lunedì 27 giugno 2011

Cultura e Società: Ogni anno in 45 mila lasciano l'Italia

Il Rapporto Italiani nel Mondo 2011 della Fondazione Migrantes: oltre 4 milioni gli iscritti nelle anagrafi. In aumento le migrazioni qualificate di Alberto Colaiacomo da www.romasette.it

Sono 45 mila gli italiani che ogni anno decidono di lasciare la penisola per trasferirsi all’estero in cerca di lavoro o per migliorare la propria condizione professionale. Roma, insieme alle regioni meridionali, è la provincia da cui origina la maggior parte dei flussi. Accanto a tanti immigrati che giungono dai Paesi più poveri del mondo, l’Italia continua così ad essere una delle nazioni con il maggior numero di connazionali all’estero: 4,1 milioni quelli iscritti nelle anagrafi, quasi 80 milioni gli oriundi, cioè i discendenti delle migrazioni del passato.

È il dato che emerge dal Rapporto Italiani nel Mondo 2011 della Fondazione Migrantes, l’organismo della Conferenza Episcopale Italiana che cura la pastorale per gli emigrati. Secondo lo studio, giunto alla sesta edizione e presentato oggi, 21 giugno, emerge che gli italiani oltre confine sono cresciuti di 90 mila unità nell’ultimo anno, la metà dei quali acquisendo la cittadinanza all’estero perché figli o coniugi.

Degli oltre 4 milioni di emigrati, poco meno della metà è donna (48%), un quinto ha più di 65 anni ed il 16% è invece minorenne. Concentrati in larga misura in Europa (2 milioni e 263 mila) e in America (1 milione e 629 mila), gli emigrati dal Belpaese hanno realizzato consistenti insediamenti anche in altri contesti, come in Sudafrica e in Australia, mentre, con numeri più contenuti, sono presenti praticamente in tutti i Paesi del mondo.

Il direttore generale della Migrantes, monsignor Giancarlo Perego, ha evidenziato l’importanza del Rapporto come strumento della memoria «nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, alla quale l’emigrazione ha fornito un grande apporto nel passato e uno ancora più grande potrà darlo nel futuro».

Anche se erroneamente si continua a parlare di emigrazione al passato, monsignor Perego afferma che l’esperienza dei connazionali nel mondo «rappresenta un’interconnessione fondamentale per leggere l’Italia attuale». Questo, ha spiegato il sacerdote presentando il Rapporto, per due motivi: uno storico, «perché pur svolgendosi tra enormi sofferenze, la nostra emigrazione costituisce un esempio di impegno individuale e collettivo su cui si è costituita l’Italia unita». Un secondo motivo è invece per comprendere una realtà che ha nella mobilità un fenomeno attuale. «Il nostro passato migratorio – ha spiegato Perego – ha avuto una ragguardevole dimensione di massa, così come la sta avendo il flusso in entrata in Italia dei cittadini stranieri».

La “fuga dei cervelli” e le migrazioni qualificate sono però l’aspetto che più di ogni altro fa capire la situazione attuale del nostro Paese. Sono migliaia i “talenti” italiani inseriti nei centri di ricerca e nelle multinazionali di tutto il mondo, migliaia di laureati lasciano annualmente l’Italia, 6.153 gli operatori all’estero per conto delle Ong italiane, 18 mila gli studenti universitari che si spostano annualmente all’interno del programma Erasmus e 42 mila gli iscritti alle università estere. Francia (16,5%), Stati Uniti (16,1%), Spagna (14,3%), Inghilterra (11,9%) e Germania (10,1%) rappresentano le mete di studenti e ricercatori, offrendo opportunità professionali adeguate.

«Il mese scorso – ha dichiarato Delfina Licata, curatrice del Rapporto – la rivista Popular Science ha pubblicato la lista Brilliant Tenovvero i 10 scienziati più promettenti che hanno meno di 40 anni e lavorano negli Stati Uniti. Tra loro due italiani trentenni, fuggiti dall’Italia perché non riuscivano ad ottenere borse di studio».

Cultura e Società: McLuhan al simposio su «Università e saperi»


Il celebre studioso tra i relatori della giornata inaugurale del meeting, promosso dall'Ufficio diocesano per la pastorale universitaria, alla Lateranense. I contenuti della tre giorni  (di Laura Badaracchi da www.romasette)

«Per la sua capacità interpretativa della realtà, il cristianesimo può offrire alle discipline accademiche, nessuna esclusa, quella forza che consente di collaborare in una prospettiva unitaria a servizio della costruzione della società e in controtendenza alla dispersione dei saperi». Monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale universitaria, sintetizza così gli intenti dell’ottavo simposio internazionale dei docenti universitari, sul tema “L’Università e la sfida dei saperi: quale futuro?”, in programma dal 23 al 25 giugno presso il Centro congressi auditorium Antonianum (viale Manzoni, 1).

Promosso dallo stesso Ufficio diocesano in collaborazione con i ministeri dell’Istruzione e degli Esteri, la rappresentanza in Italia della Commissione europea, Roma capitale, Provincia di Roma, Regione Lazio, Cnr, Camera di Commercio di Roma, l’evento ha ricevuto l’Alto patronato della Presidenza della Repubblica e vedrà la partecipazione di circa 400 professori, in arrivo anche da diversi Paesi europei, asiatici, africani, latinoamericani e dell’America del Nord. Durante la cerimonia inaugurale, che si terrà dalle 15.15 presso l’aula magna della Pontificia Università Lateranense, interverrà Eric McLuhan, docente emerito della University of Toronto, con oltre 40 anni di esperienza nel settore, figlio di Marshall, il famoso esperto della comunicazione. Dopo il ministro dell’Istruzione, università e ricerca Mariastella Gelmini, tra i relatori il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, e Jakob Rhyner, vicerettore per l’Europa della United Nations University di Bonn.

Il simposio è rivolto in primo luogo ai docenti «ed è stato preparato con cura dal comitato scientifico, che ha lavorato per un anno a questo scopo», riferisce Anna Maria Favorini, docente alla facoltà di Scienze della formazione presso l’Università degli studi Roma Tre. Le diverse sessioni suggeriscono una riflessione «sul ruolo degli atenei nel mondo contemporaneo: un’esperienza da rimodulare in prospettiva del terzo millennio», aggiunge monsignor Leuzzi. Precisando che prima di essere economica e organizzativa, «la crisi dell’università è anzitutto una crisi epistemologica»: uno scoglio da superare per una formazione sempre più ampia delle nuove generazioni. Senza mai perdere di vista «quattro pilastri essenziali della ricerca, su cui far ruotare e rilanciare i saperi: verità, bellezza, giustizia e bene, valori fondanti per ogni uomo sui quali ci confronteremo».

Responsabile delle aree tematiche sono, rispettivamente, Giandomenico Boffi (Libera Università degli studi Luspio), Luigi Frudà (Sapienza Università di Roma), Alberto Gambino (Università europea di Roma) e la stessa Favorini, che precisa come i quattro ambiti «si raccordino, nell’ottica di una interdisciplinarietà e di un pensiero condiviso». Inoltre ciascuna area prevede, a sua volta, un approfondimento in sessioni; il bene, ad esempio, sarà analizzato dalla prospettiva «della salute, di benessere e psiche, di sviluppo sostenibile e morale, dell’educazione», riferisce Favorini, spiegando che «l’interesse e le adesioni dei docenti anche stranieri hanno permesso di implementare via via le diverse aree, nella concezione dell’università come agenzia privilegiata nel promuovere un discorso educativo rivolto ai giovani, tenendo presenti i bisogni della nuova era».

Nel pomeriggio di sabato 25 si tireranno le fila di tre giorni di relazioni, dibattiti, comunicazioni, workshop, convegni collaterali previsti rispettivamente al ministero degli Esteri e dell’Istruzione. Un’elaborazione culturale «a cui contribuiranno in modo significativo i rappresentanti di ogni ateneo».

Programma dettagliato su www.universitas2000.org.

22 giugno 2011

lunedì 20 giugno 2011

OMAGGIO ARTISTI AL PAPA 60° ORDINAZIONE SACERDOTALE

CITTA' DEL VATICANO, 17 GIU. 2011 (VIS). Questa mattina, presso la Sala Stampa dellaSanta Sede, ha avuto luogo la presentazione della Mostra "Lo splendore della verità, la bellezza della carità - Omaggio degli Artisti a Benedetto XVI per il 60° Anniversario di Ordinazione Sacerdotale", che ricorre il 29 giugno prossimo.


  Alla presentazione sono intervenuti il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e il Monsignor Pasquale Iacobone, Capo del Dipartimento "Arte e Fede" del medesimo Dicastero.

  L'esposizione che sarà inaugurata dal Santo Padre nella mattina di lunedì 4 luglio, si terrà nell'Atrio dell'Aula Paolo VI in Vaticano e rimarrà aperta e visitabile dal 5 luglio al 4 settembre 2011.

  Il Cardinale Ravasi ha spiegato che la presente iniziativa è stata promossa "sulla scia del memorabile incontro del Sommo Pontefice con gli Artisti del 21 novembre 2009 nella Cappella Sistina". Gli artisti, in maggioranza italiani, appartengono a diverse categorie artistiche: pittura, scultura, architettura, fotografia, letteratura e poesia, musica, cinema, oreficeria.

  La mostra assume rilevante significato per "il dialogo tra la Chiesa e gli artisti, come pure" per "la presenza in contemporanea di artisti di chiara fama e appartenenti alle diverse aree di espressione, che si cimentano con un tema di grande profondità e valenza spirituale"

domenica 12 giugno 2011

Pentecoste

At 2,1-11; Sal 103; 1 Cor 12,3-13;  Gv 20,19-23 (Commento di Padre Elia Citterio)

            L’evento della pentecoste è narrato in At 2,1-11, ma secondo il vangelo di Giovanni Gesù ha già effuso il suo Spirito morendo sulla croce ealitandolo sui discepoli la sera di Pasqua (cfr. Gv 19, 30.34 e 20, 19-23), gesto che allude alla nuova creazione (cfr. Gn 2,7).
Il gesto del soffiare lo Spirito sui discepoli da parte di Gesù non comporta solo l’assicurazione alla chiesa che potrà, nel suo nome, esercitare ilpotere sacramentale di rimettere i peccati. Allude soprattutto all'essenza stessa dell'esperienza cristiana. Come possiamo fare esperienza dell'incontro con Dio? “Dio ha fatto grazia di sé a voi in Cristo” (Ef 4,32), è l’annuncio evangelico che riassume l’opera di Dio per l’uomo. Quando nella preghiera del Padre nostro domandiamo: ‘rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori’, domandiamo prima di tutto di diventare così coscienti del nostro essere peccatori da poter gustare l’amore perdonante di Dio ogni giorno, a tal punto da condividerne l’esperienza con tutti. In effetti, più questa esperienza è profonda e veritiera, più possiamo accedere a quello stile di vita divina che corrisponde al far grazia di noi a tutti in Cristo, nell’imitazione di Dio, e così ritrovarci veri figli dell’Altissimo. Come dice la beatitudine: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9): beati coloro che non hanno altro scopo nel loro vivere se non di perseguire la pace ottenutaci dal Figlio di Dio, perché saranno come lui che, venuto a testimoniare quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini, non ha preferito se stesso e ha accettato di essere consegnato nelle mani degli uomini.
Chi abilita noi peccatori a essere come il Figlio? Lo Spirito di Gesù, lo Spirito che Gesù ci invia. Perciò egli ci è inviato a doppio titolo:
- per portarci ad una coscienza sempre più viva e bruciante del nostro essere peccatori davanti a Dio e introdurci alla conseguente esperienza del perdono che ci inonda e ci rinnova in Cristo;
- per abilitarci a vivere in Cristo, secondo lo scopo dell'agire stesso di Dio: fare di tutti una cosa sola, finché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1Cor 15,28). Sarà l’opera specifica dello Spirito Santo, l’opera della fraternità come rivelazione della paternità di Dio. Come direbbe Francesco di Assisi: ‘avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione’.
Nell’inno alle lodi abbiamo cantato: “Vieni, o divino Spirito, con i tuoi santi doni e rendi i nostri cuori tempio della tua gloria”. E in una colletta che precede la festa abbiamo pregato: “crei in noi un cuore nuovo perché possiamo piacere a te e cooperare alla tua volontà”. È la gloria di un cuore che fa splendere l’amore di Dio per tutti, di un cuore sempre rinnovato dall’amore perdonante di Dio a tal punto da non rivendicare alcun diritto per sé perché l’unico suo tesoro è appunto quell’amore; di un cuore che piace a Dio perché si trova unito al suo Figlio sul quale riposa tutta la sua compiacenza, mentre si fa portatore di quella volontà di Bene da parte di Dio verso tutti perché tutti possano conoscere il Suo amore. La responsabilità della testimonianza non sarà più vissuta come impegno o dovere ma come sovrabbondanza: lo Spirito riempirà di Gesù i nostri cuori fino a che tutta la sua verità risplenda e conquisti, me come tutti. La testimonianza è in funzione di uno splendore, non di un impegno!
Quando, a Pentecoste, compaiono sul capo degli apostoli le lingue, l’annuncio evidente risulta essere questo: ormai tutti possono percepire che è l’opera di Dio a unire gli uomini. E l’opera di Dio è la verità del suo amore per noi, che in Gesù si è fatto visibile e accessibile. Il miracolo che a Pentecoste acquista una rilevanza fisica, tanto che ognuno sente proclamare l’opera di Dio nella sua lingua nativa  (da notare che ogni lingua, pur essendo diversa, proclama la stessa ed unica cosa!), è lo stesso miracolo che viene operato nei cuori dallo Spirito quando li convince a muoversi nella carità, aprendo la diversità alla comunione. Riconoscere, assecondare, favorire tale dinamica, significa aver ricevuto lo Spirito Santo e agire nella sua potenza. Lo Spirito non può che condurre alla conoscenza del mistero del Signore Gesù, che dell’amore di Dio per gli uomini è il testimone per eccellenza. Quando gli apostoli, davanti ai persecutori, preferiscono la carità di Gesù, non scelgono solo di stare dalla parte di Gesù, ma anche dalla parte degli uomini che della sua carità devono poter vedere lo splendore in atto.
Nella preghiera: “Vieni, santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore”,  il fuoco esprime la condivisione di un segreto capace di far ardere il cuore. È la preghiera perenne della chiesa perché si conosca il Signore come amore per noi, capace di unire gli uomini in un’unica famiglia, la famiglia di Dio.