossa aride che, attraverso l’azione creatrice dello Spirito di Dio, sono riportate alla vita (Ez 37, 1-14).
    Il materiale della Settimana dell’unità di quest’anno prende ispirazione dalla seconda visione, che descrive due pezzi di legno, simboleggianti i due regni in cui Israele era divisa. I nomi delle tribù di ciascuno dei due regni divisi (originariamente dodici, poi divise in dieci al nord e due al sud) sono scritti sui due pezzi di legno, che tornano ad essere uno (Ez 37, 15-23). Secondo Ezechiele la divisione del popolo era riflesso e risultato del loro peccato e del loro allontanamento da Dio. Essi avrebbero potuto tornare ad essere un solo popolo rinunciando al loro peccato, abbracciando una conversione e tornando a Dio; dopotutto è Dio stesso che unisce il suo popolo purificandolo, rinnovandolo e liberandolo dalle divisioni. Per Ezechiele questa unione non è semplicemente un mettere insieme due gruppi previamente divisi, ma costituisce una nuova creazione, la nascita di un nuovo popolo che dovrebbe essere segno di speranza per gli altri popoli e per tutta l’umanità.
    Il tema della speranza è anche espresso in un’altro testo che è molto caro alle chiese coreane. Si tratta di Apocalisse 21, 3-4, che presenta la purificazione del popolo di Dio per incarnare la vera pace, la riconciliazione e l’unità che si deve trovare laddove Dio dimora: “Ecco l’abitazione di Dio fra gli uomini; essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio con loro. Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. La morte non ci sarà più. Non ci sarà più né lutto né pianto né dolore”.
    Questi temi biblici - cioè unità come volontà di Dio per il suo popolo, unità come dono di Dio che richiede conversione e rinnovamento, unità come nuova creazione, insieme alla speranza che il popolo di Dio possa nuovamente essere uno - sono i temi che hanno particolarmente ispirato le chiese coreane nell’offrire il materiale per la Settimana di quest’anno.
Il tema teologico
    Nel 2009 i cristiani nel mondo pregheranno per l’unità meditando sul tema “Essere riuniti nella tua mano” (cfr. Ez 37, 17). Ezechiele, il cui nome significa “Dio mi ha reso forte”, fu chiamato a infondere speranza al suo popolo durante un periodo di disperazione religiosa e politica che era seguito alla caduta e all’occupazione di Israele e all’esilio di molti.
    Il gruppo ecumenico locale della Corea ha ravvisato nel testo di Ezechiele forti corrispondenze con la situazione della propria nazione divisa e di tutta la Cristianità divisa. Le parole di Ezechiele danno loro la speranza che Dio radunerà un giorno il suo popolo e lo renderà nuovamente uno, lo chiamerà suo popolo e lo benedirà rendendolo una nazione potente. Una nuova speranza nasce: Dio creerà un nuovo mondo. Proprio come nel testo di Ezechiele, dove il peccato è visto in tutte le sue diverse ramificazioni nel popolo che si era corrotto con l’idolatria e le trasgressioni, così anche noi vediamo la peccaminosità della disunione fra cristiani, che causa grande scandalo oggi nel mondo.

    Leggendo questo brano dell’Antico Testamento noi cristiani possiamo riflettere su come, alla luce di esso, si possa comprendere la nostra situazione di separazione, e, in particolare, possiamo meditare su come Dio è colui che ristabilisce l’unità, riconcilia il popolo, porta all’esistenza una nuova situazione. Il ruolo di Israele unito, perdonato e purificato diviene segno di speranza per tutto il mondo.
    Come accennato precedentemente, la profezia dei due pezzi di legno riuniti in uno è la seconda profezia che si trova in Ezechiele 37. La prima, che probabilmente è la più conosciuta, è quella delle ossa aride che tornano alla vita attraverso l’azione dello Spirito di Dio. In entrambe le profezie Dio è visto come l’artefice della vita, del nuovo inizio. Nella prima profezia lo Spirito di Dio è spirito di vita. Nella seconda, Dio stesso ristabilisce l’unità, la riconciliazione e la pace all’interno della nazione. In altre parole, una nuova vita viene data attraverso l’unione di due parti divise.

    I cristiani possono vedere in questo una prefigurazione di ciò che Cristo porterà, cioè una nuova vita che nasce dall’aver vinto la morte, in obbedienza alla volontà salvifica di Dio. Dai due pezzi di legno che formano la sua croce, Gesù ci riconcilia a Dio, così l’umanità è ricolma di nuova speranza. Nonostante il peccato, la violenza e le guerre, nonostante la disparità fra ricchi e poveri e l’abuso della creazione, nonostante il dolore, la sofferenza, la discriminazione, e nonostante le divisioni e la disunione, Gesù Cristo, nelle sue braccia inchiodate sulla croce, abbraccia tutta la creazione e offre a noi la shalom di Dio. Nelle sue mani noi siamo uno, siamo attratti a lui che è innalzato sulla croce.
    La nostra riflessione durante gli “otto giorni” della Settimana, scaturiti dal testo centrale di Ezechiele, ci porta ad una più profonda consapevolezza di come l’unità della Chiesa sia anche per il bene della comunità umana. Con tale consapevolezza nasce anche una grande responsabilità: tutti coloro che confessano Cristo Signore dovrebbero cercare di realizzare la sua preghiera: “che siano tutti una cosa sola [...] così il mondo crederà che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).
    Per questo motivo gli otto giorni cominciano tutti con una riflessione sull’unità dei cristiani. Nel primo, e in tutti gli otto giorni, siamo invitati a pregare per tutte le situazioni in cui sia necessaria una riconciliazione, e ad essere particolarmente attenti al ruolo che l’unità dei cristiani avrà nel realizzarla. Meditando sulle nostre divisioni dottrinali, e sulla vergognosa storia di separazione - talvolta persino di odio - fra i cristiani, nel primo giorno preghiamo perché Dio, che soffia lo Spirito di vita sulle ossa aride e plasma nelle sue mani la nostra unità nella diversità, soffi vita e riconciliazione sulle nostre sofferenze e divisioni. Il secondo giorno le chiese pregheranno per porre fine alla violenza e alla guerra. Preghiamo che, quali discepoli del Principe della pace, i cristiani che si trovano in mezzo ai conflitti possano portare una riconciliazione fondata sulla speranza. Il terzo giorno offre una meditazione sulla grave disparità fra ricchi e poveri. Il nostro rapporto con il denaro, la nostra attitudine verso i poveri, sono la misura del nostro discepolato e della sequela di Gesù, che è venuto fra noi per liberarci e farci proclamare la buona novella ai poveri, la libertà agli schiavi, la giustizia per tutti. Nel quarto giorno si prega affinché i cristiani comprendano che, solamente insieme, saranno in grado di conservare i doni che Dio ci ha dato nella creazione: l’aria che respiriamo, la terra che produce frutti e la natura che rende gloria al suo Creatore. Nel quinto giorno si chiede che cessi ogni pregiudizio e discriminazione che segnano la nostra società. Come riconosciamo che la nostra dignità viene da Dio, così anche la nostra unità come cristiani testimonia l’unità di Colui che ha creato ciascuno di noi come creatura unica del suo amore. Il regno che siamo chiamati a costruire è un regno di giustizia e amore che rispetta le differenze poiché in Cristo siamo uno. Il sesto giorno ricordiamo in preghiera tutti coloro che soffrono e coloro che li assistono. I salmi ci svelano che anche il grido disperato, elevato a Dio nel dolore o nella rabbia, può essere un’espressione di profonda e fedele relazione con lui. La risposta compassionevole dei cristiani alla situazione di coloro che soffrono è una testimonianza del regno. Insieme le chiese cristiane possono fare la differenza ed aiutare ad ottenere per i poveri il sostegno, sia materiale che spirituale, di cui necessitano. Nel settimo giorno i cristiani, di fronte al pluralismo, pregano per la loro unità in Dio. Senza di essa sarebbe difficile costruire un regno di pace con uomini e donne di buona volontà. Le nostre intenzioni di preghiera si concentrano l’ottavo giorno, quando preghiamo che lo spirito delle Beatitudini vinca lo spirito di questo mondo. I cristiani testimoniano la speranza che tutte le cose possano essere rese nuove nell’ordine istituito da Cristo. Ciò permette ai cristiani di essere portatori di speranza e artefici di riconciliazione fra guerre, discriminazioni, e in tutti i contesti in cui gli esseri umani soffrono e la creazione geme.

L’incontro della Commissione preparatoria internazionale a Marsiglia, Francia
    Da alcuni anni, un membro della Commissione preparatoria internazionale aveva suggerito di tenere l’incontro a Marsiglia, a motivo della presenza di un interessante movimento sociale nella città: alcuni capi religiosi di diverse confessioni, fedi e culture, avevano, infatti, formato un gruppo attorno all’ufficio del Sindaco, con lo scopo di garantire la comunicazione fra i diversi gruppi religiosi, di migliorare le relazioni e prevenire la polarizzazione fra le varie fasce della popolazione nella città. L’organizzazione è nota come Marseille Espérance (Speranza di Marsiglia). Prendendo posizione insieme, i membri dell’associazione hanno denunciato azioni, sia a livello locale che internazionale, che avessero elementi di odio o intolleranza religiosa (violazioni di tombe, l’attacco dell’11 settembre a New York, ecc...) e ritengono che la loro opzione a favore della tolleranza abbia aiutato ad evitare alcuni dei problemi fra diverse fedi o diverse culture che hanno segnato altre città europee. Non legata ad alcun partito politico, l’organizzazione ha mantenuto massimo riserbo durante il periodo di elezioni (il secolarismo è uno dei principi ferrei della vita pubblica francese). Lasciato il dialogo teologico ad altri gruppi, il loro primo interesse è la pace nella città.
    La Commissione preparatoria internazionale, composta da protestanti, ortodossi e cattolici, insieme a due rappresentanti e due consulenti del Gruppo locale coreano che ha prodotto la prima stesura del testo, si è riunita dal 24 al 29 settembre 2007 al Centre Notre Dame du Roucas, una residenza assolata davanti al mare e vicino alla basilica di Notre Dame de la Garde. Il Centro è gestito da Chemin Neuf, una comunità cattolica con vocazione ecumenica che si è mostrata molto ospitale. Il lavoro di adattamento del testo originale coreano, tradotto in inglese e riadattato per l’uso internazionale, si è svolto in un’atmosfera di gioiosa fiducia, generata da un reciproco rispetto fra i componenti del gruppo. Al termine dell’incontro i rappresentanti del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani hanno ringraziato calorosamente Tom Best e Carolyn McComish, entrambi prossimi al pensionamento, per i molti anni di collaborazione nel lavoro della Commissione preparatoria internazionale.
    Durante la sessione il gruppo è stato invitato ad un incontro con Marseille Espèrance per conoscere meglio le loro iniziative e visitare alcuni luoghi della città di particolare interesse per questa associazione, inclusa l’antica chiesa di Saint Victor, e la moschea locale. Desideriamo ringraziare Marseille Espèrance per il loro benvenuto, l’ospitalità e la presentazione delle loro iniziative, nonché per il loro interesse nel lavoro della Commissione preparatoria. Il gruppo prega che l’opera di Marseille Espèrance possa continuare non solo a mantenere la pace nella città, ma anche che costituisca, con il suo esempio di tolleranza religiosa, una ricca risorsa per la vita dei marsigliesi.

venerdì 9 gennaio 2009

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DAL NOTIZIARIO DELLA RADIO VATICANA

E’ partita in Francia la ‘rivoluzione’ del presidente Nicolas Sarkozy in campo televisivo. Niente pubblicità nei Canali pubblici. La riforma approvata dall’Assemblea nazionale nel dicembre scorso aspetta ancora il sì definitivo del Senato, ma i vertici di France Television hanno già bandito gli spot. Il servizio di Roberta Gisotti:


L’aveva promesso, Sarkozy, all’inizio del suo mandato presidenziale: liberare la Tv di Stato dalla pubblicità. E cosi è stato: da lunedì scorso niente spot nei 4 canali generalisti e regionali del Servizio pubblico. Per ora il divieto vale dalle 20 alle 6 del mattino, ma entro il 2011 il bando sarà totale. Ieri i primi dati di ascolto della serata di esordio: tre milioni in più gli spettatori sintonizzati sulle reti pubbliche. Del resto in un recente sondaggio i francesi si erano detti in grande maggioranza favorevoli alla soppressione della pubblicità.


Al nostro microfono è il dott. Luca Borgomeo, presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti (CNU) in Italia, il Paese dove la pubblicità rispetto agli altri Paesi europei è maggiormente presente nella tv pubblica:


D. - Dott. Borgomeo, possiamo parlare di svolta storica in Francia, e quali effetti potrà avere nel dibattito sul ruolo dei Servizi pubblici europei?


R. – Possiamo sicurmante parlare di un fatto molto positivo, e probabilmente senz’altro, per la Francia, di una svolta. Quanto alla possibilità che possa essere esportata in altri sistemi – mi riferisco in particolare all’Italia – c’è da valutare una serie di problemi collegati soprattutto all’anomalia del sistema radiotelevisivo italiano, che è basato su un duopolio formale, ma nei fatti da una concentrazione di potere mediatico che non ha pari in nessun altro Paese occidentale.


D. - Cosa rispondere a chi tra gli oppositori della riforma francese denuncia che Sarkozy avrebbe fatto un 'regalo' ai suoi amici imprenditori delle Tv commerciali?


R. – Sta di fatto che liberare la Tv pubblica dalla pubblicità – anche sull’esempio della BBC britannica – è un salto di qualità per l’informazione, per l’intrattenimento e per gli spettacoli, e la Televisione pubblica è tenuta ad un alto livello di qualità nei confronti degli utenti e dei telespettatori. Per quanto riguarda la vicenda del vantaggio alle private che Sarkozy avrebbe in questo modo assicurato, c’è da dire che contemporaneamente al divieto di pubblicità nei Canali pubblici, c’è anche l’aumento dell’imposizione fiscale sui gettiti derivanti dalla pubblicità per le private; questo significa che una parte di risorse transita nella fiscalità generale e quindi può finanziare la Tv pubblica.


D. - Un'altra importante novità nella Tv francese è stata l’introduzione lo scorso anno del “Qualimat”, il rilevamento qualitativo degli ascolti, intaccando il monopolio del rilevamento quantitativo dell’Istituto “Mediametrie”, pari all’Auditel italiano…


R. – Anche questo è un altro obiettivo importantissimo, e vorremmo quantomai che anche in Italia avvenisse una cosa analoga, in quanto il potere dell’Auditel, che è una struttura privata, senza controllo pubblico, è talmente forte che condiziona la programmazione, la pubblicità e tutta l’attività radiotelevisiva italiana. Uno strumento di controllo, di rilevazione che sia sottratto alle logiche degli interessi privati, è auspicabile; quindi, anche in questo caso, guardiamo con grande interesse e, oserei dire anche una punta d’invidia, a quanto avviene oltralpe.


D. – Ma sappiamo che in Italia, da molti anni, si aspetta un “Qualitel” anche per la Televisione pubblica italiana…


R. – Sì, se ne parla tanto, ma si fa poco; oserei dire che non si fa niente. E oltretutto, al di là delle discussioni che possono essere esclusivo interesse degli addetti ai lavori, credo che l’utenza si renda conto che è fondamentale che ci sia un salto di qualità nelle trasmissioni, e questa qualità non può non essere che rilevata attraverso strumenti che ci sono e ci potrebbero essere, ma che purtroppo in Italia non ci sono. Lo stesso contratto di servizio fra Rai e Governo impone alla Rai alcuni strumenti per la misurazione della qualità , ma “verba volant, flatus vocis”, scritti sull’acqua.

mercoledì 7 gennaio 2009

Omelie


Cari fratelli e sorelle!

L’Epifania, la "manifestazione" del nostro Signore Gesù Cristo, è un mistero multiforme. La tradizione latina lo identifica con la visita dei Magi al Bambino Gesù a Betlemme, e dunque lo interpreta soprattutto come rivelazione del Messia d’Israele ai popoli pagani. La tradizione orientale, invece, privilegia il momento del battesimo di Gesù nel fiume Giordano, quando egli si manifestò quale Figlio Unigenito del Padre celeste, consacrato dallo Spirito Santo. Ma il Vangelo di Giovanni invita a considerare "epifania" anche le nozze di Cana, dove Gesù, mutando l’acqua in vino, "manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui" (Gv 2,11). E che dovremmo dire noi, cari fratelli, specialmente noi sacerdoti della nuova Alleanza, che ogni giorno siamo testimoni e ministri dell’"epifania" di Gesù Cristo nella santa Eucaristia? Tutti i misteri del Signore la Chiesa li celebra in questo santissimo e umilissimo Sacramento, nel quale egli al tempo stesso rivela e nasconde la sua gloria. "Adoro te devote, latens Deitas" – adorando, preghiamo così con san Tommaso d’Aquino.

In questo anno 2009, che, nel 4° centenario delle prime osservazioni di Galileo Galilei al telescopio, è stato dedicato in modo speciale all’astronomia, non possiamo non prestare particolare attenzione al simbolo della stella, tanto importante nel racconto evangelico dei Magi (cfr Mt 2,1-12). Essi erano con tutta probabilità degli astronomi. Dal loro punto di osservazione, posto ad oriente rispetto alla Palestina, forse in Mesopotamia, avevano notato l’apparire di un nuovo astro, ed avevano interpretato questo fenomeno celeste come annuncio della nascita di un re, precisamente, secondo le Sacre Scritture, del re dei Giudei (cfr Nm 24,17). I Padri della Chiesa hanno visto in questo singolare episodio narrato da san Matteo anche una sorta di "rivoluzione" cosmologica, causata dall’ingresso nel mondo del Figlio di Dio. Ad esempio, san Giovanni Crisostomo scrive: "Quando la stella giunse sopra il bambino, si fermò, e ciò poteva farlo soltanto una potenza che gli astri non hanno: prima, cioè, nascondersi, poi apparire di nuovo, e infine arrestarsi" (Omelie sul Vangelo di Matteo, 7, 3). San Gregorio di Nazianzo afferma che la nascita di Cristo impresse nuove orbite agli astri (cfr Poemi dogmatici, V, 53-64: PG 37, 428-429). Il che è chiaramente da intendersi in senso simbolico e teologico. In effetti, mentre la teologia pagana divinizzava gli elementi e le forze del cosmo, la fede cristiana, portando a compimento la rivelazione biblica, contempla un unico Dio, Creatore e Signore dell’intero universo.

E’ l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale del creato. Ciò va inteso invece in senso non poetico, ma reale. Così lo intendeva del resto lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude il Paradiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio "l’amor che move il sole e l’altre stelle" (Paradiso, XXXIII, 145). Questo significa che le stelle, i pianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbediscono alle dinamiche della sola materia. Non sono, dunque, gli elementi cosmici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tutto vi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato come Amore (cfr Enc. Spe salvi, 5). Se è così, allora gli uomini – come scrive san Paolo ai Colossesi – non sono schiavi degli "elementi del cosmo" (cfr Col 2,8), ma sono liberi, capaci cioè di relazionarsi alla libertà creatrice di Dio. Egli è all’origine di tutto e tutto governa non alla maniera di un freddo ed anonimo motore, ma quale Padre, Sposo, Amico, Fratello, quale Logos, "Parola-Ragione" che si è unita alla nostra carne mortale una volta per sempre ed ha condiviso pienamente la nostra condizione, manifestando la sovrabbondante potenza della sua grazia. C’è dunque nel cristianesimo una peculiare concezione cosmologica, che ha trovato nella filosofia e nella teologia medievali delle altissime espressioni. Essa, anche nella nostra epoca, dà segni interessanti di una nuova fioritura, grazie alla passione e alla fede di non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità.

Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un "libro" – così diceva anche lo stesso Galileo –, considerandolo come l’opera di un Autore che si esprime mediante la "sinfonia" del creato. All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un "assolo", un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo "assolo" è Gesù, a cui corrisponde, appunto, un segno regale: l’apparire di una nuova stella nel firmamento. Gesù è paragonato dagli antichi scrittori cristiani ad un nuovo sole. Secondo le attuali conoscenze astrofisiche, noi lo dovremmo paragonare ad una stella ancora più centrale, non solo per il sistema solare, ma per l’intero universo conosciuto. In questo misterioso disegno, al tempo stesso fisico e metafisico, che ha portato alla comparsa dell’essere umano quale coronamento degli elementi del creato, è venuto al mondo Gesù: "nato da donna" (Gal 4,4), come scrive san Paolo. Il Figlio dell’uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. E’ il centro del cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l’Autore e la sua opera.

Nel Gesù terreno si trova il culmine della creazione e della storia, ma nel Cristo risorto si va oltre: il passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna anticipa il punto della "ricapitolazione" di tutto in Cristo (cfr Ef 1,10). Tutte le cose, infatti – scrive l’Apostolo –, "sono state create per mezzo di lui e in vista di lui" (Col 1,16). E proprio con la risurrezione dai morti Egli ha ottenuto "il primato su tutte le cose" (Col 1,18). Lo afferma Gesù stesso apparendo ai discepoli dopo la risurrezione: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra" (Mt 28,18). Questa consapevolezza sostiene il cammino della Chiesa, Corpo di Cristo, lungo i sentieri della storia. Non c’è ombra, per quanto tenebrosa, che possa oscurare la luce di Cristo. Per questo nei credenti in Cristo non viene mai meno la speranza, anche oggi, dinanzi alla grande crisi sociale ed economica che travaglia l’umanità, davanti all’odio e alla violenza distruttrice che non cessano di insanguinare molte regioni della terra, dinanzi all’egoismo e alla pretesa dell’uomo di ergersi come dio di se stesso, che conduce talora a pericolosi stravolgimenti del disegno divino circa la vita e la dignità dell’essere umano, circa la famiglia e l’armonia del creato. Il nostro sforzo di liberare la vita umana e il mondo dagli avvelenamenti e dagli inquinamenti che potrebbero distruggere il presente e il futuro, conserva il suo valore e il suo senso – ho annotato nella già citata Enciclica Spe salvi – anche se apparentemente non abbiamo successo o sembriamo impotenti di fronte al sopravvento di forze ostili, perchè "è la grande speranza poggiante sulle promesse di Dio che, nei momenti buoni come in quelli cattivi, ci dà coraggio e orienta il nostro agire" (n. 35).

La signoria universale di Cristo si esercita in modo speciale sulla Chiesa. "Tutto infatti – si legge nella Lettera agli Efesini – [Dio] ha messo sotto i suoi piedi / e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, / la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose" (Ef 1,22-23). L’Epifania è la manifestazione del Signore, e di riflesso è la manifestazione della Chiesa, perché il Corpo non è separabile dal Capo. La prima lettura odierna, tratta dal cosiddetto Terzo Isaia, ci offre la prospettiva precisa per comprendere la realtà della Chiesa, quale mistero di luce riflessa: "Alzati, rivestiti di luce – dice il profeta rivolgendosi a Gerusalemme – perché viene la tua luce, / la gloria del Signore brilla sopra di te" (Is 60,1). La Chiesa è umanità illuminata, "battezzata" nella gloria di Dio, cioè nel suo amore, nella sua bellezza, nella sua signoria. La Chiesa sa che la propria umanità, con i suoi limiti e le sue miserie, pone in maggiore risalto l’opera dello Spirito Santo. Essa non può vantarsi di nulla se non nel suo Signore: non da lei proviene la luce, non è sua la gloria. Ma proprio questa è la sua gioia, che nessuno potrà toglierle: essere "segno e strumento" di Colui che è "lumen gentium", luce dei popoli (cfr Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1).

Cari amici, in questo anno paolino, la festa dell’Epifania invita la Chiesa e, in essa, ogni comunità ed ogni singolo fedele, ad imitare, come fece l’Apostolo delle genti, il servizio che la stella rese ai Magi d’Oriente guidandoli fino a Gesù (cfr san Leone Magno, Disc. 3 per l’Epifania, 5: PL 54, 244). Che cos’è stata la vita di Paolo, dopo la sua conversione, se non una "corsa" per portare ai popoli la luce di Cristo e, viceversa, condurre i popoli a Cristo? La grazia di Dio ha fatto di Paolo una "stella" per le genti. Il suo ministero è esempio e stimolo per la Chiesa a riscoprirsi essenzialmente missionaria e a rinnovare l’impegno per l’annuncio del Vangelo, specialmente a quanti ancora non lo conoscono. Ma, guardando a san Paolo, non possiamo dimenticare che la sua predicazione era tutta nutrita delle Sacre Scritture. Perciò, nella prospettiva della recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi, va riaffermato con forza che la Chiesa e i singoli cristiani possono essere luce, che guida a Cristo, solo se si nutrono assiduamente e intimamente della Parola di Dio. E’ la Parola che illumina, purifica, converte, non siamo certo noi. Della Parola di vita noi non siamo che servitori. Così Paolo concepiva se stesso e il suo ministero: un servizio al Vangelo. "Tutto io faccio per il Vangelo" – egli scrive (1 Cor 8,23). Così dovrebbe poter dire anche la Chiesa, ogni comunità ecclesiale, ogni Vescovo ed ogni presbitero: tutto io faccio per il Vangelo. Cari fratelli e sorelle, pregate per noi, Pastori della Chiesa, affinché, assimilando quotidianamente la Parola di Dio, possiamo trasmetterla fedelmente ai fratelli. Ma anche noi preghiamo per voi, fedeli tutti, perché ogni cristiano è chiamato per il Battesimo e la Confermazione ad annunciare Cristo luce del mondo, con la parola e la testimonianza della vita. Ci aiuti la Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione, a portare a compimento insieme questa missione, e interceda per noi dal cielo san Paolo, Apostolo delle genti. Amen.

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Omelia di Benedetto XVI per la Messa di mezzanotte di Natale

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere, nella Basilica Vaticana, la Messa di mezzanotte per la Solennità del Natale del Signore.


Cari fratelli e sorelle!

"Chi è pari al Signore nostro Dio che siede nell'alto e si china a guardare nei cieli e sulla terra?" Così canta Israele in uno dei suoi Salmi (113 [112], 5s), in cui esalta insieme la grandezza di Dio e la sua benevola vicinanza agli uomini. Dio dimora nell’alto, ma si china verso il basso… Dio è immensamente grande e di gran lunga al di sopra di noi. È questa la prima esperienza dell’uomo. La distanza sembra infinita. Il Creatore dell’universo, Colui che guida il tutto, è molto lontano da noi: così sembra inizialmente. Ma poi viene l’esperienza sorprendente: Colui al quale nessuno è pari, che "siede nell’alto", Questi guarda verso il basso. Si china in giù. Egli vede noi e vede me. Questo guardare in giù di Dio è più di uno sguardo dall’alto. Il guardare di Dio è un agire. Il fatto che Egli mi vede, mi guarda, trasforma me e il mondo intorno a me. Così il Salmo continua immediatamente: "Solleva l’indigente dalla polvere…" Con il suo guardare in giù Egli mi solleva, benevolmente mi prende per mano e mi aiuta a salire, proprio io, dal basso verso l’alto. "Dio si china". Questa parola è una parola profetica. Nella notte di Betlemme, essa ha acquistato un significato completamente nuovo. Il chinarsi di Dio ha assunto un realismo inaudito e prima inimmaginabile. Egli si china – viene, proprio Lui, come bimbo giù fin nella miseria della stalla, simbolo di ogni necessità e stato di abbandono degli uomini. Dio scende realmente. Diventa un bambino e si mette nella condizione di dipendenza totale che è propria di un essere umano appena nato. Il Creatore che tutto tiene nelle sue mani, dal quale noi tutti dipendiamo, si fa piccolo e bisognoso dell’amore umano. Dio è nella stalla. Nell’Antico Testamento il tempio era considerato quasi come lo sgabello dei piedi di Dio; l’arca sacra come il luogo in cui Egli, in modo misterioso, era presente in mezzo agli uomini. Così si sapeva che sopra il tempio, nascostamente, stava la nube della gloria di Dio. Ora essa sta sopra la stalla. Dio è nella nube della miseria di un bimbo senza albergo: che nube impenetrabile e tuttavia – nube della gloria! In che modo, infatti, la sua predilezione per l’uomo, la sua preoccupazione per lui potrebbe apparire più grande e più pura? La nube del nascondimento, della povertà del bambino totalmente bisognoso dell’amore, è allo stesso tempo la nube della gloria. Perché niente può essere più sublime, più grande dell’amore che in questa maniera si china, discende, si rende dipendente. La gloria del vero Dio diventa visibile quando ci si aprono gli occhi del cuore davanti alla stalla di Betlemme.

Il racconto del Natale secondo san Luca, che abbiamo appena ascoltato nel brano evangelico, ci narra che Dio ha un po’ sollevato il velo del suo nascondimento dapprima davanti a persone di condizione molto bassa, davanti a persone che nella grande società erano piuttosto disprezzate: davanti ai pastori che nei campi intorno a Betlemme facevano la guardia agli animali. Luca ci dice che queste persone "vegliavano". Possiamo così sentirci richiamati a un motivo centrale del messaggio di Gesù, in cui ripetutamente e con crescente urgenza fino all’Orto degli ulivi torna l’invito alla vigilanza – a restare svegli per accorgersi della venuta del Signore ed esservi preparati. Pertanto anche qui la parola significa forse più del semplice essere esternamente svegli durante l’ora notturna. Erano persone veramente vigilanti, nelle quali il senso di Dio e della sua vicinanza era vivo. Persone che erano in attesa di Dio e non si rassegnavano all’apparente lontananza di Lui nella vita di ogni giorno. Ad un cuore vigilante può essere rivolto il messaggio della grande gioia: in questa notte è nato per voi il Salvatore. Solo il cuore vigilante è capace di credere al messaggio. Solo il cuore vigilante può infondere il coraggio di incamminarsi per trovare Dio nelle condizioni di un bambino nella stalla. Preghiamo il Signore affinché aiuti anche noi a diventare persone vigilanti.

San Luca ci racconta inoltre che i pastori stessi erano "avvolti" dalla gloria di Dio, dalla nube di luce, si trovavano nell’intimo splendore di questa gloria. Avvolti dalla nube santa ascoltano il canto di lode degli angeli: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini della sua benevolenza". E chi sono questi uomini della sua benevolenza se non i piccoli, i vigilanti, quelli che sono in attesa, sperano nella bontà di Dio e lo cercano guardando verso di Lui da lontano?

Nei Padri della Chiesa si può trovare un commento sorprendente circa il canto con cui gli angeli salutano il Redentore. Fino a quel momento – dicono i Padri – gli angeli avevano conosciuto Dio nella grandezza dell’universo, nella logica e nella bellezza del cosmo che provengono da Lui e Lo rispecchiano. Avevano accolto, per così dire, il muto canto di lode della creazione e l’avevano trasformato in musica del cielo. Ma ora era accaduta una cosa nuova, addirittura sconvolgente per loro. Colui di cui parla l’universo, il Dio che sostiene il tutto e lo porta in mano – Egli stesso era entrato nella storia degli uomini, era diventato uno che agisce e soffre nella storia. Dal gioioso turbamento suscitato da questo evento inconcepibile, da questa seconda e nuova maniera in cui Dio si era manifestato – dicono i Padri – era nato un canto nuovo, una strofa del quale il Vangelo di Natale ha conservato per noi: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini". Possiamo forse dire che, secondo la struttura della poesia ebraica, questo doppio versetto nei suoi due brani dice in fondo la stessa cosa, ma da un punto di vista diverso. La gloria di Dio è nell’alto dei cieli, ma questa altezza di Dio si trova ora nella stalla, ciò che era basso è diventato sublime. La sua gloria è sulla terra, è la gloria dell’umiltà e dell’amore. E ancora: la gloria di Dio è la pace. Dove c’è Lui, là c’è pace. Egli è là dove gli uomini non vogliono fare in modo autonomo della terra il paradiso, servendosi a tal fine della violenza. Egli è con le persone dal cuore vigilante; con gli umili e con coloro che corrispondono alla sua elevatezza, all’elevatezza dell’umiltà e dell’amore. A questi dona la sua pace, perché per loro mezzo la pace entri in questo mondo.

Il teologo medioevale Guglielmo di S. Thierry ha detto una volta: Dio – a partire da Adamo – ha visto che la sua grandezza provocava nell’uomo resistenza; che l’uomo si sente limitato nel suo essere se stesso e minacciato nella sua libertà. Pertanto Dio ha scelto una via nuova. È diventato un Bambino. Si è reso dipendente e debole, bisognoso del nostro amore. Ora – ci dice quel Dio che si è fatto Bambino – non potete più aver paura di me, ormai potete soltanto amarmi.

Con tali pensieri ci avviciniamo in questa notte al Bambino di Betlemme – a quel Dio che per noi ha voluto farsi bambino. Su ogni bambino c’è il riverbero del bambino di Betlemme. Ogni bambino chiede il nostro amore. Pensiamo pertanto in questa notte in modo particolare anche a quei bambini ai quali è rifiutato l’amore dei genitori. Ai bambini di strada che non hanno il dono di un focolare domestico. Ai bambini che vengono brutalmente usati come soldati e resi strumenti della violenza, invece di poter essere portatori della riconciliazione e della pace. Ai bambini che mediante l’industria della pornografia e di tutte le altre forme abominevoli di abuso vengono feriti fin nel profondo della loro anima. Il Bambino di Betlemme è un nuovo appello rivolto a noi, di fare tutto il possibile affinché finisca la tribolazione di questi bambini; di fare tutto il possibile affinché la luce di Betlemme tocchi i cuori degli uomini. Soltanto attraverso la conversione dei cuori, soltanto attraverso un cambiamento nell’intimo dell’uomo può essere superata la causa di tutto questo male, può essere vinto il potere del maligno. Solo se cambiano gli uomini, cambia il mondo e, per cambiare, gli uomini hanno bisogno della luce proveniente da Dio, di quella luce che in modo così inaspettato è entrata nella nostra notte.

E parlando del Bambino di Betlemme pensiamo anche alla località che risponde al nome di Betlemme; pensiamo a quel Paese in cui Gesù ha vissuto e che Egli ha amato profondamente. E preghiamo affinché lì si crei la pace. Che cessino l’odio e la violenza. Che si desti la comprensione reciproca, si realizzi un’apertura dei cuori che apra le frontiere. Che scenda la pace di cui hanno cantato gli angeli in quella notte.

Nel Salmo 96 [95] Israele, e con esso la Chiesa, lodano la grandezza di Dio che si manifesta nella creazione. Tutte le creature vengono chiamate ad aderire a questo canto di lode, e allora lì si trova anche l’invito: "Si rallegrino gli alberi della foresta davanti al Signore che viene" (12s). La Chiesa legge anche questo Salmo come una profezia e, insieme, come un compito. La venuta di Dio a Betlemme fu silenziosa. Soltanto i pastori che vegliavano furono per un momento avvolti nello splendore luminoso del suo arrivo e poterono ascoltare una parte di quel canto nuovo che era nato dalla meraviglia e dalla gioia degli angeli per la venuta di Dio. Questo venire silenzioso della gloria di Dio continua attraverso i secoli. Là dove c’è la fede, dove la sua parola viene annunciata ed ascoltata, Dio raduna gli uomini e si dona loro nel suo Corpo, li trasforma nel suo Corpo. Egli "viene". E così si desta il cuore degli uomini. Il canto nuovo degli angeli diventa canto degli uomini che, attraverso tutti i secoli in modo sempre nuovo, cantano la venuta di Dio come bambino e, a partire dal loro intimo, diventano lieti. E gli alberi della foresta si recano da Lui ed esultano. L’albero in Piazza san Pietro parla di Lui, vuole trasmettere il suo splendore e dire: Sì, Egli è venuto e gli alberi della foresta lo acclamano. Gli alberi nelle città e nelle case dovrebbero essere più di un’usanza festosa: essi indicano Colui che è la ragione della nostra gioia – il Dio che per noi si è fatto bambino. Il canto di lode, nel più profondo, parla infine di Colui che è lo stesso albero della vita ritrovato. Nella fede in Lui riceviamo la vita. Nel Sacramento dell’Eucaristia Egli si dona a noi – dona una vita che giunge fin nell’eternità. In quest’ora noi aderiamo al canto di lode della creazione e la nostra lode è allo stesso tempo una preghiera: Sì, Signore, facci vedere qualcosa dello splendore della tua gloria. E dona la pace sulla terra. Rendici uomini e donne della tua pace. Amen.

[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


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Messaggio di Benedetto XVI per il Natale 2008
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio di Benedetto XVI per il Natale 2008, rivolto dal Papa a mezzogiorno di questo giovedì, Solennità del Natale del Signore, ai fedeli presenti in Piazza San Pietro e a quanti lo ascoltavano attraverso la radio e la televisione.



* * *


"Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri omnibus hominibus" (Tit 2,11).

Cari fratelli e sorelle, con le parole dell'apostolo Paolo rinnovo il gioioso annuncio del Natale di Cristo: sì, oggi, "è apparsa a tutti gli uomini la grazia di Dio nostro Salvatore"!

E' apparsa! Questo è ciò che la Chiesa oggi celebra. La grazia di Dio, ricca di bontà e di tenerezza, non è più nascosta, ma "è apparsa", si è manifestata nella carne, ha mostrato il suo volto. Dove? A Betlemme. Quando? Sotto Cesare Augusto, durante il primo censimento, al quale fa cenno anche l'evangelista Luca. E chi è il rivelatore? Un neonato, il Figlio della Vergine Maria. In Lui è apparsa la grazia di Dio Salvatore nostro. Per questo quel Bambino si chiama Jehoshua, Gesù, che significa "Dio salva".

La grazia di Dio è apparsa: ecco perché il Natale è festa di luce. Non una luce totale, come quella che avvolge ogni cosa in pieno giorno, ma un chiarore che si accende nella notte e si diffonde a partire da un punto preciso dell'universo: dalla grotta di Betlemme, dove il divino Bambino è "venuto alla luce". In realtà, è Lui la luce stessa che si propaga, come ben raffigurano tanti dipinti della Natività. Lui è la luce, che apparendo rompe la caligine, dissipa le tenebre e ci permette di capire il senso ed il valore della nostra esistenza e della storia. Ogni presepe è un invito semplice ed eloquente ad aprire il cuore e la mente al mistero della vita. E' un incontro con la Vita immortale, che si è fatta mortale nella mistica scena del Natale; una scena che possiamo ammirare anche qui, in questa Piazza, come in innumerevoli chiese e cappelle del mondo intero, e in ogni casa dove è adorato il nome di Gesù.

La grazia di Dio è apparsa a tutti gli uomini. Sì, Gesù, il volto del Dio-che-salva, non si è manifestato solo per pochi, per alcuni, ma per tutti. E' vero, nella umile disadorna dimora di Betlemme lo hanno incontrato poche persone, ma Lui è venuto per tutti: giudei e pagani, ricchi e poveri, vicini e lontani, credenti e non credenti... tutti. La grazia soprannaturale, per volere di Dio, è destinata ad ogni creatura. Occorre però che l'essere umano l'accolga, pronunci il suo "sì", come Maria, affinché il cuore sia rischiarato da un raggio di quella luce divina. Ad accogliere il Verbo incarnato, in quella notte, furono Maria e Giuseppe che lo attendevano con amore ed i pastori, che vegliavano accanto alle greggi (cfr Lc 2,1-20). Una piccola comunità, dunque, che accorse ad adorare Gesù Bambino; una piccola comunità che rappresenta la Chiesa e tutti gli uomini di buona volontà. Anche oggi coloro che nella vita Lo attendono e Lo cercano incontrano il Dio che per amore si è fatto nostro fratello; quanti hanno il cuore proteso verso di Lui desiderano conoscere il suo volto e contribuire all'avvento del suo Regno. Gesù stesso lo dirà, nella sua predicazione: sono i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia (cfr Mt 5,3-10). Questi riconoscono in Gesù il volto di Dio e ripartono, come i pastori di Betlemme, rinnovati nel cuore dalla gioia del suo amore.

Fratelli e sorelle che mi ascoltate, a tutti gli uomini è destinato l'annuncio di speranza che costituisce il cuore del messaggio di Natale. Per tutti è nato Gesù e, come a Betlemme Maria lo offrì ai pastori, in questo giorno la Chiesa lo presenta all'intera umanità, perché ogni persona e ogni umana situazione possa sperimentare la potenza della grazia salvatrice di Dio, che sola può trasformare il male in bene, che sola può cambiare il cuore dell'uomo e renderlo un'"oasi" di pace.

Possano sperimentare la potenza della grazia salvatrice di Dio le numerose popolazioni che ancora vivono nelle tenebre e nell'ombra di morte (cfr Lc 1,79). La Luce divina di Betlemme si diffonda in Terrasanta, dove l'orizzonte sembra tornare a farsi cupo per gli israeliani e i palestinesi; si diffonda in Libano, in Iraq e ovunque nel Medio Oriente. Fecondi gli sforzi di quanti non si rassegnano alla logica perversa dello scontro e della violenza e privilegiano invece la via del dialogo e del negoziato, per comporre le tensioni interne ai singoli Paesi e trovare soluzioni giuste e durature ai conflitti che travagliano la regione. A questa Luce che trasforma e rinnova anelano gli abitanti dello Zimbabwe, in Africa, stretti da troppo tempo nella morsa di una crisi politica e sociale che, purtroppo, continua ad aggravarsi, come pure gli uomini e le donne della Repubblica Democratica del Congo, specialmente nella martoriata regione del Kivu, del Darfur, in Sudan, e della Somalia, le cui interminabili sofferenze sono tragica conseguenza dell'assenza di stabilità e di pace. Questa Luce attendono soprattutto i bambini di quei Paesi e di tutti i Paesi in difficoltà, affinché sia restituita speranza al loro avvenire.

Dove la dignità e i diritti della persona umana sono conculcati; dove gli egoismi personali o di gruppo prevalgono sul bene comune; dove si rischia di assuefarsi all'odio fratricida e allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo; dove lotte intestine dividono gruppi ed etnie e lacerano la convivenza; dove il terrorismo continua a colpire; dove manca il necessario per sopravvivere; dove si guarda con apprensione ad un futuro che sta diventando sempre più incerto, anche nelle Nazioni del benessere: là risplenda la Luce del Natale ed incoraggi tutti a fare la propria parte, in spirito di autentica solidarietà. Se ciascuno pensa solo ai propri interessi, il mondo non può che andare in rovina.

Cari fratelli e sorelle, oggi "è apparsa la grazia di Dio Salvatore" (cfr Tt 2,11), in questo nostro mondo, con le sue potenzialità e le sue debolezze, i suoi progressi e le sue crisi, con le sue speranze e le sue angosce. Oggi, rifulge la luce di Gesù Cristo, Figlio dell'Altissimo e figlio della Vergine Maria: "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo". Lo adoriamo quest'oggi, in ogni angolo della terra, avvolto in fasce e deposto in una povera mangiatoia. Lo adoriamo in silenzio mentre Lui, ancora infante, sembra dirci a nostra consolazione: Non abbiate paura, "Io sono Dio, non ce n'è altri" (Is 45,22). Venite a me, uomini e donne, popoli e nazioni, venite a me, non temete: sono venuto a portarvi l'amore del Padre, a mostrarvi la via della pace.

Andiamo, dunque, fratelli! Affrettiamoci, come i pastori nella notte di Betlemme. Dio ci è venuto incontro e ci ha mostrato il suo volto, ricco di grazia e di misericordia! Non sia vana per noi la sua venuta! Cerchiamo Gesù, lasciamoci attirare dalla sua luce, che dissipa dal cuore dell'uomo la tristezza e la paura; avviciniamoci con fiducia; con umiltà prostriamoci per adorarlo. Buon Natale a tutti!

[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]






23. Gal 5, 22-24.



24. Rm 8,26.



25. Benedetto XVI, Udienza generale, 15-XI-2006.



26. Rm 5, 5.