lunedì 31 marzo 2008

Kaire!

Annunciazione
Perché mai l'angelo del Signore invita Maria a rallegrarsi, a gioire, in greco "kaire"? Dopotutto le chiede di accogliere una maternità misteriosa, che si presenta in termini piuttosto complessi, per una persona semplice come lei era. Lo spiega subito dopo: "Il Signore è con te, tu sei benedetta fra tutte le donne e benedetto è il frutto del tuo grembo Gesù." Potremo mai meditare abbastanza su quanto sia grande questo dono riservato ad una creatura umana? Avere Dio come alleato! Cerchiamo quindi di avere Maria come nostra stella e nostra avvocata!

marialetizia azzilonna
Posted by Picasa

sabato 29 marzo 2008

Risurrezione

Sequenza del Messale di Cluny
Alla Madre del Risorto

Intonino i cristiani/ lodi alla Vergine Maria. / O signora beata/ per la tua interecessione /siano riconciliati i peccatori.
Per te siano liberati/ dal vecchio fermento / per potersi nutrire / della vittima pasquale.
Dona a noi o Maria,/vergine clemente e pia, /di gioire / della visita del Cristo vivente/ e della gloria del Risorto.
Per la tua pia preghiera / riconcilia noi al Cristo / tu che unica madre intatta / sei divenuto genitrice / del Verbo di Dio.
La nostre fede è che/ - nato da te / Dio e uomo - /è risorto glorificato.
Sappiamo che Cristo è veramente/ risorto dai morti; / conservaci e proteggici o Madre. Amen

Risurrezione

Sequenza dal Messale di Cluny

Assemblea pura/ fa risuonare i cantici/ accompagnandoli/ con strumenti melodiosi.
Canta ora/ con il salterio/ al re Dio che spezza / le prigioni infernali.
Egli che, vinta la morte, risorge,/ apporta al mondo / gioie che devono celebrarsi.
Le regioni perdute dall'abisso/ stupiscono/ a questa insolita vista:contemplano le sue forti imprese / mentre entrra /- lui, la vita beata -.
Sconvolta di terrore / trema la schiatta violenta / dei demoni.
Mandano sospiri / grida di pianto:/ ora stupiscono per chi, così audace, /abbia spezzato/ le forti barriere.
Così ritorna in alto/ con la schiera/ gloriosa/e rianima/ i cuori timorosi dei discepoli.
Mirando i suoi trofei/ eccelsi/ ora supplichiamolo/ con voce umile.
Meritano di celebrare/ la pasqua preziosa/ fra le schiere verginali,
nella Galilea/ ove è dato contemplare/ il sacro principio della luce / - al di sopra di ogni fulgore. Alleluia

Risurrezione

SEQUENZA DAL MESSALE DI MURBACH

Canti la chiesa del Cristo/ un cantico al suo Diletto: /per lei, lasciando il Padre e la madre, /Iddio si è rivestito/ della nostra natura/ e ha respinto la Sinagoga.
O Cristo/ dal tuo sacro fianco/ sono sgorgati i sacramenti di lei, / per l'aiuto della tua croce/ essa è salvata nel mare tempestoso del mondo.
Per amore di questa sposa/sei imprigionato a Gaza,/ ma ne infrangerai le porte,/ancora per strapparla ai nemici/ lotti /con il tiranno Golia/e lo getti a terra/con un solo sasso.
Ecco, o Cristo / sotto la vite gioconda,/tutta la chiesa /si rallegra nella pace, / al sicuro, nel giardino;/ o Cristo, risorgendo, /apri ai tuoi il giardino/ del paradiso in fiore/ a lungo rinserrato; /o Signore, /re dei re.

giovedì 27 marzo 2008

Risurrezione

E' giorno di Risurrezione: presentiamo in offerta noi stessi
(Doroteo di Gaza, spiegazione di un tropario)
Poiché anticamente i figli di Israele nelle feste o nelle assemblee solenni presentavano doni al Signore secondo la Legge, vittime, olocausti, primizie e così via, san Gregorio invita anche noi a fare festa al Signore come quelli e ci esorta dicendo: "E' il giorno di Resurrezione", cioé è il giorno della divina assemblea, è il giorno della Pasqua di Cristo. Il "Phasech" i figli di Israele lo fecero quando uscirono dalla terra d'Egitto; la Pasqua di adesso, invece, la compie l'anima che esce dall'Egitto spirituale, cioé il peccato. Quando l'anima passa dal peccato alla virtù, allora compie il "Phasech" per il Signore; come ha detto Evagrio, la Pasqua del Signore è il passaggio dal male al bene.

venerdì 21 marzo 2008

Auguri




Purifichiamo il nostro cuore, i nostri sentimenti, i nostri pensieri, le nostre azioni, andremo senza indugio e senza errore incontro al Risorto e la sua luce sarà la nostra luce, la sua gioia sarà nostra gioia, la sua pace sarà la nostra pace, per l'eternità. Amen
BUONA S. PASQUA DI RESURREZIONE!

Settimana santa

La passione di Gesù innalza dal profondo
(S. Massimo di Torino)

Con una sola e medesima operazione la passione del Salvatore innalza dal profondo, suscita su dalla terra e colloca tra i superni. Il Signore è grano, come dice egli stesso, quando da solo soffre in croce, è frutto quando è circondato da tanta fede di apostoli. Con questi discepoli infatti per quaranta giorni conversò dopo la sua resurrezione, per condurli a maggior saggezza e trasformarli in buona messe con ogni fecondo ammaestramento. La Chiesa non può stare senza la croce, come la nave senza l'albero maestro.

Posted by Picasa

giovedì 20 marzo 2008

Settimana Santa

Salmo 69

Salvami, o Dio l'acqua mi giunge alla gola.

Affondo nel fango e non ho sostegno;
sono caduto in acque profonde
e l'onda mi travolge.

Sono sfinito dal gridare,
riarse sono le mie fauci;
i mei occhi si consumano nell'attesa del mio Dio.

Più numerosi dei capelli del mio
sono coloro che mi odiano senza ragione.
Sono potenti i nemici che mi calunniano:
quanto non ho rubato, lo dovrei resituire?

Dio, tu conosci la mia stoltezza
e le mie colpe non ti sono nascoste.

Chi spera in te a causa mia non sia confuso,
Signore Dio degli eserciti,
per me non si vergogni chi ti cerca, Dio d'Israele.

Per te io sopporto l'insulto
e la vergogna mi copre la faccia;
sono un estraneo per i miei fratelli,
un forestiero per i figli di mia madre.

Poiché mi divora lo zelo per la tua casa,
ricadono su di me gli oltraggi di chi ti insulta.
Mi sono estenuato nel digiuno
ed è stata per me una infamia.

Ho indossato come vestito un sacco
e sono diventato il loro scherno.
Sparlavano di me quanti sedevano alla porta,
gli ubriachi mi dileggiavano.

Ma io innalzo a te la mia preghiera,
Signore, nel tempo della benevolenza;
per la grandezza della tua bontà, rispondimi,
per la fedeltà della tua salvezza o Dio.

Salvami dal fango che io non affondi,
liberami dai miei nemici
e dalle acque profonde.

Non mi sommergano i flutti delle acque
e il vortice non mi travolga,
l'abisso non chiuda su di me la sua bocca.

Rispondimi, Signore, benefica è la tua grazia
volgiti ame nella tua grande tenerezza.

Non nascondere il volto al tuo servo,
sono in pericolo: presto rispondimi.
Avvicinati a me, riscattami,
salvami dai miei nemici.

Tu conosci la mia infamia,
la mia vergogna e il mio disonore;
davanti a te sono tutti i miei nemici.

L'insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno.
Ho atteso compassione ma invano,
consolatori ma non ne ho trovati.

Hanno messo nel mio cibo veleno
e quando avevo sete mi hanno dato aceto.
La loro tavola sia per essi un laccio,
un'insidia i loro banchetti.

La loro casa sia desolata, senza abitanti la loro tenda,
perché inseguono colui che hai percosso,
aggiungono dolore a chi tu hai ferito.

Io sono infelice e sofferente;
la tua salvezza, Dio, mi ponga al sicuro.

Loderò il nome di Dio con il canto,
lo esalterò con azioni di grazie,
che il Signore gradirà più dei tori,
più che i giovenchi con corna e unghie.

Vedano gli umili e si rallegrino;
si ravvivi il cuore di chi cerca Dio,
poiché il Signore ascolta i poveri
e non disprezza coloro che sono prigionieri.

A lui acclamino i cieli e la terra,
i mari e quanto in essi si muove.

Poiché Dio salverà Sion,
ricostruirà le città di Giuda:
vi abiteranno e ne avranno il possesso.

La stirpe dei suoi eredi ne sarà erede,
e chi ama il suo nome vi porrà dimora.

Posted by Picasa

mercoledì 19 marzo 2008

Settimana santa

Io vorrei non essere mai solo stando con te
(Guigo il Certosino)
"Chi non è con me è contro
di me (Mt. 12,30) e chi è contro di me è lontano da me". O Buon Gesù, io vorrei che nessuno fosse con me quaggiù, sì che io possa essere tuo familiare. "Guai infatti a chi è solo" (Qo 4,10) se tu non sei solo con lui. Quanti uomini sono nella folla e sono soli perché non sono con te! Io vorrei non essere mai solo stando con te. Ecco perché nessun uomo è con me, e tuttavia non sono solo perché sono folla a me stesso. Sono con me le bestie che mi sono allevato in seno fin dalla mia infanzia. Esse amano in me i ben noti nascondigli, e neppure nella solitudine vogliono allontanarsi da me. Molte volte le ho sgridate: allontanatevi da me, o malvagi, osserverò i precetti del mio Dio" (Salmo 119). Ma strepitano le rane nelle mie stanze e piomba sui miei occhi il flagello dei mosconi d'Egitto. "Sieda costui solitario" è detto, e d è vero: se non siede non può essere solitario. Per questo è bene essere umiliati e portare il tuo giogo, Signore. Sotto il tuo giogo la nostra superba cervice impara la mansuetudine, poiché tu così dici a quanti prendono il tuo giogo sopra di sé: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt.11,29). La superbia monta a cavallo, non è capace di sedere. Tu invece siedi sul tuo seggio, cioé su chi è umile e pacificato. E' chiaro che non potrà mai essere pacificato chi prima non sarà stato umile. "Su chi è umile e pacificato": così sta scritto. Che grande bene essere umiliati, se questo consente di raggiungere la pacificazione! Allora costui siederà solitario e starà in silenzio. Chi non è solitario non può restare in silenzio.
***

Signore, hai allontanato da me amici e conoscenti, ma non allontanare da me il tuo aiuto. I miei fratelli quasi stranieri, si sono allontanati da me, ma Tu Signore, da me non stare lontano. "Hai allontanato da me i miei compagni, mi hai reso per loro un orrore; spalancano contro di me la loro bocca" (Sal.88 e 22) e maledicono l'anima mia. Ciò non venga loro imputato "essi pensano di rendere culto a Dio (Gv. 16,2) "maledicano essi" (Sal. 109), ma tu benedici loro e me. Perché tu Signore sei giusto giudice che scruti il cuore e la mente; a te ho affidato la mia causa (Ger. 11,20) difensore della mia vita. E ora Signore non v'è aiuto per me in me stesso (Gb 6,16) non ho accanto a me nessun uomo che mi consoli e mi consigli. "Io rifiuto ogni conforto" (Sal. 77) affinché solo il tuo conforto mi consoli" (Sal.94). "I miei occhi sono rivolti a te affinché tu liberi da questo laccio il mio piede" (Sal. 25,15); si consumano i miei occhi dietro la tua promessa mentre dico: "quando mi darai conforto?" (Sal.119).
Posted by Picasa

martedì 18 marzo 2008

Settimana Santa

Posted by Picasa
O solus princeps
(B. Enrico Susone)

O unico principe e primo inizio di ogni essere, duce di tutte le schiere ageliche, dolcissimo Gesù Cisto, tu fosti crudelmente disteso per le braccia, legato nudo alla disagevole colonna e battuto con spietati flagelli; fosti rivestito di porpora, incoronato con una corona di spine, salutato in maniera beffarda e percosso sulla santa nuca con mani spietate; con il volto insanguinato, con la corona di spine e colla veste di porpora, fosti così condotto fuori da quei bruti, e dalle loro voci ostili fu chiesto che fossi messo a morte; e così, mentre le loro voci prorompevano, fu pronunziata la sentenza di morte da un giudice mortale contro di te, autore della vita. Concedi a me peccatore, di lavare nel tuo sangue gli abiti della mia imperfezione, che ho macchiato con la lordura dei peccati, e di portare continuamente nel mio corpo l'immagine della tua croce, cosicché attenda con gioia da te, eterno Giudice, l'ultimo giudizio. Amen

lunedì 17 marzo 2008

Settimana Santa

Inno penitenziale (Rabbula di Edessa)

Tu che sei ricco di misericordia e di grazia, tu che lavi tutti i peccatori dalle loro machie, mondami con il tuo issopo purificante ed abbi pietà di me! Nella tua misericordia, sii a me benigno come un giorno al pubblicano e alla peccatrice! Cristo, tu che rimetti ai peccatori le loro colpe e accogli tutti i penitenti, o redentore del genere umano, redimi anche me nella tua misericordia! Persino il giusto si salva a fatica e con difficoltà: che farò dunque io peccatore! Io non ho sopportato il peso del giorno e la vampa del sole, ma appartengo alla schiera di coloro che solo all'undicesima ora si misero al lavoro. Salvami ed abbi pietà di me! I miei peccati mi hanno prostrato al suolo, mi hanno precipitato dall'altezza su cui stavo. Io ho gettato me stesso nella perdizione come in una fossa. Chi potrebbe ora ridonarmi la mia splendida beltà se non tu, o Creatore sapientissimo, che all'inizio mi hai creato a tua immagine e somiglianza? Mi sono reso volontariamente schiavo del peccato: nella tua misericordia, liberami, Signore, ed abbi pietà di me! I miei pensieri mi turbano e mi atterriscono: dubito della mia vita, perché la mia colpa è più grande del mare e le macchie del mio peccato sono più numerose delle sue onde. Ma poi odo ciò che la tua grazia dice ai peccatori: Chiamatemi e vi ascolterò; battete e vi aprirò! Per questo io grido a te come quella peccatrice, ti supplico come il pubblicano, e come il figlio che aveva consumato tutti i suoi beni ti dico: "Ho peccato contro il cielo e contro di te!". O mio redentore, sii indulgente nella tua misericordia anche con me, ed anche se con i miei peccati ti ho mosso all'ira, abbi pietà di me! Quando penso ai miei peccati e alle azioni cattive che ho commesso, temo di fronte alla giustizia che scruta le mie macchie e le mie ferite. Non oso guardare il cielo, perché le mie colpe si innalzano fino ad esso, e la terra grida sotto di me, perché i miei trascorsi sono più numerosi dei suoi abitanti. Guai a me quando appariranno davanti a Dio i giusti e i pii, quando lo splendore delle loro opere buone rifulgerà come il sole! Cosa farò io in quell'ora, o Signore giacché le mie opere sono tenebre? Guai a me quando si presenteranno i sacerdoti per offrire i talenti ricevuti, mentre io Signore, ho sepolto in terra il mio: che risposta darò allora? Non sia allora straziato dal fuoco perché tu mi hai nutrito con il tuo corpo e il tuo sangue. Non sia allora cacciato nell'inferno, perché tu mi hai rivestito con la tua veste battesimale. irrorami con la rugiada della tua grazia e cancella la mia colpa con la tua misericordia, o Signore che sei al di sopra di tutto. Sia lode a te!

venerdì 14 marzo 2008

Un aiuto concreto ai bambini dell'Asia

La Fondazione La Stampa Specchio dei tempi, ha ringraziato il 12 marzo 2008, con una conferenza stampa illustrativa dei progetti realizzati, tutti coloro che hanno contribuito a restituire il sorriso ai tanti bambini vittime del disastroso terremoto che il 26 dicembre 2004 ha colpito le zone dello Sri Lanka, India, Birmania, Malesia, Thailandia e Indonesia. Un vero bollettino di guerra, oltre 200 mila morti e 600 mila sfollati. La solidarietà dei lettori del quotidiano si è concretizzata con il versamento di 2,7 milioni di euro. Già tre giorni dopo la tragedia, la Fondazione era già operativa nel territorio. Nel tempo sono state realizzate otto opere strutturali (un ospedale pediatrico, sei scuole, un ambulatorio - community). Per oltre sei mesi “Specchio dei tempi” ha mantenuto attivi due campi profughi sulla costa thailandese, donando inoltre, 80 barche da pesca complete di reti e due particolari taxi a tre ruote. Per realizzare al più presto la fabbricazione delle barche, fondamentali per un popolo di pescatori, è stata prenotata per due mesi l'intera produzione di due mesi dei principali cantieri navali cingalesi.
In Thailandia è stata completata lo scorso anno la nuova struttura del Don Bosco Technical School di Surat Thani, dove ora più di 550 ragazzi frequentano corsi professionali.
A Betong (Thailandia) in una zona devastata dalla guerra civile che ha fatto 800 morti in tre anni, è già pienamente operativa una casa famiglia che ospiterà 85 orfani, mentre a Ibbawale, un'area colpita da malaria e febbre emorragica, sta nascendo lo “Specchio dei tempi Medical Center”, un ospedaletto pediatrico da 40 posti letto e 4 case famiglia per i parenti.
Tutti gli interventi sono stati condotti in sintonia con i governi locali e con le rappresentanze diplomatiche. La Fondazione ha scelto come partner per l'India e lo Sri Lanka l'ONG “Gruppo Umana Solidarietà G. Puletti – Gus” di Macerata ed i Padri Salesiani, in modo particolare S. E. Mons. Joseph Prathan per la Thailandia.
La Fondazione La Stampa Specchio dei tempi ringrazia tutti suoi lettori che hanno contribuito a far sì che tutto questo si sia potuto realizzare .

Maria Letizia Azzilonna

sabato 8 marzo 2008

Racconti di fine millennio: L'allevatore di sogni

L’Allevatore di sogni come ogni sera sedeva nella vecchia poltrona e guardava con affetto i ritratti dei suoi antenati attaccati sulla mensola sopra il caminetto. Le loro espressioni erano felici e soddisfatte, i loro lineamenti invecchiando avevano mantenuto quell’espressione. Guardò il proprio viso nello specchio d’argento posto ad una estremità della mensola. Lui non sarebbe invecchiato così. Ne era certo. Si sentì triste e solo. Eppure aveva come ogni giorno lavorato sodo. Aveva persino trovato una medicina per un disperato caso di anoressia onirica. Forse, dovrei distrarmi di più pensò. Non si ricordava più da quanto tempo non parlava con qualcuno. L’ultima volta risaliva a quando aveva ospitato il Domatore di incubi. Avevano chiacchierato per tre giorni di seguito senza mai fermarsi. L’Allevatore di sogni aveva sempre più bisogno di lui. Erano rimasti in pochi in grado di svolgere certe professioni. Il dramma era che il bisogno aumentava, mentre era sempre più difficile trovare qualcuno disposto a fare quel mestiere. In più spesso si rischiava di veder andare in fumo tutto il lavoro, lo Spacciatore d’insonnia era sempre in agguato. Era lui il loro grande comune nemico, e forse l’origine di tutte le sue tristezze. Continuamente il suo lavoro veniva vanificato dall’opera nefasta di costui. Quante volte aveva coltivato con amore un bel sogno, magari per un uomo che non se la passava molto bene, e questi era caduto vittima dello Spacciatore d’insonnia. E’ banale, ma se non si riesce a dormire, è certo che non si può sognare. In più se il malcapitato preso di mira dallo Spacciatore cominciava a ricorrere ai sonniferi, finiva per procurarsi un sonno artificiale che mandava completamente in fumo tutto il lavoro dell’Allevatore. Lo Spacciatore d’insonnia aumentava sempre di più il suo potere, infatti ogni individuo che diventava sua vittima, a sua volta tendeva a trascinare chi gli stava vicino nella stessa situazione.
Tutti gli insonni quando arriva il momento di andare a dormire si trasformano a loro volta in spacciatori d’insonnia. Detestano la solitudine e il silenzio che si crea intorno a loro quando la maggior parte della gente dorme, o l'amano così tanto che fanno di tutto per dividere il loro piacere con altri. Unica eccezione gli artisti, gente dagli orari liberi, avvezza alla solitudine, che spesso utilizzava la notte per lavorare. L’Allevatore di sogni avrebbe voluto cambiare mestiere. Ma non poteva. Avrebbe voluto cambiare epoca, vivere ad esempio nel secolo in cui un famoso dottore aveva cominciato a studiare e a descrivere i sogni della gente.
Guardò la foto del suo bisnonno, lui sì che era stato importante. Tanti libri erano stati scritti sul suo lavoro. Le sue migliori creature erano tuttora addirittura nelle enciclopedie.
Certo del suo antenato non si poteva dire che era stato solo fortunato a vivere in quell’epoca, certamente aveva saputo sfruttare il momento e le mode del momento. Oppure avrebbe voluto vivere in tempi ancora più remoti, quando le creature umane tenevano in grandissima considerazione i sogni, ed erano capaci di muovere guerre o intraprendere viaggi sotto l’influenza di questi, che, sia nel bene che nel male influenzavano direttamente la loro vita. Un sogno fatto da un re o da un sacerdote, ma persino da un umile pastore, poteva influenzare le sorti e il futuro di una nazione. Per non parlare poi dei sogni dei profeti che da duemila anni continuavano ad essere letti nelle Sacre Scritture.
L’Allevatore di sogni ora si sentiva veramente triste. Nonostante tutto non poteva dire di non amare il suo tempo. Se solo le sue creature fossero prese un pochino più in considerazione, e se solo lo Spacciatore d’insonnia fosse meno potente. Era un’epoca difficile, di transizione, avevano parlato a lungo di questo con il Domatore di incubi. Entrambi si mantenevano aggiornati su tutto quanto di nuovo, o di vecchio, succedeva nel mondo. Era fondamentale per il loro lavoro. Ma non bastava. L’umanità intera era confusa e stava rivedendo molte delle questioni che in passato erano date per scontate. Era più difficile allevare sogni per chi non sapeva più cosa volere, e dal punto di vista del Domatore di incubi era sempre più complesso avere a che fare con chi non sapeva più bene cosa temere. Loro due erano riusciti a lavorare con i tele-dipendenti, con i cine-fili, e ora, come se già non fosse tutto così complicato, c’era questa nuova “realtà” virtuale. Avevano avuto un gran da fare con i primi sperimentatori di questa invenzione, avevano vissuto momenti terribili temendo che quest’ultima scoperta avrebbe potuto soppiantare il loro mestiere. Ma alla fine si erano ricreduti. No, la realtà virtuale non costituiva un serio pericolo, almeno fino a quando gli uomini avrebbero avuto bisogno di dormire, ci sarebbe stato bisogno del loro operare. Tutto quello che ormai era diventato possibile durante lo stato di veglia, avevano deciso che non gli avrebbe preoccupati più di tanto. Erano arrivati alla conclusione che l’umanità era rimasta sempre la stessa, ancora la gente aveva bisogno degli stessi sogni, e ancora per alcuni uomini, dotati di particolare chiarezza, preparavano sogni premonitori. Certo, era forse più difficile per questi vivere nell’era del computer e sognare in anticipo gli eventi. Ma forse era proprio questa una delle dimostrazioni che alla fine gli uomini erano ancora gli stessi.
***
La piccola sveglia squittiva in modo decisamente sproporzionato alle sue dimensioni. Michel allungò il collo da sotto il cuscino e urlò:
- Ho sentito, smettila ho sentito. La sveglia tacque ubbidiente.
Michel sapeva che aveva ancora dieci minuti di silenzio e poi avrebbe ricominciato a torturarlo a meno che non si fosse deciso ad accendere la luce e a disinserire il meccanismo.
Aveva bisogno di quei dieci minuti come dell'ossigeno. Ancora quel terribile incubo. Non poteva alzarsi dal letto e affrontare un'altra giornata di quella pesante vita con ancora quelle orrende sensazioni nella sua spina dorsale. Si sbottonò la giacca del pigiama. Era completamente bagnata di sudore. Margie aveva ragione, forse avrebbe dovuto parlarne con qualcuno. L'idea di regalare soldi a qualche strizza-cervelli lo disgustava almeno tanto quanto quella disgustosa palude gialla che ormai quasi ogni notte lo inghiottiva. Ogni notte sperava che fosse l'ultima volta, e addirittura si era trovato a pensare durante l'incubo 'tanto è solo un sogno' e mi sveglierò come sempre nel mio letto. Ma ciò nonostante, sempre più spesso andava a letto tardissimo, quasi all'alba, come se con la luce fosse più rassicurante lasciarsi andare al sonno e sperando che la stessa pallida luce dell'alba potesse allontanare quella fetida palude del suo sogno mostruoso. Il piccolo cubo ricominciò a suonare. Michel si buttò giù dal letto e con un solo gesto spense la sveglia e accese l'interruttore che apriva automaticamente le grandi finestre. La luce dell'alba si diffuse rapidamente nella stanza rivelandogli i segni della nottataccia. La vista della bottiglia di whisky quasi vuota e del portacenere traboccante di cicche gli riempirono la bocca di nausea. Mise in moto la macchina che gli preparava il caffè e si buttò sotto la doccia.
***
Paula sentì come da lontano le note della sua canzone preferita. La sua sveglia era programmata per svegliarla con quella musica,"You are out of my arms and J am out of my mind", ma questa volta lui era tra le sue braccia, poteva sentire a volontà l'odore della sua pelle e dei suoi capelli. Il tepore dei loro corpi abbracciati era delizioso, era un vero peccato rompere quell'incantesimo alzandosi dal letto. Avrebbe voluto rimanere ancora così, per un mucchio di tempo, e continuare a fare quei piccoli sogni tranquilli e ristoratori che la sua vicinanza le dava.
Si era chiesta tante volte perché da quando dormiva con suo marito veniva visitata da quei sogni che avevano una consistenza diversa dal solito. Certo ormai era sicura che, contrariamente ad ogni buon senso, anche i sogni potessero essere più o meno consistenti. Come la realtà, come le persone, come le cose, Paula aveva l'impressione che certi sogni fossero un poco più reali di altri, sempre nei limiti, ovviamente, trattandosi di sogni. Non era questione di memoria come sosteneva la sua amica Jean, secondo la quale dipendeva tutto dal momento, o fase, come diceva lei, in cui uno si svegliava o veniva svegliato. No, non era una questione di ricordo più o meno nitido, a lei piaceva pensare che fossero delle creature, semplicemente alcune erano più riuscite di altre. Come lo stesso tipo di albero può svilupparsi in modo maggiore o minore, avere una chioma più o meno folta, o venire fuori un pò esile o rachitico come quegli alberelli che sbucano fuori dal cemento dei marciapiedi e hanno le radici costrette dal cemento che li contiene e le chiome asfissiate dai gas di scarico delle automobili. Oppure quelle magnifiche querce solitarie che che di tanto in tanto si incontrano in certe campagne, e la forza delle loro radici senza limiti si rivela nello splendore delle loro chiome che possono senza fatica slanciarsi verso il cielo. Così lei pensava, c'è sogno e sogno e quelli che faceva quando dormiva con lui erano i più riusciti che le fosse capitato di fare. A malincuore Paula cominciò ad uscire dal letto, cercando di non svegliare lui che poteva ancora dormire.
***
Adrien allungo' un braccio verso il comodino. A tastoni cerco' le freccette del suo tirassegno, che era oramai il suo passatempo preferito. Ogni mattina appena sveglio, ancor prima di accendere la luce, gli piaceva lanciare le dieci piccole frecce sul bersaglio che aveva sistemato di fronte al letto. La parete era completamente sgombra di oggetti, anche se la sua mira falliva non avrebbe potuto far danni. Solo una volta una freccetta era andata a conficcarsi chissa' come in una delle casse dello stereo.
Era piu' divertente che guardarsi le comiche che la tv trasmetteva al mattino.
Aveva bisogno di rimanere un po' a letto dopo il risveglio, sin dalla infanzia non aveva mai capito coloro che appena aprono gli occhi ingoiano litri di caffe' e si precipitano sotto la doccia. Come era d'abitudine per Luisa, la sua ex moglie. Anche prima della sua passione per il lancio delle freccette al buio, aveva indugiato sempre un po' prima di affrontare la giornata.
Era curioso come fosse venuta fuori questa sua mania, e ogni tanto gli tornava alla mente. L'aveva semplicemente sognato una notte, qualche mese dopo che sua moglie l'aveva lasciato portandosi dietro anche suo figlio con la scusa che il suo stipendio era molto piu' basso. Aveva sognato che in un clima di grande tranquillita' interiore tirava con l'arco in un indefinito spazio completamente buio. Poi qualcuno accendeva la luce e lui con grande felicita' si accorgeva che aveva fatto centro tutte le volte che aveva mirato al bersaglio.
Nella realta' aveva praticato diversi tipi di sport, ma mai aveva nella sua vita praticato il tiro con l'arco, e comunque per un po' di giorni il ricordo di quel sogno non lo abbandonava.
Telefono' ad una scuola di tiro con l'arco ma fra attrezzatura e corsi, costava una piccola fortuna e allora cerco' di non pensarci piu'. Fino a quando una mattina in un negozio di giocattoli di una via del centro non vide in vetrina un tirassegno multicolore con dieci freccette rosse e gialle. Dovette vincere piu' di una resistenza prima di riuscire ad entrarvi. Alla fine si abbandono' al desiderio di possedere quell'oggetto e lo acquisto'.
La sera stessa libero' la parete di fronte al suo letto di certi quadri che piacevano tanto alla sua ex moglie, e, dopo aver spento la luce, comincio' a lanciare le frecce.
Certo non era proprio come con l'arco del sogno, ma provo' subito una certa soddisfazione quando sentiva che, "toc", la freccia colpiva il bersaglio, e non il muro.
Da allora era diventato molto piu' bravo. E mai aveva avuto la tentazione di fare questo gioco con la luce, anzi, ormai prediligeva la mattina, quando il corpo e i suoi riflessi erano ancora un po' assopiti. Allora, senza neanche alzarsi dal letto, la prima cosa che faceva appena aperti gli occhi, era quella.
Un sabato sera aveva incontrato una donna extra-comunitaria in un locale dove si era recato con alcuni amici. Lei non sapeva dove andare a dormire e lui l’aveva invitata a casa sua offrendole la camera di suo figlio.
La mattina si era svegliato per primo e mentre lei ancora dormiva, aveva cominciato a lanciare le sue freccette.
Lei nella stanza accanto si era svegliata al rumore secco prodotto dalla punta della freccia sul tirassegno e alzatasi aveva chiesto affacciandosi sulla soglia con la voce insonnolita cosa stesse facendo. Lui non le aveva risposto immediatamente per non perdere la concentrazione e lei aveva cominciato ad agitarsi e a chiedere di aprire le imposte o accendere la luce.
Di rimando le disse con la voce seccata e un po' dura che quel gioco lui lo faceva esclusivamente al buio e lei, a quel punto terrorizzata senza comunque capire cosa stesse accadendo, aveva afferrato alla cieca, borsetta e vestiti ed era fuggita via, convinta che un uomo che le aveva offerto un letto a casa sua senza chiederle nulla in cambio di sicuro nascondeva delle turbe psicologiche gravissime.
Adrien sorrise nel letto a quel ricordo e lancio' l'ultima freccetta della mattina. L'orologio segnava le otto, apri' le finestre e conto' le frecce che avevano colpito il bersaglio.
***
Il ricevimento era nel momento di maggior fermento, Annette inguainata in un elegante abito azzurro di lame', porse la mano ingioiellata al distinto signore che la padrona di casa le stava presentando. Improvvisamente senti' come se l'abito le si stesse stringendo addosso. Trattenne il respiro. Che strano penso', l'ho provato e riprovato fino a questa mattina. Il signore continuava a stringerle la mano e ahimé anche l'abito continuava a stringere. Continuando a sorridere Annette con una certa preoccupazione penso' a cosa aveva mangiato poco prima, ma due tartine e una coppa di champagne non potevano certo averle dilatato lo stomaco.
Annette avrebbe voluto avere le mani libere per controllare la lampo del vestito, sentiva le cuciture del vestito che incominciavano a cedere e non riusciva quasi più a respirare. Il tizio continuava a tenerle la mano e a parlarle, mentre le coppe di lamè le comprimevano il seno, Annette sentiva la testa che le diventava sempre più pesante. Con la coda dell'occhio si accorse che l'abito le si stava letteralmente aprendo su di un fianco. Annette guardò disperata la porta che conduceva alla toilette, ma perchè quell'idiota non le lasciava la mano?
Urlò con quel poco fiato che le rimaneva in gola. La luce filtrava tra le tende ricamate. Dalla cucina si sentiva scorrere l'acqua del lavabo. La donna delle pulizie era già arrivata. Annette si sedette affannata nel letto, si sistemò meglio i cuscini dietro la schiena e si protese verso la bottiglia dell'acqua minerale posta sul comodino. Bevve avidamente pensando all'assurdo incubo.
L'abito del sogno era stranamente simile a quello che avrebbe dovuto indossare quella sera per un ricevimento.
Annette tirò fuori da un cassetto uno specchio e si guardò attentamente il viso.
- Dio! Pensò, sembrava quasi che non avesse dormito affatto. Se solo avesse potuto avere dal suo ex marito qualche soldo in più, avrebbe potuto fare come le sue amiche, una bella tirata alla pelle e via. Dalla cucina continuavano ad arrivare rumori di stoviglie.
Annette si alzò sbuffando e affacciandosi dalla porta della camera da letto urlò - "Mei, per favore fai piano io sono ancora a letto, quante volte te l'ho già detto!"
Si diresse verso la finestra e sistemò per bene le tende in modo che entrasse ancora meno luce. Si sistemò per bene i tappi nelle orecchie indispensabili per dormire di giorno e si coricò nuovamente. Il ricevimento era quasi lo stesso di prima, lei indossava lo stesso aderente abito di lamè che aderiva perfettamente alla sua figura ancora giovanile. Avevano tutti in mano una coppa di champagne, era il momento del brindisi. Tutto a un tratto sentì l'abito che le si allargava addosso. "Che strano", pensò, si sarà slacciata la lampo dietro la schiena. Continuando a sorridere portò la mano libera dietro la schiena e tastò la cerniera lampo che le sembrava perfettamente chiusa. Ma aveva la sensazione che l'abito le ballasse addosso. Continuava a sorridere e a tenere in mano la coppa ma avrebbe voluto appartarsi un attimo e controllare la situazione.
Abbassò gli occhi e vide con orrore che l'abito si era come sformato, aveva assunto l'aspetto di un sacco. "Mio Dio, come è potuto accadere?" Si guardò le gambe. La stessa cosa stava accadendo alle calze. Alle caviglie si erano formate delle tremende pieghe, e sentì, ormai in preda al panico che lo stesso reggicalze le stava scivolando tra le gambe. Annette si sentì avvampare dalla vergogna, la coppa di champagne le sfuggì dalle mani frantumandosi ai suoi piedi. Al rumore del vetro sul pavimento tutti gli ospiti si voltarono verso di lei. Annette sobbalzò nel letto. Il cuore le batteva a mille. Si sfilò i tappi dalle orecchie afferrò la bottiglia d'acqua e bevve al collo.
Era decisamente il caso di alzarsi, " maledetti incubi", pensò. L'orologio segnava le undici, probabilmente era ancora in tempo per prendere un appuntamento con la sarta e riprovare quell’infernale abito.
"Mei", chiamò, "smettila in quella cucina, mentre io vado in bagno tira fuori l'abito nuovo e chiama la sarta, dille di venire nel primo pomeriggio.
Mei affacciandosi nella sua camera la guardò stupita.
- Ma Signora, se l'ha provato ieri e le cadeva addosso che era una meraviglia!
Annette la guardò perplessa, certo era vero, perchè agitarsi tanto per uno stupido sogno?
- Davvero Mei, sei proprio convinta che non ci fossero difetti?
- Se lo vuole indossare signora se ne accorgerà lei stessa, ma se lo desidera, richiamerò la sarta.
- Mei, forse hai ragione, lo riproverò e se sarà il caso telefoneremo alla sarta.
***
Frederick si trovava in uno spazioso ed elegante ascensore tipici degli alberghi di prestigio. Sfiorò il cerchietto dorato che indicava il numero tre. Si sentiva soddisfatto, ottimista, e piacevolmente brillo. Tutto era andato secondo i suoi piani. Come sempre, d'altronde. Era riuscito a coniugare una trasferta per affari con una piacevole avventura galante. Entrambe le situazioni si erano svolte nel migliore dei modi possibili. L'ascensore si mosse rapido e silenzioso. Dopo pochi secondi la porta automatica si aprì con un lieve ronzio e lui si mosse svelto per uscirne. L'occhio gli cadde sul display luminoso posto di fronte l'ascensore che indicava il numero del piano e la numerazione delle camere. Compariva stranamente il numero sette. Frederick controllò la numerazione delle stanze e si accorse di aver sbagliato piano. Ritornò sui suoi passi e rientrò nell'ascensore. Sfiorò nuovamente questa volta con più attenzione il numero tre sulla tastiera della parete metallica.
Le porte si riaprirono e Frederick questa volta prima di uscire completamente controllò il numero del piano sul display luminoso che appariva di fronte a lui nel corridoio.
Incredibile, aveva sbagliato ancora una volta, il display segnava nove.
"Maledizione", pensò, "questa sera mi sono bevuto il cervello oltre allo champagne.
Rientrò dentro e con tutte le sue forze spinse il numero tre.
L'ascensore si mosse ancora, Cominciava a sentirsi un pò nervoso, nonostante fosse appena uscito dal letto di una delle sue amiche più dolci e accondiscendenti. Qualche secondo di attesa, e le porte si riaprirono. Gli occhi di Frederick ansiosi cercarono il display che segnava il piano. Questa volta compariva il numero undici.
"E no..., c'è qualcosa che non va, imprecò tra sé e sé. Non posso aver sbagliato ancora." Fu tentato di uscire fuori e cercare le scale, ma erano le quattro del mattino, non aveva voglia di perdersi dentro quel gigantesco albergo. "Tornerò giù nella hall" pensò, "di lì prenderò un'altro ascensore".
Questa volta sfiorò il tasto che corrispondeva al piano della hall. Ebbe subito la netta sensazione che quella macchina stesse ancora salendo invece che scendere. Disse tra sè "Mi sto innervosendo stupidamente, l'importante è che non si blocchi".
Le porte si aprirono con il solito ronzio e scoprì di trovarsi al piano numero quindici. Guardò in cagnesco la tastiera e con il pugno battè la liscia parete metallica dell'ascensore.
"Maledetta macchina," imprecò,"non ho nessuna voglia di passare tutta la notte in questo stupido gioco. Respirò a fondo e guardò attentamente la tastiera luccicante con le cromature dorate intorno che riportava i venticinque piani dell'albergo.
"Allora, vediamo, se ho spinto la hall e mi ha portato al quindicesimo, vediamo cosa succede se spingo il quindicesimo. Toccò questa volta quasi con gentilezza il tasto numero quindici e con tutti i suoi sensi all'erta cercò di capire se stava salendo o scendendo. Ma ahimè, ebbe la netta sensazione di stare ancora salendo. Infatti dopo una serie di interminabili secondi le porte si riaprirono scoprì con sgomento di trovarsi al venticinquesimo piano.
Frederick era fuori di sè, ormai tutta la magia della sua serata galante era svanita. Guardò a destra e a sinistra, i lunghi corridoi erano silenziosi e deserti, si sentiva solo il sibilo dell'aria condizionata. L'idea di andare a cercare le scale e di scendere più di venti piani a piedi lo riempì di rabbia. Rientrò nell'ascensore e decise di tentare ancora una volta. Era chiaro che non c'era alcuna logica in quella macchina impazzita, ma forse poteva tentare di avvicinarsi almeno un pò al suo piano. E poi più su di così non poteva andare, visto che era all'ultimo, almeno sperava.
Si tolse la cravatta e l'appallottolò nella tasca della giacca. Si sbottonò la camicia, rientrò dentro e tocco a caso il numero due. Ecco stava scendendo. Respirò di sollievo. Le porte si aprirono. Tredicesimo piano. Ecco, pensò, va già meglio. Fu tentavo di uscire e cercare le benedette scale, ma poi pensò che forse poteva fare ancora un tentativo di avvicinamento alla sua agognata camera.
Guardò con aria di sfida la tastiera luminosa. Stava per spingere il sette, poi invece all'ultimo toccò il dodicesimo. "Diamine!,"pensò,"è come giocare alla roulette". Si sentì perduto quando ebbe la netta sensazione che stava risalendo. Le porte si aprirono e scoprì di essere al 23° piano. Si sentì un imbecille, perché non si era accontentato del 13° piano? Si tolse la giacca e si accese una sigaretta, operazione che mai avrebbe compiuto in ascensore, ma in quel momento avrebbe bruciato l'albergo. Uscì fuori nel corridoio e si guardò intorno, perché non c'erano altri ascensori in quell'albergo? Spense la cicca con il piede sulla moquette blu oltremare e ritornò alla carica. Se c'era riuscito una volta poteva riprovarci. Si sarebbe accontentato anche del 15° piano. Toccò il 2° ed ecco che stava scendendo, magari al 3° si augurò con tutto il cuore. La porta si aprì,17° piano, febbrile toccò il numero 10° e sentì che stava ancora scendendo, 14° piano. Poteva farcela, forse ancora un tentativo... Toccò il 9°, ma si ritrovò al 23°. Cominciò a tempestare di calci la parete in preda ad una furiosa frustrazione.
Frederick, ti prego smettila! La voce insonnolita di sua moglie lo riportò alla coscienza. Sollevò la testa dal cuscino e disse
- Scusa cara un terribile incubo.
- Pensavo stessi sognando di giocare ad una partita di calcio per come ti agitavi.
- Magari, sorrise lui, magari.
La luce del sole cominciava a diffondersi nella stanza. Lei gli chiese se gradiva un bicchier d'acqua.
***
L’allevatore di sogni quella sera aveva invitato a cena il domatore di incubi. In quegli ultimi giorni la solitudine cominciava a pesargli troppo. Senza contare che il domatore aveva sempre dei buoni consigli da dargli, insomma poteva lavorare meglio se conosceva i timori della gente. C’era sempre qualche nuova faccenda che causava paura ed incubi agli esseri umani, ad esempio le epidemie, prima c’era stata la peste, ora l’Aids. Tra le invenzioni, prima l’elettricità, o le automobili, più recentemente l’uomo aveva imparato a giocare con la genetica e così era arrivato alla clonazione. L’allevatore di sogni sorrise amaramente tra sé e sé, Dio aveva creato accuratamente ogni cosa ed ogni essere diverso dall’altro ed ora l’uomo si gloriava per essere riuscito a creare delle copie. La perfetta varietà del creato lo aveva sempre commosso. Aveva un tempo anche scritto una preghiera di ringraziamento al Creatore proprio su questo argomento:
“Ogni cristallo di neve è diverso dall’altro. Guardo il mucchio di neve sotto i miei piedi, guardo la bianca coltre che ricopre le cime e che incurva dolcemente gli alberi della valle. Ogni cristallo di neve è diverso dall’altro. Immagino ora una bufera di neve che riempie tutto il cielo e lo spazio tra le valli. Ogni fiocco è sempre diverso dall’altro. Padre Potente e Amoroso com’è grande e perfetta e unica ogni Tua creazione, dal piccolo cristallo di neve alla cima più maestosa di questa valle. Come può l’uomo non accorgersi di Te? Eppure noi, polvere di polvere, vorremmo prescindere da Te, ciechi perché la Tua presenza è abbagliante, muti, perché Tua è la parola, sordi perché Tu sei vento leggero. Il massimo di tutta la nostra scienza è riuscita solo a riprodurre delle copie, mentre la Tua Somma perfezione ha creato ogni cosa diversa dell’altra dall’uomo, alle piante, agli animali, ai fiocchi di neve. E tutto era cosa buona.”
L’uomo continuava a temere le invasioni, in tempi più remoti aveva temuto e lottato i turchi, ora certi paesi erano terrorizzati dagli albanesi, altri dagli ispanici e così via dicendo. Accadeva sempre e ogni volta l’umanità coinvolta si agitava e nascevano le paure e gli incubi. Il domatore lo aggiornava sulle inquietudini che più colpivano in quel momento e lui poteva preparare degli antidoti onirici. Certo poteva sembrare ridicolo oramai l’uomo con le sue macchine poteva costruirseli i sogni e poteva entrarci anche dentro, ma tutto questo coinvolgeva solo la sua sensorialità mai la sua coscienza. Ciò che invece veniva fuori mentre dormiva non poteva provenire che dal centro di se stesso e allora l’allevatore di sogni si sentì consolato e più motivato, forse ora più che mai l’umanità aveva bisogno di lui.
(Maria Letizia Azzilonna 1996)

Racconti di fine millennio: Anatidi

Un volatile acquatico fu costretto, sin da quando uscì dall’uovo a vivere sulla terraferma. L’acqua, suo vero elemento, gli venne nascosta per tanto tempo. Non ci fu dietro nessuna volontà malvagia, semplicemente un’idea di “dono” piuttosto originale. La bimba che ricevette in dono il paperotto abitava in una casa di città con un piccolo giardino intorno. Il paperotto visse in quel giardino insieme a cani, gatti, un pappagallo ed una tartaruga. Un giorno la bimba e la sua famiglia si trasferirono in una casa in riva al lago e tutti gli animaletti dovettero seguirne la sorte. Così il paperotto finì dentro il lago quasi senza rendersene conto e scoprì con sua grande meraviglia che tutta quell’acqua non gli faceva paura per nulla, anzi le sue zampette palmate si prestavano meravigliosamente a muoversi in quel nuovo elemento, molto più che sulla terra, dove si era sentito goffo e lento per tanto tempo rispetto agli altri animali con cui aveva vissuto. Chiunque abbia visto camminare degli anatidi sulla terraferma avrà notato come sono davvero buffi. Si muovono con un’andatura ondeggiante, che appare tanto più insicura quanto più largo è il loro bacino.
Il paperotto incominciò così l’esplorazione di quel luogo meraviglioso sfrecciando veloce in lungo e in largo come non era mai stato. Per la prima volta si sentiva, era proprio il caso di dirlo, nel suo elemento, e quando vicino la riva intravide gli altri abitanti del lago, si precipitò subito da loro per conoscerli. Li osservò pieno di stupore accorgendosi che erano proprio del tutto simili a lui. Stesse penne, stesse piume, stesse zampe palmate. Quelle zampe palmate che erano state la sua disperazione sulla terra, erano comuni a tutti gli abitanti del lago. Variavano un po’ le dimensioni, le forme, a volte i colori, capì che appartenevano alla stessa specie. Anche loro lo riconobbero e per un po’ fecero festa insieme. Dopo poco tempo aveva acquistato in acqua una tale sicurezza da desiderare di allontanarsi un po’ di più dalla terra, ma con sua grande sorpresa si accorse che nessuno dei suoi nuovi amici lo seguiva quando andava più al largo. Lui entusiasta e felice non diede alla cosa tanta importanza e così una mattina in cui il cielo era particolarmente azzurro e l’acqua particolarmente invitante, partì da solo e arrivò fino alla sponda opposta del lago. Non ebbe paura neanche un istante e vide e conobbe cose che mai avrebbe immaginato.
Stette via qualche giorno e quando s’incamminò sulla via del ritorno, non vedeva l’ora di rivedere coloro che considerava ormai la sua vera famiglia ed i suoi veri fratelli, per raccontare loro ciò che aveva visto. Terribile fu il dolore e la sofferenza quando, al suo ritorno, venne accolto con freddezza e quasi con astio. Il paperotto lì per lì pensò che fosse meglio dormirci sopra, forse era solo una sua impressione ed era troppo stanco per la traversata. Sperò in cuor suo che al risveglio tutto sarebbe tornato come prima. Ahimé, non fu così! Il mattino dopo si accorse che tutti lo evitavano e, disperato, andò alla ricerca dell’anziano del gruppo per cercare di capire cosa stesse accadendo.
L’anziano non rispose subito. Al paperotto quei secondi sembrarono un’eternità. Poi il vecchio papero lo guardò tristemente e gli disse:
“ Ti sarai reso conto tu stesso che la tua presenza non è più gradita in questa comunità. Noi da tempo non ci allontaniamo più dalla riva del lago, non ci interessa più quello che c’è dall’altra parte, l’acqua profonda può essere dannosa per noi e nessuno a più voglia di perdersi. Quando ero giovane ci costringevano ad andare nell’acqua alta, ancora mi tremano le piume al solo ricordo. I tempi per fortuna oggi sono cambiati e noi ci sentiamo più vicini alle creature della terra. Già da tempo molti di noi non vanno più in acqua e non bisogna ostacolare il progresso. Questo tempo ci richiede di adattarci a vivere sulla terra.”
Il paperotto non credeva alle sue orecchie. Aveva appena scoperto il suo vero mondo, la sua vera natura ed ecco che lo stato di beatitudine in cui aveva vissuto gli ultimi tempi, gli crollava addosso.
Aprì il becco e riuscì appena a mormorare:
“Ma voi..., cioè noi, non siamo adatti a vivere sulla terra, io lo so bene perché vi ho vissuto fino a poco tempo fa. Voi non potete neanche immaginare come sia difficoltoso muoversi lì con queste zampe così larghe, così piatte e corte. Ci sono molti più predatori che in acqua e ...”
L’anziano papero alzò il becco con piglio autoritario e disse:
“Basta così. Il consiglio della nostra comunità e d’accordo all’unanimità su questo argomento, tutto quello che dici è anacronistico e nessuno di noi vuol tornare indietro. Insomma per noi è “acqua passata”. Se vuoi vivere con noi devi adattarti al nostro spirito.”
Detto questo rialzò il becco significando così che la conversazione era finita. Il paperotto si strinse nelle piume e si allontanò a becco basso. Quasi istintivamente stava per andarsene al largo per riflettere meglio, ma era proprio ciò che gli avevano vietato di fare, tristemente si accovacciò a riva guardando verso terra. Il giardino della sua bambina finiva in un piccolo molo. In quel momento la domestica si avvicinava portando del cibo per loro. Certo era quello il suo mondo, come poteva oramai vivere lì senza poter andare in acqua dopo che aveva scoperto le meraviglie del lago? Lui sapeva cosa significasse vivere sulla terra, aspettare pigramente l’ora del cibo e sopportare lo scherno degli animali più agili, era pura follia che quella comunità avesse deciso di abbandonare l’acqua. La riva significava fango, a volte sporcizia ma comunque un mucchio di cibo garantito, perché tutta la gente che passava di lì buttava sempre loro qualcosa da mangiare. Mentre rifletteva su queste cose, il sole stava calando e aveva colorato l’acqua del lago di strisce di colore rosa e violetto. Il papero si sentì inumidire gli occhi, come avrebbe fatto a resistere in quel luogo a quelle condizioni? Tanto valeva tornarsene nel giardino insieme al gatto, al cane, alla tartaruga e al pappagallo con la consapevolezza che se prima la sua vita aveva comunque funzionato era perché ignorava la sua vera natura. Come poteva pensare di ridiventare quello di prima? Certo se si fosse adeguato alle disposizioni della comunità ne avrebbe avuti di vantaggi! Lui conosceva meglio di loro e da tempo tutti gli abitanti del giardino, avrebbe potuto essere per loro molto utile, poteva facilmente diventare una loro guida. Nessun membro della comunità del lago avrebbe perso una sola penna se fossero stati consigliati da lui. Mentre rifletteva su queste cose, il sole era calato completamente, rimaneva un piccolo riverbero che faceva luccicare la piatta superficie dell’acqua. Era quello il momento ideale per entrare nel lago. Calava il silenzio e tutti gli animali andavano a dormire. Il paperotto non resistette più e spinse veloce le sue zampe palmate fino a che non si trovò al centro del lago. Allora godendosi quel momento meraviglioso si lasciò cullare dalle dolci acque fino alle prime luci dell’alba. Solo allora si decise di a far ritorno a riva. Sperava in cuor suo di riuscire ad arrivare prima che gli altri si svegliassero. Toccò riva poco prima che il primo papero si stiracchiasse nelle piume. Quando tutta la comunità fu sveglia cominciarono i loro piccoli giri abituali senza mai allontanarsi troppo dalla riva. Il paperotto li seguì per non dare nell’occhio e così ricominciarono a rivolgergli la parola pensando che avesse deciso di adeguarsi alla loro regola. Per un po’ di tempo continuò ad allontanarsi di nascosto nella notte, mentre gli altri dormivano. Durante il giorno la comunità lo coinvolgeva nelle esplorazioni terrene e lui a malincuore obbediva. Naturalmente per il papero era sofferenza allo stato puro rimettere le piume sulla terra e non riusciva assolutamente a capire che cosa ci trovassero gli altri. Dopotutto erano fatti proprio come lui, anzi a forza di stare a riva erano anche più grassi e quindi la loro goffaggine sulla terra era quasi maggiore della sua. Comunque insistevano perché lui li conducesse nella parte più interna del giardino e più si allontanavano dall’acqua e più sembravano appagati. Una volta incontrarono gli altri animali che vivevano lì e per loro fu un evento memorabile. Lo fu anche per gli animali del giardino, ai quali non sembrava vero di vedere una processione di paperi dove un tempo c’è n’era uno solo. Si scatenarono in canzonature ed imitazioni della loro buffa camminata. Il nostro paperotto se l’aspettava, aveva subito per una vita intera quegli scherni, ma il resto della comunità non se ne accorse per nulla, tanto era grande la loro gioia per aver interagito con delle creature della terra. Così oramai il nostro passava quasi tutte le notti al centro del lago e solo così riusciva a ritrovare il suo equilibrio dopo quelle terribili escursioni terrene. Il suo aspetto cominciava ad essere notevolmente diverso dagli altri, era diventato più snello e le sue piume erano molto più lucenti.
Ma una notte fu visto, ahimé, nuotare al largo proprio dal capo della comunità, che, tra l’altro, cominciava ad essere un po’ invidioso del suo ruolo di guida nel mondo della terra. Questi rimase a vegliare fino alle luci dell’alba e quando lo vide ritornare in lontananza, cominciò a starnazzare a più non posso svegliando tutti i membri del consiglio. Così tutti videro che aveva trasgredito la regola e, appena ebbe toccato terra, cominciarono a beccarlo finché non lo spinsero con la forza sulla terra nel fondo del giardino. Gli proibirono di scendere in acqua per sempre e lo minacciarono di morte in caso di trasgressione.
Così quella mattina, al loro risveglio, il cane, il gatto, la tartaruga e il pappagallo trovarono il paperotto ferito e gemente nella sua antica vaschetta. Per un po’ ebbero pena di lui, ma poi cos’altro poterono fare se non tornare a schernirlo? Così ebbe inizio per il nostro amico un momento davvero brutto. Da un momento all’altro si era ritrovato cacciato via dal suo paradiso. Pianse tutte le lacrime che un papero poteva piangere. Le sue zampe ora si erano quasi completamente disabituate alla terra ed erano diventate sottili e molli e gli dolevano tanto che faticava a reggersi in piedi. Aveva preso l’abitudine di cibarsi dei piccoli pesci del lago e il cibo che veniva dato sulla terra lo faceva star male. Nuotare nella sua vecchia vaschetta di plastica lo faceva solo impazzire per la nostalgia delle sue nuotate solitarie nelle acque profonde e cristalline del centro del lago. Passarono così tristi giorni in cui il papero avrebbe voluto morire. Anche gli umani si accorsero del suo ritorno e, guardandolo con commiserazione, dissero che era così magro da non poter neanche essere fatto arrosto.
Una mattina, mentre guardava sconsolato quel piccolo pezzo di lago che era visibile dal giardino, il pappagallo, sbattendo le ali verdognole, atterrò sul trespolo vicino alla sua vaschetta ripetendo con il suo gracchio caratteristico:
“Se non ricomincerete a nuotare al largo la vostra comunità si estinguerà...la vostra comunità si estinguerà...la vostra comunità si estinguerà...” Aveva sentito proprio bene, allora gli si avvicinò e scuotendolo con il becco disse; “Astor, dove hai sentito dire questo?”
Il pappagallo puntò il becco ricurvo in direzione del lago. Il paperotto lo afferrò per le piume e implorò:
“Ti prego andiamo insieme laggiù, mostrami chi ha detto queste parole.” Il pappagallo arruffò tutte le piume, così come faceva quando si sentiva gratificato e svolazzò verso il lago. Il papero zoppicante e pieno di timore lo seguiva tenendosi a distanza. Arrivati sul ciglio del molo, il papero si nascose dietro una vecchia boa e il pappagallo vi si accovacciò sopra. Da lì si vedeva buona parte della comunità del lago. Il paperotto tremava all’idea di essere visto, aveva ancora nelle piume i segni delle loro beccate. Il pappagallo svolazzò sulla riva e si fermò a mezz’aria sopra una coppia di paperi che lui non aveva mai visto prima e che si tenevano un poco in disparte dagli altri. Le loro piume erano tutte bianchi e splendenti e il loro collo era lunghissimo. Si muovevano nell’acqua come se fossero tutt’uno con essa.
Il pappagallo ritornò ripetendo: “Chi ha detto queste parole? Astor dove hai sentito dire questo?” Il paperotto sospirò pieno di speranza e ringraziò il pappagallo che se ne ritornò sul suo trespolo. Lui rimase nascosto dietro dietro la boa ad osservare i nuovi arrivati fino all’imbrunire. In un certo senso la comunità sembrava ignorare i due nuovi arrivati, ma si capiva che c’era tensione nell’aria. Ad un certo punto i due si avvicinarono alla comunità dicendo:
“Questo è il momento più adatto per raggiungere il centro del lago, volete venire anche voi?” Il papero a quelle parole si sentì venir meno dalla sorpresa e dalla gioia, e mentre il cuoricino gli batteva impazzito nel petto, si chiedeva cosa era più opportuno fare. Intanto i due stranieri non avevano raccolto molte adesioni al loro invito, tutti i paperi si erano stretti intorno all’anziano che continuava a scuotere la testa in segno di diniego. Allora i due voltarono loro il becco e veloci come il vento si stavano già allontanando. Il paperotto si sentì perduto all’idea che potessero andare via per sempre, se fosse riuscito a raggiungerli ora, non avrebbero potuto fargli del male.
In un battibaleno si buttò giù dal muretto del molo con tutte le poche forze che gli rimanevano e urlò:
“Vengo anch’io con voi al largo.” I paperi rimasero così stupiti dalla sua comparsa e dalla veemenza con cui aveva parlato, che non ebbero neanche il tempo di muoversi. I due stranieri al suono della sua voce voltarono i lunghi colli e si fermarono ad aspettarlo. Fu questione di un attimo e si ritrovò tra loro. L’acqua era deliziosamente calda e incominciava a colorarsi di viola. Per un po’ non parlarono. Il paperotto faticava a stargli dietro perché le sue zampe si erano nuovamente abituate alla terra, ma era così felice che quasi non sentiva il dolore. Poi improvvisamente uno dei due senza abbassare il collo, disse:
“Fai parte anche tu di quella comunità? Non ti avevamo visto i giorni passati.” Il paperotto disposto a giocare il tutto e per tutto, rispose: “Non mi avete visto perché ero stato mandato via. Prima anch’io vivevo lì. Ma quando si sono accorti che mi piace andare al largo e che non riesco a resistere a lungo sulla riva, non hanno più voluto che rimanessi.”
I due si guardarono tra loro. “Poi, sapete, io ho vissuto per tanto tempo sulla terra e proprio non mi sento di ritornarci, noi siamo diversi dagli altri animali della terra è evidente. Prima di finire nel lago non avevo idea del perché il mio corpo avesse certe caratteristiche, queste zampe con le membrane, tutte queste piume voluminose, questo becco con una certa forma. Nessuno degli altri animali che avevo frequentato prima era simile a me, così quando ho incontrato gli abitanti del lago sono come rinato a nuova vita, ho capito chi ero e dove dovevo vivere. E tutto ciò che sulla terra mi era d’impaccio e mi rendeva la vita difficile, qui è indispensabile e funziona a meraviglia.”
I due ascoltavano in silenzio e con una certa commozione la storia del papero.
“Quando mi hanno cacciato dal lago, sono stato sul punto di morire. Non so neppure come ho fatto a raggiungervi. Anche ora non sono neanche sicuro che tutto questo non sia un sogno e che non torni a svegliarmi in quella lurida vaschetta.
“No, non temere, disse uno dei due nuovi amici, quello che sembrava un po’ più anziano, “Insieme a noi non correrai alcun pericolo del genere. Se ora ti porteremo sulla terra sarà solo perché tu ti ristabilisca. Hai sofferto abbastanza, ma eri nel giusto, perché se la tua comunità continuerà a vivere così entro breve non esisterà più. Ormai sono creature snaturate, vorrebbero essere ciò che non potranno mai essere, diverranno invece dei mostri e per loro non ci sarà più nulla da fare. Intanto erano arrivati nei pressi di una piccola isola che il papero aveva intravisto qualche volta nelle sue escursioni. Vide in lontananza altri abitanti del lago che cominciavano a venirgli incontro. Si salutarono tutti affettuosamente, poi ad un cenno dei due, il papero stremato fu delicatamente sospinto a riva. Gli portarono un mucchio di pesce fresco per rifocillarlo e il papero si addormentò felice. La mattina successiva, quando aprì gli occhi, non gli parve vero di potersi subito tuffare nella stupenda acqua colorata dai riflessi dell’alba e di poterlo fare senza doversi nascondere. Soprattutto non gli parve vero di poterlo fare in compagnia dei suoi nuovi amici. Cominciò subito ad avvicinarsi all’acqua, ma improvvisamente le zampe gli cedettero e ricadde pesantemente sulla riva. Era ancora debole e malandato. Subito gli altri gli si fecero incontro e sorreggendolo con il loro becco lo aiutarono a rialzarsi e ad entrare nel lago, e da lì la terra era una striscia sottile.
(M.L.A. 1998)