mercoledì 29 luglio 2009

La perdita dello stato clericale di padre Vlasic non è un giudizio su Medjugorje

Spiega il Procuratore Generale dell'Ordine dei Francescani

di Jesús Colina

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 29 luglio 2009 (ZENIT.org).- L'accettazione da parte di Benedetto XVI della perdita dello stato clericale di padre Tomislav Vlasic non rappresenta un giudizio sulle testimonianze delle apparizioni della Madonna a Medjugorje, spiega il Procuratore Generale dell'Ordine dei Frati Minori (Francescani).

Padre Francesco Bravi ha informato questo mercoledì ZENIT del fatto che la misura non è stata imposta dalla Santa Sede, ma ha avuto luogo in risposta alla richiesta presentata da colui che fino ad ora era un sacerdote francescano di essere dispensato non solo del celibato sacerdotale, ma anche dei voti religiosi.

"È stato lui a chiederlo", ha spiegato padre Bravi, sottolineando che anche se è vero che Vlasic era viceparroco di Medjugorje quando ci sono state le prime testimonianze delle apparizioni, che sono all'analisi della Santa Sede, vive da più di vent'anni in Italia.

Era religioso della provincia francescana di San Bernardino di Siena (L'Aquila) e ha fondato la comunità "Kraljice mira potsuno Tvoji - po Mariji k Isusu" (Regina della Pace, tutti tuoi - a Gesù attraverso Maria).

Vlasic ha chiesto alla Santa Sede di essere dispensato dai doveri propri del ministero sacerdotale, spiega Bravi, perché non vuole accettare le sanzioni che gli ha imposto la Congregazione per la Dottrina della Fede con un decreto (prot. 144/1985) del 25 gennaio 2008, firmato dal Cardinale William Levada, Prefetto, e dall'Arcivescovo Angelo Amato, Segretario della Congregazione.

Nel decreto, reso pubblico da monsignor Ratko Peric, Vescovo di Mostar-Duvno, la Diocesi in cui si trova Medjugorje, su incarico della stessa Congregazione vaticana, si osserva che le sanzioni si sono imposte di fronte alle accuse contro il sacerdote "per divulgazione di dubbie dottrine, manipolazione delle coscienze, sospetto misticismo, disobbedienza ad ordini legittimamente impartiti ed addebiti contra sextum" (cioè contro il sesto comandamento).

Il decreto ha stabilito cinque sanzioni, tra cui il dovere di rimanere in una casa dell'Ordine francescano della Lombardia determinata dal Ministro Generale dell'Ordine, padre José R. Carballo, e il divieto di mantenere ogni relazione con la comunità Regina della Pace e con i suoi membri.

Il testo vieta inoltre di "effettuare negozi giuridici e agire negli organismi amministrativi" senza licenza scritta del Ministro Generale dell'Ordine e stabilisce l'obbligo "di seguire un iter formativo teologico-spirituale con valutazione finale e, previa recognitio di questo Dicastero, emissione della professio fidei".

Proibisce infine "l'esercizio della ‘cura d'anime', la predicazione, i pubblici interventi ed è revocata la facoltà di confessare fino alla conclusione di quanto disposto".

Padre Bravi ha detto a ZENIT che il sacerdote non ha riconosciuto le accuse che gli sono state rivolte e che per questo motivo non ha nemmeno accettato le sanzioni. Ha quindi chiesto di essere dispensato dall'esercizio del suo ministero sacerdotale e dalla sua condizione di religioso.

Allo stesso tempo, ha il divieto assoluto di esercitare qualsiasi forma di apostolato, così come di fare dichiarazioni, soprattutto su Medjugorje.

Padre Vlasic ha avuto un ruolo importante all'inizio dei racconti sulle apparizioni di Maria riferite da sei giovani nel 1981, perché lavorava in quella parrocchia, pur non essendo parroco. Nel 1985 si è tuttavia trasferito in Italia.

Anche se ha interpretato i racconti pubblicamente e per iscritto, a volte è stato contraddetto dai veggenti.

Ad esempio, ha affermato che la comunità da lui fondata nasceva per espresso desiderio della Vergine, aspetto negato dalla veggente Marija Pavlovic in una lettera inviata alla Santa Sede.

Il Vescovo di Mostar si è dichiarato pubblicamente contrario alle testimonianze relative alle apparizioni di Medjugorje, ma il dossier è ora allo studio della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Nel libro pubblicato dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di Benedetto XVI ed ex Segretario di questa Congregazione vaticana, "L'ultima veggente di Fatima" (Ed. Rai-Rizzoli, 2007, pagg. 103-104), si legge che "le dichiarazioni del Vescovo di Mostar riflettono un'opinione personale, non sono un giudizio definitivo e ufficiale della Chiesa. Tutto è rinviato alla dichiarazione di Zara dei Vescovi della ex Jugoslavia del 10 aprile 1991, che lascia la porta aperta a future indagini. La verifica deve, perciò, andare avanti. Nel frattempo sono permessi i pellegrinaggi privati con un accompagnamento pastorale dei fedeli. Infine, tutti i pellegrini cattolici possono recarsi a Medjugorje, luogo di culto mariano dove è possibile esprimersi con tutte le forme devozionali".

***

(di Elisa Pinna) (ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 29 LUG - Esce di scena, portandosi dietro la minaccia di scomunica da parte del papa e le accuse infamanti di eresia, manipolazione delle coscienze, misticismo sospetto e, persino sesso con una suora, il francescano Tomislav Vlasic che nel 1981 diede vita al fenomeno Medjugorje in qualita' di 'padre spirituale' dei sei ragazzini che improvvisamente cominciarono a riferire di vedere ogni giorno la Madonna. Vlasic non ha aspettato di essere scomunicato ed ha giocato d'anticipo: ha dato formalmente le dimissioni nel marzo scorso, anche se la notizia e' trapelata solo in questi giorni. Un brutto colpo per l'immagine di Medjugorje, paesino dimenticato sulle colline dell' Erzegovina, divenuto dagli inizi degli anni ottanta uno dei santuari mariani piu' frequentati del mondo, una calamita per milioni di devoti che vi si recano nonostante la Chiesa non l'abbia mai riconosciuto come sede di eventi ''soprannaturali''. Anzi il Vaticano ha guardato sempre con diffidenza a quelle apparizioni mariane cosi' puntuali, ogni giorno alle 17.00, che continuano tuttora, almeno a sentire i racconti dei veggenti, diventati adulti e sparpagliati in tutto il mondo: piu' di 40 mila visioni e non ''sembrano avere fine'', come osservo', in una visita ad Limina in Vaticano nel 2006, l'attuale vescovo della diocesi, quella di Mostar, mons. Ratko Peric. Le accuse mosse da Benedetto XVI, attraverso la Congregazione per la Dottrina della Fede, contro il 'padre spirituale' del grande fenomeno mistico sono gravissime: ''diffusione di dubbia dottrina, manipolazione delle coscienze, sospetto misticismo, disobbedienza verso gli ordini legittimamente costituiti e atti contro il 'sextum' (contro il Sesto comandamento di non commettere adulterio)''. A renderle ancora piu' fosche vi e' una frase dell'ex dicastero di Ratzinger che ha il sapore di una sentenza: i peccati di cui e' imputato il frate sono stati commessi ''nel contesto del fenomeno di Medjugorje''. Oggi il quotidiano di Sarajevo 'Dnevni Avaz' ha affermato che il frate e' stato espulso dal suo ordine. Da Roma, i francescani negano pero' che il decreto sia mai diventato esecutivo, in quanto Vlasic, di fronte alla minaccia di scomunica, ha chiesto la riduzione allo stato laicale. Con l'uscita di Vlasic, il santuario mariano chiude un altro capitolo nella sua storia, scandita dai successi e dal fascino esercitato sui credenti e dai sospetti suscitati nell'apparato della Chiesa. Gia' agli inizi, l'allora vescovo locale mons. Pavao Zanic accuso' Vlasic e gli altri francescani di essere impostori: la Madonna, nelle sue apparizioni ai bambini, non mancava mai criticare i comportamenti delle autorita' ecclesiastiche del posto e di esaltare invece le gesta dei frati che, dal loro convento, gestivano i pellegrinaggi. Nel 1984, mentre a Medjugorje fioriva il turismo religioso, Vlasic prese carta e penna per autocelebrarsi con papa Giovanni Paolo II come colui che, ''attraverso la divina provvidenza guida i veggenti''. La Chiesa invio' in quegli anni tre commissioni in loco, che non riuscirono a trovare nessun supporto alle affermazioni sugli incontri giornalieri con la Madonna; nel 1991 i vescovi dell'allora Jugoslavia sancirono che non si poteva parlare di ''apparizioni soprannaturali o rivelazioni ''. Tutt'oggi, il santuario e' ''sotto giudizio''. Nel 1985, Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, proibi' ogni pellegrinaggio ufficiale, diocesano o parrocchiale al sito religioso. Lascio' tuttavia la liberta' ai singoli cattolici di recarsi a Medjugorje anche in compagnia di preti. Divenuto papa, Raztinger ha proseguito le indagini fino al verdetto finale contro il grande regista dell'ultima epopea mistica balcanica. (ANSA).
***
29-07-2009

Lettre du ministre général de l'ordre franciscain sur le P. Vlasic de Medjugorje

Dans une lettre adressée le 10 mars au provincial de Bosnie-Herzégovine et qui vient d’être rendue publique par un blog du quotidien italien "La Stampa", le P. José Rodriguez Carballo, ministre général de l’ordre franciscain, annonce que Benoît XVI a réduit à l’état laïc le franciscain Tomislav Vlasic, accompagnateur spirituel des six voyants de Medjugorje.

***

Ma sarà veramente quella di Padre Tomislav la "maschera" oscura di Medjugorie?
E' sarà poi il caso e il momento di stare lì a fare le pulci al controverso frate se la Madre del Redentore da ormai quasi un trentennio continua a lanciare messaggi e inviti alla conversione? Con un certo successo sembra, considerando quante conversioni o pentimenti o riavvicinamenti alla fede sono nati da lì, e quante vocazioni alla vita consacrata o al matrimonio vengono da lì. Chi scrive non è mai andata di persona a Medjugorie ma ha visto nascere da lì molti frutti: qualcuno perfettamente sano, qualche altro ancora acerbo, altri ancora hanno preso il "verme", altri ancora sono caduti giù per la grandine, ma sarebbe un vero peccato se tanti anni di "lavoro" spirituale andassero dispersi per l'ostinazione di pochi. Ecco infatti che vi è la precisazione della Congregazione per la Dottrina della Fede che ciò non costituisce nessun giudizio definitivo su Medjugorie. Ma si rischia di fare come il famoso idiota che mentre il dito indica la luna, lui si mette ad guardare il dito. Allora i fatti sono questi: il povero padre Tomislav era lì in quella parrocchia quando sono cominciate le apparizioni ed ha avuto nei primi anni il ruolo di dover seguire quei ragazzi. Che fosse lui in quel momento il più santo e il più degno di questo ruolo tra i frati del suo ordine, non ho elementi per dirlo, e forse non è neanche giusto chiederselo. Molto spesso la Madre del Signore sceglie di comparire in luoghi molto poco "sacri", come le porcilaie e a persone che non sono sempre come Bernardette, per esempio Bruno Cornacchiola delle Tre Fontane.

(continua) MLA

martedì 28 luglio 2009

Ecumenismo


Che cos’è l’Ecumenismo?

■ E’ il movimento che tende all’unità dei cristiani e che comprende “attività e iniziative che, a seconda delle varie necessità della Chiesa e opportunità dei tempi, sono suscitate e ordinate a promuovere l’unità dei Cristiani” (UR 4).

La ricerca dell’unità dei cristiani è un compito sempre più urgente della Chiesa cattolica. L’ecumenismo – da distinguere dal dialogo interreligioso – trova il suo fondamento nel testamento lasciatoci da Gesù stesso la vigilia della sua morte: “Ut unum sint” (Gv 17,21). Il Concilio Vaticano II ha descritto l’impegno a favore dell’unità dei cristiani come uno dei suoi principali intenti (UR 1) e come un impulso dello Spirito Santo (UR 1, 4). Papa GIOVANNI PAOLO II ha più volte sottolineato l’“irreversibilità della scelta ecumenica”(Ut unum sint, 3). E il Santo Padre BENEDETTO XVI, fin dai primi giorni del suo Pontificato, ha assicurato di impegnarsi a fondo per la ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. In questo compito, il criterio prioritario è l’unità della Fede.

Il punto di partenza dell'ecumenismo è il Battesimo, quello di arrivo è la celebrazione comune dell'Eucaristia.

■ Il dialogo ecumenico è basato sul diritto-dovere di esprimere ciascuno, con serenità ed obbiettività, la propria identità, evidenziando ciò che si è, ciò che unisce e ciò che divide. Esporre con chiarezza le proprie posizioni non limita il dialogo ecumenico ma lo favorisce.

Perché esiste l’Ecumenismo?

Perché esistono, fra i cristiani, divisioni, che sono contrarie alla volontà di Cristo, il quale ha pregato «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21), così da giungere all’unità di tutti i cristiani in “un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10, 16), affinchè “il popolo di Dio pervenga nella gioia a tutta la pienezza della gloria eterna nella celeste Gerusalemme” (UR 3).

Benedetto XVI afferma che i cristiani aggravano oggi le loro divisioni in particolare per due motivi:

1) a causa di “cosiddette azioni profetiche fondate su un’ermeneutica non sempre in consonanza con il dato della Scrittura e della Tradizione. Di conseguenza le comunità rinunciano ad agire come un corpo unito, e preferiscono invece operare secondo il principio delle opzioni locali. In tale processo, si smarrisce da qualche parte il bisogno di una koinonia diacronica – la comunione con la Chiesa di tutti i tempi – proprio nel momento il cui il mondo ha smarrito l’orientamento ed ha bisogno di testimonianze comuni e convincenti del potere salvifico del Vangelo”;

2) molti cristiani ritengono che si deve “seguire la propria coscienza e scegliere quella comunità che meglio incontra i propri gusti personali. Il risultato è riscontrabile nella continua proliferazione di comunità che sovente evitano strutture istituzionali e minimizzano l’importanza per la vita cristiana del contenuto dottrinale. Anche all’interno del movimento ecumenico i cristiani possono mostrarsi riluttanti ad asserire il ruolo della dottrina per timore che esso possa soltanto esacerbare piuttosto che curare le ferite della divisione” (Discorso, incontro ecumenico a New York nella chiesa di Saint Joseph, 18 aprile 2008).

Che tipo di male causano le divisioni tra i cristiani?

■ Causano vari tipi di male, sia all’interno della Chiesa sia al suo esterno. Infatti:

• Sono uno scandalo, che indebolisce la voce del Vangelo.

• «Le divisioni dei cristiani impediscono che la Chiesa stessa attui la pienezza della cattolicità ad essa propria in quei figli, che le sono bensì uniti col Battesimo, ma sono separati dalla sua piena comunione. Anzi, alla Chiesa stessa diventa più difficile esprimere sotto ogni aspetto la pienezza della cattolicità proprio nella realtà della vita» (UR 4).

• “L‘universalità propria della Chiesa, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui, a causa della divisione dei cristiani, trova un ostacolo per la sua piena realizzazione nella storia” (CDF, Lett. Communionis notio, 17.3).

■ Questa non-unità fra i cristiani reca grave danno anche alla testimonianza, che i cristiani sono impegnati a proporre ai non-cristiani: costituisce una contro-testimonianza. “È doloroso che in questa situazione i cristiani perdano parte della loro spinta missionaria ed evangelizzatrice a causa delle divisioni che minano la loro vita interna e riducono la loro credibilità apostolica” (PONT. CONSIGLIO UNITÀ CRISTIANI, Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo, Presentazione).

Perché bisogna distinguere tra unità della Chiesa e unità dei cristiani?

■ Perché l’unità della Chiesa esiste già. L’unità, «che Cristo ha donato alla sua Chiesa fin dall’inizio, [...] noi crediamo che sussista, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica e speriamo che crescerà ogni giorno di più sino alla fine dei secoli» (UR 4). Per questo noi nel Credo proclamiamo: “Credo la Chiesa una…”, e questa Chiesa una sussiste nella Chiesa cattolica (cfr. LG 8).

■ Quella che manca è l’unità dei cristiani. Di fatto, «in questa Chiesa di Dio una e unica sono sorte fino dai primissimi tempi alcune scissioni, che l’Apostolo riprova con gravi parole come degne di condanna; ma nei secoli posteriori sono nati dissensi più ampi e comunità non piccole si sono staccate dalla piena comunione della Chiesa cattolica, talora non senza colpa di uomini d’entrambe le parti» (UR 3).

■ “L’unità dell’unica Chiesa, che già esiste nella Chiesa cattolica senza possibilità di essere perduta, ci garantisce che un giorno anche l’unità di tutti i cristiani diventerà realtà” (GIOVANNI PAOLO II, Discorso,13 novembre 2004).

■ E tuttavia i cristiani separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica hanno con essa, già fin d’ora, molti elementi in comune.

Quali sono gli elementi che le Chiese e le Comunità cristiane non-cattoliche hanno in comune con la Chiesa cattolica?

■ I membri di queste Chiese e comunità cristiane non-cattoliche:

• “giustificati nel Battesimo dalla Fede, sono incorporati a Cristo e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore” (UR 3);

• hanno “parecchi elementi di santificazione e di verità, come la Parola di Dio scritta, la vita della grazia, la Fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili” (UR 3).

■ “Lo Spirito di Cristo si serve di queste Chiese e comunità ecclesiali come di strumenti di salvezza, la cui forza deriva dalla pienezza di grazia e di verità che Cristo ha dato alla Chiesa cattolica. Tutti questi beni provengono da Cristo e a lui conducono” (UR 3); e “spingono verso l’unità cattolica” ( LG 8).

■ “Con coloro che, battezzati, sono sì insigniti del nome cristiano, ma non professano la Fede integrale o non conservano l’unità della comunione sotto il Successore di Pietro, la Chiesa sa di essere per più ragioni unita” (LG 15).

■ Nello stesso tempo la Chiesa Cattolica riconosce che le Chiese ortodosse sono a lei più vicine rispetto alle comunità cristiane non-cattoliche, in quanto esiste non poca differenza tra quest’ultime e le Chiese Ortodosse.

Qual è la differenza tra le Chiese ortodosse e le Comunità ecclesiali non-cattoliche?

■ Le Chiese ortodosse, nate a partire dall’anno 1054:

• “hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora uniti con noi da strettissimi vincoli” (UR 15.3);

• quindi “una certa comunicazione nelle cose sacre, presentandosi opportune circostanze e con l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, non solo è possibile, ma anche consigliabile” (UR 15);

• meritano il titolo di “Chiese particolari o locali”, e sono chiamate “Chiese sorelle delle Chiese particolari cattoliche” (UR 14.1);

• per la celebrazione dell’Eu-caristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce;

• hanno una comunione con la Chiesa cattolica, così profonda «che le manca ben poco per raggiungere la pienezza che autorizzi una celebrazione comune della Eucaristia del Signore» (PAOLO VI, Discorso nella Cappella Sistina nella ricorrenza del decimo anniversario della mutua cancellazione delle scomuniche fra le Chiese di Roma e di Costantinopoli, 14 dicembre 1975);

• non sono tuttavia in piena comunione con la Chiesa cattolica, in quanto esse non sono in comunione con il capo visibile dell’unica Chiesa cattolica che è il Papa, successore di Pietro. E questo non è un fatto accessorio, ma uno dei principi costitutivi interni di ogni Chiesa particolare. Pertanto, siccome “la comunione con la Chiesa cattolica, il cui Capo visibile è il Vescovo di Roma e Successore di Pietro, non è un qualche complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi principi costitutivi interni, la condizione di Chiesa particolare, di cui godono quelle venerabili Comunità cristiane, risente tuttavia di una carenza” (CDF, Responsa ad quaestiones, 4).

■ Le Comunità ecclesiali non-cattoliche:

• sono soprattutto quelle nate dalla riforma del 16° secolo: protestanti (ispirate al pensiero e all’opera di Martin Lutero:1483-1546), anglicana (nata con l’Atto di Supremazia del re inglese Enrico VIII del 1534)… Oltre a queste, esiste anche una moltiplicazione di sempre nuove denominazioni cristiane, che sono nate e nascono in continuazione;

• non hanno la successione apostolica nel sacramento del-l’Ordine, e perciò sono prive di un elemento costitutivo essenziale dell’essere Chiesa;

• specialmente a causa della mancanza del sacerdozio ministeriale, non hanno conservato la genuina e integra sostanza del Mistero eucaristico (cfr. UR 22.3);

• “per questo motivo, non è possibile, per la Chiesa cattolica, l’intercomunione eucaristica con queste comunità” (CCC 1400);

• tuttavia, “mentre nella santa Cena fanno memoria della morte e della risurrezione del Signore, professano che nella Comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta gloriosa” (UR 22);

• non possono, secondo la dottrina cattolica, essere chiamate “Chiese” in senso proprio (cfr. CDF, Dominus Iesus, 17.2), in quanto mancano dei sacramenti dell’Ordine e dell’Eucaristia;

• in esse si trovano tuttavia “numerosi elementi di santificazione e di verità”, “che in quanto doni propri della Chiesa di Cristo spingono all’unità cattolica” (LG 8), come ad esempio la Sacra Scrittura, il Battesimo, la carità….

Quale principio è importante nel dialogo ecumenico?

Nel dialogo ecumenico “vale sempre il principio dell’amore fraterno e della ricerca di comprensione e di avvicinamenti reciproci; ma anche la difesa della Fede del nostro popolo, confermandolo nella gioiosa certezza che l’«unica Christi Ecclesia… subsistit in Ecclesia catholica, a successore Petri et Episcopis in eius communione gubernata» («l’unica Chiesa di Cristo… sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui» (LG 8)” (BENEDETTO XVI, Omelia, 12-5-07).

Come deve essere intesa l’affermazione secondo cui la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica?

“Cristo ha costituito sulla terra un’unica Chiesa e l’ha istituita come comunità visibile e spirituale, che fin dalla sua origine e nel corso della storia sempre esiste ed esisterà, e nella quale soltanto sono rimasti e rimarranno tutti gli elementi da Cristo stesso istituiti. Questa è l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica […]. Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui.

Nella Costituzione dogmatica LG 8 la sussistenza è questa perenne continuità storica e la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica, nella quale concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra” (CDF, Responsa ad quaestiones, 2).

Perché viene usata dal Concilio Vaticano II (LG) l’espressione subsistit in e non il verbo est?

■ Con la parola subsistit (sussiste), il Concilio:

• indica la piena identità della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica. Poiché la Chiesa così voluta da Cristo di fatto continua ad esistere (subsistit in) nella Chiesa cattolica, la continuità di sussistenza comporta una sostanziale identità di essenza tra Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica. Il Concilio ha voluto pertanto insegnare che la Chiesa di Gesù Cristo come soggetto concreto in questo mondo può essere incontrata nella Chiesa cattolica;

• afferma che tale parola sussiste “può essere attribuita esclusivamente alla sola Chiesa cattolica, poiché si riferisce appunto alla nota dell’unità professata nei simboli della Fede (Credo…la Chiesa una)” (CDF, Responsa ad quaestiones, 2);

• esprime la singolarità e la non moltiplicabilità della Chiesa di Cristo: la Chiesa di Cristo è soltanto una e sussiste, nella realtà storica, in un unico soggetto, che è la Chiesa Cattolica;

• salvaguarda così l’unità e l’unicità della Chiesa, che verrebbero meno se si ammettesse che vi possano essere più sussistenze della Chiesa fondata da Cristo;

• fa evitare di immaginare la Chiesa di Cristo come “la somma - differenziata e in qualche modo unitaria insieme - delle Chiese e Comunità ecclesiali” o di “pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba essere soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità” (CDF, Mysterium Ecclesiae, 1). Se così fosse, l’unica Chiesa di Cristo non esisterebbe più come “una” nella storia o esisterebbe solo in modo ideale ossia in fieri in una futura convergenza o riunificazione delle diverse Chiese sorelle, auspicata e promossa dal dialogo;

• esprime più chiaramente come fuori della compagine visibile della Chiesa Cattolica si trovino “numerosi elementi di santificazione e di verità”, “che in quanto doni propri della Chiesa di Cristo spingono all’unità cattolica” (LG 8). Riconosce pertanto la presenza, nelle Comunità cristiane non cattoliche in quanto tali, di elementi ecclesiali propri della Chiesa di Cristo. “Perciò le stesse Chiese e Comunità separate, quantunque crediamo che hanno delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Infatti lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica” (UR 3.4);

• consente una maggiore apertura della Chiesa Cattolica alla particolare richiesta dell’ecumenismo di riconoscere carattere e dimensione realmente ecclesiali alle Comunità cristiane non in piena comunione con la Chiesa cattolica, a motivo dei “plura elementa sanctificationis et veritatis“ (molteplici elementi di santificazione e di verità) presenti in esse.

■ L’espressione subsistit armonizza pertanto due affermazioni dottrinali: da un lato, che la Chiesa di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani, continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa cattolica, e, dall’altro lato, l’esistenza di numerosi elementi di santificazione e di verità al di fuori della sua compagine, ovvero nelle Chiese e Comunità ecclesiali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica (cfr. CDF, Responsa ad quaestiones, 3 e articolo di commento).

Cosa fare per l’unità dei cristiani?

■ “Sono necessari:

• un rinnovamento permanente della Chiesa in una accresciuta fedeltà alla sua vocazione. Tale rinnovamento è la forza del movimento verso l’unità;

• la conversione del cuore per «condurre una vita più conforme al Vangelo», poiché è l’infedeltà delle membra al dono di Cristo a causare le divisioni;

• la preghiera in comune; infatti la «conversione del cuore» e la «santità della vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale»;

• la reciproca conoscenza fraterna;

• la formazione ecumenica dei fedeli e specialmente dei sacerdoti;

• il dialogo tra i teologi e gli incontri tra i cristiani delle differenti Chiese e comunità;

• la cooperazione tra cristiani nei diversi ambiti del servizio agli uomini” (CCC 821).

■ “Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione e purificazione della memoria, senza santità di vita in conformità con il Vangelo, e soprattutto senza un’intensa ed assidua preghiera che faccia eco alla preghiera di Gesù” (GIOVANNI PAOLO II, Discorso,13 novembre 2004).

■ “L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori da me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con tutti i cristiani” (BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n.14).

NB: per approfondire l’argomento, si leggano i seguenti documenti pontifici:

* CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium (LG); Unitatis redintegratio (UR);

* PONT. CONSIGLIO UNITÀ CRISTIANI, Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo,1993;

* CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (CCC);

* CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE (CDF), Responsa ad quaestiones de aliquibus sententiis ad doctrinam de Ecclesia pertinentibus, 29 giugno 2007

(fonte: www.zenit.org)

giovedì 16 luglio 2009


Congresso-Pellegrinaggio internazionale O.V. Roma 2008

Testo di Gloria Irene Álvaro Sanz O.V. Valladolid, Spagna

L’AMORE SPONSALE NELLA DOTTRINA MISTICA
DI SAN GIOVANNI DELLA CROCE



Gli specialisti in teologia mistica sono concordi nell’ammettere che san Giovanni della Croce è il mistico per eccellenza dell’Amore sponsale, trasformante, tra Cristo e l’anima. E se questo amore il Signore lo desidera per tutti, esso deve costituire l’aspirazione più ardente e la caratteristica distintiva della nostra spiritualità come donne consacrate nell’ordine delle vergini. Non ci ha chiesto forse il Vescovo se desideravamo essere solennemente sposate con nostro Signore Gesù Cristo? Non portiamo nel nostro dito l’anello nuziale come segno di questi sponsali (ndt da intendersi come reciproca e solenne promessa di matrimonio)? Sì, desideriamo considerare progettato in modo molto speciale per noi questo amore sponsale e trasformante del quale ci parla san Giovanni della Croce, un amore più forte della morte (Ct 8, 6).

Quest’Amore trasformante non è opera dell’anima per se stessa e in se stessa, ma frutto dell’azione di Dio, se lei si coinvolge, se sa arrendesi e lasciarsi modellare. Inoltre, dovrà collaborare con questa iniziativa di Dio, perché Lui così spera e desidera; il suo amore infinito non mortifica né annulla alcuna capacità umana, anzi, tutto il contrario, come poi vedremo.

San Giovanni della Croce segnala e raccomanda tre guide certe per questo cammino di Amore sponsale trasformante la cui iniziativa, non lo dimentichiamo, parte da Dio: la Santissima Vergine, la Sacra Scrittura e la direzione spirituale.

Circa la DIREZIONE SPIRITUALE egli ci offre materiale insuperabile. La considera imprescindibile e le dedica molti paragrafi nelle sue opere. È assolutamente necessaria per liberarci dagli attacchi diabolici perché «il demonio riesce a prevalere contro coloro che vogliono fare da soli nelle cose di Dio»1. Però esige molto dal direttore spirituale: deve ricordare che lui è solo uno strumento nel cammino dell’anima, e non deve allontanarla da quanto Dio desidera veramente da lei2, inoltre avvisa del rischio che corre il direttore di non cogliere il linguaggio, cioè di non comprendere la forma nella quale la persona si comunica a lui e gli spiega quanto sta vivendo3. Che fine psicologo si rivela qui san Giovanni della Croce! Perché per cogliere esattamente l’espressione e poter comunicare bene è evidente che il direttore spirituale necessita di uno straordinario bagaglio culturale e di un solido fondamento di letture. Non basta che sia spirituale e conosca questo cammino: deve possedere una grande cultura per non essere un semplice. Ricorderemo santa Teresa di Gesù quando affermava: «Un buon uomo di cultura non mi ha mai ingannato»4. Inoltre, sarà molto soave nel tratto, ma anche leale e sincero, dotato di profonda umiltà e di una grande capacità di empatia – diremmo oggi – perché alla povera anima non accada, come ci avvisa san Giovanni della Croce, che pensi «di non trovare consolazione in solide letture né sostegno in maestri spirituali»5 . In Fiamma d’amor viva, san Giovanni della Croce descrive con tanta chiarezza i due gravi difetti di un direttore spirituale perché sappiamo riconoscerli e allontanarci da lui:
1. voler modellare una persona secondo quanto lui pensa ella debba diventare,
2. sottometterla, tirannizzarla, lasciandola senza libertà di affrontare la situazione della sua anima con altre persone, separandola da tutti cosicché non si allontani da lui6.
Parliamo prima della purificazione necessaria

UNA PURIFICAZIONE CONTINUA: IL CAUTERIO SOAVE

A volte le parole si usurano per il grande uso che se ne fa, oppure esprimono una connotazione insufficiente o aleatoria della realtà attuale, la quale conia nuovi termini di comunicazione.
Tuttavia il termine purificazione non ha perso forza se lo intendiamo come evoluzione interiore che eleva e trasforma in sommo grado, che tocca la totalità dell’essere e che è opera di Dio, non degli sforzi dell’anima. Lei stessa riconosce che questa azione inizia dal «più profondo centro»7 dell’anima. Questa purificazione è assolutamente necessaria per condurre all’unione spirituale più elevata, che san Giovanni della Croce designa con il termine di matrimonio spirituale.

Un filosofo spagnolo, José Ortega y Gasset, diceva: «A seconda di come si è, così si ama». Perché «essendo l’amore l’atto più delicato e totale di un’anima, in esso si riflettono la condizione e l’indole di questa»8. Pertanto deduciamo che se si ama come si è, sarà necessario essere bene per amare bene. E per essere bene dovranno cambiare molte cose in noi, e non solo cose, ma anche noi stessi nel nostro essere più profondo. E noi non potremmo iniziare da soli questa opera, questa ri-creazione di tutto il nostro io.
L’amore sponsale ha come proprietà principale quella di unire, rendere uguale in un certo modo e nella maniera possibile alla nostra condizione umana. Ci dice san Giovanni della Croce: «Quando Dio ama un’anima, in un certo modo la mette in se stesso, la rende uguale a sé»9. Questo non si può raggiungere se non per dono di Dio, e per esso anelare: «Senza la sua grazia non si può meritare la grazia»10.

L’Amore di Cristo sposo, centro di questo amore trasformante, ci introduce nel seno della Trinità affinché le tre Persone della Santissima Trinità possano realizzare nell’anima tale divina unione.
San Giovanni della Croce, per spiegare tale opera della Trinità, usa la metafora della mano. In tal senso, la mano è il Padre, il tocco della mano è il Figlio, il cauterio guaritore è lo Spirito Santo. L’autore specifica che la mano, il tocco, il cauterio sono in sostanza una stessa cosa, poiché «in realtà, l’azione delle tre Persone è unica, quindi il tutto è attribuito a una e a tutt’e tre le Persone insieme»11. Ricordiamo il significato di cauterio: strumento che, in medicina, si applica incandescente sulle piaghe per guarirle e arrestare le emorragie.

Per raggiungere questa meta dobbiamo pronunciare il fiat in me, il SÌ più totale, dobbiamo arrenderci alla Volontà dello Sposo, dobbiamo abbatterci [ndt abartinos, parola molto usata da san Giovanni della Croce, che in italiano letteralmente significa abbattere se stessi], perché questo Amore ci elevi e trasformi tutto il nostro essere. Ciò significa, inoltre, precisamente il rimettere se stessi al Signore con cuore limpido; è dire, con un cuore nobile, che ci abiti secondo le intenzioni e le strategie insite nel rapporto con Dio e con i fratelli. «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio». Solo con limpidezza di cuore potremo sperimentare l’Amore dello Sposo. Qui non ci sono doppiezze, invidie, gelosie, trappole. Tutto questo potrebbe necessitare di una purificazione particolarmente dolorosa e profonda.

Chiariamo alcune idee: quando a questo livello si parla di purificazione iniziata nell’anima dallo Sposo divino, san Giovanni della Croce non si riferisce alle contrarietà e alle sofferenze proprie della vita umana e a quelle ad essa collegate, sebbene anche queste possano in un certo modo purificare, poiché in fin dei conti esse sono, nel loro insieme, uguali per tutti, giusti e peccatori. Non si tratta di questo. San Giovanni della Croce si riferisce alla purificazione che l’azione di Dio conduce nell’anima secondo il proprio essere e la propria specificità, secondo la propria individualità irripetibile, un’azione di Dio che durerà fintanto che la persona vive, e che tuttavia essa andrà assimilando meglio nei suoi differenti gradi nella misura in cui sarà trasformata nell’Amore.

E, siamo sinceri: come potremo purificarci da noi stessi se non ci conosciamo? Se in questo momento ci dicessero: «Vediamo, enumera le componenti della tua personalità che più ti allontanano da Dio e che, pertanto, necessitano di essere purificate», è certo che saremmo molto sinceri alla presenza del Signore. Bene, tuttavia può anche essere certo che quanto abbiamo indicato per noi non sia quello che più ci allontana da Dio, perché ci sono nella nostra anima, nella nostra psicologia, traumi, nodi, retroscena, che disconosciamo [non conosciamo oppure neghiamo] e che ci impediscono di rispondere totalmente e pienamente alla chiamata dello Sposo. Per questo il Signore nel suo infinito Amore ci facilita le cose e prende Lui stesso l’iniziativa, le redini del processo di purificazione e di guarigione.

In tutto questo processo non mancherà l’aiuto del divino Sposo: egli non lascerà mai l’anima sola alle sue proprie forze, non ci abbandonerà nella NOTTE OSCURA DELL’ANIMA.
Quella della notte oscura è una metafora geniale negli scritti di san Giovanni della Croce: notte dei sensi e notte dello spirito che, con il linguaggio attuale, potremmo sintetizzare così: sensazione di totale scomparsa da parte di Dio e dei nostri amici, incapacità di avere consolazione né in una cosa qualsiasi, né tanto meno nella preghiera, in cui si avverte la certezza vivissima della propria indegnità (l’anima potrà ripetere con il Salmo 40 (39): «Le mie colpe mi opprimono e non posso più vedere. Sono più dei capelli del mio capo, e il mio cuore viene meno»), inutilità di ogni aiuto che provenga dagli altri. Tutto ciò avviene in un modo tale che nella persona si rompono tutti gli schemi ideologici, psicologici, vitali che prima le davano forza, ed ella crede di essere abbandonata da Dio perché persino l’idea che aveva di Dio ora non serve. Notte passiva perché è lo Sposo che prende le redini del processo: si tratta, però, di una passività attiva, perché la persona risponde affrontando con fedeltà eroica la situazione penosa12. In un certo modo equivale ad una de-programmazione: è decidere di cancellare completamente dal nostro io tutti i dati equivocati o mal compresi. Dio desidera che acconsentiamo alla sua opera, che ci rimettiamo nelle sue mani, che confidiamo in lui, ma sempre con la nostra libertà. La dottrina di san Giovanni della Croce, però, non ha niente a che vedere con il quietismo. Che Dio prenda l’iniziativa non significa che ci maneggi come delle marionette, ma che, piuttosto, siamo chiamati a rispondere al suo Amore trasformante con i nostri migliori talenti. E così, l’iniziativa di Dio e l’azione della persona, ben sintonizzate, «creano il “tipo” singolarmente creatore nella Chiesa come testimone di Dio»13.

È precisamente in questo bivio che l’obbedienza ci può mostrare la sua forza: la persona deve fidarsi del suo direttore spirituale e non del proprio giudizio. Perché essa, scossa per il dolore, non si accorge che sta iniziando nel suo intimo quello che dice il profeta Osea: «Io la sedurrò, la porterò nel deserto e parlerò al suo cuore… mi chiamerà marito mio e non si volgerà a chiamarmi Baal mio» (Osea 2,16-18). La povera anima che ha cercato Dio tutta la vita, crede di morire. E in un certo qual modo è così, perché l’Amore sponsale la sta trasformando, la sta convertendo in una creatura nuova che deve abbandonare i suoi poveri schemi precedenti e lasciare che in essa rinasca la nuova personalità grazie all’azione del Cristo Sposo. L’anima sarà talmente vicina alla Luce, talmente immersa nella Luce accecante che la sua cecità sarà illuminata. E se obbedisce, se si arrende, se si abbatte, potrà dire più tardi, quando ricorderà questo processo:

Notte che mi guidasti,
oh, notte più dell’alba compiacente!
Oh, notte che riunisti
l’Amato con l’amata,
amata nell’Amato trasformata14.

La purificazione non è unicamente l’eliminazione degli ostacoli all’unione totale con lo Sposo, ma anche un traboccare di grazia di luce e di forza per andare avanti. Sì, l’anima, grazie al suo rimettersi nelle mani di Dio e all’obbedienza, è guidata da questo Amore forte, come san Giovanni della Croce ci spiega: «A volte la persona non comprende né avverte questo amore, perché esso non passa attraverso i sensi con dolcezza, ma si stabilisce nell’anima con una forza, un coraggio e un’audacia superiori al passato»15. Inoltre l’anima va perfezionandosi nell’amore a seconda del grado di purificazione, poiché Cristo le mostra che è sulla via giusta, e ci dice san Giovanni della Croce che «l’anima ha modo di vedere e anche di apprezzare il lavoro che si va realizzando in lei, perché le si manifesta»16. Nessuno batte in generosità il divino Sposo! San Giovanni della Croce ci dice che il nostro Redentore «non può permettere che chi lo ama soffra senza ricevere conforto»17. Grazie a questa bontà del Signore, la persona non si vede toccata da nessun tipo di disequilibrio emozionale né psicologico nel processo di purificazione, poiché la sua mente e la sua capacità di reazione si mantengono sane e usciranno potenziate al massimo grado. Inoltre il divino cauterio purificatore la libera da qualunque squilibrio precedente che l’affliggeva nella sua sfera psicologica.

Devono essere purificati i sensi (sensazioni e tendenze, abitudini, emozioni e affetti…), ma anche lo spirito (memoria, comprensione, volontà… che saranno purificate rispettivamente mediante la Speranza, la Fede, la Carità). Senza dubbio, san Giovanni della Croce dà una speciale importanza alla purificazione della memoria e afferma che è proprio in quest’ultima che il diavolo può compiere il maggiore danno per impedire all’anima di avanzare. Nella Salita del Monte Carmelo, il suo libro più psicologico e anche di minor valore letterario degli altri – secondo i critici letterari più distaccati –, Giovanni della Croce dedica pagine insuperabili ai danni provocati da una memoria non purificata.

Esprimo tale concetto con un linguaggio attuale, come lo comunico ai miei giovani allievi, e vi assicuro che è la parte del messaggio «sangiovannita» che meglio accettano: ci succede qualcosa, di buono o cattivo; ci formiamo un’opinione di una persona e iniziamo a rielaborare tutto ciò nella nostra mente, a pensarlo e ripensarlo. Il male è che, come ben sanno gli psicologi, la memoria è selettiva e interpretativa, capace di cancellare e sfigurare18. La memoria è un meraviglioso dono di Dio, se messa ben a fuoco. Altrimenti, quello che vediamo nel nostro ricordo non è quello che è realmente successo, ma il prodotto della nostra interpretazione. Quante volte perdiamo così la pace e la speranza! Quanti traumi dell’infanzia non superati! Quanti giudizi equivoci su avvenimenti e persone! San Giovanni della Croce non disdegna i ricordi, ma il ricordare male, vale a dire, vivere nel presente ricordi ed esperienze del passato, ancorarci nelle ferite anteriori senza superare l’odio o il rancore. Non si tratta di dimenticare ma di far emergere queste esperienze negative permettendo al divino cauterio di sanarci di far emergere sopra tutto il nostro passato e la nostra eredità una personalità nuova. Se non faremo così non progrediremo spiritualmente e avremo una scarsa valutazione di Dio e della sua Provvidenza. Ma vediamo meglio: non ci dicono forse gli psicologi che per stimare gli altri dobbiamo volere bene a noi stessi? Io sto bene, tu stai bene, così recitava il titolo di un famoso libro di Thomas A. Harris.
E staremo bene solo se viviamo in Cristo, se permettiamo che il suo amore curi i nostri ricordi feriti. Solo così potrò riconciliarmi con me stesso, potrò comprendere bene gli altri e potrò confidare pienamente nei piani di Dio. Ci libereremo dalle nevrosi ossessive, vivremo nella pace il presente e senza paura il futuro. La virtù teologale della Speranza, che lo Sposo divino infonderà nella nostra anima, arresa e obbediente, ci donerà la pace e il sorriso.

Con una certa periodicità si celebrano congressi internazionali su san Giovanni della Croce, psichiatri e psicologi – molto distaccati – partecipando a tali incontri alle volte contribuiscono a una migliore comprensione della sua dottrina. Per esempio, non sempre si è ben intesa l’insistenza di san Giovanni della Croce sull’idea di negazione, negazione di se stesso e dei propri appetiti, che deve essere compresa come superamento totale dell’egoismo e come ri-orientamento dell’amore quando questo ha sviato dalla meta, sviamento dovuto alle «tendenze disordinate dell’affettività, con partecipazione della volontà»19. La negazione viene ad essere un nuovo foglio di via nella nostra vita… attitudine e gesto di distaccamento affettivo, causato dall’amore preferenziale a Dio, è «attitudine teologale del soggetto più che svalorizzazione degli oggetti o delle creature»20. La negazione non è la rottura delle relazioni, ma «forma di comunione personale a livello più profondo»21. Nel linguaggio attuale significherà ordinare bene le nostra priorità, sapendo rinunciare a tutto il mediocre per conseguire il meglio e non lasciarci legare né coinvolgere in nulla; si dovrà inoltre mantenere una buona igiene emozionale, amministrando bene le nostre emozioni nella vita quotidiana. Questo è ciò che vuole dire san Giovanni della Croce quando afferma: «Per arrivare a ciò che piace bisogna andare dove non ci piace»22.
E questo non per amarezza o ascesi, ma per conseguire mete più elevate e soddisfacenti. Facciamo un paragone molto semplice e di vita quotidiana: lo studente che desidera superare un difficile ostacolo, non rinuncia forse a tutto quanto gli impedisce di farlo? Quindi, non ci deve sembrare strano che, nel piano elevatissimo dell’unione trasformante, l’Amore sponsale di Cristo ci aiuta agendo come Fiamma viva d’Amore, che riduce a cenere tanto materiale di scarto e inutile che c’è nel nostro intimo e che ci svia dal percorso.
A poco a poco l’anima vive con più chiarezza: si avvicina il tempo delle nozze.

Esultiamo, Amato

La purificazione sarà continua in questa vita, sebbene non così intensa come all’inizio, e quindi non è tanto dolorosa perché l’anima sa, senza dubbio, che è Cristo che la conduce e Lui infonde in lei grazie ineffabili. L’anima ha dato un SÌ definitivo e la sua volontà si è fatta una con quella del suo Signore. San Giovanni della Croce lo esprime specialmente nel Cantico Spirituale: «la bellezza si impone dai primi versi»23. Ma dal momento che siamo umani ci sono due gradi in questo amore: sponsali spirituali e matrimonio spirituale.

GLI SPONSALI SPIRITUALI*

È un livello intermedio dove si fermano molte persone chiamate a un Amore sponsale completo. Valorizzano e stimano questo Amore come l’unico necessario, e san Giovanni della Croce lo esprime con il simbolo dell’uccello solitario, preso dal Salmo 101, che non è isolamento dai fratelli, ma vita profonda del «solo Dio basta».

L’anima ha dato il Sì a Cristo Sposo, però ancora necessita di entrare nella seconda notte dello spirito in fede totale, senza l’egoismo di anelare a consolazioni, lasciandosi trasportare unicamente dall’Amore, dove giungerà a trovare incomparabilmente più di quanto possa sognare. Dal quel momento, dovrà identificarsi con questi versetti di quel sonetto famoso:

Non hai da darmi niente perché io ti ami
perché anche se non sperassi ciò che spero
lo stesso che ti amo, ti amerei.

A questo amore perfetto desidera condurla il Signore. Adesso negli sponsali spirituali, san Giovanni della Croce ci dice che l’anima ancora soffre di perturbazioni e disturbi perché la tranquillità è solo nella parte superiore dell’io e non in quella sensibile. Gioisce di molto bene, certamente, però il suo essere non è ancora pienamente integrato e unificato e subisce molestie del diavolo, che «preferisce impedire un minimo della sua ricchezza e del suo glorioso piacere a quest’anima piuttosto che farne cadere molte altre in numerosi e gravi peccati»24. Pertanto, l’anima possiede ormai ricchezza e glorioso diletto, ma non è libera dagli attacchi di quei nemici dai quali da se stessa non si può liberare, se non per l’azione potente dei santi angeli inviati dallo Sposo. A essi si rivolge l’anima quando dice:
Prendeteci le volpi
ché è fiorita ormai la nostra vigna25.

Nonostante chieda aiuto, ella riconosce i fiori del sentiero e avanza nella gioia. Essa va scoprendo, colmata di gratitudine e di sorpresa, zone recuperate della propria personalità, prima sconosciute e ora potenziate e arricchite26.
Anela come mai all’incontro con lo Sposo nell’Eucaristia, in questa fusione trasformante, atto d’Amore nel quale l’anima riceve gioia e dono, saporita e amorosa dottrina27.

Però alla generosità infinita di Cristo questo non sembra sufficiente. Egli desidera per noi il matrimonio spirituale. L’anima non si ferma e per questo dice con gioia:
A lui tutta mi detti,
me stessa per intero;
là gli promisi d’essere sua sposa28.


MATRIMONIO SPIRITUALE

Nel matrimonio spirituale, specifica san Giovanni della Croce, c’è maggiore unione delle persone e comunicazione tra loro. È lo stato più alto in cui si può arrivare in questa vita, in esso si constata il predominio delle virtù eroiche e la parte inferiore dell’anima è spiritualizzata. Lo chiarisco nel linguaggio attuale.
L’anima è già libera dai vincoli, l’io più profondo della persona è integrato, unificato in modo tale che non c’è in essa alcun impedimento a ricevere i beni spirituali che il Signore desidera concederle: la persona può di fatto riceverli secondo le proprie capacità. L’amore di Cristo la possiede al punto che non la turberanno le critiche, le incomprensioni, i pettegolezzi… Ancora di più, il demonio non può nulla contro di lei29.

Detto in un altro modo, le componenti dell’unione spirituale sono le seguenti: la trasformazione in Dio e una certa divinizzazione – nel modo in cui è possibile in questa vita –, integrità e fermezza delle virtù e rettificazione psicologica delle potenze dell’anima e delle sue operazioni30, con reciprocità totale fra lo Sposo e l’anima e con una partecipazione chiara della sensibilità già purificata, trasformata. L’anima si vede elevata alla condizione di «consorte della stessa Divinità»31.
La persona recupera le sue gioie, la sua gioia di vivere nella lode, vede l’Amato nella creazione con una profondità che mai avrebbe potuto sognare prima. Tutto ora è colmato di bellezza e l’anima trasformata vede tutto in pienezza e in grandezza come eco dell’Amato: le montagne, le valli, la notte calma, la solitudine sonora, la cena che ricrea e innamora; il letto è fiorito, coperto da ghirlande di fiori e di smeraldi e non possiamo che ascoltare una volta ancora la voce dell’amata: Esultiamo, Amato! L’anima contempla il passaggio del tempo con profondo realismo, percepisce chiaramente la lotta fra il bene e il male e le trappole del maligno contro i piani di Dio, tanto nelle circostanze quanto nelle persone, e può combattere molto efficacemente Satana perché conosce i suoi inganni e perché lui non può nulla contro di lei, sicura come è della vittoria di Cristo, che ha sperimentato in se stessa. Sa che la preghiera è un’arma invincibile e a lei dedica le migliori energie.

È impossibile descrivere l’amore fra Cristo e questa anima: consegna reciproca, con sentimento intenso e vivissimo, innamoramento totale. La persona non è disumanizzata, ma tutto il contrario: il mistico sa amare, perché in primo luogo ha saputo lasciarsi amare da Cristo Sposo, e sarà il migliore amico tra i suoi amici a somiglianza di Gesù. Così ce lo spiega Juan Ramon Jiménez, premio Nobel per la letteratura: «Mistico non vuol dire meno umano, ma più umano nel senso superiore di umanità. Il mistico è più delicato, più squisito, vale a dire più assolutamente umano; è colui che ha un senso più delicato, più squisito, vale a dire più profondo dell’amore; colui che fa dell’amore umano la poesia umana e divina allo stesso tempo»32.
La persona non solo ha scoperto completamente Cristo Sposo, ma in Lui e grazie a Lui si è scoperta pienamente se stessa. Ora in verità servirà bene la Chiesa e l’umanità intera, qualunque sia il lavoro che fa, perché ora, finalmente lei è nel bene e può amare bene. Ora sì.

Giunti a questo punto, ci potremmo domandare: la dottrina mistica di san Giovanni della Croce è attuale? Può dire qualcosa alla società di oggi, a tante persone assetate di Dio? Dobbiamo riconoscere, infatti, che il mondo ha sete di Dio, una sete ardente e bruciante. Tutti conosciamo la famosa frase: «L’uomo del secolo XXI sarà mistico o non sarà». La bibliografia su san Giovanni della Croce è vastissima, segnale chiaro dell’interesse che suscita. Io stessa posso portare una testimonianza personale, come l’ho ascoltata da un famoso scrittore spagnolo, diversi anni fa. Questo scrittore stava attraversando un periodo difficilissimo nella sua vita e poiché il Dalai Lama era a Parigi per tenere una serie di conferenze, qualcuno invitò quello scrittore ad iscriversi al congresso per poter parlare con il saggio tibetano, per vedere se costui lo avesse potuto aiutare a superare la sua difficile situazione. Il Dalai Lama lo ascoltò in silenzio, senza interromperlo, neanche una volta. E quando lo scrittore non poté continuare perché le lacrime glielo impedivano, il Dalai Lama, con la voce molto soave, si limitò a domandargli: «Come mai sei venuto ad ascoltare me, se hai in Spagna le opere di san Giovanni della Croce?».

Per terminare, mi piacerebbe sdebitarmi in un certo modo con san Giovanni della Croce per avermi permesso di sintetizzare il suo insegnamento in poche pagine. Riporto, a questo riguardo, uno dei suoi poemi. Ebbi la gioia e il privilegio di leggerlo pubblicamente davanti alla tomba del Santo, durante un viaggio che, a mo’ di omaggio, feci con un gruppo numeroso di professori di Lingua e Letteratura spagnola accompagnati da 150 alunni. In questo poema, san Giovanni della Croce paragona l’anima a un falcone cacciatore e l’Amore dello Sposo alla caccia. Parla di abbattimento, di sentirsi tentato di pensare di non poterlo raggiungere, di come il Signore faciliti l’anima perché solamente desidera essere per lei questo grande Bene. Designa tutto questo processo con una parola bellissima dello spagnolo del XVI secolo: lance, che significa situazione difficile, rischiosa. Ecco qui il poema:

Dopo un amoroso slancio,
e non privo di speranza,
volai in alto, così in alto
da raggiungere la preda.

Perché giungere potessi
a cotal divino slancio,
io dovetti volar tanto
fino a perdermi di vista;
nondimeno, in tal frangente
lungo il volo venni meno;
ma l’amor fu così alto
che raggiunsi la mia preda.

Quando più salivo in alto
s’abbagliava la mia vista
e la più alta conquista
nell’oscuro si compiva;
ma d’amor essendo slancio
con un cieco e oscuro salto
fui tant’alto, tanto in alto
da raggiungere la preda.

Quanto più sfioravo il sommo
di così ardito slancio,
tanto più in basso, arreso,
abbattuto mi trovavo;
dissi: «chi lì giungere potrà!»;
e mi feci umil tanto
che salii così in alto
da raggiungere la preda.

In un modo misterioso
in un vol ne feci mille,
ché di cielo la speranza
tanto ottiene quanto anela;
solo in questo slancio attesi,
né sperando fui deluso,
ché salii tanto in alto
da raggiungere la preda.

ABBREVIAZIONI.

C. Cantico Spirituale

CA. Cantico Spirituale, redazione A.

CB. Cantico Spirituale, redazione B.

Ll. Fiamma d’amor viva.

N. Notte oscura dell’anima

2N. Secondo libro della Notte oscura dell’anima.

S. Salita del Monte Carmelo.

2S. Secondo libro della Salita del Monte Carmelo.

3S. Terzo libro della Salita del Monte Carmelo.

M.C. Monte Carmelo. A. Avisos.

________________________________________________
BIBLIOGRAFÍA.

Raccomando vivamente di consultare e leggere queste edizioni delle Opere complete di San Giovanni della Croce, per gli studi esplicativi che le accompagnano

Obras completas de San Juan de la Cruz. Ed. De Espiritualidad. Madrid, 1993. Revisión y notas de José Vicente Rodríguez y Federico Ruiz Salvador.

Obras completas de San Juan de la Cruz. Ed. Monte Carmelo. Burgos, 2.003. Edición de Eulogio Pacho.

Obras completas de San Juan de la Cruz. BAC. Edición crítica de Lucinio Ruano de la Iglesia. Madrid, 2.005


ABAD NEBOT, F. Sobre San Juan de la Cruz y sobre la historia de las ideas literarias. Epos, IX, 1993

ALONSO, Dámaso. La poesía de San Juan de la Cruz ( desde esta ladera ). Ed. Aguilar, Madrid, 1966

El misterio técnico en la poesía de San Juan de la Cruz, en su Poesía española. Ensayo de métodos y límites estilísticos. Gredos, Madrid, 1966

ALONSO, J.M. Biblia y mística en San Juan de la Cruz. Revista de Espiritualidad, IX (1950).

ALVAR, M. La palabra trascendida de San Juan de la Cruz. Simposio sobre San Juan de la Cruz, Miján, Ávila, 1986.

ALVAREZ J. Mística y depresión. Trotta, Madrid, 1997

ANDÍA , Y. de, San Juan de la Cruz y la teología mística de San Dionisio. Actas del Congreso Internacional Sanjuanista. Junta de Castilla y León. Valladolid, 1993

BALLESTERO M. San Juan de la Cruz: de la angustia al olvido. Península, Barcelona, 1977

BARUZI, J. San Juan de la Cruz y el problema de la experiencia mística. Junta de Castilla y León. Valladolid, 1991

BOBES NAVES, M.C. Lecturas del Cántico Espiritual desde la estética de la recepción. Simposio sobre San Juan de la Cruz, Miján, Ávila, 1986

BORD, A. Mémoire et espérance chez Jean de la Croix. Beauchesne, París, 1971

BOUSOÑO, C. San Juan de la Cruz, poeta contemporáneo. En Teoría de la expresión poética. Gredos, Madrid, 1976

CILVETI, A. Introducción a la mística española. Cátedra, Madrid, 1974

EFRÉN DE LA MADRE DE DIOS. Tiempo y vida de San Juan de la Cruz. BAC, Madrid, 1991

EGIDO, T. San Juan de la Cruz: de la hagiografía a la historia. Institutum Carmelitanum, Roma, 1991

GARCÍA DE LA CONCHA, V. Conciencia estética y voluntad de estilo en San Juan de la Cruz. En Boletín de la Biblioteca Menéndez Pelayo XLVI, 1970

GARCÍA NIETO, J. La poesía de San Juan de la Cruz. En Revista de Espiritualidad, XXVII, 1968

JAVIERRE, J.M. Juan de la Cruz, un caso límite. Ed. Sígueme. Salamanca, 1991.

JIMÉNEZ LOZANO, J. Una estética del desdén. En La espiritualidad española del siglo XVI. Aspectos literarios y lingüísticos. Ed. M.J. Mancho, Universidad de Salamanca-UNED, 1990, pp. 71-81

LÁZARO CARRETER, F. Poética de San Juan de la Cruz. Actas del Congreso Internacional Sanjuanista. Junta de Castilla y León, Valladolid, 1993

LÓPEZ CASTRO, A. Vacío y plenitud en San Juan de la Cruz. En Revista de Espiritualidad, CCXXV, 1997.

MARCOS, A. San Juan de la Cruz y su ambiente de pobreza. Actas del Congreso Internacional Sanjuanista. Junta de Castilla y León. Valladolid. 1993

OROZCO DÍAZ, E. Poesía y mística. Guadarrama. Madrid, 1959

PACHO, E. Vértice de la poesía y de la mística. El Cántico espiritual de San Juan de la Cruz. Monte Carmelo, Burgos, 1983

RUIZ F. Introducción a San Juan de la Cruz: el hombre, los escritos, el sistema. BAC. Madrid, 1968

Religioso y estudiante. En la Universidad de Salamanca. En Dios habla en la noche. Vida, palabra, ambiente de San Juan de la Cruz. Espiritualidad, Madrid, 1990

Místico y Maestro. San Juan de la Cruz. Ed. De Espiritualidad. Madrid, 2.006

SENABRE, R. Las condiciones del lector. Actas de las III Jornadas de metodología y didáctica de la lengua y literatura españolas: lingüística del texto y pragmática. Universidad de Extremadura, Cáceres. Eds. González Calvo y Terrón González.

SESÉ, B. Poétique de l’expérience mystique, San Juan de la Cruz, Cantique Spirituel. Rencontres à l’Orangerie. Faculté de Lettres et des Sciences Humaines, Limoges, 1992

STEIN, E. Ciencia de la Cruz. Ed. Monte Carmelo. Burgos, 2.006

VALENTE, J.A. Sobre el lenguaje de los místicos: convergencia y transmisión. Sintaxis, XII-XIII, 1987.

VALLADARES REGUERO, A. San Juan de la Cruz ante la crítica literaria: desde un olvido secular a un reconocimiento universal. Actas del Congreso IV Centenario de la muerte de San Juan de la Cruz, UNED, Jaén, 1992

YNDURÁIN, D. El pájaro solitario. Actas del Congreso Internacional Sanjuanista, Junta de Castilla y León. Valladolid, 1993.

YNDURÁIN, F. Mística y poesía en San Juan de la Cruz. Revista de Literatura, III, 1953.

ZAMBRANO, M. San Juan de la Cruz ( De la “ Noche oscura “ a la más clara mística ). En Sur, LXIII ( 1939 ).

mercoledì 15 luglio 2009

Codex Sinaiticus

Libero accesso, virtuale, all'antico Codex Sinaiticus dal sito www.terrasanta.net
di C. Giorgi
Milano, 9 luglio 2009



Due pagine del Codex Sinaiticus.



Finalmente ricomposto, anche se solo sul web, dopo un secolo di diaspora, uno dei più antichi codici esistenti dell'Antico e Nuovo Testamento: il Codex Sinaiticus, libro conservato per secoli presso il monastero ortodosso di Santa Caterina sul Monte Sinai, ma diviso in varie parti oltre un secolo mezzo fa, con grave danno per il mondo degli studi. Da oggi, invece, sul sito Internet www.codexsinaiticus.net è possibile tornare a sfogliare e leggere, come nel 300 dopo Cristo, l'intero volume. Una notizia eccezionale che è stata celebrata con un convegno, il 6 e 7 luglio scorsi a Londra, presso la British Library.
Sul sito è possibile sfogliare comodamente dai più piccoli frammenti agli oltre 400 fogli in ottimo stato del volume: si può selezionare il libro e la pagina della Bibbia che si desidera, ingrandire il testo a piacimento, leggere la trascrizione del testo greco in caratteri comprensibili. Oltre a poter gustare la storia del Codice e del suo restauro telematico.

Il Codex Sinaiticus, assieme al Codice Vaticano, è tra i più antichi e importanti esemplari della Bibbia cristiana. Il libro è un raro manoscritto, composto da centinaia di grandi fogli di pergamena (38 x 35 cm) e realizzato verso la metà del quarto secolo da un'affiatata squadra di copisti; la sua importanza è accresciuta dal fatto che contiene la versione completa della traduzione dei Settanta (l'Antico Testamento nella versione adottata dalla prima comunità cristiana di lingua greca) e del Nuovo Testamento.

Si tratta, tra l'altro di un testo ricco di correzioni, apportate dai copisti dal Quarto secolo fino al Dodicesimo. Uno dei principali obiettivi del progetto «telematico» è proprio quello di migliorare lo studio e la comprensione del codice finalmente disponibile tutto intero, così come delle successive correzioni apportatevi. Questa analisi permette al lettore di capire meglio anche la storia del testo e come sia stato letto nei secoli. Nella versione dei Settanta copiata nel Codex Sinaiticus sono presenti anche testi che non si trovano nella Bibbia ebraica e che sono considerati apocrifi dai protestanti; come i libri di Tobia, Giuditta, Sapienza e Siracide o il primo e il quarto dei Maccabei, ma anche la Lettera di Barnaba, che non è entrata nel canone del Nuovo Testamento.

Dopo essere stato conservato per lunghi secoli presso il monastero ortodosso di Santa Caterina, sul monte Sinai in Egitto, poco meno di un secolo fa il Codex è stato smembrato. È iniziata così la diaspora delle sue pagine. Nel 1933 la British Library di Londra ne acquistò 347 fogli dalll'Unione Sovietica; 43 fogli finirono invece alla Biblioteca dell'Università di Lipsia, in Germania; 6 fogli si trovano alla Biblioteca nazionale di San Pietroburgo, in Russia. Infine i residui 12 fogli e altri 40 frammenti sono rimasti nell'originario monastero di Santa Caterina.

Lo smembramento del Codex ha costituito per decenni un freno al lavoro di analisi del testo. Oggi, si spera invece che la sua ritrovata unità «telematica» possa facilitarne lo studio.

Si è arrivati a costituire il sito web oggi fruibile in seguito a un accordo, firmato nel marzo del 2005, tra le quattro istituzioni che conservano parti del Codex Sinaiticus in vista della conservazione, trascrizione, fotografia e riproduzione delle pagine superstiti del manoscritto. Non tutto il lavoro è stato ancora portato a termine, ma l'obiettivo finale si avvicina.

sabato 4 luglio 2009

Cari sacerdoti...

Cari sacerdoti,
oggi vi affido una intenzione di preghiera speciale per i grandi della terra, perché sappiano rispettare gli uomini e le donne che sono interamente di Dio. Perché non abbiano timore di coloro che il Signore favorisce di grazie speciali. Perché non siano male consigliati. Perché sappiano riconoscere i segni dei tempi e comprendano che Dio Onnipotente ascolta in modo speciale la preghiera dei suoi intimi amici. Se si sminuisce e si rimpicciolisce la loro forza spirituale chi potrà intercedere per l'umanità nel momento del bisogno? Felicità e grazia per coloro che rispetteranno coloro che il Signore favorisce dei suoi doni e non li opprimeranno nè palesemente, nè subdolamente...
Vi abbraccio tutti in Cristo!

venerdì 3 luglio 2009

Cari sacerdoti...

Cari sacerdoti,
in questo anno a voi dedicato, vi scriverò spesso!
Vi esporrò dubbi, riflessioni, richieste, ma vi porterò anche belle testimonianze.
Oggi mentre partecipavo alla celebrazione della Santa Eucarestia, nella memoria di S.Tommaso Apostolo, ho ricordato in preghiera tutti coloro che proprio come Tommaso a volte hanno bisogno di "toccare" per credere. Certamente siamo un po' tutti Tommaso... ma qualcuno lo è maggiormente. Mi riferisco a coloro che sono sinceramente in ricerca ma che imbevuti esclusivamente e per lungo tempo di dottrine scientiste e positiviste, fanno più difficoltà a scorgere e ad accettare ciò che non è immediatamente visibile con gli occhi del corpo e tangibile con le proprie mani. Per costoro vi chiedo di avere pazienza e di non escluderli dalle attività o iniziative della comunità parrocchiale. In modo particolare coloro che sono stati a lungo immersi in ambienti marxisti, è veramente ridicolo che alcuni di voi credano nello spauracchio del "catto-comunista". Se c'è qualcuno che sembra essere tale è certamente a causa dell'ignoranza delle Scritture, e allora più voi lo escludete e gli impedite di crescere nella conoscenza delle nostra fede, più costui di rifugerà nella sua idea di cattolicità o di cristianesimo che è altro oltre che comunione di beni. Anche nella Chiesa delle origini non venivano livellati gli strati sociali, ma chi aveva di più provvedeva anche a chi non aveva e così leggiamo negli Atti degli Apostoli, nessuno tra loro mancava del necessario (Atti 2,44).
E' terribile che alcune anime rischino di perdere la vita eterna perché non trovano pastori disponibili ad educarli. Il Signore certamente ne chiederà conto.

Vi abbraccio tutti in Cristo e assicuro tutta la mia preghiera a chi vorrà prendere a cuore questa causa,

Maria Letizia