mercoledì 30 giugno 2010

La Chiesa vuol salvare l’Occidente dal naufragio

(Il Sole 24 Ore, Martedì 29 Giugno 2010)
di Bruno Forte

Benedetto XVI conosce in profondità la cultura occidentale. Se si è deciso a istituire un nuovo organismo vaticano per evangelizzarla, non gli mancano certo ragioni. Non si tratta di serrare le fila di fronte alla dispersione e alla caduta. Molto più, si tratta di capire la crisi e di offrire ragioni di vita e di speranza a chi sembra non averne più. Al di là delle forme e dei modi in cui agirà il nuovo strumento di cui si dota la Chiesa, le domande a cui vorrebbe rispondere mi sembra meritino considerazione da parte di tutti, credenti e non. Dove si trova oggi la coscienza occidentale agli inizi del terzo millennio, dopo che la parabola delle utopie ideologiche della modernità è approdata alla condizione di disincanto e di crisi del cosiddetto “post-moderno”? Una metafora tratta dalla tradizione ebraica rende bene la condizione in cui ci troviamo: “L’esilio vero d’Israele in Egitto fu
che gli Ebrei avevano imparato a sopportarlo” (da I racconti dei Chassidim, a cura di M. Buber).

L’esilio non comincia quando lasci la tua casa, ma quando non hai più nel cuore la nostalgia della patria. L’indifferenza, la mancanza di passione per la verità e il senso che essa può dare alla vita costituiscono la vera debolezza della coscienza occidentale nell’epoca cosiddetta “post-moderna”: se la ragione adulta e illuminata della modernità pretendeva di spiegare tutto, la post-modernità, inaugurata dalla crisi dei modelli ideologici conseguente alla violenza da essi stessi prodotta, si
offre anzitutto come tempo che sta al di là della totalità luminosa dell’ideologia, tempo postideologico o del lungo addio, stagione di rinuncia e di declino rispetto alle presunzioni totalizzanti dell’idea. Dove per la ragione adulta tutto aveva senso, per il pensiero debole della condizione postmoderna nulla sembra avere più senso. È tempo di naufragio e di caduta. È tempo di povertà, che - come osservava Martin Heidegger - è “notte del mondo” non a causa della mancanza di Dio, ma a
motivo del fatto che gli uomini non soffrono più di questa mancanza: la povertà, che ci rende malati, è l’indifferenza, il non soffrire più dell’infinito dolore dell’“assenza di patria”, la perdita del gusto a cercare le ragioni ultime del vivere e del morire umano. Perciò, in questo tempo di penuria, sono necessari i poeti, che tengano sveglio il desiderio dell’infinito e ultimo altrove.

Sta forse qui la risposta all’interrogativo, retorico e struggente, di Hölderlin: “Perché i poeti nel tempo della povertà?”. Si profila così l’estremo volto della crisi epocale dell’Occidente al termine del cosiddetto “secolo breve” e alle soglie del nuovo millennio: il volto della décadence. Così la descrive Dietrich Bonhoeffer, morto martire della barbarie nazista nell’aprile del 1945: “Non essendovi nulla di durevole, vien meno il fondamento della vita storica, cioè la fiducia, in tutte le sue forme. E poiché non si ha fiducia nella verità, la si sostituisce con i sofismi della propaganda. Mancando la fiducia nella giustizia, si dichiara giusto ciò che conviene... Tale è la situazione del nostro tempo, che è un tempo di vera e propria decadenza”. La decadenza non è l’abbandono dei valori, ma la rinuncia a cercare qualcosa per cui valga la pena di vivere. La décadence non ha interesse a misurarsi con il vero. Essa priva l’uomo della passione per la verità, gli toglie il gusto di combattere per una ragione più alta, lo spoglia di quelle motivazioni forti che l’ideologia ancora sembrava offrirgli.

La decadenza vorrebbe persuadere ad un ottimismo ingenuo, universale, che non ha bisogno di tenere ferma la negatività dell’avversario, perché tende solo a piegarlo al proprio calcolo e al proprio interesse, senza curarsi del vero. Ciò di cui si è più malati oggi è la mancanza di passione per la verità: è questo il volto tragico dell’“assenza di patria”. Nel clima della decadenza tutto cospira a portare gli uomini a non pensare più, a fuggire la fatica e la passione del giusto e del vero, per abbandonarsi all’immediatamente fruibile, calcolabile col solo interesse della consumazione immediata. È il trionfo della maschera a scapito della verità: è il nichilismo della rinuncia ad amare, dove gli uomini sfuggono al dolore infinito dell’evidenza del nulla fabbricandosi maschere, dietro cui celare la tragicità del vuoto.

Nel clima della decadenza, perfino l’amore diventa maschera e i valori si riducono a coperture da sbandierare per nascondere l’assenza di significato: l’uomo si risolve in quello che Jean-Paul Sartre chiamava una “passione inutile”. È questa condizione di disincanto etico e spirituale, frutto della parabola che dall’ebbrezza ideologica della modernità giunge alla caduta del senso e all’indifferenza proprie della condizione post-moderna, l’orizzonte dell’attuale agire e pensare dei cristiani nell’Occidente che cambia: la “cultura forte”, espressione dell’ideologia, si è frantumata nei tanti rivoli delle “culture deboli”, in quella “folla delle solitudini“, in cui è soprattutto rilevante la mancanza di orizzonti comuni, quella
penuria di speranze “in grande”, che piega ciascuno nel corto orizzonte del suo “particulare”. Dove muoiono le grandi speranze, trionfa il calcolo di bassa lega: alle ragioni del vivere e del vivere insieme, si sostituisce la rivendicazione dell’immediatamente utile e conveniente, la protesta fondata nell’interesse dall’ottica breve, spesso ottusa e velleitaria. La fine delle ideologie e la
frantumazione che ne è conseguita appare così veramente come la pallida avanguardia dell’avvento dell’idolo, che è il relativismo totale di chi non ha più alcuna fiducia nella forza della verità. Siamo malati di assenza, poveri di speranza e di grandi ragioni: dove manca la passione per la verità, tutto è permesso, nulla dà gioia duratura... Come far risuonare in questo contesto la “buona novella”?
come accendere nei cuori il desiderio più nobile e alto, più necessario e profondo, la nostalgia del Totalmente Altro? Queste questioni meritano - mi pare - la più seria attenzione da parte di tutti.

martedì 29 giugno 2010

Un nuovo Pontificio Consiglio

BENEDETTO XVI: UN NUOVO PONTIFICIO CONSIGLIO PER UNA RINNOVATA EVANGELIZZAZIONE
“Vi sono regioni del mondo – ha ricordato il Papa - che ancora attendono una prima evangelizzazione; altre che l’hanno ricevuta, ma necessitano di un lavoro più approfondito; altre ancora in cui il Vangelo ha messo da lungo tempo radici, dando luogo ad una vera tradizione cristiana, ma dove negli ultimi secoli – con dinamiche complesse – il processo di secolarizzazione ha prodotto una grave crisi del senso della fede cristiana e dell’appartenenza alla Chiesa”. In questa prospettiva, ha annunciato Benedetto XVI, “ho deciso di creare un nuovo organismo, nella forma di ‘Pontificio Consiglio’, con il compito precipuo di promuovere una rinnovata evangelizzazione nei Paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti Chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società e una sorta di ‘eclissi del senso di Dio’, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo”.

sabato 19 giugno 2010

Separati e divorziati

Famiglia: Separati o divorziati, un sussidio diocesano

Una pastorale di tenerezza e di misericordia. Viene definita così, nel nuovo Sussidio per gli operatori della pastorale dei coniugi separati o divorziati messo a punto dal Centro diocesano per la pastorale familiare, l’attenzione della Chiesa verso le famiglie separate.

E proprio a loro è dedicato l’agile strumento elaborato sulla scorta del Direttorio di pastorale familiare della Cei, riletto e integrato alla luce dei posteriori documenti del Magistero, oltre che delle esperienze pastorali già realizzate a Roma e non solo. Il cammino proposto ai parroci e, attraverso di loro, a chi è impegnato con le coppie e con le famiglie, affronta alcuni dei nodi che spesso imbrigliano il cammino di fede delle persone separate o divorziate, come la questione della partecipazione alla vita sacramentale.

Il punto di partenza è la chiarezza in merito alla «verità sul matrimonio». Quindi vengono riproposti alcuni dei documenti magisteriali più recenti sul tema, unitamente a un elenco dei servizi per la famiglia e per la vita attivi in diocesi.

venerdì 18 giugno 2010

S. Tommaso visto da Papa Benedetto XVI: Nuova sintesi tra filosofia e teologia

San Tommaso d’Aquino e la nuova sintesi tra filosofia e teologia

Catechesi di Benedetto XVI all'Udienza generale del mercoledì

* * *

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei continuare la presentazione di san Tommaso d’Aquino, un teologo di tale valore che lo studio del suo pensiero è stato esplicitamente raccomandato dal Concilio Vaticano II in due documenti, il decreto Optatam totius, sulla formazione al sacerdozio, e la dichiarazione Gravissimum educationis, che tratta dell’educazione cristiana. Del resto, già nel 1880 il Papa Leone XIII, suo grande estimatore e promotore di studi tomistici, volle dichiarare san Tommaso Patrono delle Scuole e delle Università Cattoliche.

Il motivo principale di questo apprezzamento risiede non solo nel contenuto del suo insegnamento, ma anche nel metodo da lui adottato, soprattutto la sua nuova sintesi e distinzione tra filosofia e teologia. I Padri della Chiesa si trovavano confrontati con diverse filosofie di tipo platonico, nelle quali si presentava una visione completa del mondo e della vita, includendo la questione di Dio e della religione. Nel confronto con queste filosofie, loro stessi avevano elaborato una visione completa della realtà, partendo dalla fede e usando elementi del platonismo, per rispondere alle questioni essenziali degli uomini. Questa visione, basata sulla rivelazione biblica ed elaborata con un platonismo corretto alla luce della fede, essi la chiamavano la "filosofia nostra". La parola "filosofia" non era quindi espressione di un sistema puramente razionale e, come tale, distinto dalla fede, ma indicava una visione complessiva della realtà, costruita nella luce della fede, ma fatta propria e pensata dalla ragione; una visione che, certo, andava oltre le capacità proprie della ragione, ma che, come tale, era anche soddisfacente per essa. Per san Tommaso l'incontro con la filosofia pre-cristiana di Aristotele (morto circa nel 322 a.C.) apriva una prospettiva nuova. La filosofia aristotelica era, ovviamente, una filosofia elaborata senza conoscenza dell’Antico e del Nuovo Testamento, una spiegazione del mondo senza rivelazione, per la sola ragione. E questa razionalità conseguente era convincente. Così la vecchia forma della "filosofia nostra" dei Padri non funzionava più. La relazione tra filosofia e teologia, tra fede e ragione, era da ripensare. Esisteva una "filosofia" completa e convincente in se stessa, una razionalità precedente la fede, e poi la "teologia", un pensare con la fede e nella fede. La questione pressante era questa: il mondo della razionalità, la filosofia pensata senza Cristo, e il mondo della fede sono compatibili? Oppure si escludono? Non mancavano elementi che affermavano l'incompatibilità tra i due mondi, ma san Tommaso era fermamente convinto della loro compatibilità - anzi che la filosofia elaborata senza conoscenza di Cristo quasi aspettava la luce di Gesù per essere completa. Questa è stata la grande "sorpresa" di san Tommaso, che ha determinato il suo cammino di pensatore. Mostrare questa indipendenza di filosofia e teologia e, nello stesso tempo, la loro reciproca relazionalità è stata la missione storica del grande maestro. E così si capisce che, nel XIX secolo, quando si dichiarava fortemente l'incompatibilità tra ragione moderna e fede, Papa Leone XIII indicò san Tommaso come guida nel dialogo tra l'una e l'altra. Nel suo lavoro teologico, san Tommaso suppone e concretizza questa relazionalità. La fede consolida, integra e illumina il patrimonio di verità che la ragione umana acquisisce. La fiducia che san Tommaso accorda a questi due strumenti della conoscenza – la fede e la ragione – può essere ricondotta alla convinzione che entrambe provengono dall’unica sorgente di ogni verità, il Logos divino, che opera sia nell’ambito della creazione, sia in quello della redenzione.

Insieme con l'accordo tra ragione e fede, si deve riconoscere, d'altra parte, che esse si avvalgono di procedimenti conoscitivi differenti. La ragione accoglie una verità in forza della sua evidenza intrinseca, mediata o immediata; la fede, invece, accetta una verità in base all’autorità della Parola di Dio che si rivela. Scrive san Tommaso al principio della sua Summa Theologiae: "Duplice è l’ordine delle scienze; alcune procedono da principi conosciuti mediante il lume naturale della ragione, come la matematica, la geometria e simili; altre procedono da principi conosciuti mediante una scienza superiore: come la prospettiva procede da principi conosciuti mediante la geometria e la musica da principi conosciuti mediante la matematica. E in questo modo la sacra dottrina (cioè la teologia) è scienza perché procede dai principi conosciuti attraverso il lume di una scienza superiore, cioè la scienza di Dio e dei santi" (I, q. 1, a. 2).

Questa distinzione assicura l’autonomia tanto delle scienze umane, quanto delle scienze teologiche. Essa però non equivale a separazione, ma implica piuttosto una reciproca e vantaggiosa collaborazione. La fede, infatti, protegge la ragione da ogni tentazione di sfiducia nelle proprie capacità, la stimola ad aprirsi a orizzonti sempre più vasti, tiene viva in essa la ricerca dei fondamenti e, quando la ragione stessa si applica alla sfera soprannaturale del rapporto tra Dio e uomo, arricchisce il suo lavoro. Secondo san Tommaso, per esempio, la ragione umana può senz’altro giungere all’affermazione dell’esistenza di un unico Dio, ma solo la fede, che accoglie la Rivelazione divina, è in grado di attingere al mistero dell’Amore di Dio Uno e Trino.

D’altra parte, non è soltanto la fede che aiuta la ragione. Anche la ragione, con i suoi mezzi, può fare qualcosa di importante per la fede, rendendole un triplice servizio che san Tommaso riassume nel proemio del suo commento al De Trinitate di Boezio: "Dimostrare i fondamenti della fede; spiegare mediante similitudini le verità della fede; respingere le obiezioni che si sollevano contro la fede" (q. 2, a. 2). Tutta la storia della teologia è, in fondo, l’esercizio di questo impegno dell’intelligenza, che mostra l’intelligibilità della fede, la sua articolazione e armonia interna, la sua ragionevolezza e la sua capacità di promuovere il bene dell’uomo. La correttezza dei ragionamenti teologici e il loro reale significato conoscitivo si basano sul valore del linguaggio teologico, che è, secondo san Tommaso, principalmente un linguaggio analogico. La distanza tra Dio, il Creatore, e l'essere delle sue creature è infinita; la dissimilitudine è sempre più grande che la similitudine (cfr DS 806). Ciononostante, in tutta la differenza tra Creatore e creatura, esiste un'analogia tra l'essere creato e l'essere del Creatore, che ci permette di parlare con parole umane su Dio.

San Tommaso ha fondato la dottrina dell’analogia, oltre che su argomentazioni squisitamente filosofiche, anche sul fatto che con la Rivelazione Dio stesso ci ha parlato e ci ha, dunque, autorizzato a parlare di Lui. Ritengo importante richiamare questa dottrina. Essa, infatti, ci aiuta a superare alcune obiezioni dell’ateismo contemporaneo, il quale nega che il linguaggio religioso sia fornito di un significato oggettivo, e sostiene invece che abbia solo un valore soggettivo o semplicemente emotivo. Questa obiezione risulta dal fatto che il pensiero positivistico è convinto che l'uomo non conosce l'essere, ma solo le funzioni sperimentabili della realtà. Con san Tommaso e con la grande tradizione filosofica noi siamo convinti, che, in realtà, l'uomo non conosce solo le funzioni, oggetto delle scienze naturali, ma conosce qualcosa dell'essere stesso - per esempio conosce la persona, il Tu dell'altro, e non solo l'aspetto fisico e biologico del suo essere.

Alla luce di questo insegnamento di san Tommaso, la teologia afferma che, per quanto limitato, il linguaggio religioso è dotato di senso - perché tocchiamo l’essere -, come una freccia che si dirige verso la realtà che significa. Questo accordo fondamentale tra ragione umana e fede cristiana è ravvisato in un altro principio basilare del pensiero dell’Aquinate: la Grazia divina non annulla, ma suppone e perfeziona la natura umana. Quest’ultima, infatti, anche dopo il peccato, non è completamente corrotta, ma ferita e indebolita. La Grazia, elargita da Dio e comunicata attraverso il Mistero del Verbo incarnato, è un dono assolutamente gratuito con cui la natura viene guarita, potenziata e aiutata a perseguire il desiderio innato nel cuore di ogni uomo e di ogni donna: la felicità. Tutte le facoltà dell’essere umano vengono purificate, trasformate ed elevate dalla Grazia divina.

Un’importante applicazione di questa relazione tra la natura e la Grazia si ravvisa nella teologia morale di san Tommaso d’Aquino, che risulta di grande attualità. Al centro del suo insegnamento in questo campo, egli pone la legge nuova, che è la legge dello Spirito Santo. Con uno sguardo profondamente evangelico, insiste sul fatto che questa legge è la Grazia dello Spirito Santo data a tutti coloro che credono in Cristo. A tale Grazia si unisce l’insegnamento scritto e orale delle verità dottrinali e morali, trasmesso dalla Chiesa. San Tommaso, sottolineando il ruolo fondamentale, nella vita morale, dell’azione dello Spirito Santo, della Grazia, da cui scaturiscono le virtù teologali e morali, fa comprendere che ogni cristiano può raggiungere le alte prospettive del "Sermone della Montagna" se vive un rapporto autentico di fede in Cristo, se si apre all’azione del suo Santo Spirito. Però – aggiunge l’Aquinate – "anche se la grazia è più efficace della natura, tuttavia la natura è più essenziale per l’uomo" (Summa Theologiae, Ia, q. 29, a. 3), per cui, nella prospettiva morale cristiana, c’è un posto per la ragione, la quale è capace di discernere la legge morale naturale. La ragione può riconoscerla considerando ciò che è bene fare e ciò che è bene evitare per il conseguimento di quella felicità che sta a cuore a ciascuno, e che impone anche una responsabilità verso gli altri, e, dunque, la ricerca del bene comune. In altre parole, le virtù dell’uomo, teologali e morali, sono radicate nella natura umana. La Grazia divina accompagna, sostiene e spinge l’impegno etico ma, di per sé, secondo san Tommaso, tutti gli uomini, credenti e non credenti, sono chiamati a riconoscere le esigenze della natura umana espresse nella legge naturale e ad ispirarsi ad essa nella formulazione delle leggi positive, quelle cioè emanate dalle autorità civili e politiche per regolare la convivenza umana.

Quando la legge naturale e la responsabilità che essa implica sono negate, si apre drammaticamente la via al relativismo etico sul piano individuale e al totalitarismo dello Stato sul piano politico. La difesa dei diritti universali dell’uomo e l’affermazione del valore assoluto della dignità della persona postulano un fondamento. Non è proprio la legge naturale questo fondamento, con i valori non negoziabili che essa indica? Il Venerabile Giovanni Paolo II scriveva nella sua Enciclica Evangelium vitae parole che rimangono di grande attualità: "Urge dunque, per l'avvenire della società e lo sviluppo di una sana democrazia, riscoprire l'esistenza di valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità stessa dell'essere umano, ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere, rispettare e promuovere" (n. 71).

In conclusione, Tommaso ci propone un concetto della ragione umana largo e fiducioso: largo perché non è limitato agli spazi della cosiddetta ragione empirico-scientifica, ma aperto a tutto l’essere e quindi anche alle questioni fondamentali e irrinunciabili del vivere umano; e fiducioso perché la ragione umana, soprattutto se accoglie le ispirazioni della fede cristiana, è promotrice di una civiltà che riconosce la dignità della persona, l'intangibilità dei suoi diritti e la cogenza dei suoi doveri. Non sorprende che la dottrina circa la dignità della persona, fondamentale per il riconoscimento dell’inviolabilità dei diritti dell’uomo, sia maturata in ambienti di pensiero che hanno raccolto l’eredità di san Tommaso d’Aquino, il quale aveva un concetto altissimo della creatura umana. La definì, con il suo linguaggio rigorosamente filosofico, come "ciò che di più perfetto si trova in tutta la natura, cioè un soggetto sussistente in una natura razionale" (Summa Theologiae, Ia, q. 29, a. 3).

La profondità del pensiero di san Tommaso d’Aquino sgorga – non dimentichiamolo mai – dalla sua fede viva e dalla sua pietà fervorosa, che esprimeva in preghiere ispirate, come questa in cui chiede a Dio: "Concedimi, ti prego, una volontà che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia e una fiducia che alla fine giunga a possederti".

Festa della musica

Fête de la musique sur Nomao

giovedì 17 giugno 2010

Scienza e ambiente

Venerdì 18 giugno 2010

Palazzo Ceriana Mayneri
Corso Stati Uniti 27, Torino


Il mondo salvato dai… giornalisti?

Ore 18 - Saluto del Segretario della Subalpina, Alessandra Comazzi

Ore 18,15 - “Scienza e ambiente. Con le parole giuste”

Intervento di Piero Bianucci, giornalista scientifico, già responsabile di Tuttoscienze

Ore 18,30 - Andrea Vico, giornalista freelance, esperto di divulgazione scientifica, presenta Protec, evento dedicato alle Tecnologie e ai Servizi per la Protezione Civile e Ambientale, al Lingotto Fiere di Torino dal 23 al 25 settembre 2010

Ore 19,00 - Angelo Sferrazza, capo ufficio stampa dell’Associazione Greenaccord, presenta “People building future – Confini e valori per un vivere sostenibile”, VIII Forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura, a Cuneo dal 13 al 17 ottobre 2010

Ore 19,30 - “A proposito di giornalismo e ambiente”, videoproiezione a cura di Davide Demichelis, giornalista documentarista


Ore 20: Buffet

Giornalisti sì, ma pagati a pezzo

Ore 21 – Saluto del Segretario della Subalpina, Alessandra Comazzi
Introduzione di Barbara Ferrero, giornalista freelance,
dell’Assemblea nazionale Lavoro Autonomo, appena costituita in seno alla Fnsi

Ore 21,15 - “Freelance, co.co.co: le forme del lavoro autonomo giornalistico”

Intervento dell’avvocato Nino Raffone, giuslavorista, consulente della Subalpina.

Ore 21,45 – Question time

Vertenze, tariffari, previdenza: rispondono l’avvocato Nino Raffone,
il fiduciario Inpgi Roberto Reale, il direttore della Subalpina Roberta Pellegrini







Info: tel. 011.562.33.73 – e-mail: direzione@stampasubalpina.it

Scienza e ambiente

VENERDÌ 18 GIUGNO 2010

Palazzo Ceriana Mayneri
Corso Stati Uniti 27, Torino


IL MONDO SALVATO DAI… GIORNALISTI?

Ore 18 - Saluto del Segretario della Subalpina, Alessandra Comazzi

Ore 18,15 - “Scienza e ambiente. Con le parole giuste”
Intervento di Piero Bianucci, giornalista scientifico, già responsabile di Tuttoscienze

Ore 18,30 - Andrea Vico, giornalista freelance, esperto di divulgazione scientifica, presenta PROTEC, evento dedicato alle Tecnologie e ai Servizi per la Protezione Civile e Ambientale, al Lingotto Fiere di Torino dal 23 al 25 settembre 2010

Ore 19,00 - Angelo Sferrazza, capo ufficio stampa dell’Associazione Greenaccord, presenta “People building future – Confini e valori per un vivere sostenibile”, VIII Forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura, a Cuneo dal 13 al 17 ottobre 2010

Ore 19,30 - “A proposito di giornalismo e ambiente”, videoproiezione a cura di Davide Demichelis, giornalista documentarista


Ore 20: Buffet


GIORNALISTI SÌ, MA PAGATI A PEZZO

Ore 21 – Saluto del Segretario della Subalpina, Alessandra Comazzi Introduzione di Barbara Ferrero, giornalista freelance, dell’Assemblea nazionale Lavoro Autonomo, appena costituita in seno alla Fnsi

Ore 21,15 - “Freelance, co.co.co: le forme del lavoro autonomo giornalistico”
Intervento dell’avvocato Nino Raffone, giuslavorista, consulente della Subalpina.

Ore 21,45 – Question time
Vertenze, tariffari, previdenza: rispondono l’avvocato Nino Raffone, il fiduciario Inpgi Roberto Reale, il direttore della Subalpina Roberta Pellegrini

martedì 15 giugno 2010

Sura di Maria

Sacro Corano, Sura di Maria con traduzione e commento
Nuova edizione di Morcelliana curata dall’Imam Yahya Pallavicini (COREIS)


La COREIS (Comunità Religiosa Islamica) Italiana è lieta di annunciare la pubblicazione della nuova traduzione commentata della sura XIX del Sacro Corano, edita da Morcelliana con il titolo di La Sura di Maria. Traduzione e commento del capitolo XIX del Corano e curata dall'Imam della Moschea al-Wahid di Milano Yahya Pallavicini. Il capitolo XIX della Rivelazione islamica, particolarmente denso di insegnamenti profondi e sempre attuali, è presentato con testo arabo a fronte, mentre ogni versetto della sura Maryam tradotto in italiano è seguito da una chiosa che aiuti a penetrare il profondo valore simbolico e metafisico del testo sacro. La prestigiosa casa editrice di Brescia propone tale recentissimo e fondamentale contributo per la conoscenza della dottrina islamica nella collana Pellicano Rosso.

La traduzione e il commento alla Sura di Maria sono presentate dal Vice Presidente della COREIS Italiana Yahya Pallavicini, da tre legislature Consigliere per l’Islam italiano del Ministero dell’Interno e autorevole rappresentante contemporaneo di una scuola tradizionale islamica che opera per guidare la sensibilità spirituale dei lettori al riconoscimento della fonte unica della Rivelazione, quella Luce divina che ha dato origine a Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Le figure sacre di Profeti come Zaccaria, Giovanni Battista, Abramo, Mosè, Ismaele ed Enoch, con la particolare attenzione riservata alla nascita miracolosa dello Spirito di Dio Gesù, figlio di Maria Vergine anche nell’Islam, si intrecciano così a temi universali come Paradiso e Inferno, Angeli e Demoni, credenti e miscredenti, trascendenza e immanenza di Dio, luoghi sacri della Rivelazione, Giudizio finale e Realtà divina.

La traduzione commentata dei versetti coranici si conclude con alcune riflessioni di Yahya Pallavicini sulla società europea contemporanea, nello sforzo di declinare i principi immutabili della religione nelle contingenze mutevoli nel mondo in cui viviamo. Il punto di partenza dell'operatività intellettuale dell'Imam Pallavicini è infatti sempre il Corano, che nell'Islam costituisce il Verbo di Dio fatto Sacra Recitazione per il beneficio spirituale dei fedeli. L’autore ci guida dunque a riflettere su vita e morte, famiglia, genitori e figli, anziani e giovani, educazione religiosa e lingua sacra, preghiera ed elemosina, valore del tempo e del ritmo, felicità e infelicità, ricchezza e povertà. Si tratta di riconoscere la perenne attualità della Verità nella vita quotidiana di ciascuno, la vitalità dello Spirito anche nell’Europa secolarizzata e la funzione di orientamento dell’ortodossia tradizionale per i musulmani del terzo millennio.

venerdì 11 giugno 2010

Chiusura anno sacerdotale

A Rome, la diversité en marche des prêtres français

Venus à Rome en grand nombre participer à un pèlerinage sur la via Appia et célébrer, du 9 au 11 juin, la fin de l’Année sacerdotale, les prêtres français ont affiché une tranquille diversité.

Un succès, peut-être inattendu. Selon le P. Jean Quris, secrétaire général adjoint de l’épiscopat, 750 prêtres français, soit 5% de l’effectif total, sont présents à Rome depuis le mercredi 9 juin pour la clôture de l’Année sacerdotale. Venus avec 30 évêques, le tiers de la conférence épiscopale française, ils représentent près de 8% des 10 000 prêtres participant à ces journées de prières et de rencontres. C’est donc une très forte délégation.

Mais les chiffres ne disent pas tout. Car ce qui frappe, au vu de ce vaste groupe, c’est sa diversité. Par l’âge, certes, mais aussi par la tenue : jeans, soutanes et cols romains cohabitent et… se parlent. Comme les «3G», ainsi qu’ils se désignent eux-mêmes, trois jeunes prêtres venus de Rennes, rencontrés sur le parvis de la basilique Saint-Jean-de-Latran, à l’issue de la première matinée consacrée à une conférence du cardinal Joachim Meisner, archevêque de Cologne, sur le thème « Conversion et mission ».
«Revenir à la source pour se réunifier, faire le plein»

Le P. Gaël Sachet, né un 14 juillet il y a trente ans, ordonné il y a trois ans, est aujourd’hui vicaire en périphérie de Rennes. En tee-shirt et en jean, il est venu « porter la prière de sa paroisse à Rome, intercéder pour le peuple de Dieu ». À ses côtés, son ami le P. Nicolas Guillou, vicaire en paroisse, aumônier d’étudiants et dans l’enseignement catholique, né en 1968, en col romain. Il est venu ici pour « vivre une fête de famille, avec tous les âges, toutes les sensibilités. Alors que le sacerdoce est malmené, il faut serrer les rangs. » Il a beaucoup apprécié, tout à l’heure, l’adoration eucharistique, « tous réunis devant Celui qui nous a appelés ».

Le troisième « G », c’est le P. Noël (né un 24 décembre) Guiblin. Lui porte soutane – « Je ne suis ni tradi, ni intégriste, dit-il, je ne la porte pas tout le temps, mais avec elle je me sens enveloppé dans mon sacerdoce » – et casquette. Il est venu « vivre le point d’orgue de cette Année sacerdotale, revenir à la source pour se réunifier, faire le plein ».

Ces trois-là sont manifestement heureux d’être ensemble. À leurs côtés, un « ancien », ordonné en 1953, s’étonne ingénument : « La célébration eucharistique m’a rappelé ma jeunesse. Il y avait vraiment beaucoup de latin. Mais bon, il y avait dans la basilique toutes les nationalités : il faut bien une langue commune. »
«Il nous faut dépasser ces divisions stériles»

Le bonheur de se retrouver semble largement partagé, loin devant l’échange international. L’après-midi, lors de leur pèlerinage sur la via Appia Antica inondée de soleil, ils ne cesseront d’échanger, de partager leurs expériences pastorales, toutes sensibilités confondues. « On ne se voit jamais », disent-ils.

Ainsi le P. Gérard Lorgnier, 62 ans, qui vient de célébrer ses trente-cinq ans d’ordination. Venu avec 25 prêtres de son diocèse de Cambrai, il avoue que c’est la première fois qu’il vient à Rome « se replonger dans Pierre et Paul, et aussi rencontrer d’autres prêtres ».

Au Latran, le matin, il a été attentif à l’homélie de Mgr Mauro Piacenza, secrétaire de la Congrégation pour le clergé : « Donner la miséricorde de Dieu, c’est le cœur de mon sacerdoce. » Son évêque, Mgr François Garnier, marchant gaillardement sous le soleil, renchérit : « Depuis Pierre et Paul, l’Église n’a cessé d’être diverse. Il nous faut dépasser ces divisions stériles que nous entretenons. »
«L’important, c’est de retrouver la communion»

« Les clivages s’effondrent dès que nous vivons une expérience fraternelle, parce que nous sommes complémentaires et différents », souligne le P. Jean-Marie Launay, doyen de Cambrai. Ce que confirme à La Croix le cardinal André Vingt-Trois, archevêque de Paris et président de la Conférence épiscopale : « La vraie façon de faire l’unité d’un presbyterium, c’est de célébrer ensemble. Il s’agit là du seul lieu d’unité absolue, car sacramentelle. »

L’idée de ce micro-pèlerinage sur la via Appia est venue de Mgr Hervé Giraud, évêque de Soissons et président de la Commission épiscopale pour les ministres ordonnés : « Je voulais, dans les pas de Paul, dans la gratuité du chemin, que les prêtres se brassent, que ceux de Cambrai rencontrent ceux d’Albi. »

Après cette année bien secouée pour la figure du prêtre, n’était-ce pas risqué ? « Non. Après un coup dur en famille, il faut se parler. Cette Année sacerdotale nous a permis de montrer qu’en dépit des difficultés nous avions confiance en nos prêtres. L’important, c’est de retrouver la communion, dans ce lieu de communion par excellence qu’est Rome. »
« Ailleurs qu’en France, ils n’ont pas tous les cheveux gris ! »

Bien sûr, certains aînés boudent un peu : « Attention, la figure du prêtre qu’on nous présente à Rome risque de tourner au prêtre pour lui-même. Sans création, la Tradition est stérile. Nous sommes prêtres pour les communautés locales. »

Le P. Guibert, lui, est venu de Vendée. Alors que ses pas le mènent au bout de la via Appia, en attendant les vêpres célébrées mercredi soir à Saint-Jean-de-Latran autour des cardinaux André Vingt-Trois et Jean-Pierre Ricard, il se félicite : « Après cette année douloureuse, nous avions besoin de renouveler la conscience de notre identité. » Lui, ce qui le frappe durant ces journées romaines, c’est de « voir tous ces jeunes prêtres venus de partout dans le monde. Ailleurs qu’en France, ils n’ont pas tous les cheveux gris ! »
Frédéric MOUNIER, à Rome (da lacroix.com)

martedì 8 giugno 2010

Med

È disponibile da qualche giorno, sia in versione cartacea che on line, la rivista ufficiale del Med(Associazione italiana per l’educazione ai media e alla comunicazione) dal titolo “Media Education:studi, ricerche,buone pratiche”,edita dalla Editrice Erickson. “La rivista –dichiara in una nota Roberto Giannatelli,presidente onorario del Med- vorrebbe essere l’occasione per creare in Italia una “community” dei media educator, stimolare la progettazione e la sperimentazione di nuovi percorsi di Me per la scuola e il territorio, coinvolgere le istituzioni nazionali e regionali che dovrebbero garantire le condizioni perché l’educazione dei giovani ai media e alla comunicazione diventi una priorità per la società italiana”. La pubblicazione della rivista, nata poco dopo il convegno Cei “Testimoni Digitali”, si inserisce in una serie di eventi, come il Summer School di Corvara e l’assemblea nazionale di novembre a Roma, che il Med ha organizzato per cercare di creare una comunità di educatori che operano con i giovani nelle regioni italiane.

Info:www.medmediaeducation.it

lunedì 7 giugno 2010

Paul Ricoeur

Inauguration du Fonds Paul RICOEUR
DISCOURS DE M. LE PRÉSIDENT DE LA RÉPUBLIQUE

Institut protestant de théologie de Paris -- Jeudi 27 mai 2010

Madame et Monsieur les Ministres,
Mesdames et Messieurs les élus,
Monsieur le Président de l'Institut Protestant de théologie,
Monsieur le Doyen de la Faculté de Théologie Protestante de Paris,
Monsieur le Président du Conseil Scientifique du fonds Ricœur,
Mesdames et Messieurs,

Nous voici donc réunis dans ces locaux magnifiquement rénovés et modernisés de l'Institut Protestant de théologie pour inaugurer l'installation du fonds Ricœur. Nous ne célébrons pas seulement un legs de 15000 volumes désormais accessibles à tous mais aussi la mémoire d'un penseur dont cette bibliothèque de travail et les archives personnelles témoignent de l'étendue de la réflexion et des connaissances, à la dimension de son œuvre qui le place parmi les plus grands philosophes français de la deuxième moitié du XXe siècle.

Paul Ricœur est mort il y a cinq ans, le 20 mai 2005. Il était né en 1913. Naissance difficile : il échappe de peu à la mort. Très vite il perd sa mère. Son père est tué en 1915 durant la bataille de la Marne. Il est orphelin, « pupille de la Nation ». Il soigne sa solitude en dévorant les livres et en recopiant les cartes de ses Atlas. Au lycée de Rennes, son professeur de philosophie lui fait découvrir la discipline qui le passionnera toute sa vie. Il hésite avec les lettres. Sur ses copies les correcteurs inscrivent « trop philosophique ». Il présente le concours d'entrée à l'École Normale Supérieure. Il échoue. Il le confessera plus tard : quand on lui posait des questions, il croyait qu'il fallait dégager une réponse de vérité. Cela ne paye pas dans les concours ! Il apprend. En 1935, il est reçu deuxième à l'agrégation de philosophie.

Toute sa vie il sera chercheur, ou plutôt penseur. Il sera aussi enseignant parce qu'il n'imaginera jamais penser seulement pour lui-même, parce que toute sa vie il aura la passion du partage, de la transmission. Enfant, l'école sera sa joie, son échappatoire à la solitude, à l'austère éducation de sa famille. Adulte, il continuera d'éprouver pour elle un attachement presque charnel.
Au lieu de se tourner vers lui-même, de ressasser ses souffrances et ses blessures intimes, il se tourne vers les autres. A aucun moment, il ne sera étranger à son siècle. Il s'y enracine, au contraire.

Au soir de sa vie, il dira « On entre souvent dans les questions politiques et sociales par l'indignation ». Des indignations, le XXe siècle lui en offre beaucoup d'occasions. Sa pensée y trouve une source infinie d'inspiration et ce qui est l'un des fils directeurs de sa réflexion : la conscience du mal.

Dans les années Trente il s'engage politiquement. Il milite. Il soutient le Front Populaire. Mais farouchement pacifiste, obsédé par l'injustice du Traité de Versailles, il ne voit pas la montée du péril nazi. Quarante ans plus tard, cet honnête homme reconnaîtra « Je me juge sévèrement sur ce point aujourd'hui ». Il vit l'effondrement de 1940 avec un profond sentiment de culpabilité. Il le surmonte en se battant courageusement à la tête de sa section. Encerclé, fait prisonnier, il est envoyé dans un camp, en Poméranie orientale. Il reste prisonnier cinq ans au milieu des poux et des brimades, accablé par l'ennui et la faim. Avec sept autres officiers français, il organise une « chambrée des philosophes ». On partage les colis, on vole des bûches pour cuisiner clandestinement, on essaye de faire du vin avec des raisins secs, on discute de Kant et de Spinoza. L'un des camarades de captivité de Paul Ricœur se souvient d'une conférence éblouissante sur Nietzsche donnée par celui-ci « sans un livre et sans une note ». Il étudie. Il écrit. Il lit. Il prépare sa thèse de doctorat. Il cache sous son matelas un livre en allemand de Husserl qui est interdit et qu'il a entrepris de traduire. Une fois de plus c'est dans les livres qu'il oublie la pesanteur du quotidien. « Je vivais dans les livres, un peu comme dans mon enfance » confiera-t-il plus tard.

Dans le climat de désarroi et de sourde culpabilité qui règne parmi tous ces officiers d'une armée défaite, le prisonnier Ricœur prend peu à peu conscience, comme beaucoup de ses camarades, qu'il n'y a rien à attendre pour le redressement de la France « d'une complaisance à la défaite ». En novembre 1942, après l'invasion de la zone libre la légitimité est passée tout entière à la France combattante. Dans son journal, il note à propos des Français libres : « les clochards sont redevenus des soldats ».

En même temps, il prend ses distances avec l'engagement partisan. Il entreprend comme il dit de se « désintoxiquer de la politique ». Il ne s'en désintéressera pas pour autant, parce que tout ce qui se passe autour de lui l'intéresse et parce que sa capacité d'indignation ne s'usera jamais. Le retour en France est épique. Il passe par le camp de Bergen-Belsen où l'horreur nazie se dévoile dans toute son ampleur aux yeux de ces prisonniers de guerre qui n'avaient jamais rencontré de SS.

C'est au Chambon-sur-Lignon, où les protestants ont caché et sauvé tant d'enfants juifs, qu'il va se ressourcer. Il y reprend ses recherches et son enseignement.

Dans son parcours philosophique il rencontre tous les systèmes de pensée, et s'oppose à eux, lui qui est étranger à tout esprit de système. Au fur et à mesure que la pensée du siècle déconstruit le sujet, il le reconstruit. Au fur et à mesure qu'elle jette à bas la conscience et la liberté, il les relève. A la mort maintes fois proclamée de la philosophie, il oppose sa nécessité. Il ne se dérobe devant aucune critique. Il relève tous les défis. Il affronte l'existentialisme, le marxisme, le structuralisme...

Philosophe avant tout, il explore les frontières de la philosophie et même au-delà. Il s'aventure, mais toujours en philosophe, sur le terrain de l'histoire, de la psychologie, de l'anthropologie, de la biologie, parce que le dialogue avec les autres savoirs lui paraît essentiel.

A la Sorbonne, à Nanterre, à Chicago, dans la Revue Esprit, il poursuit inlassablement sa quête de vérité et de conscience de soi, sensible aux bouleversements de son époque, aux malheurs du temps. En mai 68 il pressent que rien ne sera plus comme avant dans le rapport entre enseignants et enseignés. Lucidement, il écrit « Nous sommes entrés dans un temps où il faut faire du réformisme et rester révolutionnaires. »

Révolutionnaire, il le sera toujours dans l'ordre de la pensée face aux grandes constructions totalisantes qui imposent successivement leur domination sur toute la vie intellectuelle.

Révolutionnaire, il le sera parce que les thèmes qui lui sont chers, la volonté, le mal, l'amour, la justice portent en eux la remise en cause de tous les ordres établis.

Son principal biographe le qualifie de « Juste en quête des voies conduisant à la sagesse pratique ». Une sagesse pratique, c'est une sagesse en prise avec la vie. Au fond, lui aussi, il veut changer la vie, mais de l'intérieur.

Permettez à un homme politique de citer deux réflexions de Paul Ricœur qui parmi tant d'autres font écho à sa propre réflexion. La première a trait au devoir de mémoire.

« Les historiens, dit-il, ne doivent pas oublier que ce sont les citoyens qui font réellement l'histoire. Les historiens ne font que la dire ; mais ils sont eux aussi des citoyens responsables de ce qu'ils disent, surtout lorsque leur travail touche aux mémoires blessées [...]. Je suggère que nous unissions la notion de devoir de mémoire, qui est une notion morale, à celles de travail de mémoire et de travail de deuil, qui sont des notions purement psychologiques. Mais le dernier mot doit rester au concept moral de devoir de mémoire, qui s'adresse, à la notion de justice due aux victimes ».

Le deuxième a trait, précisément, à l'idée de justice et à l'utilitarisme « l'utilitarisme ne propose pour idéal que la maximisation de l'avantage moyen du plus grand nombre au prix du sacrifice d'un petit nombre à qui cette implication sinistre doit rester dissimulée ».

Mais c'est quand il parle du mal qu'il est peut être le plus profond et le plus émouvant. Derrière le mal il y a la souffrance et le suicide de son fils lui fait expérimenter l'extrême limite de la souffrance humaine.

« Que l'on soustraie la souffrance infligée aux hommes par les hommes et on verra ce qui restera de souffrance dans le monde... » Il restera au moins celle là : la souffrance d'un père devant son enfant qui s'est donné la mort. « Pourquoi moi ? » « Pourquoi lui ? » Il l'avoue, aucune réponse pratique ne suffit plus. Il ne reste que le travail de deuil : délier « une à une les attaches qui nous font ressentir la perte d'un être cher comme perte de nous-mêmes ».

Paul Ricœur ne cherche pas la réponse définitive aux éternelles questions de la philosophie auxquelles il se confronte. Il ne cherche pas à conclure. Sa pensée est un cheminement. On ne comprend pas ce cheminement sans se tourner vers la culture et la foi dans lesquelles sont enracinées sa sensibilité et sa pensée. Il se veut philosophe et non théologien. Il veut que son argumentation se suffise à elle-même, qu'elle ne fasse appel à aucun présupposé religieux.

Toute sa vie, il s'efforce de faire le plus rigoureusement possible la part des choses. Mais l'inspiration vient du protestantisme comme culture et comme foi et du christianisme social comme engagement.

Évoquer la grande figure de Paul Ricœur c'est donc évoquer aussi les plus hautes vertus intellectuelles, morales et spirituelles du protestantisme français.

Ce n'est pas faire injure au principe de laïcité dont les protestants, mieux que quiconque, connaissent la valeur, parce qu'ils se sont battus pour elle, parce qu'ils en sont parmi les principaux artisans. Ce n'est pas faire injure au principe de laïcité que de reconnaître dans le protestantisme une pensée de la liberté et de la responsabilité humaines.
Une éthique forte, rigoureuse, exigeante.
Un esprit d'indépendance.
Une volonté de résistance à toutes les oppressions.
Une fidélité sans faille à la Nation et à la République.

Voilà ce que le protestantisme a gravé dans l'esprit et le cœur de tous les enfants des morts de la Saint-Barthélémy, des Camisards traqués dans les Cévennes, des femmes protestantes enfermées dans la Tour de Constance à Aigues-Mortes qui écrivaient « Résister » sur le mur de leur prison, des Justes du Chambon-sur-Lignon qui cachaient les enfants juifs parmi leurs propres enfants...

Le protestantisme fait partie de notre histoire, de notre culture, et oserai-je le dire, il est partie intégrante de notre identité nationale.

Comment ne pas penser à ce que disait ici-même Jules Ferry lorsqu'il inaugura en 1877 les locaux que l'État venait d'offrir à la nouvelle Faculté de Théologie Protestante de Paris ?

« Le protestantisme a été, dans l'histoire moderne, la première forme de la liberté (...). La Révolution de 1789 (...) a été faite en partie pour vous : elle est pour vous la date de l'affranchissement définitif ».

Il ajoutait : « l'État est ici à sa place, il a ici sa part, non pour fixer le dogme, qui ne lui appartient pas, mais à un double titre qui lui est propre, celui de gardien de la cité terrestre et celui de gardien du savoir humain... »

C'était avant la séparation de l'Église et de l'État...
Mais quelque chose de profondément vrai demeure dans ces paroles prononcées par le grand républicain qui inventa l'École laïque.

Nous sommes ici dans un lieu d'étude et de réflexion non dans un lieu de culte. Ce qui est en jeu ici, dans cette Faculté de Théologie Protestante de Paris plus que séculaire, qui appartient à toutes les confessions protestantes et qui est ouverte à tout le monde, c'est la transmission d'une connaissance et d'un savoir qui représentent un véritable trésor d'humanité et qui fait partie de l'héritage d'une civilisation que nous voulons garder vivante. Croyants ou non croyants le legs de 2000 ans de pensée et de civilisation chrétiennes nous concerne tous.

A une époque où l'on s'émeut à juste titre du risque de disparition de certaines espèces vivantes, de certaines langues et de certaines cultures, comment pourrions-nous rester indifférents au risque d'assèchement d'une tradition spirituelle à laquelle nous devons notre idée de l'Homme ?

Et ne voyons-nous pas aussi que la théologie telle qu'on l'enseigne ici nous préserve du charlatanisme, de l'esprit sectaire et rétrograde qui menacent de dénaturer le sentiment religieux et de l'engager sur des chemins peu compatibles avec les idéaux et les valeurs de notre civilisation ? Laissons tous ceux qui éprouvent le besoin de croire entre les mains de n'importe qui, n'ayant reçu aucune formation théologique sérieuse ancrée dans une longue tradition intellectuelle et c'est la société tout entière qui aura à en souffrir.

C'est vous dire combien je me réjouis de voir la vieille faculté de théologie protestante si vivante, si moderne.
C'est vous dire combien je me réjouis de constater l'esprit d'ouverture et l'esprit œcuménique qui règne ici.
C'est vous dire combien je trouve légitime votre demande de voir reconnaître les diplômes délivrés par l'enseignement supérieur protestant et fixer la liste de leurs équivalences comme cela a été fait pour l'enseignement supérieur catholique. Je souhaite qu'un groupe de travail soit rapidement constitué pour faire des propositions en ce sens au Gouvernement.


Mesdames et Messieurs,

Alors que l'économie et la société redécouvrent dans la crise sans précédent qui secoue le monde, un profond besoin d'éthique, alors que le progrès des sciences et des techniques met nos valeurs chaque jour à l'épreuve et que le capitalisme est en quête de morale, le silence des grandes religions serait incompréhensible tant elles sont dépositaires ensemble d'une partie essentielle de la sagesse humaine.

Elles n'apporteront rien en se dressant contre la science et contre l'économie.

« La théologie que nous enseignons ici, disait en 1877 le doyen de votre faculté, accepte avec confiance les procédés et les méthodes auxquels est tenue de se soumettre la science moderne ».

C'est dans des lieux comme celui-ci que ce dialogue confiant entre la science et la religion peut s'organiser. C'est peut-être ce que nous avons de mieux à opposer à la mort lente d'une certaine idée de la civilisation et d'une certaine idée de l'Homme.

De Paul Ricœur, on a dit que cet homme si austère dans son travail, si plein de probité et de rigueur, aimait beaucoup rire. Peut-être tout simplement parce qu'il aimait la vie et que cet amour de la vie était plus fort que toutes les peines et toutes les souffrances. Peut-être ce rire fut-il la forme la plus irréfutable de sa sagesse. Peut-être était-ce pour cela que ses élèves l'aimaient tant. Peut-être que c'est ce qui manque le plus à notre époque.

Poser la question c'est dessiner déjà l'ampleur du défi que nous avons personnellement et collectivement à relever et la part qui peut être la vôtre à la croisée de tous les savoirs qui concernent l'homme le plus directement, oserai-je dire, le plus intimement.

C'est une tâche redoutable.

Dans la stricte fidélité aux principes de la laïcité, vous pouvez compter sur le respect, la compréhension et le soutien de cette République qui vous doit tant.
Et vous pouvez aussi compter sur moi.

domenica 6 giugno 2010

SEMI DI PACE

Il Papa ha incontrato nel pomeriggio a Nicosia una personalità islamica, Cheik Mohammed Nazim Abil Al-Haqqani, leader spirituale di un movimento sufi, 89 anni, impegnato nel dialogo interreligioso. Il breve incontro si è svolto all'esterno della nunziatura prima della Messa odierna nella Chiesa della Santa Croce. Il leader sufi ha spiegato che vive dietro la Chiesa, nella parte Nord di Cipro, e di essere venuto per salutare il Pontefice. Si è scusato per il fatto di aver aspettato seduto. “Sono molto anziano”, ha detto. E il Papa ha risposto: “Sono anziano anch’io!”. Nazim ha poi donato al Papa un bastone istoriato, una targa con parole di pace in arabo e un rosario musulmano. Il Pontefice, da parte sua, gli ha donato una medaglia: quindi si sono abbracciati in un gesto di affetto fraterno. Nazim ha chiesto infine a Benedetto XVI di pregare per lui. “Certamente lo farò - gli ha risposto il Papa - pregheremo l'uno per l'altro”.

Per maggiori informazioni sui Sufi c'è un ottimo sito in italiano: www.sufi.it

sabato 5 giugno 2010

Gaza

CONTACT-PRESSE : Jacques Carton
58, av. de Breteuil, 75007 Paris – www.eglise.catholique.fr
Tél. 01 72 36 68 45 – information.communication@cef.fr

Communiqué de presse

Plusieurs organisations catholiques condamnent l’assaut
contre le convoi humanitaire vers Gaza
Justice et Paix-France, la Mission de France, Pax Christi-France, Chrétiens de la
Méditerranée, le Comité Catholique contre la Faim et pour le Développement et
le Secours Catholique condamnent fermement l’assaut mené par les troupes
israéliennes contre la flotille qui tentait de rallier Gaza lundi 31 mai.
Ces organisations expriment leur profonde indignation et leur vive inquiétude.
Leurs pensées vont d’abord aux nombreuses victimes qui sont à déplorer et à
leurs familles.
L’armée israélienne, l’une des plus entraînées au monde, avait les moyens
d’intervenir sans faire de victimes comme elle l’a déjà fait ces derniers mois avec
cinq autres bateaux. En agissant dans les eaux internationales et en ouvrant le
feu sur ce convoi humanitaire, elle bafoue les principes élémentaires du droit
international et du droit humanitaire. Par cette opération, le gouvernement
israélien prend le risque d’embraser un peu plus la région et de bloquer toute
chance, déjà fragile, de reprise des négociations de paix ; de tels actes ne
faisant qu’augmenter la haine.
Justice et Paix-France, la Mission de France, Pax Christi-France, Chrétiens de la
Méditerranée, le Comité catholique contre la faim et pour le développement et le
Secours Catholique appellent à la levée immédiate du blocus de Gaza qui
enferme depuis trois ans une population d’un million et demi d’habitants dans
une prison à ciel ouvert et la condamne à la misère et au désespoir. Le besoin
de sécurité du peuple israélien est légitime. Mais il est impossible de penser
pouvoir régler un problème politique et assurer une sécurité en prenant en otage
tout un peuple.
Ces organisations appellent également les responsables de la communauté
internationale, et notamment le président Sarkozy, les représentants de l’Union
européenne et le président Obama, à agir fermement pour amener les
protagonistes du conflit autour de la table des négociations. Et trouver enfin une
solution politique durable qui permette aux peuples israéliens et palestiniens de
vivre en paix et en sécurité.

Signataires :
Mgr Michel Dubost. Président de Justice et Paix-France
Mgr Yves Patenôtre. Evêque de la Mission de France
Mgr Marc Stenger. Président de Pax Christi-France
M. J-Claude Petit. Président de Chrétiens de la Méditerranée
M. François Soulage. Président du Secours Catholique
M. Guy Aurenche, Président du Comité Catholique contre la Faim et pour le Développement

martedì 1 giugno 2010

Secondo natura, Programma Convegno

Invito 3-4 giugno: "Secondo natura? Scienza, diritto e morale tra determinismo e libertà",

Convegno in Rettorato e Casa Valdese a Torino

Centro evangelico di Cultura “Arturo Pascal”
Centro di Ricerca sulla Biopolitica “Bios” – Università del Piemonte Orientale
Centro Studi Filosofico Religiosi “Luigi Pareyson”
Dipartimento di Scienze Giuridiche – Università di Torino

Giovedì 3 – Venerdì 4 giugno 2010

Aula Magna del Rettorato e Salone della Casa Valdese
Via Verdi 8 e Corso Vittorio Emanuele II 23
Torino

SECONDO NATURA?
Scienza, diritto e morale tra determinismo e libertà

Convegno


Giuristi, scienziati, teologi e filosofi a confronto sul concetto di natura
e sui suoi utilizzi quale fondamento di un’etica per l’oggi

Torino, 3 – 4 giugno 2010

Giovedì 3 giugno presso l’Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Torino e Venerdì 4 presso il Salone della Casa Valdese di Torino si terrà il Convegno Secondo natura? Scienza, diritto e morale tra determinismo e libertà promosso dal Centro Evangelico di Cultura “Arturo Pascal”, dal Centro di Ricerca sulla Biopolitica “Bios” dell’Università del Piemonte Orientale, dal Centro Studi Filosofico-religiosi “Luigi Pareyson” e dal Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Torino con il contributo dell’otto per mille della Chiesa Valdese.

A fronte dell’esigenza, ampiamente condivisa dall’opinione pubblica, di elaborare un nuovo quadro normativo in grado di rispondere ai problemi etici, giuridici e scientifici posti da innovazioni tecnologiche – dagli OGM alla pillola RU 486 – e da nuovi orientamenti sociali – dal testamento biologico ai matrimoni gay –, il Convegno Secondo natura? si propone di far dialogare giuristi, scienziati, teologi e filosofi intorno al concetto di natura – spesso utilizzato, soprattutto in ambito etico-religioso, quale fondamento assoluto e universale del proprio argomentare o impiegato, soprattutto in ambito scientifico, quale mezzo per promuovere una totale naturalizzazione dell’uomo, sostanzialmente riportato ai primati, e della sua mente, ricondotta a un insieme di processi chimici – nell’intento di problematizzarne la nozione e mostrarne la pluralità di significati nonché le possibili contraddizioni.

Articolato in quattro sessioni – rispettivamente Diritto: La natura può diventare norma?; Scienza: Esiste il pericolo del riduzionismo?; Teologia: Verso una biologizzazione del cristianesimo?; e Filosofia: Come pensare la natura umana? –, il Convegno intende riflettere sulla validità e i limiti delle diverse tipologie di ricorso a una qualche concezione di natura nonché intorno a interrogativi quali: Che cosa si intende per natura? La vita umana è interamente riducibile alla sua dimensione naturale? La mente umana è interamente riducibile ai processi celebrali? Il concetto di natura è idoneo a costruire un’etica condivisa? Ovvero: Abbiamo davvero bisogno della natura come fondamento per stabilire i criteri atti a normare la convivenza all’interno delle società contemporanee?

Laici, cattolici e protestanti, i relatori – Francesco Viola, Luciano Patruno, Gilberto Corbellini, Paolo Vineis, Giannino Piana, Daniele Garrone, Roberto Esposito, Simona Forti, Simone Pollo, Francesco Remotti e Federico Vercellone introdotti da Luca Savarino, Mario Dogliani, Giorgio Palestro, Maurizio Pagano e Ugo Perone – si confronteranno inoltre, da posizioni differenti, sul rapporto tra le diverse nozioni di natura e le loro conseguenze in termini di maggiore o minore libertà umana, o di autonomia della cultura, in ambito giuridico-politico, sociale, scientifico, religioso ed etico-filosofico, riflettendo intorno a interrogativi quali: È possibile fondare norme morali, giuridiche e scientifiche condivise senza fare ricorso al concetto di natura? Su quale fondamento alternativo si potrebbe oggi stabilire la legittimità di nuovi diritti?

Informazioni: 011 6692838

SECONDO NATURA?
Scienza, diritto e morale tra determinismo e libertà

3 – 4 giugno 2010
Aula Magna del Rettorato e Salone della Casa valdese
Via Verdi 8 e Corso Vittorio Emanuele II 23
Torino

Giovedì 3 giugno – Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi, Via Verdi 8

Ore 9,30
Presentazione di Luca Savarino – Università del Piemonte Orientale

Ore 10,00 – 13,00
DIRITTO: LA NATURA PUÒ DIVENTARE NORMA?

Introduzione di Mario Dogliani – Università di Torino

Interventi di
Francesco Viola – Università di Palermo
Luciano Patruno – Università di Bari


Ore 15,00 – 18,00
SCIENZA: ESISTE IL PERICOLO DEL RIDUZIONISMO?

Introduzione di Giorgio Palestro – Università di Torino

Interventi di
Gilberto Corbellini – Università “La Sapienza”, Roma
Paolo Vineis – Imperial College, Londra


Venerdì 4 giugno – Salone della Casa valdese, Corso Vittorio Emanuele II 23

Ore 10,00 – 13,00
TEOLOGIA: VERSO UNA BIOLOGIZZAZIONE DEL CRISTIANESIMO?

Introduzione di Maurizio Pagano – Università del Piemonte Orientale

Interventi di
Giannino Piana – Università di Torino
Daniele Garrone – Facoltà Valdese di Teologia, Roma


Ore 15,00 – 18,00
FILOSOFIA: COME PENSARE LA NATURA UMANA?

Introduzione di Ugo Perone – Università del Piemonte Orientale

Tavola rotonda con interventi di
Roberto Esposito – Istituto Italiano di Scienze Umane SUM
Simona Forti – Università del Piemonte Orientale
Simone Pollo – Università “La Sapienza”, Roma
Francesco Remotti – Università di Torino
Federico Vercellone – Università di Torino

Il Centro Evangelico di Cultura “Arturo Pascal” di Torino – legato alla Chiesa Evangelica Valdese – intende contribuire a diffondere in Italia il pensiero e la cultura del protestantesimo.
L’attività del Centro – presieduto da Luca Savarino – si concentra su alcune aree tematiche che caratterizzano storicamente la presenza evangelica in Italia: le questioni legate a laicità, ecumenismo e dialogo interreligioso, le sfide etiche e intellettuali poste dalle nuove tecnologie scientifiche nonché il dialogo tra filosofia e teologia.

Il Centro Studi Filosofico-religiosi “Luigi Pareyson” di Torino – diretto da Claudio Ciancio e Maurizio Pagano e costituito su iniziativa di un gruppo di docenti accomunati dall’essere allievi, amici ed estimatori del filosofo da cui prende il nome – conta tra i fondatori l’Università di Torino e la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale.
Il Centro promuove studi di carattere filosofico-religioso attraverso conferenze, convegni e borse di studio, la raccolta di materiale bibliografico relativo a Luigi Pareyson e la realizzazione di pubblicazioni scientifiche tra cui l’“Annuario Filosofico” e le “Opere Complete di Luigi Pareyson”.

Il Centro Interdisciplinare “Bios” dell’Università del Piemonte Orientale – a cui afferiscono docenti di fama internazionale come Stefano Rodotà, Adriana Cavarero, Roberto Esposito, Marco Revelli, Carlo Galli e Simona Forti, che lo dirige – ha come fine lo sviluppo e il coordinamento di attività di ricerca e formazione da parte di studiosi di varie discipline nel campo della biopolitica.
Le attività di ricerca mirano a una ridefinizione delle categorie politiche ed etiche tradizionali, in particolare in relazione allo sviluppo delle nuove tecnologie scientifiche e delle scienze mediche, nonché, soprattutto, alla riflessione bioetica.

Il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Torino, diretto da Raffaele Caterina e istituito nel 1996 con l’unificazione dell’Istituto Giuridico e dell’Istituto di Storia del Diritto Italiano, vanta illustri studiosi, tra i quali giudici della Corte Costituzionale, membri del Consiglio Superiore della Magistratura, soci dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
Le ricerche condotte nel Dipartimento riguardano tutte le aree del sapere giuridico. Al Dipartimento afferiscono la Scuola di Dottorato in Diritto e le biblioteche “Francesco Ruffini” e “Federico Patetta”.
Il Dipartimento cura la pubblicazione di due collane di monografie, le Memorie e i Quaderni.