venerdì 30 maggio 2008

Che cercate?

Chi stiamo cercando?

Ai primi discepoli che, forse ancora incerti e dubbiosi, si mettono al seguito di un nuovo Rabbì, il Signore chiede: « Che cercate? » (Gv 1,38). In questa domanda possiamo leggere altre radicali domande: che cosa cerca il tuo cuore? Per che cosa ti affanni? Stai cercando te stesso o stai cercando il Signore tuo Dio? Stai inseguendo i tuoi desideri o il desiderio di Colui che ha fatto il tuo cuore e lo vuole realizzare come Lui sa e conosce? Stai rincorrendo solo cose che passano o cerchi Colui che non passa? « In questa terra della dissomiglianza, di che cosa dobbiamo occuparci, Signore Dio? Dal sorgere del sole al suo tramonto vedo uomini travolti dai vortici di questo mondo: alcuni cercano ricchezze, altri privilegi, altri ancora le soddisfazioni della popolarità », osservava san Bernardo.10

« Il tuo volto, Signore, io cerco » (Sl 26,8) è la risposta della persona che ha compreso l'unicità e l'infinita grandezza del mistero di Dio e la sovranità della sua santa volontà; ma è anche la risposta, sia pur implicita e confusa, di ogni creatura umana in cerca di verità e felicità. Quaerere Deum è stato da sempre il programma di ogni esistenza assetata di assoluto e di eterno. Molti tendono oggi a considerare mortificante qualunque forma di dipendenza; ma appartiene allo statuto stesso di creatura l'essere dipendente da un Altro e, in quanto essere in relazione, anche dagli altri.

Il credente cerca il Dio vivo e vero, il Principio e il Fine di tutte le cose, il Dio non fatto a propria immagine e somiglianza, ma il Dio che ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, il Dio che manifesta la sua volontà, che indica le vie per raggiungerlo: « Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra » (Sl 15,11).

Cercare la volontà di Dio significa cercare una volontà amica, benevola, che vuole la nostra realizzazione, che desidera soprattutto la libera risposta d'amore al suo amore, per fare di noi strumenti dell'amore divino. È in questa via amoris che sboccia il fiore dell'ascolto e dell'obbedienza.

L'obbedienza come ascolto

5. « Ascolta, figlio » (Pr 1,8). L'obbedienza è prima di tutto atteggiamento filiale. È quel particolare tipo d'ascolto che solo il figlio può prestare al padre, perché illuminato dalla certezza che il padre ha solo cose buone da dire e da dare al figlio; un ascolto intriso di quella fiducia che rende il figlio accogliente della volontà del padre, sicuro che essa sarà per il bene.

Ciò è immensamente più vero nei riguardi di Dio. Noi, infatti, raggiungiamo la nostra pienezza solo nella misura in cui ci inseriamo nel disegno con cui Egli ci ha concepito con amore di Padre. Dunque l'obbedienza è l'unica via di cui dispone la persona umana, essere intelligente e libero, per realizzarsi pienamente. In effetti, quando dice “no” a Dio la persona umana compromette il progetto divino, sminuisce se stessa e si destina al fallimento.

L'obbedienza a Dio è cammino di crescita e, perciò, di libertà della persona perché consente di accogliere un progetto o una volontà diversa dalla propria che non solo non mortifica o diminuisce, ma fonda la dignità umana. Al tempo stesso, anche la libertà è in sé un cammino d'obbedienza, perché è obbedendo da figlio al piano del Padre che il credente realizza il suo essere libero. È chiaro che una tale obbedienza esige di riconoscersi come figli e di godere d'esser figli, perché solo un figlio e una figlia possono consegnarsi liberamente nelle mani del Padre, esattamente come il Figlio Gesù, che si è abbandonato al Padre. E se nella sua passione si è pure consegnato a Giuda, ai sommi sacerdoti, ai suoi flagellatori, alla folla ostile e ai suoi crocifissori, lo ha fatto solo perché era assolutamente certo che ogni cosa trovava un suo significato nella fedeltà totale al disegno di salvezza voluto dal Padre, al quale – come ricorda san Bernardo – « non fu la morte che piacque, ma la volontà di colui che spontaneamente moriva ».11

« Ascolta, Israele » (Dt 6,4)

6. Figlio, per il Signore Iddio, è Israele, il popolo che Egli si è scelto, che ha generato, che ha fatto crescere tenendolo per mano, che ha sollevato alla sua guancia, cui ha insegnato a camminare (cf. Os 11, 1-4), cui – come somma espressione di affetto – ha rivolto in continuazione la sua Parola, anche se questo popolo non sempre l'ha ascoltata, o l'ha vissuta come un peso, come una « legge ». Tutto l'Antico Testamento è un invito all'ascolto, e l'ascolto è in funzione dell'alleanza nuova, quando, come dice il Signore, « porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo » (Eb 8,10; cf. Ger 31,33).

All'ascolto segue l'obbedienza come risposta libera e liberante del nuovo Israele alla proposta del nuovo patto; l'obbedienza è parte della nuova alleanza, anzi il suo distintivo caratteristico. Ne segue che essa può essere compresa compiutamente solo all'interno della logica di amore, d'intimità con Dio, di appartenenza definitiva a Lui che rende finalmente liberi.

Card. F. Rodè - Mons G. Gardin

(Dal recente documento della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica "Il servizio dell'autorità e l'obbedienza")

Magnificat

L'anima mia "magnifica" il Signore,
e il mio Spirito esulta in Dio, mio salvatore,
esultare sempre nel Signore per scacciare la tristezza e l'angoscia di quando finiamo tra le grinfie del perturbatore, esultare sempre nel Signore per trasmettere a chi ci sta intorno gioia e pace senza neanche bisogno di parlare,

perché ha guardato l'umiltà della sua serva,
l'umile proprio perché è piccolo si lascia innalzare più facilmente, proprio perché è "sgombro" da inutili zavorre, da troppi anche se santi pensieri, è più leggero, mio Dio fa che possa sempre avere il cuore sgombro da ambizioni, pregiudizi, rancori, perchè Tu possa dimorare in ogni angolo del mio cuore,

d'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Beati sono coloro che appaiono come delle frecce, degli indicatori puntati verso Dio e che non trattengono nulla per sé stessi e per la propria fortuna, ma tutto fanno e tutto pensano per la maggior gloria di Dio, per i fratelli, e considerano "Chiesa" il mondo intero, non solo la loro parrocchia, sono coloro che sanno guardare il mondo con gli occhi della misericordia di Dio, e sanno riconoscere l'arte della Sapienza creatrice di Dio anche quando è stata terribilmente deturpata, donaci Padre il dono di poter dimorare sempre nel tuo Amore, così come Il Figlio tuo ha chiesto per noi,

Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome:
Solo con la docilità e la mitezza del "modello", il disegno della mano del Creatore può riuscire al meglio, Trinità gloriosa rendici sempre miti e umili di cuore a modello di Gesù, donaci di saper comunicare ai fratelli la gioia e la pace riconciliante del Cristo risorto, in qualunque condizione noi ci troviamo e in qualunque situazione, donaci la fecondità apostolica di cui parlava Paolo, l'apostolo delle genti, nella misura corrispondente alla nostra fedeltà e nonostante le nostre infedeltà,

di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.

perdono, misericordia, tenerezza di Padre, calore di viscere materne, che si stende, si propaga di generazione in generazione, Dio clementissimo e misericordioso, se Tu ti stendi sopra di noi, noi rivivremo e chi potrà mai più toccarci? Cosi a nostra volta noi ci "stenderemo" sui più miseri, e se non potremo farlo fisicamente lo faremo con la preghiera, facci essere, o Padre, "coperta" d'Amore!

Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili;

Quando Tu dispieghi la tua potenza simultaneamente, è un solo movimento, confondi i superbi, rovesci la fortuna di coloro che confidano troppo nelle loro forze, e inevitabilmente metti in risalto l'umile, chi non osa neanche alzare lo sguardo a te. Padre buono, libera i nostri cuori dal fumo della superbia, che intossica pensieri e azioni, rovescia i vizi, gli attaccamenti, gli idoli che noi stessi abbiamo posto sul trono, innalza la piccola flebile umile voce che grida nei nostri cuori Abbà, Padre!

ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia,

Trinità Santa e ricca di specialissimo Amore, sazia i nostri sensi interiori con il pane della Parola e dell'Eucarestia, rimanda a mani vuote i nostri sensi esteriori viziati da troppe sollecitazioni, non distogliere mai gli occhi da coloro che l'Eterna Sapienza ha prescelto come tuoi servi, proprio per la loro piccolezza e inadeguatezza e noi non li distoglieremo a nostra volta da coloro che sono più piccoli e più inadeguati di noi.

come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza,
per sempre".

Amen

(mla 2007)



O.V. Dono alla Chiesa


Le vergini consacrate nel mondo sia pure per altre vie, sono chiamate a vivere la propria esistenza in una dimensione contemplativa, perché segno della chiesa sposa di Cristo, di cui devono esprimere l'amore, l'unione e la dedizione totale allo Sposo; perché attraverso la preghiera di consacrazione è stato per esse invocato il dono dello Spirito affinché diventi l'unico grande regista di tutta la loro vita, dedicandole in modo esclusivo a Dio. Pertanto in ogni loro modo di essere e ogni attività, qualunque essa sia, che svolgono nel mondo, sono vissute alla luce di questa finalità: essere consacrate alla santità e alla gloria di Dio. E' da notare come non poche che hanno ricevuto la consacrazione e vivono nel mondo, si sentano chiamate a una vita dedita in modo esclusivo alla preghiera, nel silenzio e nella solitudine come le monache. Altre è vero, si dedicano ad attività apostoliche e caritative, e altre ancora si impegnano nell'ambito della vita sociale e professionale; ma comunque per tutte, la preghiera costituisce uno dei compiti primari affidati loro dalla Chiesa e per l'adempimento del quale viene raccomandato loro vivamente la celebrazione della Liturgia delle ore, perché unendo in tal modo la loro voce a quella di Cristo, sommo sacerdote, e a quella di tutta la Chiesa, lodin incessantemente il Padre e intercedano per la salvezza del mondo. D'altra parte la contemplazione, fissata tradizionalmente nell'immagine di Maria seduta ai piedi del Maestro in ascolto e in adorazione, è una condizione indispensabile per coloro che vogliono vivere la loro consacrazione nel mondo perché senza un'intensa vita di preghiera, di comunione e di conoscenza esperienziale di Dio, non sarebbe loro possibile mantenersi costantemente e sostanzialmente fedeli al "santo proposito" cui si impegano irrevocabilmente davanti alla comunità dei fedeli e che sono chiamate a vivere senza l'aiuto di strutture particolari. Il primato della contemplazione è avvertito come una necessità e una vocazione, per poter essere fedeli ed esprimere insieme l"essere" della propria consacrazione da cui trae fondamento e motivazione ogni espressione concreta di vita, secondo la vocazione personale, la spiritualità e le attitudini di ciascuna.

(Da "Vergini consacrate nel mondo", di Gigliola Tosetti, Edizioni Dehoniane Bologna, 1990)

O.V. Dono alla Chiesa
















La consacrazione nella forma dell'Ordo Virginum, carisma nato con il Vangelo, risale ai primi secoli della Chiesa. Essa racconta la particolare esperienza d'amore con cui una donna si consegna a Cristo quale suo Sposo e, nel respiro della sponsalità ecclesiale, diviene feconda presenza dello Spirito nell'ordinarietà del vivere quotidiano. La virgo Christi è la virgo Ecclesiae.
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Crito è tutto: fratello, amico, parte dell'eredità, premio, Dio e Signore. Ma è significativo fissarlo come lo Sposo che nell'Incarnazione realizza l'incontro tra natura divina e umana e nella Pasqua celebra le nozze con l'umanità. Tutti i momenti dell'esistenza terrena di Cristo, storia di alleanza, radicata e prolungata nel Battesimo, hanno il colore e il calore nuziale. E in questo orizzonte, per una nuova unzione spirituale, in virtù di un dono e di una chiamata personale, è la sposa che assume il suo Sposo quale maestro di vita, nei sentimenti, nei pensieri, nelle preoccupazioni. L'amore sponsale è per sua natura totale ed esclusivo, perché offerta di sè all'Amato, senza riserve e con cuore indiviso; amore perpetuo, perché non vuole venire meno, anzi proiettandosi verso il futuro vuole ricoprire l'intero arco della vita e sussistere anche dopo la morte.

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Sempre fedele al Cristo-Sposo, non dimenticherà mai che si è donata totalmente a lui e al suo corpo che è la Chiesa. "Se per la devozione ad una santo nasce una famiglia religiosa, che cosa non può nascere dalla devozione alla stessa madre dei santi che è la Chiesa? Cosa non ne deriverà? Se faccio della Chiesa maestra e madre la mia sorgente, la mia regola, la mia vita, il mio spirito, la mia gioia, il mio entusiasmo, che cosa non sarà possibile?" (Paolo VI). In questo particolare carisma c'è la Chiesa madre che plasma e struttura la forma spirituale dell'anima consacrata, ossigenandola e nutrendola con la sua spiritualità. Perciò la consacrata trova la sua "famiglia" nella Chiesa locale dove respira, come "Ordo" con le modalità del cuore del Pastore, considerato non un fondatore o un superiore da cui dipendere, ma il padre con cui condividere l'amore per Cristo e per i fratelli. "Amate la Chiesa: è la vostra madre. Da essa mediante il solenne rito presieduto dal Vescovo diocesano, avete ricevuto il dono della consacrazione; al suo servizio siete state dedicate. Alla Chiesa dovete sempre sentirvi legate con stretto vincolo" (Giovanni Paolo II). Il "sensus" ecclesiale aiuta e sostiene la vocazione dell'Ordo Virginum, in quanto la Chiesa ogni giorno si genera e ciascuna la rende preziosa, splendente, senza ruga né macchia né altro di simile, ma bella e santa. In realtà l'appartenenza alla alla Chiesa diventa visibile e non solo spirituale, di quella visibilità che commuove, che tocca profondamente le persone, non solo a livello sentimentale, ma anche sul piano dell'azione dello Spirito, al quale si corrisponde esemplarmente nell'impegno lavorativo e professionale.

(Mons. Vincenzo Pelvi, Ord. militare per l'Italia)

giovedì 29 maggio 2008

Ordo Virginum Congresso-Pellegrinaggio

"Un dono nella Chiesa e per la Chiesa"
(Card. Ratzinger)









Discorso del Papa al Congresso-Pellegrinaggio “Verginità consacrata nel mondo”
. (Roma 14-20 maggio)
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 15 maggio 2008.

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Carissime sorelle!
1. Accolgo e saluto con gioia ciascuna di voi, consacrate con "solenne rito nuziale a Cristo" (Rituale della Consacrazione delle Vergini, 30), in occasione del Congresso-Pellegrinaggio Internazionale dell'Ordo Virginum, che in questi giorni vi vede riunite a Roma. In particolare saluto il Cardinale Franc Rodé per il cordiale indirizzo di omaggio e l'impegno profuso nel sostenere questa iniziativa, mentre un grazie di cuore rivolgo al Comitato organizzatore. Scegliendo il tema guida di questi giorni vi siete ispirate ad una mia affermazione che sintetizza quanto ho avuto già modo di dire sulla vostra realtà di donne che vivono la verginità consacrata nel mondo: Un dono nella Chiesa e per la Chiesa. In questa luce desidero confermarvi nella vostra vocazione ed invitarvi a crescere di giorno in giorno nella comprensione di un carisma tanto luminoso e fecondo agli occhi della fede, quanto oscuro e inutile a quelli del mondo.

2. "Siate di nome e di fatto ancelle del Signore a imitazione della Madre di Dio" (RCV, 29). L'Ordine delle Vergini costituisce una particolare espressione di vita consacrata, rifiorita nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II (cfr Esort. Ap. Vita consecrata, 7). Le sue radici, però, sono antiche; affondano negli inizi della vita evangelica quando, come novità inaudita, il cuore di alcune donne cominciò ad aprirsi al desiderio della verginità consacrata: a quel desiderio cioè di donare a Dio tutto il proprio essere che aveva avuto nella Vergine di Nazaret e nel suo "sì" la prima straordinaria realizzazione. Il pensiero dei Padri vede in Maria il prototipo delle vergini cristiane ed evidenzia la novità del nuovo stato di vita a cui si accede per una libera scelta d'amore.

3. "In te, Signore, possiedano tutto, perché hanno scelto Te solo, al di sopra di tutto" (RCV, 38). Il vostro carisma deve riflettere l'intensità, ma anche la freschezza delle origini. È fondato sul semplice invito evangelico "chi può capire capisca" (Mt 19, 12) e sul consiglio paolino circa la verginità per il Regno (1 Cor 7, 25-35). Eppure risuona in esso tutto il mistero cristiano. Quando è nato, il vostro carisma non si configurava con particolari modalità di vita, ma si è poi man mano istituzionalizzato, fino ad una vera e propria consacrazione pubblica e solenne, conferita dal Vescovo mediante un suggestivo rito liturgico che faceva della donna consacrata la sponsa Christi, immagine della Chiesa sposa.

4. Carissime, la vostra vocazione è profondamente radicata nella Chiesa particolare a cui appartenete: è compito dei vostri Vescovi riconoscere in voi il carisma della verginità, consacrarvi e possibilmente rimanervi vicino nel cammino, per insegnarvi il timore del Signore, come si impegnano a fare durante la solenne liturgia di consacrazione. Dal respiro della Diocesi, con le sue tradizioni, i suoi santi, i suoi valori, i limiti e le difficoltà, vi allargate al respiro della Chiesa universale, soprattutto condividendone la preghiera liturgica, che vi è consegnata affinché "risuoni senza interruzione nel vostro cuore e sulle vostre labbra" (RCV, 42). In tal modo il vostro "io" orante si dilaterà progressivamente fino a che nella preghiera non ci sia più che un grande "noi". È questa la preghiera ecclesiale e la vera liturgia. Nel dialogo con Dio apritevi al dialogo con tutte le creature, nei cui confronti vi ritrovate madri, madri dei figli di Dio (cfr RCV, 29).

5. Il vostro ideale, in se stesso veramente alto, non esige tuttavia alcun particolare cambiamento esteriore. Normalmente ciascuna consacrata rimane nel proprio contesto di vita. È una via che sembra priva delle caratteristiche specifiche della vita religiosa, soprattutto dell'obbedienza. Ma per voi l'amore si fa sequela: il vostro carisma comporta una donazione totale a Cristo, una assimilazione allo Sposo che richiede implicitamente l'osservanza dei consigli evangelici, per custodire integra la fedeltà a Lui (cfr RCV, 47). L'essere con Cristo esige interiorità, ma in pari tempo apre a comunicare con i fratelli: qui si innesta la vostra missione. Un'essenziale "regola di vita" definisce l'impegno che ciascuna di voi assume col consenso del Vescovo, sia a livello spirituale sia esistenziale. Si tratta di cammini personali. Tra voi ci sono stili e modalità diverse di vivere il dono della verginità consacrata e questo si fa tanto più evidente nel corso di un incontro internazionale, come quello che vi vede riunite in questi giorni. Vi esorto ad andare oltre il modo di apparire, cogliendo il mistero della tenerezza di Dio che ciascuna porta in sé e riconoscendovi sorelle, pur nella vostra diversità.
6. "La vostra vita sia una particolare testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro" (RCV, 30). Fate in modo che la vostra persona irradi sempre la dignità dell'essere sposa di Cristo, esprima la novità dell'esistenza cristiana e l'attesa serena della vita futura. Così, con la vostra vita retta, voi potrete essere stelle che orientano il cammino del mondo. La scelta della vita verginale, infatti, è un richiamo alla transitorietà delle realtà terrestri e anticipazione dei beni futuri. Siate testimoni dell'attesa vigilante e operosa, della gioia, della pace che è propria di chi si abbandona all'amore di Dio. Siate presenti nel mondo e tuttavia pellegrine verso il Regno. La vergine consacrata, infatti, si identifica con quella sposa che, insieme allo Spirito, invoca la venuta del Signore: "Lo Spirito e la sposa dicono 'Vieni'" (Ap 22,17).
7. Nel lasciarvi vi affido a Maria. E faccio mie le parole di sant'Ambrogio, il cantore della verginità cristiana, rivolgendole a voi: "Sia in ciascuna l'anima di Maria per magnificare il Signore; sia in ciascuna lo spirito di Maria per esultare in Dio. Se c'è una sola madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede, invece, Cristo è il frutto di tutti, poiché ogni anima riceve il Verbo di Dio, purché, immacolata e immune da vizi, custodisca la castità con intemerato pudore" (Commento su san Luca 2,26: PL 15, 1642).
Con questo augurio di cuore vi benedico. [© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]

sabato 24 maggio 2008

Corpus Domini

Corpus Domini

Ognuno di noi avrà incontrato almeno una volta nella vita un (o una) viandante un po' misterioso che gli avrà detto certamente qualcosa di importante per la propria esistenza o per le proprie decisioni future. O semplicemente ci avrà fatto porre degli interrogativi nuovi. Una persona di mia conoscenza mi ha raccontato che nei primi mesi del 2003 si trovava a Roma e proprio in quei giorni il compianto Papa Giovanni Paolo II avrebbe dovuto recarsi ad Assisi per incontrare come aveva già fatto in passato, i rappresentanti di diverse religioni. Lui avrebbe voluto tanto partecipare a quel singolare incontro di preghiera ma non gli fu possibile muoversi da Roma. Così la mattina sul presto, come aveva talvolta abitudine di fare, scrisse sul proprio taccuino una piccola supplica in cui chiedeva al Signore di poter partecipare almeno spiritualmente a quell'evento e poi uscì di casa completamente immerso nelle sue faccende. Ma, in qualunque angolo di Roma si trovasse, notava sempre una figura di uomo alta, con gli abiti abbastanza sdruciti e sudici ma singolarmente vivida e preminente rispetto a chiunque gli fosse vicino. Si guardava intorno in modo smarrito. Nonostante si spostasse più di una volta a piedi e con i mezzi, se lo ritrovava sempre davanti. Quando sul finire della mattinata salì sul mezzo che lo avrebbe portato a casa per il pranzo, si ritrovò lo sconosciuto seduto a metà dell'autobus, e, cosa strana, intorno a lui c'era un vuoto, tutta gli altri passeggeri si erano spostati verso l'autista e, di tanto in tanto lo guardavano con disappunto. A quel punto la curiosità si impadronì di lui e andò a sedersi proprio di fianco. Capì immediatamente perché tutti gli altri passeggeri si erano allontanati. Lo sconosciuto emanava un odore molto poco gradevole e poi era come se piagnucolasse in una lingua sconosciuta con degli occhi a dir poco imploranti. Allora provò a rivolgergli la parola in più lingue, ma l'uomo sembrava non comprenderne nessuna. A quel punto ricordò di avere delle frutta con sè, tirò fuori un mandarino, lo sbucciò e lo divise a metà. Porse una parte del frutto allo straniero. Questi l'accettò e la mangiò continuando a lamentarsi in quella strana lingua. Intanto alcune di quelle persone che prima si erano allontanate, si riavvicinarono a lui, qualcuno anche con gli occhi lucidi, e qualcuno più giovane gli porse anche la mano, allora l'uomo smise di lamentarsi e parve quasi contento, ma poco dopo si alzò in piedi, preparandosi a scendere. Era la fermata vicino alla stazione Termini e, pensò l'amico, lì c'è la mensa della Caritas, probabile meta dello sconosciuto. Per più di un secondo ebbe una fortissima voglia di seguirlo e vedere dove andava, aveva completamente cambiato espressione chissà da quanto tempo non aveva ricevuto dei segni di amicizia. Infine decise di continuare per la sua fermata e lasciare andare l'uomo misterioso al suo destino. Solo il giorno dopo ripensando all'accaduto si ricordò della preghiera fatta la mattina precedente e collegò quella figura di giovane vagabondo al più noto lebbroso della storia della conversione di Francesco. Ma la vicenda non si chiuse lì. Alcuni anni dopo, mentre visitava il complesso delle sette chiese di Bologna, si ritrovò per la prima volta in una cappellina dove è conservata quella singolare scultura artistico-scientifica di Luigi Mattei (l'immagine in alto a sinistra) che, come è noto riproduce al millimetro, grazie alle tecnologie informatiche, le fattezze fisiche dell'uomo della Sindone. Si sentì venire meno. Era perfettamente identico al vagabondo che si aggirava per le vie della capitale e a cui aveva offerto un sorriso e il suo mezzo mandarino!

Corpus Domini



L'eucarestia è il sacramento della vita eterna. I sacramenti sono azioni liturgiche che hanno la forza speciale di fare ciò che esprimono simbolicamente. Per mentenersi in vita è necessario prendere del cibo. Dalla mancanza di nutrimento provengono l'indebolimento dell'organismo, le malattie, e alla fine la morte. Nel sacramento si passa dal materiale allo spirituale, l'acqua è il mezzo naturale per pulire il corpo, ma nel battesimo pulisce anche l'anima dal peccato, rinnova la vita eterna. Nell'eucarestia il pane e il vino nutrono la vita spirituale che di natura sua è immortale. Per questo l'eucarestia è chiamata da S. Ignazio di Antiochia"medicamento contro la morte". Da Antiochia provenivano nell'antichità famosi medici, perché in quei luoghi si raccoglievano vari tipi di erbe medicinali contro diverse malattie. Ad alcuni, in quelle circostanze, sorgeva la domanda: "Non si potrebbe trovare un'erba contro la morte?" Forse alludendo a questa domanda Ignazio dice: "Noi abbiamo il pane di vita eterna".

Fuoco ardente

Gli antichi popoli iranici identificavano le divinità con il fuoco. Le omelie spirituali che ci sono pervenute sotto il nome di Macario descrivono questa immaginazione nel modo seguente. Ai confini della terra si elevano le montagne formate dal fuoco. Su di esse e in esse vivono degli animali penetrati tutti dal fuoco e vi si sentono così bene che muoiono quando ne sono portati fuori. I Padri cristiani siro-occidentali approfittavano di questa mitologia simbolicamente. Il vero fuoco ardente è il nostro Dio nei cieli. Gesù, come Prometeo ci ha portato questo fuoco sulla terra e nell'eucarestia ce lo comunica. Perciò è penetrato nella liturgia della Chiesa l'uso secondo il quale il sacerdote, distribuendo la comunione dice: "Ricevi il fuoco ardente". Macario lo paaragona al rito della notte pasquale, durante la quale una candela comunica la luce all'altra, fino a che tutta la chiesa buia non sia illuminata.

Sacro convito

Quando incontriamo Gesù nell'Eucarestia, lo esprimiamo con il termine di "sacra comunione". Si effettua per mezzo di un simbolo semplicissimo: mangiare e bere insieme.
Perlare del mangiare e del bere si considera una banalità. Tuttavia, riflettendo su queste esigenze vitali, scopriamo che si tratta di un vero miracolo della natura. Si consumano materie di origine viva, naturale. Quanti processi vitali devono verificarsi perché si possa raccogliere il grano: vi cooperano i slai minerali della terra, i raggi del sole, vari influssi della temperatura, ecc; da tutto questo cresce il grano, pieno di una vita e di una energia propria. L'uomo lo raccoglie per farne il pane. Mangiandolo egli si appropria di questa vita che non era la sua, ma che per mezzo del mangiare e del digerire non solo divienne la sua ma si identifica con lui. In questo senso materiale si può applicare l'espressione dei materialisti secondo la quale l'uomo sarebbe ciò che mangia. Ma nella cena del Signore questo processo materiale diventa simbolo di una realtà sorprendente, superiore. Il mngiare è segno sacramentale che fa ciò che significa. La fede ci insegna che nell'eucarestia Gesù stesso si offre come nostro cibo e conseguentemente la sua vita diviene la nostra. Comunicandoci, entriamo in comunione intima con Colui che si offre a noi. Misticamente Egli è nutrimento forte che ci dà una forza soprannaturale. Bere dal calice ha lo stesso significato, ma acquistò presso i Padri una sfumatura speciale. Secondo le credenze animistiche nelle piante abitano diversi spiriti. Quale sarebbe lo spirito del vino? Piuttosto maligno, credevano alcuni a giudicare dagli effetti. Ma con le parole della consacrazione ogni malignità è espulsa e nel vino che diviene sangue di Cristo abita il suo Santo Spirito. Partecipando al sangue di Gesù diventiamo in senso spirituale a Lui "consanguinei". Siamo quindi suoi fratelli, DIo è nostro Padre, la Madonna la nostra vera madre. La santa comunione crea una santa unione. In questo contesto si può vedere simbolicamente anche la relazione fra le due cene: quella di Cana e l'Ultima Cena con i discepoli. A cana Gesù cambiò l'acqua in vino. SI tratterebbe in immagine di un passaggio dall'elemento materiale all'elemento vivo. Istituendo l'eucarestia si offre a noi un sacramento per passare dalla vita della natura alla vita divina.

Fermento sacro

Nel rito siro-orientale vige un uso particolare. Da una messa precedente si conserva un pezzetto di pane consacrato per una messa precedente si conserva un pezzetto di pane consacrato per una messa seguente. Si chiama "fermento sacro", perché ricorda l'usanza popolare quando si faceva il pane in casa. La leggenda racconta che Giovanni Evangelista avrebbe conservato un pezzettino del genere dall'Ultima cena e lo avrebbe usato nella sua prima messa celebrata davanti alla Madonna. Il racconto è evidentemente poco credibile, ma il simbolismo del rito è bello: vi si vuole insinuare l'unione intima fra le nostre messe con la Cena del Signore dove il sacramento è stato istituito. Nella liturgia romana conserviamo un altro rito che pochi comprendono. Prima della comunione il sacerdote rompe l'ostia e ne mette un piccolo pezzettino nel calice con il vino consacrato. Gli storici della liturgia ci spiegano l'origine di questa usanza. Le diverse Chiese locali, per professare la loro unione con le altre, si inviavano a vicenda un pezzo di pane consacrato. Questo, quando arrivava ai destinatari era già duro. Per poter essere consumato come comunione doveva essere messo prima nel calice. Il rito attuale non corrispondde più alle condizioni originali, ma può ricordarci il pensiero che l'ospitava: l'unione eucaristica fra le diverse Chiese locali disperse nel mondo e fra i sacerdoti che celebrano le messe.

Ringraziamento

Il termine eucarestia viene dalla parola greca che significa "grazie". Ciò ci fa riflettere. Quando nelle chiese celebriamo la liturgia il rito è innanzitutto un ringraziamento. In questo modo compinciavano le preghiere già nelle sinagoche ebraiche: si richiamavano alla memoria i grandi benefici di Dio in favore del popolo (...) I cristiani durante le loro riunioni domenicali, spontaneamente abbreviavano la lunga fila degli eventi e si concentravano su quei fatti che li avevano colpiti "negli ultimi tempi": la nascita, la morte, la resurrezione, l'ascensione al cielo di nostro Gesù Cristo e la sua seconda venuta. Così facciamo noi nella prima preghiera dopo la consacrazione, chiamata "anàmnesis".

(Card. Thomas SpidliK, tratto da "Sentire e gustare le cose internamente", 2006, Lipa Ed.)





venerdì 23 maggio 2008

La Santissima Trinità

(Genesi 18,17)

Poi il Signore apparve a lui (Abramo) alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: "Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po' d'acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo". Quelli dissero: "Fa pure come hai detto". Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: "Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce". All'armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l'albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: "Dov'è Sara tua moglie?". Rispose: "E' là nella tenda". Il Signore riprese: "Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara tua moglie, avrà un figlio". Intanto Sara stava ad ascoltare all'ingresso della tenda ed era dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; ed era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: "Avvizzita come sono dovrei provare il piacere mentre il mio Signore è vecchio!". Ma il Signore disse ad Abramo: "Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C'è forse qualche cosa di impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te e alla stessa data e Sara avrà un figlio". Allora Sara negò: "Non ho riso!" perché aveva paura; ma quegli disse: "Sì, hai proprio riso".
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Nella sua redazione finale questo racconto jahvista narra una apparizione di Jahve accompagnato da due angeli. Il testo esita in più luoghi tra il plurale e il singolare.
In questi tre uomini ai quali Abramo si rivolge al singolare, molti Padri hanno visto l'annunzio del mistero della Trinità, la cui rivelazione era riservata al Nuovo Testamento. Abramo si prostra fino a terra non come adorazione ma come segno di omaggio. Riconosce dapprima nei visitatori solo ospiti umani e testimonia loro una magnifica ospitalità. Il loro carattere divino non si manifesterà che progressivamente
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Questo episodio biblico è, a ragion veduta, considerato come simbolo dell'accoglienza per eccellenza, sempre ricompensata dal Signore.
Certo, nessuno è così ingenuo da vedere in tutti i pellegrini, migranti, itineranti e che dir si voglia che vengono a bussare alla nostra porta, degli angeli del Signore travestiti, anzi molti hanno sperimentato da vicino quanto possano divenire spietate certe creature umane abbrutite dalla disperazione e dallo sdradicamento culturale. Sicuramente l'ospitalità è rimasta in molte culture mediterranee rivestita di una indiscussa sacralità, senza escludere gli ambienti monastici, basta leggere la regola di S. Benedetto. Ma i tre misteriosi ospiti di Abramo hanno una missione da compiere: "voglio scendere a vedere se hanno proprio fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!" E qui si colloca la famosa
preghiera di intercessione di Abramo che mercanteggia con la misericordia di Dio, cercando di mitigare la sua ira ricordando che qualche giusto vi sarà anche lì: abbiamo qui ben esplicitato il ruolo dei santi nel mondo. Questo episodio biblico viene, infatti, immediatamente prima di quello della distruzione da parte del Signore, di Sodoma e Gomorra, dove al posto della disinteressata e squisita accoglienza di Abramo, troviamo la perfidia e la corruzione dei loro abitanti che vanno alla ricerca di quegli stessi pellegrini ma per fare loro violenza, abusarne. Ecco allora comparire quell'incredibile e quasi inverosimile per i nostri parametri, Lot, che è disposto a tutto pur di proteggerli, persino a sacrificare le proprie figlie.

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Di pellegrini misteriosi ne è piena la tradizione ebraica, cristiana, musulmana. Dall'ebreo "errante" ad alcuni famosi "sufi", fino allo stesso Cristo Risorto che si affianca come viandante a due discepoli in cammino verso Emmaus "un villaggio lontano 11 chilometri da Gerusalemme". Nel noto episodio evangelico i due discepoli ancora sconvolti e depressi dalla crocifissione del loro "rabbunì", raccontano di alcune donne del loro gruppo che recandosi all'alba presso la tomba non hanno più trovato il suo corpo. Successivamente, poiché
"si fa sera e il giorno già volge al declino", invitano il viandante con cui avevano scambiato alcune parole a fermarsi con loro. Poi, mentre si rifocillano intorno ad un tavolo e il viandante pronuncia la benedizione nello spezzare il pane lo riconoscono! (Luca 24,13).

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E' interessante vedere alcune recenti posizioni assunte da nazioni che hanno da più tempo dovuto fronteggiare forti ondate migratorie:

Da "La Repubblica, le religioni, la speranza" intervista a N.Sarkozy", ed. Nuove Idee, 2004, introd. di G. Fini:
(...) Se lo Stato risponde ai radicali con la stessa intransigenza, non fa che alimentarla. Lo Stato non deve lottare contro il terrorismo con le armi del terrorismo. La Repubblica non deve lottare contro l'integralismo con le armi dell'integralismo. In questo gioco la democrazia è sempre battuta. La Repubblica deve lottare contro l'integralismo con le armi sue proprie: offre agli osservanti la possibilità di operare pubblicamente nel rispetto della legge repubblicana con le forze dell'ordine pronte a intervenire per sdradicare ogni residuo di integralismo irriducibile. E' questa la logica repubblicana ed è in questo modo che i valori repubblicani trionfano.
La Repubblica può dunque inserire una certa forma di fondamentalismo, ma non di integralismo.
Cosa è più normale per uomini di fede che credono "fondamentalmente", che basano la loro vita sulla fede e vogliono rispettare i fondamenti della loro religione? Lo stato non può avere voce sul modo con cui le persone praticano o non praticano. Ognuno è libero di andare a messa tutti i giorni, di recitare cinque preghiere quotidiane o di rispettare scrupolosamente gli obblighi del sabato. L'integralismo rappresenta al contrario una volontà di vivere la propria religione imponendosi agli altri. Si può dire con il disprezzo dell'ientità altrui. Cerca di dominare di imporre una interpretazione del mondo, dell'uomo, dei rapporti tra politica e mistica".

"Esiste un nesso tanto stretto quanto evidente tra la riduzione durevole della delinquenza ed il buon esito dell'integrazione. Chi può credere che potremo stabilmente assicurare la sicurezza imponendo doveri senza mettere la stessa energia al servizio dei diritti?"

"Associando, invitando persone al tavolo della Repubblica non potranno che rispettare meglio le nostre regole. Rifiutando loro uno spazio, potrete anche porli fuori della Repubblica nel senso proprio come nel senso figurato. Si può sempre avere interesse a tentare di spingere le persone a crescere, a valorizzarle piuttosto che a mortificarle. Credo nel mio intimo che l'umiliazione spinga a tutte le violenze e a tutte le incomprensioni. Al contrario quando si tende la mano, quando si accoglie, quando si ospita, si aumentano le possibilità dell'integrazione. E' vero che si può rimanere delusi. In questo caso non dobbiamo esitare a tirarne le conseguenze in termini di ordine pubblico."



domenica 11 maggio 2008

Pentecoste

Con instancabile preghiera ti imploriamo o Padre,
di donarci la gioia della vivificante presenza del tuo Spirito.
Concedi che esso sia sempre in noi,
lo Spirito che pietoso attende chi erra,
che accoglie con amore chiunque ritorna...
che sostiene il passo vacillante,
che reca conforto a chi è disperato.
Da vigore alla nostra fragilità...
e fa che siamo ponderati nel parlare,
intemerati nell'agire,
ardenti nel compiere l'Amore.
(Liturgia mozarabica, Domenica di Pentecoste)

venerdì 9 maggio 2008

Rimini: "Rigenerati dalla Parola di Dio"

Appunti di viaggio:

In un recentissimo sondaggio (Eurisko) di questi ultimi giorni è risultato un triste dato, come l'86% dei cristiani non conosca affatto la Bibbia! E' stato certamente consolatorio in questi giorni a Rimini vedere che molti dei ventimila avevano con sé le loro Bibbie tascabili.

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“Il cristiano fonda la sua fede su una Parola che deve essere ascoltata con la sapienza del cuore, e diventare vita. Perché la fede – secondo il coordinatore nazionale Mario Landi – è accogliere una Parola vivente, un Dio che si manifesta, interviene nella storia personale di ognuno di noi e in quella dell’umanità”.

Molto appropriato il riferimeno ad Emmaus come “storia in corso”, del Vescovo di Rimini Mons. Lambiasi. “I discepoli che iniziano il cammino come mendicanti di senso, rompono il silenzio per aprire il dialogo. Imparano a interpretare la propria vita e le proprie esperienze a partire dalle Scritture, mentre il Risorto illumina il loro cuore. Fanno una sosta nel cammino per chiedere al Signore di rimanere con loro. Nella sua misericordia Egli entra nel loro “spazio vitale” e rimane con loro. Quello che succede dopo è pura comunione fraterna. “Quando fu a tavola, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24,30s). In seguito ritornano dai loro compagni e fanno esperienza di condivisione, prima attraverso l’ascolto attento e stupito, poi, narrando la vittoria della vita sulla morte, manifestatasi definitivamente nella risurrezione di Cristo. Emmaus è strada in corso: è metodo sempre praticabile e cammino sempre percorribile. Come tutte le cose che contano, il metodo Emmaus è semplice ed essenziale: incontrarsi, riunirsi; parlare di ciò che è accaduto; condividere il Vangelo e rileggere la vita; pregare e lodare Dio per tutti i suoi doni; celebrare la comunione fraterna; tornare ai fratelli e sorelle del mondo intero con la bella notizia che ha trasformato le nostre vite: “davvero il Signore è risorto!”. (...) Ed ha concluso con un bel augurio: che ognuno di voi possa dire al termine di questi giorni come i due discepoli di Emmaus: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto, mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32).

È il patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola, a presiedere la prima Concelebrazione eucaristica della XXXI Convocazione nazionale: “Nell’Eucaristia l’uomo partecipa dell’amore trinitario. Lo Spirito agisce con la sua azione purificatrice; come fuoco che rende incandescente il ferro, lo Spirito raggiunge le più profonde fibre del nostro essere; guarisce le ferite del nostro cuore, spesso incapace di amare…Come dicevano i Padri, Gesù è medico dei corpi e delle anime; per questo lo Spirito suscita in ogni tempo carismi di guarigione e di intercessione». E questo tema verrà ripreso nella conclusione dell’omelia quando il Cardinale esorterà: «la vostra fede intensa procuri di sollecitare miracoli allo Spirito Santo».

E sopratutto con un certo vigore: “I pastori hanno il dovere di riconoscere i carismi che lo Spirito Santo suscita”! Ci ricorda le parole che Giovanni Paolo II rivolse ai responsabili del RnS: «“Tutte le vostre attività di evangelizzazione tendono a promuovere nel popolo di Dio una crescita costante nella santità”. È la santità la priorità di ogni tempo, che ha bisogno di testimoni, ponte tra Dio e i fratelli. Il Rinnovamento nello Spirito è stato suscitato nella Chiesa per questo compito». Il cardinale Scola sottolinea che lo Spirito Santo opera corporalmente, e l’opera corporale dello Spirito si vede nell’unità fatta corpo. «Noi – continua – lo sperimentiamo nella gioia e nell’esultanza di quest’assemblea. Lo stesso convenire qui da tante città è un’opera corporale».

Nella seconda giornata, dedicata all’esperienza della misericordia di Dio che consola, guarisce e libera, al teologo mons. Bruno Forte il compito di tenere la Lectio divina sul tema: “Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. L’Arcivescovo di Chieti-Vasto inizia la Lectio divina presentando all’assemblea l’icona de«ll’Epistemius, cioè l’immagine di Giovanni che appoggia il capo sul cuore di Gesù», perché – come dice Origene – può comprendere le parole di Gesù «solo chi poggia il capo sul suo cuore: è l’amore infatti che svela il Mistero».E in questa ottica di amore introduce la parabola del figliol prodigo, in cui «il vero protagonista è il padre», gli altri due personaggi, i figli, sono coloro che a lui convergono. Su questa conversione mons. Forte pone l’accento perché «non è un’esperienza personale. È un ritorno, una relazione d’amore che era stata infranta e che viene ristabilita».

Gesù ha voluto confidarci qual è il volto del Padre, spiega ancora mons. Forte, indicandone cinque caratteristiche: 1. L’umiltà. Solo lui poteva abbassarsi così tanto, circoscrivere la sua onnipotenza «di fronte al mistero della persona da Lui creata» e amata. 2. La speranza di Dio. «Il cuore di Dio è pieno di speranza in attesa del ritorno del Figlio». Negare questa speranza vuol dire negare la fiducia che Lui ha nella sua creatura. 3. L’amore materno. Il Padre non esita a correre incontro al figlio atteso, esprimendo commozione, ma anche coraggio perché non ha paura di perdere la faccia. 4. La gioia. Per il Padre il primo gesto dopo l’accoglienza al figlio è la festa, una grande festa perché quel figlio è tornato in vita, ed è stato ritrovato. 5. La sofferenza. «Non c’è gioia se prima non c’è stata sofferenza, questa è la legge dell’amore» a questa legge nemmeno Dio si è voluto sottrarre. A questo punto, mons. Forte ha invitato l’assemblea a chiedersi se questo sia il volto del Dio in cui crede: un Padre-Madre di misericordia, speranzoso, coraggioso, capace di gioire e soffrire.

Padre Rufus Pereira ha invece esordito raccontando un aneddoto semplice e significativo che ha ben introdotto l’assemblea al momento di preghiera per la guarigione e liberazione: dovendo raggiungere Roma da Londra pensò di viaggiare in treno. Durante il percorso incontrò solo inglesi che tacevano e parevano mostrarsi indifferenti a ogni suo tentativo di dialogo. Regnava un silenzio assordante. Appena giunto in Italia e dovendo cambiare treno incappò fra centinaia di persone che parlavano contemporaneamente ma che tra loro, però, non si ascoltavano. Fu allora che, colpito da questi fatti, comprese che qualcosa doveva cambiare nel rapporto dialogico tra Dio e l’uomo: quando noi parliamo Dio resta in silenzio ad ascoltarci e quando è Dio a parlare l’uomo deve solo ascoltare nel medesimo silenzio.

Il Sacerdote, di comprovata esperienza spirituale e pastorale, ha rivolto la sua preghiera in favore del popolo del RnS e dell’intera nazione, rivolgendosi a Dio Padre per mezzo di Gesù, morto e risorto. Ha aiutato ogni singolo partecipante a comprendere il grande ruolo del sacramento della Riconciliazione affermando il suo carattere «di grande dono da parte di Dio per la Chiesa Cattolica». La Riconciliazione è il mezzo che Dio usa ordinariamente per manifestare la sua azione di liberazione e di guarigione non solo psichica ma anche fisica. Il Signore attende il suo popolo per liberarlo e guarirlo. Continua a farlo con la modalità di sempre, che si evince dai Vangeli: accoglie; parla del Regno di Dio, ossia del suo grande amore; e guarisce l’uomo nella profondità del suo essere. Padre Rufus ha ribadito che tre sono le cose che possono cambiare il mondo: un sorriso colmo d’amore; una parola buona e mettere l’altro sempre al centro dei nostri interessi.

Nella cultura odierna, in cui è sempre più evidente «una desertificazione di senso» – ha detto all’inizio della sua omelia mons. Francesco Lambiasi – il nichilismo che si avverte, e che intristisce i cuori rendendoli esanimi, è dovuto a uno «spostamento dalla cultura cristiana alla cultura pagana». E sul terreno della ricerca della felicità sembra che si sia già giocata la partita a discapito della fede cristiana.Di fronte alla questione della sofferenza e della morte – continua mons. Lambiasi –, il paganesimo si rassegna a un fato cieco. «Il Cristianesimo annuncia invece la felicità già su questa terra» e l’annuncia con un grido di gioia: «è risorto, perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24, 5). Riferendosi al Vangelo del giorno il Vescovo ribadisce quanto la Parola annuncia: in verità, ora siete nella tristezza, ma sarete nella gioia, il vostro cuore si rallegrerà (cf Gv 16, 22). Ma che cosa è questa gioia? Chiede ai presente il Vescovo di Rimini. E ripercorrendo il Credo ne estrae «otto sante ragioni» che chiariscono cosa possiamo intendere per gioia cristiana.

  1. Noi crediamo in Dio, amore che ci ha creati, voluti e chiamati per nome e non si dimentica mai di noi.

  2. Crediamo in Gesù Cristo, morto per noi, «non in senso cumulativo, ma in senso distributivo, per tutti e per ciascuno» in particolare.

  3. Crediamo nello Spirito Santo, «fortissimo e tenerissimo Consolatore» e anche quando «non ci salva dal dolore, ci salva nel dolore».

  4. Crediamo nella Chiesa, dove si realizza per noi il miracolo della Pentecoste. Tutti uniti dalla Carità che «tutto ama, crede e sopporta».

  5. Crediamo nella comunione dei santi e in particolare della regina di tutti i sante, la Vergine Maria. Il suo«parto virginale ha proiettato Cristo» a illuminare tutta la nostra vita.

  6. Crediamo nella remissione di peccati, vale a dire che Dio è più grande del nostro peccato.

  7. Crediamo nella risurrezione della carne. Sappiamo di essere già passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli.

  8. Crediamo nella vita eterna, in vista della quale i nostri slanci di fede e di pace non andranno mai perduti.

Questo è il motivo della nostra gioia e allora, conclude mons. Lambiasi: «perché non rallegrarci sempre, visto che siamo chiamati a rallegrarci per sempre?».


È padre Raniero Cantalamessa ad aprire, con la sua relazione sulla chiamata ad evangelizzare, la terza giornata di Convocazione. «Il profeta - spiega il Predicatore della Casa Pontificia commentando la Scrittura - è come uno a cui è dato un occhio penetrante, che gli permette di leggere nel pensiero di Dio». La forza della Parola, che è vitale, energica. Oggi come allora; la Bibbia, oltre ad essere ispirata da Dio, comunica la sua misteriosa presenza. Ma come riconoscere la profezia, e in che modo essere veri profeti? Nell’esperienza profetica si sperimenta un riflesso di quell’autorità con cui parlava Gesù; un brivido o un senso di calore, o una trafittura del cuore, come accadde a Pentecoste. Il vero profeta – spiega p. Cantalamessa – quando parla tace, assistendo al passaggio di un’altra voce. Come si situa il Rinnovamento in rapporto alla profezia? Il Predicatore della Casa Pontificia ripercorre la storia della profezia che, dal II secolo e soprattutto dopo la Riforma, non scomparve ma, all’interno della Chiesa, venne istituzionalizzata, diventando esclusivamente caratteristica della gerarchia di spiegare la Scrittura. Nell’ambito laico, invece, fu secolarizzata. La novità arrivò con il Concilio Vaticano II, che crea una nuova dialettica tra profezia e carisma; anche i laici – si afferma – fanno parte dell’ufficio profetico. Ed ecco il ruolo del RnS che, dice p. Raniero, «segna il passaggio dai documenti alla vita. Il Rinnovamento carismatico – continua – è un rinnovamento profetico prima ancora che carismatico». E ha riportato alla luce le manifestazioni del carisma profetico (cf 1 Cor 14); in primo luogo, il dono delle lingue. (...) Preghiera, umiltà e amore: sono alcune delle condizioni che permettono a Dio di usare l’uomo nella sua opera di salvezza. Concludendo, p. Raniero esorta ad essere profeti, in forza del Battesimo. "Lo si può essere non solo con la bocca, ma con gli occhi, lo sguardo, il sorriso, la vita. Chiediamo a Dio – dice rivolgendosi ai membri dell’assemblea – di mandarci come profeti". (Padre Raniero Cantalamessa è particolarmente felice di celebrare il suo 50° anniversario di sacerdozio con una assemblea di circa 20.000 fratelli, che con lui sanno moltiplicare il suo rendimento di grazie)
Oggi purtroppo, ricorda il predicatore della Casa Pontificia, si sta diffondendo una mentalità secondo la quale cerchiamo di prolungare la vita dell’uomo fino a 150 anni, aiutati dalla scienza che promette di realizzare un tale sogno. A noi cristiani però non interessa la quantità, bensì la qualità della vita. Noi crediamo in una vita soprannaturale, mentre il mondo crede in una super-vita naturale.
Noi quindi risorgeremo, ma quando? San Leone Magno – ha ricordato p. Raniero – parla di due risurrezioni: una del corpo che avverrà alla fine dei tempi, e l’altra è la risurrezione del cuore, e quella avviene anche oggi.
Questa risurrezione porta speranza e oggi viviamo in un tempo e in una società che hanno bisogno di speranza. E noi siamo chiamati a portare questa speranza – ha concluso p. Raniero – in particolare le donne, a cui Gesù ha affidato l’annunzio della risurrezione.

Rigenerati dalla Parola di Dio viva ed eterna» (1 Pt 1, 23). È sul tema del Convegno l’intervento conclusivo: relatore, il presidente del RnS Salvatore Martinez. Il presidente del RnS apre la relazione conclusiva con l’episodio dell’incontro di Gesù con Nicodemo (cf Gv 3, 1-21), un uomo che è «immagine di un’umanità assetata». Il dubbio non è nemico della fede, e la vera laicità che manca al nostro Paese – dice con forza dal palco Salvatore Martinez – è quella di Nicodemo; quella capace di fare domande, non di dare risposte; quella che nasce dal dubbio, dall’interrogazione. Nelle parole di Martinez, un’esortazione vigorosa al popolo del Rinnovamento perché evangelizzi, senza paura, mettendo a frutto il potere dei sacramenti e i carismi: «Dobbiamo testimoniare Cristo proclamandolo. Anche il Rinnovamento va proclamato perché è un’opera dello Spirito - dice ai migliaia di presenti -. Dobbiamo credere e osare!». Inventando soluzioni nuove, trovando nuovi spazi di evangelizzazione. Nel nostro tempo l’umanità è aggredita da tutte la parti. E «nei nostri gruppi le persone devono conoscere non la prepotenza umana, ma la potenza di Dio». «Evangelizzare – continua Martinez - è umanizzare, educare». «Dobbiamo ancora far conoscere alla Chiesa la grazia dell’effusione dello Spirito; portarla nei seminari teologici, nei monasteri, nei luoghi pubblici. Perché tutti hanno bisogno di “rinascere dall’alto”… Il mondo vuole rinascere!». Martinez esprime gratitudine verso Benedetto XVI, i Vescovi e i Cardinali che sono intervenuti nei giorni della Convocazione o hanno fatto pervenire i loro messaggi di saluto al Rinnovamento: tutti, ricorda, «ci hanno esortato a sottolineare, con il nostro modo di vivere la fede, l’attualità dei carismi». «Siamo “cittadini dello Spirito” – dice citando Giovanni Paolo II -. Occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini», rimanendo sempre aperti ai continui cambiamenti e alle continue rinascite spirituali; non restando ancorati al “vecchio”– dice ancora commentando l’episodio dell’incontro di Gesù con Nicodemo. E conclude: «Guai a voi e guai a me se da questo Incontro torniamo a casa “vecchi” e non rigenerati dallo Spirito!».

La Concelebrazione eucaristica presieduta dal card. Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione per i vescovi ha chiuso la XXXI Convocazione nazionale. Nel momento della salita al cielo di Gesù Cristo – ha detto il Cardinale – gli apostoli «rimangono sul monte degli Ulivi col naso all’insù. Non riescono a staccare i loro occhi dal cielo, con in cuore un’intensità di sentimento incontenibile». Certo oggi per un evento del genere ci aspetteremmo qualcosa di più spettacolare, perché quell’avvenimento chiude un epoca, quella del passaggio terreno di Gesù, e ne apre un altra, quella della Chiesa. “Il vero significato dell’Ascensione è che Cristo – continua il porporato – esce dalla storia per diventare contemporaneo di ogni uomo e di ogni donna fino alla fine dei secoli», così il Salvatore diventa compagno invisibile di viaggio di ogni uomo, chiamato a vederlo con gli occhi della fede e a testimoniarlo fino ai confini della terra, proprio come fu per gli apostoli, duemila anni fa.
Riferendosi poi al tema della Convocazione ha affermato che «una crescita nella conoscenza della parola di Dio rende matura e solida la fede e aiuta a comunicare il fascino del Vangelo e la bellezza di una vita tesa in uno sforzo di rinnovamento spirituale». Infine il Cardinale ha fatto richiesta al Rinnovamento di contribuire a rendere «la nostra Chiesa cattolica sempre più bella, più credibile, più santa e a rendere il mondo più rispondente al disegno di Dio».

Viaggio tra il popolo del Rinnovamento


(Rimini 1-4 maggio 2008)

Il mio ritorno alla fede e il mio cammino di preghiera è avvenuto e si è evoluto in ambienti monastici avvolti dal silenzio e profumati dalla pratica dell'orazione silenziosa. Così questa opportunità di conoscere più da vicino il mondo del Rinnovamento e i suoi protagonisti è stata una autentica scommessa con me stessa e con tutte quegli “strati” di impressioni, preconcetti, giudizi maturati e “sedimentati” negli ultimi dodici anni di frequentazioni ecclesiali in cui pur avendo sempre incontrato di qua e di là membri del Rinnovamento e in alcuni casi stabilito anche buone amicizie, mi hanno sempre ostacolato nell'approfondire la conoscenza. Ma sono convinta che a portarmi a Rimini non sono state tanto le amicizie, quanto le ultime trasmissioni radiofoniche che sto dedicando alla Sacra Scrittura, alla Lectio, e ai diversi modi in cui nel tempo è stata praticata e ancora nei diversi modi in cui oggi è intesa e proposta. Una sorta di guida (sia storica che pratica) all'ascolto della Parola e a come pregare la Parola. Così per le pause di questo viaggio ho portato con me un piccolo libro, le regole pacomiane, pronta a rifugiarmi tra le sue pagine in caso di “spaesamento” ambientale! Del monaco Pacomio a cui si deve l'incipit della vita monastica cenobitica, si dice che “quando parlava appariva una grande luce per cui tutti i fratelli erano impressionati dalle sue parole che uscivano come lampi abbaglianti dalla sua bocca, ed erano come uomini ebbri di vino, secondo quanto è scritto: il loro cuore sia felice come il cuore di quelli che bevono vino (Zc10,7). Pacomio arrivava a dire che “un solo salmo è sufficiente a salvarci purché lo leggiamo bene e ci applichiamo ad esso” e aggiungeva “sopra ogni altra cosa abbiamo l'evangelo di nostro Signore, pienezza di tutte le Scritture”. Ma lo “spaesamento” non c'è stato e Pacomio è rimasto in valigia. Sarò sincera, fedele a quello spirito di verità che ho percepito in tutte le testimonianze e negli interventi che sono stati fatti e dirò subito che più di qualsiasi discorso mi ha tranquillizzata guardare il volto del presidente nazionale Salvatore Martinez. Somiglia al volto di Cristo che dipingo da anni nelle mie icone, ma anche al Santo Volto raffigurato in certi mosaici della Sicilia. Non credo che sia un eresia dire ciò, anche di certe donne si usa dire che hanno un volto di madonnina! Ma quello, ho pensato, è il volto di uno che prega seriamente e che trasmette anche senza aprire bocca la pace riconciliatrice di Cristo. Da lì in poi, il mio spirito critico si è placato, anche nei lunghi momenti dei canti in “lingua” così nuovi per chi li ascolta per le prime volte, certo non sono riuscita a farlo anch'io, non ho neanche provato, però mi sono accorta che contemporaneamente potevo pregare bene e in profondità così come sono abituata a fare e che il loro canto sospingeva le mie preghiere. Ecco, ho pensato, ventimila persone che desiderano pregare non solo con la bocca, ma con “le viscere”. Non è per fare paragoni arditi ma dopotutto la mia predilezione per la recita dei salmi con il tono retto, che è quello che ti costringe quasi a coinvolgere anche la “pancia” nella preghiera...e il giubilo del cuore di cui parla S. Agostino...Ecco, ho pensato, questo popolo numeroso che viene in gran parte dal sud, ritrova qui la sua esuberanza di temperamento che certamente sta stretta in certe assemblee come “ingessate”, dove lo Spirito che è vita è e che suscita i carismi è stato bandito come un sovvertitore di popoli. Questo popolo qui ritrova la linfa vitale della gioia cristiana che fa ripetere con S. Serafino: “Gioia mia, Cristo è Risorto!” A questo punto rimaneva ancora un dubbio che suscitava in me perplessità, il gesto dell'imposizione delle mani che avevo visto praticare sovente nei gruppi del rinnovamento, gesto per me solenne e sacerdotale, prerogativa di consacrati, vescovi o cardinali per i consacrati, da non svilire certamente né da rendere un gesto qualsiasi. Ecco allora che una chiara precisazione di P. Raniero Cantalamessa, chiarisce come quel gesto di preghiera gli uni sugli altri, sui propri vicini di sedia o anche sui sacerdoti presenti non sia “imporre le mani”, ma altra cosa. E poi ancora i movimenti del corpo nella preghiera, come non pensare a quelle splendide pitture delle sale della biblioteca vaticana che raffigurano le otto posizioni della preghiera di S. Domenico? Quanti di queste persone che ora hanno le braccia alzate le conoscono? Quanti hanno appreso dai loro catechisti che vi sono delle posture del corpo, delle mani, del capo, degli occhi che aiutano nella preghiera, e che non è prerogativa dei santi del passato alzare le braccia al cielo o fare prostrazioni, o incrociare le mani sul petto. Forse lo sa chi ha conosce un po' la storia dell'arte e ha visitato un certo numero di antiche chiese ben affrescate. Già Origene consigliava di recitare il Padre nostro alzando gli occhi al cielo, ma oggi chi lo fa è perché ha visto pregare i veggenti di Medjugorie, i quali durante le apparizioni hanno gli occhi rivolti al cielo. Ma questo da un punto di vista soprannaturale non è importante, se nostro Signore vuole far crescere il tono spirituale del suo popolo, può servirsi di ogni cosa, sta poi alla vigilanza dei pastori o dei capo-gruppo vagliare quello che è sano e quello che rischia di degenerare. Ancora una confessione ho da fare, fedele allo Spirito di Verità che ho sentito aleggiare tra il popolo del rinnovamento: un pensiero ha attraversato il mio cuore nel primo pomeriggio di venerdì: il ricordo dell'ora della Passione del Signore. Ma proprio intorno alle ore quindici, i musicisti hanno tirato fuori una danza piuttosto vivace e molti (giovani) davanti al palco danzavano. Certamente, mi sono detta, siamo in tempo pasquale, ma per me è comunque quasi inevitabile quel minuto di silenzio e memoria della croce. In quel momento ho desiderato essere nello spazio definito “del silenzio” dove c'è una cappellina e magari meditare sulla Via Crucis. Non l'ho fatto perché bisognava nuotare tra la folla danzante ed era abbastanza impegnativo! Ma sono certa che altri, magari più lontano dall'orchestra, l'hanno fatto anche per coloro che in quel momento non potevano muoversi dalle loro sedie. Ma va detto però che momenti di “sacrificio” non sono comunque mancati, in ogni gruppo, inevitabili, credo, quando ci si ritrova in tantissimi. Dall'autista del pulman che smarrisce la strada (confesserà durante il viaggio di ritorno che la notte non aveva dormito per riparare da solo un pezzo di motore rotto che ci avrebbe impedito di partire!), ai momenti del pranzo in cui pochi si ritrovavano nel piatto ciò che avevano ordinato, fino alle lunghe file per entrare e uscire dai padiglioni della fiera. Ma alla fine vinceva sempre il sorriso lì dove avrebbe potuto scappare la pazienza, e tutto, anche l'accidente imprevisto diveniva occasione di meditazione! Lode a te Signore, per quanto hai compiuto e per quanto hai voluto mostrarmi! (M.L.A.)





lunedì 5 maggio 2008

Un anno da Presidente: Auguri!


Nicolas Sarkozy: Repubblica, Religioni, Speranza
Da: Conversazioni con Thibaud Collin e Padre Philippe Verdin, Nuove Idee, introd. G. Fini Posted by Picasa(2004)
La religione al servizio della società:
(...) Credo sia utile per una società totalmente orientata verso l'attività, la produzione, l'azione spasmodica, che abbia luoghi adatti alla contemplazione e uomini che guidino con la loro vita e la loro saggezza, i loro contemporanei nelle vie della pratica contemplativa. I contemplativi sono preziosi per la nostra crescita civile. Credo nella loro utilità. Essi sono complementari a noi, che viviamo in pieno l'attualità della società. Ho sempre ritenuto che la consacrazione alla vita contemplativa sia un fattore di sollievo anche per quelli che l'osservano dall'esterno. Mi dispiace anche che per essere realmente un fattore di sollievo, il contemplativo debba essere contemplato. Ora ciò rappresenta un caso raro. Comprendo assai bene le ragioni spirituali che spingono i contemplativi a isolarsi, ma penso che un contemplativo che possa essere osservato arrechi ricchezza interiore ed equilibrio e sia un uomo utile alla società. E' senza dubbio paradossale che sia io, indicato spesso come iperattivo, a dirlo, ma credo nell'importanza della vita contemplativa per la società. Sul piano personale la visione della serenità mi procura la pace e il distacco di cui ho bisogno. Ho avvertito questo sentimento in ogni visita ad un monastero. Vi ho visto una forza serena che non aveva bisogno di apparire per esistere.
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La discussione sullo statuto delle diverse confessioni:
(...) Non credo che la grandezza della Chiesa si costruisca sulla rivalità e sulla discriminazione. Il messaggio universale del cristianesimo è un messaggio di apertura e di sensibilità culturale. I responsabili culturali dovrebbero rallegrarsi quando i giovani hanno la fede, sia le fede del credo cattolico o la fede musulmana, piuttosto che un agnosticismo disperato. La vera battaglia oggi non è con l'Islam, è con la seduzione del denaro, della violenza, della droga, e con la perdita di senso della vita, e con l'insofferenza di numerose persone di fede cattolica, orami prive di speranze nell'avvenire. L'obiettivo è quello di dare alle persone un senso alla loro vita. E' questo il tema dell'omelia del Papa a Longhamp, alla conclusione delle giornate mondiali della gioventù: "Dio è là dove si trovano coloro che credono in lui". Se Dio è là dove si trovano coloro che credono in lui, perché dovrebbe essere in una cattedrale e non in una moschea? Nell'animo di un cristiano e non di un musulmano? Non nella stessa maniera, non certamente con le stesse finalità sociali. Non mi permetto di giudicare i credenti in rapporto alla peculiarità delle loro credenze. Prendo la fede come fatto da rispettare, non lo classifico. Con quale diritto ci potremmo consentire di stabilire un ordine gerarchico? Per la Chiesa cattolica la buona novella dovrebbe essere che gli uomini sperano. (...)
Per un musulmano credente come per un musulmano non credente, l'islam è una parte della propria identità. E' stato educato con essa, è diventato grande con questo punto di riferimento (...) Negare l'islam di Francia significa negare una parte dell'identità culturale dei nostri compatrioti musulmani. Ora sono profondamente convinto che una identità umiliata o negata sia una identità che per reazione diviene estremista. (...)
L'islam è una grande religione. In certi momenti della storia è stato all'avanguardia delle arti, della filosofia, della scienza. E' imbevuto di valori umanistici universali: l'amore, la pace, la giustizia, il rispetto della vita. Un'ala delle sue correnti ha difficoltà a combinare le sue convinzioni di fondo con la modernità. Ma anche la religione cattolica ha conosciuto questa sfida(...) Colui che non ama gli Arabi ha lo stesso volto di chi detesta gli ebrei : è il volto della stupidità e dell'odio.
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Insegnare al fede, educare l'uomo:
(...)Tutto ciò che può aiutare a dare un senso alla vita è importante in un momento in cui è così difficile trovare punti di riferimento. Si potrebbe descrivere questo apporto preannunziando che la fede arreca colori all'esistenza, rilievo ai concetti dei diritti e dei doveri, profondità a un quotidiano a volte scialbo e privo di prospettive. Non si possono educare i giovani basandosi esclusivamente sui valori temporali, materiali, addirittura anche repubblicani. L'educazione religiosa è un aposta importante perché l'unica tra le attività proposte ai giovani che non sia rivolta unicamente o principalmente al piacere personale. Obbliga a uscire dall'egoismo e apre il cuore a dimensioni che la sorpassano: l'alterità, la vita come progetto specifico voluto da Dio ed il posto dell'uomo nel seno di questi, il mondo come destino collettivo in cui ciascuno prende la propria parte. L'educazione religiosa, il catechismo, la scuola domenicale, non sono attività come il piano, lo judo, la danza e il disegno.
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Insegnare le fede, educare l'uomo:
(...) La morale repubblicana non può rispondere a tutte le domande né soddisfare tutte le aspirazioni. Permette di formare, aspetto affatto disprezzabile, cittadini. Ma è insufficiente nelle risposte agli interrogativi basilari dell'uomo. La morale repubblicana si fonda nel rispetto della legge. E' morale ciò che è conforme alla legge. Nella sfera spirituale non si pone nello stesso ordine. Non è obbligatoriamente morale ciò che rispetta la legge e non è forzatamente immorale ciò che non la rispetta. Si è in un altra logica e penso che le due si riflettano, si completino, si armonizzino e si arricchiscano nel vivere in interconnessione. La vita spirituale rappresenta di solito la base di impegni umani e filosofici che la Repubblica non può offrire, dato che non conosce il bene o il male. La Repubblica difende la regola, la legge, senza riconnetterle ad un ordine spirituale. Indica le cose consentite e quelle vietate, non indica quelle buone e quelle cattive. La religione al contrario può fornire questo parametro.
(...) Dico "può fornire" perché conviene non essere ingenui: la religione può anche essere un pretesto per la violenza. Il fenomeno religioso non è di per positivo. Dopo aver rilevato l'importanza dei problemi spirituali, dopo aver riconosciuto il ruolo delle grandi confessioni, indubbiamente la religine cattolica e le altre, non ho difficoltà ad ammettere che il fenomeno religioso può diventare devastante quando è falsato e reso farsesco(...)
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Il ruolo giocato dalle religioni nella costruzione di una morale comune:
(...) La libertà della pratica religiosa non è contraria alla Repubblica: non vedo perché la libertà di pregare minaccerebbe la Repubblica. Mi considero agli antipodi di quel vecchio ministro che rifiutava di entrare in una chiesa con la scusa di essere un ministro della Repubblica. La legge non ha contrattato con le religioni, ma ha dovuto assicurare a tutte uno spazio di libertà. Dando un senso alla vita di ognuno, le religioni placano le tensioni e favoriscono l'integrazione generale nella comunità nazionale. Possono in sintonia realmente contribuire alla formazione degli elementi creatori di una morale comune fondamentale.