giovedì 28 agosto 2008

Agostino

Preghiera

Amatissimo padre di tutte le conversioni,
a te affidiamo quanti hanno ritrovato la gioia del Suo amore, dopo tanta ricerca, dopo tanto errare, custodiscili e proteggili dai falsi pastori, contro i quali tanto e bene scrivesti, dalle insidie di un passato che è duro a morire, dai pregiudizi di quei fratelli che non credono che Il Signore può fare nuove tutte le cose, dalle ostilità di quel mondo che non sa più offrire a chi ha sbagliato una seconda possibilità. A te affidiamo anche tutti i vescovi, perché come tu hai fatto si prendano autenticamente cura delle loro pecorelle e non siano loro stessi i primi a cadere nelle reti dei perversi condizionamenti o in quegli errori dottrinali che astutamente il maligno traforma in segni di apertura e modernità. A te affidiamo anche tutti coloro che hai chiamato con la loro cultura ad illuminare e a dare speranza a questo nostro tempo, a rendere intellegibile il Suo e il nostro mistero nella comunione amorosa con la Santissima Trinità, che, come Tu hai meravigliosamente vissuto e illustrato, è altro da altri generi di comunioni amorose. Fa, o amatissimo padre, che nessuno abbia a scoraggiarsi a causa delle incomprensioni, delle derisioni, di quanti vorrebbero cancellare l'opera d'arte che la Grazia del Signore compie in ogni cuore che si converte. Amen

venerdì 22 agosto 2008

Ottava dell'Assunta


Cari fratelli e sorelle,

torna ogni anno, nel cuore dell’estate, la Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, la più antica festa mariana. È un’occasione per ascendere con Maria alle altezze dello spirito, dove si respira l’aria pura della vita soprannaturale e si contempla la bellezza più autentica, quella della santità. Il clima della celebrazione odierna è tutto pervaso di gioia pasquale. "Oggi – così canta l’antifona del Magnificat – Maria è salita al cielo: rallegratevi, con Cristo regna per sempre. Alleluia". Questo annuncio ci parla di un avvenimento del tutto unico e straordinario, ma che è destinato a colmare di speranza e di felicità il cuore di ogni essere umano. Maria è infatti la primizia dell’umanità nuova, la creatura nella quale il mistero di Cristo – incarnazione, morte, risurrezione, ascensione al Cielo – ha già avuto pieno effetto, riscattandola dalla morte e trasferendola in anima e corpo nel regno della vita immortale. Per questo la Vergine Maria, come ricorda il Concilio Vaticano II, costituisce per noi un segno di sicura speranza e di consolazione (cfr Lumen gentium, 68). L’odierna festa ci spinge a sollevare lo sguardo verso il Cielo. Non un cielo fatto di idee astratte, nemmeno un cielo immaginario creato dall’arte, ma il cielo della vera realtà, che è Dio stesso: Dio è il cielo. E Lui è la nostra meta, la meta e la dimora eterna, da cui proveniamo e alla quale tendiamo.

San Germano, Vescovo di Costantinopoli nel secolo VIII, in un discorso tenuto nella festa dell’Assunta, rivolgendosi alla celeste Madre di Dio, così si esprimeva: "Tu sei Colei, che per mezzo della tua carne immacolata ricongiungesti a Cristo il popolo cristiano… Come ogni assetato corre alla fonte, così ogni anima corre a Te, fonte di amore, e come ogni uomo aspira a vivere, a vedere la luce che non tramonta, così ogni cristiano sospira ad entrare nella luce della Santissima Trinità, dove Tu sei già entrata". Sono questi stessi sentimenti ad animarci quest’oggi mentre contempliamo Maria nella gloria di Dio. Quando Lei si è addormentata a questo mondo per risvegliarsi in cielo, in effetti ha semplicemente seguito per l’ultima volta il Figlio Gesù nel suo viaggio più lungo e decisivo, nel suo passaggio "da questo mondo al Padre" (cfr Gv 13,1).

Come Lui, insieme con Lui, è partita da questo mondo per tornare "alla casa del Padre"(cfr Gv 14-2). E tutto questo non è lontano da noi, come potrebbe forse apparire in un primo momento, perché tutti noi siamo figli del Padre, Dio, tutti noi siamo fratelli di Gesù e tutti noi siamo anche figli di Maria, Madre nostra. E tutti siamo protesi verso la felicità. E la felicità alla quale tutti noi tendiamo è Dio, così tutti noi siamo in cammino verso questa felicità, che chiamiamo Cielo, che in realtà è Dio. E Maria ci aiuti, ci incoraggi a far sì che ogni momento della nostra esistenza sia un passo in questo esodo, in questo cammino verso Dio. Ci aiuti a rendere così presente anche la realtà del cielo, la grandezza di Dio, nella vita del nostro mondo. Non è in fondo questo il dinamismo pasquale dell’uomo, di ogni uomo, che vuol diventare celeste, totalmente felice, in forza della Risurrezione di Cristo? E non è forse, questo, l’inizio e l’anticipo di un movimento che riguarda ogni essere umano e il cosmo intero? Colei da cui Dio aveva preso la sua carne e la cui anima era stata trafitta da una spada sul Calvario si è trovata associata per prima e in modo singolare al mistero di questa trasformazione, alla quale tendiamo tutti, trafitti spesso anche noi dalla spada della sofferenza in questo mondo.

La nuova Eva ha seguito il nuovo Adamo nella sofferenza, nella Passione, e così anche nella gioia definitiva. Cristo è la primizia, ma la sua carne risorta è inseparabile da quella della sua Madre terrena, Maria, e in Lei tutta l’umanità è coinvolta nell’Assunzione verso Dio, e con Lei tutta la creazione, i cui gemiti, le cui sofferenze, sono – come ci dice San Paolo – il travaglio del parto dell’umanità nuova. Nascono così i nuovi cieli e la terra nuova, in cui non vi sarà più né pianto, né lamento, perché non vi sarà più la morte (cfr Ap 21,1-4).

Quale grande mistero d’amore viene oggi riproposto alla nostra contemplazione! Cristo ha vinto la morte con l’onnipotenza del suo amore. Solo l’amore è onnipotente. Questo amore ha spinto Cristo a morire per noi e così a vincere la morte. Sì, solo l’amore fa entrare nel regno della vita! E Maria vi è entrata dietro il Figlio, associata alla sua gloria, dopo essere stata associata alla sua passione. Vi è entrata con un impeto incontenibile, mantenendo aperta dopo di sé la via per tutti noi. E per questo oggi la invochiamo: "Porta del cielo", "Regina degli angeli" e "Rifugio dei peccatori". Non sono certo i ragionamenti a farci capire queste realtà così sublimi, ma la fede semplice, schietta, ed il silenzio della preghiera che ci mette in contatto col Mistero che infinitamente ci supera. La preghiera ci aiuta a parlare con Dio e a sentire come il Signore parla al nostro cuore.

Chiediamo a Maria di farci quest’oggi dono della sua fede, quella fede che ci fa vivere già in questa dimensione tra finito e infinito, quella fede che trasforma anche il sentimento del tempo e del trascorrere della nostra esistenza, quella fede nella quale sentiamo intimamente che la nostra vita non è risucchiata dal passato, ma attratta verso il futuro, verso Dio, là dove Cristo ci ha preceduto e dietro a Lui, Maria.

Guardando l’Assunta in cielo comprendiamo meglio che la nostra vita di ogni giorno, pur segnata da prove e difficoltà, scorre come un fiume verso l’oceano divino, verso la pienezza della gioia e della pace. Comprendiamo che il nostro morire non è la fine, ma l’ingresso nella vita che non conosce la morte. Il nostro tramontare all’orizzonte di questo mondo è un risorgere all’aurora del mondo nuovo, del giorno eterno.

"Maria, mentre ci accompagni nella fatica del nostro vivere e morire quotidiano, mantienici costantemente orientati verso la vera patria della beatitudine. Aiutaci a fare come tu hai fatto".

Cari fratelli e sorelle, cari amici che questa mattina prendete parte a questa celebrazione, facciamo insieme questa preghiera a Maria. Davanti al triste spettacolo di tanta falsa gioia e contemporaneamente di tanto angosciato dolore che dilaga nel mondo, dobbiamo imparare da Lei a diventare noi segni di speranza e di consolazione, dobbiamo annunciare con la vita nostra la risurrezione di Cristo.

"Aiutaci tu, Madre, fulgida Porta del cielo, Madre della Misericordia, sorgente attraverso la quale è scaturita la nostra vita e la nostra gioia, Gesù Cristo. Amen".

domenica 17 agosto 2008

S. Paolo

Lettera dei Vescovi cattolici della Turchia su san Paolo

ANKARA- Lettera pastorale dei Vescovi cattolici della Turchia in occasione dell'Anno paolino.

"Paolo, testimone ed apostolo dell'identitá cristiana"


Cari fratelli e sorelle,


«grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo».
Vi salutiamo con questo augurio che l'apostolo Paolo rivolgeva ai cristiani della Chiesa di Roma. Come saprete, il Santo Padre Benedetto XVI ha annunciato che dal 28 giugno 2008 sino al 29 giugno 2009 la Chiesa cattolica celebrerà il bimillenario della nascita di San Paolo. Questo evento riguarda tutte le comunità cristiane, dal momento che Paolo è maestro per tutti i discepoli di Cristo, ma riguarda particolarmente noi viventi in Turchia, l'apostolo delle genti è figlio di questa terra ed è in essa che egli ha svolto prevalentemente il suo ministero. Fu qui che egli percorse, in meno di trent'anni, la più parte delle 10.000 miglia dei suoi viaggi. Soprattutto qui sperimentò ostilità, pericoli mortali, carcere, battiture, privazioni di ogni genere, pur di annunciare Gesù Cristo ed il suo vangelo. Divenuto membro della Chiesa di Antiochia, partì da questa comunità per i suoi viaggi missionari percorrendo in lungo e in largo l'attuale Turchia: Seleucia, Iconio, Listra, Derbe, Antiochia di Pisidia, Efeso, Mileto, Antalia, Perge, Troade sono soltanto alcuni nomi delle località dell'attuale Turchia nelle quali si recò quale testimone di Cristo. Ma sappiamo che molti altri luoghi della nostra terra hanno conosciuto il suo zelo di apostolo. Là dove egli non arrivò personalmente giunsero però le sue lettere. La lettera ai cristiani della Galazia, quella agli Efesini, ai Colossesi, al cristiano Filemone di Colossi ci mettono al corrente di un'attività che non si limita all'annuncio orale, ma si estende all'esortazione scritta. Paolo fa di tutto e si fa veramente tutto a tutti (1Co 9,22) purché «Cristo sia annunciato» (Fil 1,18) Dalla città di Efeso, nella quale l'apostolo rimane per circa tre anni, egli compose la lettera ai Galati, ai Filippesi e la prima lettera ai Corinti. Ma chi era questo «giudeo di Tarso di Cilicia» (At 21,39) che oggi ricordiamo come il grande «apostolo dei gentili»? Nacque a Tarso, presumibilmente tra il 7 e il 10 d.C., e nella città natale trascorse l'infanzia. Per proseguire la sua formazione fu inviato a Gerusalemme, alla scuola di Gamaliele che lo educò «secondo le più rigide norme della legge paterna» (At 22,3). Questa sua adesione alla legge ed alla tradizione ebraica lo oppose ben presto al primo gruppo cristiano che prese a perseguitare (Gal 1,13-14). L'evangelista Luca ci racconta che era tra i più zelanti nel ricercare i cristiani provenienti dal giudaismo per metterli in carcere (At 9,1-3). Ancora da Luca apprendiamo che Paolo fu tra coloro che approvarono l'uccisione di Stefano (At 8,1). Tale era il suo odio per la prima comunità dei discepoli di Gesù! Eppure, nei pressi di Damasco, un evento mutò radicalmente questo nemico dei cristiani in un amante appassionato di Cristo e della sua Chiesa. Cristo irrompe fulmineamente nella vita di questo fanatico zelante della Legge e lo trasforma in apostolo del Vangelo. L'onestà e la totale dedizione con la quale Paolo osservava la Legge sino a perseguitare i cristiani, ora è messa in questione dall'incontro con Cristo che lo acceca per ridargli una nuova visione della realtà. Come scrisse Giovanni Crisostomo: «poiché vedeva male, Dio lo rese cieco a fin di bene... eppure non furono le tenebre ad accecarlo, ma fu un eccesso di luce che l'accecò» (Panegirico IV su Paolo 2) A Damasco Paolo avvertì che la scrupolosa osservanza della Legge non basta a salvare. La Legge senza amore è come un corpo morto, tanto più se in nome di questa Legge, si arriva a perseguitare e uccidere chi non la osserva. Questo episodio ci fa capire che è l'incontro con Cristo a salvare e non la sola scrupolosa osservanza dei comandamenti. Dinanzi ad una tendenza legalistica sempre presente che trasforma Dio in un idolo e il rapporto con Lui in un contratto senza adesione del cuore, Paolo con la sua esperienza di Damasco ci ripete ancor oggi: l'autore della tua salvezza è Cristo. È Lui «il compimento della legge» (Rom 10,4). Pensare di costruirsi con le sole forze umane una propria santità è un fallimento. Dopo Damasco la vita di Paolo segna un totale cambio di rotta. Battezzato ed istruito nella fede cristiana a Damasco dal cristiano Anania (At 9,10) egli si mise a predicare quanto aveva «visto ed udito» (At 22,15). È dunque l'esperienza del Cristo risorto che lo rende testimone, proprio come aveva reso testimoni gli apostoli («venite e vedete») e l'incredulo Tommaso («guarda le mie mani, metti la tua mano nel mio costato...» (Gv 20,27). Per la crescente ostilità dei suoi correligionari dovette fuggire in Arabia (Gal 1,17). Ritornato a Damasco, Paolo si attirò le antipatie dello sceicco che governava e dei giudei ivi residenti, delusi delle sua trasformazione da fervente fariseo in missionario cristiano. La sua vita era ormai in costante pericolo, per questo alcuni amici lo calarono in un cesto dalle mura cittadine, dal momento che le porte della città erano sorvegliate (At 9,23-25). È in questo tempo che egli si recò a Gerusalemme per incontrare gli apostoli, ma - come riferisce Luca - «tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo» (At. 9,26). Fu Barnaba a presentarlo agli apostoli ed alla comunità, parlando loro della esperienza di Damasco. Rimasto per qualche tempo a Gerusalemme, Paolo continuò anche qui ad annunciare il Signore, ma il tentativo di ucciderlo messo in atto da parte di alcuni ebrei, lo costrinse a fuggire a Tarso (At 9,30). Nella sua città natale rimase circa quattro anni, sino a quando, cioè, Barnaba venne a cercarlo per chiedere il suo aiuto nell'evangelizzazione di Antiochia (At 11,25). D'ora innanzi la comunità antiochena sarà per Paolo la Chiesa di appartenenza. Infatti è da qui che egli parte la prima volta in missione con Barnaba (At 13,2-3) e vi fa ritorno (At 14,26-28); lo stesso avverrà per il suo secondo viaggio (At 15,36-40. 18,18-22) e da qui inizierà ancora il terzo (At 18,23). Ad Antiochia Paolo e Barnaba non avevano imposto la circoncisione ai pagani convertiti, mentre alcuni giudeo cristiani venuti dalla Palestina ne sostenevano la necessità. La discussione che ne seguì originò il cosiddetto «concilio apostolico di Gerusalemme» (circa 49 d.C.) in cui si diede ragione a Paolo e a Barnaba, dichiarando i convertiti dal paganesimo esenti dalla legge mosaica (At 15,5-29). Con questa decisione la prima comunità cristiana prese atto che il cristianesimo non andava inteso come la forma più perfetta della religione giudaica, ma come una realtà radicalmente nuova. E a questa decisione Paolo concorse in modo decisivo. Anche il confronto che ad Antiochia lo oppose a Pietro era da lui inteso come un modo di salvaguardare la nuova identità cristiana da compromessi o arretramenti (Gal 2,11-14). > > I viaggi che portarono Paolo ad attraversare ripetutamente la nostra terra di Turchia sino alla Grecia sono registrati dall'evangelista Luca negli Atti degli Apostoli e sarebbe bene che ciascuno di voi riprendesse in mano questo testo per rendersi conto delle fatiche sostenute dall'apostolo nell'annuncio del Vangelo Noi ci limitiamo a ricordare la presenza di Paolo ad Antiochia di Pisidia, l'odierna Yalvac e ad Efeso (Selcuk). Ad Antiochia di Pisidia Paolo giunse intorno all'anno 47 provenendo da Perge (At 13,14-52). Nella sinagoga locale Paolo, percorrendo le tappe salienti della storia della salvezza, dall'Antico Testamento fino a Giovanni Battista, egli giunge sino alla proclamazione di Gesù, Messia e Figlio di Dio. Questa storia della salvezza è suggellata proprio dalla resurrezione del Signore, nella quale Paolo vede realizzate tutte le promesse messianiche. C'è dunque un filo unico che sta sotto la storia dell'umanità. Dio non ha creato il mondo e l'uomo per poi abbandonarli a se stessi, ma persegue un disegno di amore che trova in Cristo la piena manifestazione. Credere in Cristo significa credere nell'amore di Dio che è da sempre ed è per tutti. Questo l'annuncio fatto dall'apostolo che troverà alcuni pronti ad accoglierlo ed altri contrari al punto da costringerlo a fuggire da Antiochia (At 13,50-52). Altra tappa significativa dei viaggi di Paolo fu la città di Efeso nella quale Paolo soggiornò per circa 3 anni (54-57 ca.) svolgendo un'ampia e difficile opera di evangelizzazione che lo contrappose sia ai giudei che ai pagani locali. Accennando alle abbondanti sofferenze di questo periodo, egli stesso ricorderà di «aver combattuto ad Efeso contro le belve» (1Co 15,32). Nella seconda lettera ai Corinti (1,8-9) parla di una «tribolazione che ci è capitata in Asia e che ci ha colpito oltre misura, al di là delle nostre forze, così da dubitare anche della vita. Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte... Da quella morte però Egli ci ha liberato». Infine nella lettera ai Romani allude ad una prigionia, presumibilmente subita proprio ad Efeso (Rom 16,3.7). Cari fratelli, annunciare Gesù Cristo per Paolo è stata una necessità che nasceva dall'amore per Lui. Ciò significa che chi incontra Cristo non può fare a meno di annunciarlo, sia con la vita che con le parole. Come disse dell'apostolo un altro figlio della nostra terra, Giovanni Crisostomo, «è in virtù dell'amore che Paolo è diventato quello che è stato. Non venirmi a parlare dei morti che ha risuscitato, né dei lebbrosi che ha sanato; Dio non ti chiederà niente di questo. Procurati l'amore di Paolo e avrai la corona perfetta» (Panegirico III su Paolo 10). Il sangue che l'apostolo versò a Roma intorno al 67 d.C. sotto l'imperatore Nerone, non fu altro che il naturale epilogo di una vita spesa per Cristo e per i propri fratelli. Tempo prima ai cristiani di Filippi aveva scritto: «Anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull'offerta della vostra fede, sono contento e ne godo con tutti voi» (2,17). Fratelli e sorelle di Turchia, Paolo è patrimonio di tutti i discepoli di Cristo, ma lo è particolarmente di noi che siamo figli di questa terra che lo ha visto nascere, predicare Cristo senza sosta e testimoniarlo in tante prove. Eppure questo nostro legittimo vanto sarebbe sterile se non si traducesse in un maggiore impegno di imitazione. Guardiamo al persecutore divenuto messaggero del vangelo e comprendiamo che Dio può trasformare anche noi, purché lo vogliamo. Con la sua vita da cristiano, Paolo ci ricorda che Dio non può nulla se noi non collaboriamo con la sua grazia. Come ci ricorda ancora Giovanni Crisostomo «Niente ci impedirà di diventare come Paolo se lo vogliamo veramente. Egli divenne così non soltanto in virtù della grazia, ma anche dell'impegno personale» (Panegirico V su Paolo 2-3). Qual è il messaggio che oggi l'apostolo consegna a noi, cristiani di Turchia? Noi vescovi pensiamo che dalla miniera delle sue lettere alcuni elementi possano essere particolarmente utili alle nostre comunità che vivono in una situazione di minoranza religiosa. Siamo immersi in un mondo musulmano dove la fede in Dio è ancora ben presente, sia nei suoi aspetti tradizionali che nell'affermarsi di nuove organizzazioni religiose islamiche. Proprio questa situazione, per alcuni aspetti simile a quella delle prime comunità viventi in diaspora, ci impone una più chiara coscienza della nostra identità. Paolo ci richiama all'elemento fondativo di questa nostra identità cristiana che non riguarda la fede in Dio, comune con i fratelli musulmani e con tanti altri uomini, ma la fede in Cristo come «Signore» (1Co 12,3), colui che «Dio ha risuscitato dai morti» (Rom 10,9). Nelle Lettera ai Colossesi l'apostolo scrive addirittura che «in Cristo (...) abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» ( 2,9). L'espressione è inequivocabile e ci ricorda che non possiamo incontrare Dio se non attraverso Cristo. Egli è la porta e il ponte tra il Padre e noi. «Uno solo - leggiamo nella prima Lettera a Timoteo (2,5) - è il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo che ha dato se stesso in riscatto per tutti». Paolo ha avvertito tutta la difficoltà di annunciare Cristo, Dio-uomo, che ci salva attraverso la sua incarnazione e la sua morte in croce. Questa è ancora oggi la vera porta stretta di cui parla il vangelo. La porta stretta non sono, dunque, l'accettazione dei precetti morali della Chiesa e neppure la pesantezza umana delle sue strutture, ma quello scandalo della croce che ai non cristiani appare ancor oggi «follia e stoltezza», ma che Paolo annuncia come componente essenziale ed ineliminabile della fede cristiana e anzi espressione della potenza di Dio (1Co 1,18). Questa accondiscendenza di Dio, che in Cristo si rende presente tra di noi fino a morire in croce, va interpretata come manifestazione di quella carità che costituisce l'essenza di Dio ineffabile, la cui trascendenza non va misurata soltanto con il metro dell'essere, come ha fatto la filosofia, ma con quello dell'amore. Non dimentichiamo forse che all'onnipotenza dell'essere corrisponde un'onnipotenza nell'amore? L'amore non è un attributo di Dio, ma è la sua essenza. Quello che Paolo, pertanto, ci ricorda è che non dobbiamo porre limiti «umani» a questo amore per noi. Questo è il paradosso della fede cristiana confermato dall'incarnazione e morte di Cristo. Eppure l'apostolo che con l'esempio e la parola ci rafforza nell'identità cristiana, è anche l'uomo del dialogo. Abituato ad incontrare uomini di etnie e tradizioni religiose diverse, Paolo ha compreso che lo Spirito di Cristo non è soltanto presente nella Chiesa, ma la precede ed agisce anche fuori di essa. Come ebbe ad affermare ad Atene: «Dio ha creato tutto... perché gli uomini lo cerchino e si sforzino di trovarlo, anche a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi» (At 17,26-28). Su questa base siamo invitati ad intensificare il dialogo con il mondo musulmano: il dialogo della vita, dove si convive e si condivide; il dialogo delle opere, dove cristiani e musulmani operano insieme «in vista dello sviluppo integrale e della liberazione della gente»; il dialogo dell'esperienza religiosa, dove si compartecipano le ricchezze spirituali, per esempio «per ciò che riguarda la preghiera e la contemplazione, la fede e le vie della ricerca di Dio o dell'Assoluto» (Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, Dialogo e annuncio, n. 42). Infine il dialogo degli scambi teologici, dove ci si sforza di meglio conoscersi in vista di un maggiore rispetto reciproco. Questo dialogo non significa mettere da parte le proprie convinzioni religiose. Si dialoga veramente quando ciascuno rimane se stesso, mantenendo intatta la propria identità di fede, non tacendo mai, per nessuna ragione, quanto potrebbe apparire difficile da capire per chi non è cristiano. Come scriveva un antico Padre della Chiesa, Ilario vescovo di Poitiers «per il fatto che i sapienti del mondo non capiscono certe cose ed anzi appaiono stolte, forse che anche per noi lo sono?... Allora non gloriamoci della croce di Cristo, perché è scandalo per il mondo; e neppure predichiamo la morte del Dio vivente, perché non sembri agli empi che Dio è morto» (Liber de Synodis 27,85). A questo annuncio Paolo è rimasto fedele, senza cercare di addolcirlo e senza restrizioni mentali. Anzi quello che per il mondo è stato scandalo e stoltezza, per lui è la prova sconvolgente dell'amore di Dio per l'uomo e lascia il posto ad un profondo senso di riconoscenza. Infatti, quanto meno queste cose convengono alla maestà di Dio e tanto più dobbiamo sentirci obbligati nei suoi confronti (Ilario di Poitiers). Se in questo incontro con il mondo non cristiano l'apostolo ci è maestro, nei rapporti tra comunità cristiane differenti egli è maestro e fondamento di unità. Come ricordava Benedetto XVI, indicendo l'anno paolino, «l'Apostolo delle genti, particolarmente impegnato a portare la Buona Novella a tutti i popoli, si è totalmente prodigato per l'unità e la concordia di tutti i cristiani». Ancora oggi egli invita tutti noi a puntare lo sguardo su Cristo, superando non soltanto eventuali resistenze, ma anche il disinteresse per chi non appartiene alla «nostra» Chiesa. L'apostolo che sperimentò la difficoltà dell'annuncio del Vangelo, anche da parte dei fratelli di fede, ci ricorda come quello che conta è che Cristo «venga annunciato» (Fil 1,8), ma ci richiama pure alla nostra comune responsabilità nei confronti di quanti non sono cristiani. Prima di essere cattolici, ortodossi, siriani, armeni, caldei, protestanti, siamo cristiani. Su questa base si fonda il nostro dovere di essere testimoni. Non lasciamo che le nostre differenze generino diffidenze e vadano a scapito dell'unità di fede; non permettiamo che chi non è cristiano s'allontani da Cristo a motivo delle nostre divisioni. Tertulliano, parlando dei cristiani, coglieva l'ammirazione di certi pagani con queste semplici parole: «Guarda come si amano!» (Apologetico 39). Il mondo musulmano che ci circonda può dirlo oggi di noi? Lo potrà dire se tradurremo in gesti concreti la nostra consapevolezza di essere «stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (1Cor 12,13). L'esistenza di questo fondamento non può essere smentita da tutte le diversità dell'organizzazione locale e da tutta la differenziazione nell'espressione dottrinale-teologica. Ogni comunità cristiana già dalla sua costituzione si edifica unitariamente sul «fondamento degli apostoli e dei profeti» e raccoglie tutti i membri e gruppi nell'edificio di cui la pietra angolare e chiave di volta è Cristo (Ef 2,20). Cari fratelli, quanto vi abbiamo scritto è poca cosa rispetto al tesoro di suggestioni e di consigli che ci provengono dalle lettere di Paolo. Questi suoi scritti, lungo la storia, sono sempre stati stimolo ed anche esame di coscienza sul modo di essere cristiani. Contro i sempre ricorrenti tentativi di rendere la fede cristiana un fenomeno religioso che non esige conversione, Paolo è sempre pronto a ricordarci che «cristiani non si nasce, ma si diventa». Pertanto, in preparazione dell'anno paolino, vi esortiamo a leggere personalmente le sue lettere, a farne motivo di studio all'interno delle parrocchie, a coltivare iniziative ecumeniche. Da parte nostra vi invitiamo a recarvi da pellegrini in luoghi di memoria paolina che abbiamo il privilegio di possedere nella nostra terra: Tarso, Antiochia, Efeso. In quanto Chiesa cattolica di Turchia terremo un pellegrinaggio nazionale a Tarso-Antiochia. Altre iniziative, assieme ai nostri fratelli ortodossi e protestanti, vi verranno proposte nei prossimi mesi. Cari fratelli, alimentiamo in noi la certezza che avvicinandoci a Paolo ci avvicineremo di più a Cristo. La fede dell'apostolo nel Cristo risorto, la sua speranza contro ogni speranza umana, la sua carità nel farsi tutto a tutti siano la misura del nostro essere cristiani in questa amata terra di Turchia.
Il Signore vi benedica, I vostri vescovi,

+ Mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell'Anatolia , presidente della Conferenza episcopale di Turchia, + Mons. Georges Khazoum ,vescovo ausiliare degli armeni cattolici di Turchia, vicepresidente della Conferenza episcopale di Turchia,+ Mons. Hovhannes Tcholakian, arcivescovo degli armeni cattolici di Turchia, + Mons. Ruggero Franceschini, arcivescovo e metropolita di Izmir,+ Mons. Louis Pelâtre, vicario apostolico di Istanbul e Ankara, + Corepiscopo Mons. Yusuf Sa&amp, vicario patriarcale dei siriani cattolici di Turchia,+ Mons. François Yakan , vicario patriarcale dei
caldei di Turchia.

venerdì 15 agosto 2008

Salute e armonia



La salute come tensione verso l'armonia



Testo della lectio magistralis tenuta il 18 gennaio dal Cardinale Javier Lozano Barragàn, Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, nella sede di una multinazionale farmaceutica.



* * *




Cosa è la salute? Tutti sperimentiamo la salute quando l’abbiamo e la malattia quando arriva. Però dall’esperimento al concetto le cose cambiano, perché non è tanto facile descrivere la salute. Infatti, la salute è qualcosa che preserva la vita, ed entrare nel mistero della vita non è cosa facile.


I. LA SALUTE

1. Diverse definizioni di Salute
Alcune definizioni di salute sono state enunciate così: 1. La salute è il silenzio degli organi. 2. La salute consiste nell’assenza delle malattie. 3. La salute è un stato di perfetto benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto l’assenza delle malattie. 4. La salute è il livello di efficacia funzionale e/o metabolico di un organismo, tanto a livello micro (cellulare) come nel macro (sociale). 5. La salute è un equilibrio dinamico in continuo movimento da uno stato di salute ad un altro di malattia, dipendendo queste oscillazioni da numerosi fattori o variabili, biologici, psicologici e/o sociali, in intima e continua interazione. 6. La salute consiste nella capacità di reagire a fattori avversi di qualsiasi tipo, senza compromettere il sistema di vita. 7.La salute è un processo, è capacità e disposizione a vivere in forma autonoma, solidale e con capacità per l’allegria e la gioia. 8. Sotto il profilo mentale, si afferma che la salute è la capacità d’amare, gioire e tollerare.


Si dice che i fattori che influiscono nella salute come determinanti generali sono: “la biologia umana”, “l’ambiente”, “la forma di vita” e “l’organizzazione della salute”. Si considerano come fattori molto importanti l’esercizio fisico, la nutrizione e la salute mentale.1

2. Annotazioni alle definizioni di Salute


Esaminando queste otto definizioni, o meglio, descrizioni della salute, troviamo che procedono dalla concezione che si ha dell’uomo, cioè che presuppongono tutta un’antropologia sottostante. Da un’antropologia meccanicista materialista non ci si può aspettare altro che una definizione di salute di tipo esclusivamente biologico che si enunci in termini meramente materiali. Così, alcune di queste definizioni hanno concepito la salute soltanto come la mancanza di malattie, oppure nell’ambito esclusivo delle sensazioni corporee. Quando si abbandona questa mentalità, la salute si contempla ormai non soltanto incentrata nella malattia, ma sul malato nella sua complessità. Sono delle definizioni che includono aspetti psicologici e sociali. Tra questi, la più accettata oggi è stata quella formulata dall’OMS, che ha affermato che la salute “E’ uno stato di perfetto benessere, fisico, mentale e sociale, e non soltanto l’assenza di malattie”. Questa definizione ha il pregio di oltrepassare la concezione meramente meccanicista e di prendere in considerazione, per definire la salute, non soltanto le malattie, ma anche il malato. Da questo punto di vista, supera le altre definizioni che provengono da una cornice meccanicista e si apre alle dimensioni mentali e sociali. Ma, purtroppo, la suddetta definizione, rinchiudendo nel concetto di salute un benessere perfetto, esce dalla realtà e non supera un mero desiderio che, d’altra parte, è irraggiungibile. Conseguentemente, questa salute non si troverebbe da nessuna parte, e tutto quello che si concepisce, avendo come base questa definizione, rischia di essere un vero fallimento. Si pensi alla frustrazione di tutta la scienza medica, di tutti gli operatori sanitari che lavorano proprio perchè i pazienti accedano alla salute; eppure, questa non si potrà mai avere, giacchè lo stato di perfetto benessere non si raggiungerà mai; anzi, la morte inevitabile del malato sarà la frustrazione più grande.Ci sono altre definizioni che puntano piuttosto ad arrivare ad una certa armonia. Una definizione ci parla di armonizzare la salute con la malattia; un’altra asserisce che la salute è la capacità di non lasciarsi turbare dai fattori esterni negativi prorompenti nell’individuo; oppure la capacità di rimanere sempre in allegria e gioia, vivendo in forma autonoma e solidale.

Mi sembra che queste definizioni abbiano già un merito in più, poiché cercano l’armonia. Ma queste stesse definizioni cadono anche nella finzione, parlando di armonia, di gioia e di allegria quando, nella realtà, la persona si trova piuttosto turbata dalla malattia. Inoltre, definire la salute come un’armonia tra malattia e salute non ci risolve il problema, giacchè si sarebbe dovuto dire prima cosa è la salute, per poterla così comparare con la malattia, altrimenti si affermerebbe lo stesso per lo stesso, vale a dire, che la salute è la salute. Essendo realisti, l’armonia nella sua totalità non esiste in questo mondo, né nell’ambito individuale fisico o mentale, né a livello sociale. Tuttavia, questo accenno all’armonia, penso che ci metta in qualche maniera sulla traccia, seguendo la quale possiamo avvicinarci di più ad un concetto realistico della salute.

II. LA SALUTE COME TENSIONE VERSO L’ARMONIA


Definizione di Salute di Giovanni Paolo II

Mi riferisco al concetto che ci ha dato il Servo di Dio Giovanni Paolo II, nel suo Messaggio dell’Anno Giubilare del 2000. In quel Messaggio il Servo di Dio Giovanni Paolo II afferma che la salute è: “La tensione verso l’armonia fisica, psichica, sociale e spirituale, e non soltanto la assenza di malattie, che capacita l’uomo per adempiere la missione che Dio le ha affidato nella sua vita2.”


Sottofondo della definizione di Giovanni Paolo II

E’ovvio che questa definizione di salute abbia come fondamento tutta la concezione cristiana. Possiamo dire che il desiderio di ogni religione è che la divinità ci dia la salute. Questa salute si perde o per cause naturali degli eventi cosmici, oppure per la cattiva storia degli uomini, e si può riconquistarla quando culturalmente si dominano queste cause naturali, oppure gli uomini si liberano delle cattive azioni compiute.

Tutto è diverso nella concezione cristiana della salute. La salute non si trova nel retto ordinamento degli elementi, oppure nelle azioni umane che ci liberano da una storia cattiva. La salute, infatti, non è nemmeno un dono oggettivo che Dio ci dà, ma è lo stesso Dio che sì dà a noi in Gesù Cristo. La concezione cristiana di salute è una concezione olistica che prende il tutto della persona umana, in tutte le sue dimensioni, presenti e future Tanto è così che la fine desiderata da ogni cristiano si chiama appunto salute eterna.
Già nell’Antico Testamento appare il concetto di salute come: “fare uno spazio”, come “liberarsi dal nemico”, come arrivare alla vittoria”, come “aiutare”, come “guarire”, come “salvare”, e colui che dà la salute è il Signore. Egli è il rifugio contro le minacce alla salute, contro i nemici che possono togliere la salute. Egli è il Signore della vita e della morte, dona la vita e libera dalla morte. Nel Nuovo Testamento la salute è data dal Salvatore. Tutta l’opera di Cristo si concepisce come salute, Egli presenta se stesso come la salute, e Colui che ci libera da tutto quello che avversa alla salute. La salute è il suo Regno. Non in altra forma s’interpretano i miracoli di guarigione compiuti da Gesù che, nonostante restituiscano la salute temporale, s’indirizzano alla fine come ad un annuncio della salute definitiva, proprio quello che il Salvatore ci viene a portare. Dobbiamo insistere che interessi la salute temporale, ma che questa non si distacca dalla salute intera, anzi, la salute della quale ci parla il Nuovo Testamento non è soltanto qualcosa di spirituale, ma è totale, che arriva anche al rinnovamento totale del cosmos 3.
Basandoci su questa concezione antropologica, cerchiamo di spiegare la descrizione di salute che ci ha lasciato il Servo di Dio Giovanni Paolo II.


Elementi della definizione di Giovanni Paolo II

Tensione
Iniziamo con il primo concetto: tensione. La salute prima di tutto è qualcosa che risiede non soltanto negli organi dell’uomo, ma coinvolge tutto l’uomo e lo spinge a tendersi in avanti. Quell’ “avanti” si colloca nella linea della speranza. Si attende qualcosa. La salute è la capacità di attendere, la capacità di sperare. Chi non spera niente e rimane chiuso in se stesso ha perso la salute. Questo “tendere in avanti” significa che la salute ha dei gradi, e che la si può conseguire in misure diverse, ma rimane sempre aperta la perfettibilità di quello che si è conseguito. Questa perfettibilità è la scala della speranza: si basa su quello che ormai si ha, e da questa realtà si tende verso un futuro migliore. Si genera così uno slancio continuo che non si ferma mai e che, concepito in maniera corretta, preserva contro qualsiasi depressione. La speranza reale costituisce l’immunità contro qualsiasi frustrazione.


2. Armonia

Quello che si spera, quel verso il quale si tende è l’armonia. Certo, la piena armonia non è raggiungibile in questa vita. Dunque non è reale aspettare, come dice la definizione dell’OMS, “uno stato di perfetto benessere”. Ma quello che è reale è tendere verso l’armonia; in altre parole, lentamente, aumentare in se stesso l’armonia parziale che ormai si possiede. La salute, dunque, è una lotta contro tutto quello che avversa l’armonia nell’uomo. Questa affermazione si chiarisce considerando che l’armonia è la confluenza ordinata di distinti, cioè, l’unità. E l’unità è la vita, giacchè proprio la disintegrazione è la morte. Tendere verso l’armonia è lottare per avere ed aumentare la vita, e la salute è proprio la maniera unica per conservare ed aumentare la vita. Guardando che classe di armonia sia quella che domanda la salute, vediamo che non si tratta soltanto in questa tensione di meri desideri, ma di fatti concreti che realizzano continuamente l’armonia in tensione, in pratica che fanno aumentare quella che ormai si ha, e correggono i difetti di disarmonia che si possono trovare. Infatti, si tende verso una quadrupla armonia, vale a dire: fisica, psichica, sociale e spirituale. E’ evidente che quest’armonia si riferisce ai singoli aspetti, ma non si può riferirla ai singoli se non quando c’è armonia nell’insieme dei quattro aspetti, alla maniera dei vasi comunicanti.


3. Fisica

Costruire l’armonia fisica significa costruire tutto l’aspetto biologico della salute, aspetto sul quale puntano tante concezioni attuali della medicina, che non si rifiuta, ma che fa notare la sua parzialità. La salute è anche l’assenza delle malattie, ma non soltanto. Dunque, lottare contro le malattie e con tutta la forza appartiene al concetto stesso di salute. E’ chiaro che nell’armonia fisica, nell’assenza di malattie, ci sono dei gradi; si può avere più o meno salute fisica.


4. Psichica

Quando si parla dell’armonia psichica parliamo dell’armonia nell’autoconduzione. Ricordiamo il famoso mito dell’auriga del quale ci parla Platone nel Dialogo di Fedro e che narra così:
Volava per il mondo intelligibile un auriga, condotto da due cavalli, uno tirava bene, l’altro male. Uno bianco, l’altro nero. All’improvviso, e per colpa del cavallo nero, l’auriga perde il controllo e tutti precipitano nell’abisso ed al carro si rompono le ali. Il carro alato è l’anima, l’intelletto, la parte razionale, l’auriga che conduce; dirige le altre parti, benchè talvolta discutano. Il cavallo bianco è la parte irascibile dell’uomo, il coraggio, l’impulso, la bravura, l’azione. Il cavallo nero è la parte concupiscente, il desiderio, la soddisfazione delle necessità fisiche. La nascita fisica di una persona porta con sé la caduta dell’anima nel corpo, si perde il controllo del carro alato che cade nell’abisso. Si rompono le sue ali e non può volare più, ma con il moncone ha ancora sensibilità ed inquietudini che lo fanno piano piano risalire.
Senza accettare l’impronta dualistica di Platone, possiamo però affermare che l’armonia psicologica consiste nell’armonia dei due cavalli, quello bianco e quello nero, e quell’armonia è retta dall’auriga. L’Intelletto, la Volontà, la parte irascibile dell’uomo, il coraggio, l’impulso, la bravura, l’azione e la parte concupiscente, il desiderio, la soddisfazione delle necessità fisiche, ecc. devono equilibrarsi ed essere in armonia, per poter percorrere adeguatamente il cammino della vita. Cioè l’armonia psicologica consiste nella propria auto trasparenza e guida cosciente di se stessi verso un fine degno e capace, specialmente quando le malattie fisiche s’intensificano, oppure quando fattori estrinseci, fisici o affettivi minano la persona. Intelletto, volontà, sentimenti, impulsi vitali, tutti in perfetta armonia. La sesta e settima definizione di salute indicate, toccano quest’aspetto.


5. Sociale

La persona umana ha, per così dire, due versanti che la costituiscono, il versante individuale ed il versante sociale. L’armonia verso la quale si tende nella salute, è l’armonia individuale, ma anche l’armonia sociale. L’armonia sociale è l’armonia di complemento con altre persone. E’ l’armonia dell’amore. Significa la giustizia, la pace, l’amore. Significa trovare l’altra persona, individuale e collettivamente, donarsi a lei e riceverla nello stesso tempo. Va dall’armonia familiare e dall’amicizia, a quella sociale nei diversi tipi di manifestazione, tanto politici quanto economici, scientifici ed in genere culturali. Qui possiamo anche parlare dell’armonia ambientale, che significa la preservazione dell’ambiente contro l’inquinamento. La distruzione dell’ambiente distrugge anche la salute sociale, psichica e fisica.

6. Spirituale

Quando parliamo della salute spirituale, intendiamo il grado di unificazione totale umana. La persona umana si unifica quando ha un obbiettivo vitale al quale tende in totalità. La salute spirituale coordina, per così dire, la salute fisica, la salute psichica e la salute sociale, in quanto le dirige tutte e tre verso quest’obbiettivo vitale. Se la persona è persa e non sa cosa deve fare nella vita, a che cosa o a chi deve ordinare la sua esistenza, quella persona non gode di salute spirituale. Quindi, l’obbiettivo vitale deve essere in sé degno e capace di ordinare verso di sé la salute fisica, la salute psichica e la salute sociale. Un errore nella scelta di quest’obbiettivo fa si che non si consegui l’armonia desiderata e che veramente non si abbia la salute. Nella misura in cui quest’obbiettivo domina l’esistenza si avrà l’armonia, e così la salute.

7. L’Unificazione

Per questo il Servo di Dio Giovanni Paolo II afferma che la salute dipende dall’adempimento della missione che Dio ha assegnato alle diverse persone. La missione è l’obbiettivo vitale che deve unificare tutta la vita. Questa missione, in molteplici forme, consiste nel fatto che ognuno deve superare la morte ed avere una vita che non finisce mai. Vale a dire, la missione di ognuno consisterebbe nel conseguire la pienezza di vita. La salute è per conservare la vita. La spiritualità della salute consiste non soltanto nel conservare la vita presente, ma moltiplicarla in una maniera quasi infinita.
Questa salute spirituale non è in contrasto con la salute fisica, psichica e sociale, ma oltre ad unificarle, come si è detto, nell’adempimento della propria missione, le prolunga fino a frontiere inimmaginabili.


8. Il cammino

Il cammino di questa salute spirituale è offerto gratuitamente ad ogni persona da Dio stesso in Gesù Cristo. Egli è l’unica salute. Egli ci assume nella sua morte e risurrezione, attraverso il grande Amore che è lo Spirito Santo. Adempiere la missione significa rispondere con tutto l’amore umano a quest’Amore divino e, così, unificare tutta l’esistenza nell’amore. Quest’Amore non è soltanto tra Dio ed una persona in particolare, ma è un amore che si estende a tutta la famiglia umana, iniziando con la propria famiglia ed arrivando all’umanità intera. Anzi, è un amore totale che abbraccia tutto l’Universo. Amore, Unità Armonia, Salute sono concetti intercambiabili.


9. Diversità di salute

La tendenza verso l’armonia e l’armonia conseguita ha, pertanto, dei gradi che, in fondo, dipendono dalla configurazione con Cristo Morto e Risorto; vale a dire dipendono dal dono d’Amore dello Spirito Santo e dal grado di amore umano con il quale liberamente si risponde a quest’Amore divino.
Le diversità delle donazioni divine ricevute da questo Amore costituiscono la diversità mai ripetibile delle missioni, la diversità di ogni persona umana, la diversità dei distinti caratteri, la diversità di circostanze nelle quali si vive. Così si configurano le diverse spiritualità e si configurano le distinte armonie. Conseguentemente, si arriva alla diversità di salute e dei gradi di salute. E’ così evidente che la salute è sempre differente tra una persona e l’altra, ed è anche diversa secondo la tappa della vita nella quale ognuno si trova.
Come annotazione finale, osserviamo che quest’obbiettivo vitale è un obbiettivo per tutta l’umanità; tuttavia, secondo i disegni divini, si presenta differentemente ad ognuno. Non si può dire, dunque, che valga soltanto per i cattolici, ovvero per chi abbia la fede cristiana. E’ per tutti. Come conseguano quest’armonia nella pratica coloro che non condividono la fede cristiana, è qualcosa che in ultimo termine soltanto Dio conosce.


Conclusione:

La salute è l’armonia.

Questa si consegue in diversi gradi che determinano i gradi di salute che si generano per la tendenza verso l’armonia.

Questa armonia è fisica, psichica, sociale e spirituale.

La si consegue soltanto vincendo la morte.


L’unica forma reale e storica per vincere la morte è essere incorporato alla morte e risurrezione di Cristo.

Questa incorporazione la fa lo Spirito Santo, l’Amore infinito di Dio e la Sua piena armonia.


Così, Salute, Armonia, Vita, e Unità sono concetti che si implicano a vicenda.

L’affermazione centrale in questa riflessione è che la salute è l’armonia e quest’ultima la si ottiene soltanto vincendo la morte; l’unica via per vincere la morte è essere, in piena realtà, incorporati alla morte e risurrezione di Cristo.


Così possiamo meglio capire perché il Servo di Dio Giovanni Paolo II ci abbia lasciato questa descrizione di Salute come la tensione verso l’armonia fisica, psichica, sociale e spirituale, e non soltanto l’assenza di malattie, che capacita la persona per adempiere la missione che il Signore le ha affidato.



1 httpp//es.wikipedia.org/xki/Salud
2 Messaggio dell’Anno Giubilare del 2000, n. 13
3 cfr. W. Koester, Heil, In LThk., 5,76-77: J Ratzinger, ibid, 78-80






giovedì 14 agosto 2008

Maria l'Assunta

Dal'Inno Akathistos

Il più eccelso degli Angeli
fu mandato dal cielo
per dir Ave alla
Madre di Dio,
Al suo incorporeo saluto
vedendoti in Lei fatto uomo,
Signore, in estasi stette,
acclamando la Madre così:
Gioisci, per Te la gioia risplende,
Gioisci per Te il dolore s'estingue.
Gioisci salvezza di Adamo caduto;
Gioisci riscatto riscatto del pianto di Eva.
GIoisci, Tu vetta sublime
a umano intelletto;
Gioisci Tu abisso profondo
agli occhi degli Angeli.
Gioisci, in Te fu elevato
il trono el Re;
Gioisci Tu porti Colui
che il tutto sostiene.
Gioisci o stella che il Sole precorri;
Gioisci o grembo del Dio che s'incarna.
Gioisci per Te si rinnova il creato;
Gioisci per Te il Creatore è bambino.
Gioisci Vergine e Sposa!

IL DIRITTO ALLA LIBERTA' RELIGIOSA:
FONTE E SINTESI DI TUTTI GLI ALTRI DIRITTI


S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi
Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

La "libertas religiosa" nell'insegnamento della Chiesa
La Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II difende il diritto dell'uomo alla libertà religiosa fondandolo su un dovere. Gli uomini "sono spronati dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a ricercare la verità" (n. 2) [1]. Il diritto deriva da un dovere: "Ognuno ha il dovere, e quindi il diritto, di cercare la verità in materia religiosa" (n. 3). Trattandosi di un obbligo che scaturisce dalla natura umana, non va inteso come una costrizione, ma come un bene che tale natura suscita e che la nostra libertà assume. Poiché esiste il dovere di cercare la verità, dovere che è esso stesso una verità, deve anche esistere il diritto di poterlo fare. Gli uomini, infatti, "non possono soddisfare a quest'obbligo in conformità alla propria natura, se non godono della libertà psicologica e insieme dell'immunità da coercizione esterna" [2]. Il diritto alla libertà religiosa non va inteso come un mero desiderio soggettivo, ma come diritto oggettivo, che ogni uomo ed ogni potere civile o politico deve rispettare e promuovere.
Su questo legame del diritto alla libertà religiosa con il dovere di cercare la verità si incentra la diversità tra la impostazione del magistero della Chiesa e quella di alcune correnti di pensiero della modernità. Ambedue si incontrano nel riconoscimento del diritto alla libertà religiosa, ma talvolta divergono, in quanto il magistero della Chiesa fonda tale diritto "sulla dignità della persona umana" [3], mentre alcune correnti della modernità tendono a fondarlo sulla coscienza soggettiva, ossia sulla rappresentazione che della propria dignità ha ogni individuo. Per la Chiesa la libertà di religione è nel soggetto ma non nasce dal soggetto, bensì dalla fedeltà alla propria natura di persona umana compreso il dovere di cercare il vero, perché solo dalla verità può derivarci la salvezza [4]. Il diritto viene rivendicato per poter assumere con pienezza una responsabilità che sta alla sua origine.
La collocazione del diritto alla libertà religiosa nel contesto del dovere di cercare la verità porta con sé tre conseguenze molto importanti per il riconoscimento e la tutela di questo diritto.
La prima conseguenza è che la libertà di religione non comporta di per sé una accettazione del relativismo religioso, che sarebbe la negazione di ogni legame tra religione e verità. La seconda conseguenza, immediatamente connessa con questa, è che la libertà di religione non può essere vissuta solo nell'ambito privato, in quanto non è un'evasione dalla propria universale umanità, ma una ricerca delle vie migliori per realizzarla. Quel diritto, in altre parole, ha indissolubilmente una dimensione privata e pubblica. Infine, una terza conseguenza è che è possibile sia distinguere tra verità ed errore senza attribuire a quest'ultimo il diritto ad essere riconosciuto come vero [5], sia tenere ferma la libertà di errare nella ricerca del vero, che si fonda sull'esercizio di un dovere connesso con la natura umana ed espressione di una intangibile dignità. La "regalità di Cristo su tutta la creazione e in particolare sulle società umane" [6] non è messa in discussione dal riconoscimento della libertà religiosa, la quale presuppone il dovere del discernimento veritativo. La libertà di religione non elimina il problema della verità in sé e della verità della religione in particolare, come elementi fondamentali per la società. Per questo la Chiesa, assieme all'affermazione del diritto alla libertà religiosa, ribadisce non solo la verità del cristianesimo [7], ma anche il "dovere morale degli uomini e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo" [8].
La "libertas religiosa" fonte e sintesi dei diritti umani
La connessione tra il diritto alla libertà religiosa e il dovere di cercare la verità spiega anche perché quello alla libertà religiosa sia la fonte e la sintesi - secondo le parole della Centesimus annus [9] - di tutti gli altri diritti umani. La ricerca della verità, per essere esercitata in modo libero e quindi pienamente umano, non deve venire limitata, deve potersi espandere fino al Fondamento ultimo, a Dio. L'uomo cerca la verità, non le opinioni, e solo la trascendenza della verità è in grado di fondare pienamente la sua oggettività [10]. Ecco perché il diritto alla libertà di religione è, in fondo, il diritto della persona umana a vivere attingendo ad un Senso trascendente ed assoluto le ragioni dell'esistenza. Ammettere e rispettare la libertà religiosa vuol dire, quindi, riconoscere nell'uomo questo bisogno come a lui connaturato. Non si tratta solo di riconoscere un diritto soggettivo, ma implica anche il "riconoscimento della dimensione religiosa dell'uomo" [11]. La persona umana può coltivare e sviluppare questa sua dimensione religiosa, come può anche liberamente sopirla, trascurarla e perfino negarla, ma essa c'è in tutti, perché fa parte della natura umana. Se la ricerca della verità rende l'uomo degno di stima e rispetto, la ricerca della verità religiosa, in quanto ricerca del Fondamento ultimo, "esprime le aspirazioni più profonde della persona umana [...], offre, in fondo, la risposta alla questione del vero significato dell'esistenza sia personale che sociale" [12] e quindi è il nucleo più profondo della sua dignità. Riconoscendo nella persona l'aspirazione al Fondamento trascendente come sua propria dimensione naturale si capisce anche che "la verità della persona umana è un valore trascendente" [13]. Ecco perché il diritto alla libertà religiosa è "il cuore stesso dei diritti umani" [14]: ne preserva l'origine trascendente e quindi motiva la loro inviolabilità. I diritti umani hanno bisogno di essere fondati su una dimensione superiore a quella politica. La libertà di religione è la libertà di fondare i diritti umani in modo assoluto [15]. Per questo essa è a vantaggio di tutti, e non solo dei credenti. E' un bisogno non solo "confessionale", ma umano e sociale. La libertà di religione si rivela essere un diritto non solo individuale ma comunitario, un elemento del bene comune da preservare e sviluppare. Essa infatti contribuisce a liberare i diritti umani dai limiti del potere politico ed a collocarli in una ambito di inviolabilità, a garanzia di tutti i cittadini di una comunità. La libertà di religione svela l'esistenza di una comunità più ampia della stessa comunità politica di uno Stato, la comunità umana. Si tratta di una "appartenenza" precedente a quella politica, che esprime nella libera adesione della coscienza personale una dignità inviolabile per ogni regime politico.
Due osservazioni ulteriori possono confermare questa importanza della libertà religiosa per i diritti umani. Se analizziamo la questione dal punto di vista storico, osserviamo che il diritto alla libertà di religione è stato concepito per primo e, seppure con modalità tortuose e difficili, è stato alla base di tutti gli altri. A questa osservazione storica se ne può aggiungere un'altra che nasce da una comune esperienza: quando un regime politico nega la libertà di religione finisce per negare anche tutte le altre libertà. I totalitarismi, infatti, hanno prima di tutto tentato di "sradicare il bisogno di Dio dal cuore dell'uomo" [16].
La "libertas religiosa"garanzia dei diritti umani
Quest'ultima osservazione ci spinge a considerare come il diritto alla libertà religiosa non sia solo la fonte e la sintesi di tutti gli altri diritti umani, ma ne sia anche la garanzia. Il suo esercizio da parte di fedeli e comunità religiose e la sua promozione da parte dei poteri sociali e politici, è un concreto sostegno, un vitale supporto, una garanzia di tutela dei diritti umani fondamentali. I diritti, infatti, non hanno solo bisogno di essere formalmente elencati, ma soprattutto di essere vissuti ed anche la loro difesa non sarà mai un atto puramente legislativo e burocratico, ma vitale. In altre parole i diritti umani hanno bisogno di uomini e donne che credano nella giustizia e che, soprattutto, siano capaci di sacrificarsi per essa. Nell'enciclica Spe salvi Benedetto XVI afferma che "se non possiamo sperare più di quanto è effettivamente raggiungibile di volta in volta e di quanto di sperabile le autorità politiche ed economiche ci offrono, la nostra vita si riduce ben presto ad essere priva di speranza" [17]. Anche la difesa dei diritti umani ha bisogno di una speranza che vada oltre "quanto èffettivamente raggiungibile di volta in volta". Non c'è dubbio che essi abbiano un fondamento etico e razionale e debbano essere oggetto di volontà, però è altrettanto vero che senza la speranza cristiana essi non sarebbero stati pienamente intravisti e la nostra volontà e la nostra ragione non sarebbero pienamente in grado di rimanervi fedeli fino alla fine. Senza la dimensione religiosa essi rischiano continuamente di essere persi di vista, o di venire lasciati da parte di fronte alle difficoltà. E' la speranza cristiana, afferma il papa, "che ci dà il coraggio di metterci dalla parte del bene anche là dove la cosa sembra senza speranza" [18]. I diritti umani, dicevo, non vanno solo elencati, vanno vissuti. Essi non vivono di solo spirito legalistico [19] e non sono garantiti semplicemente da delle procedure . Richiedono, piuttosto, una speranza [20]. I diritti umani, suscitati dal Cristianesimo, e che pure godono di una loro autonomia morale e razionale, non possono sussistere senza di esso: «La conoscenza della persona è legata alla fede cristiana. La persona può essere affermata e coltivata per qualche tempo anche quando tale fede si è spenta, ma poi gradatamente queste cose vanno perdute» [21].
Lo Stato, la tutela dei diritti umani e la "libertas religiosa"
Il rapporto precedentemente messo in evidenza tra il diritto alla libertà religiosa e il dovere di cercare la verità pone allo Stato dei precisi obblighi nella difesa e nella promozione della libertà di religione, obblighi che vanno ben oltre la semplice contemplazione giuridica di questo diritto. Infatti, la sua tutela è elemento fondamentale del perseguimento del bene comune, nei cui confronti il dialogo sui diritti umani rappresenta la grammatica. Non è sufficiente il concetto di "tolleranza". Lo Stato deve costituire una cornice giuridica in modo che tutti i cittadini godano della libertà di non "rinnegare Dio per godere dei propri diritti" [22]. Poiché però tale diritto è legato al dovere di cercare la verità e sgorga dalla natura umana, lo Stato dovrà costruire quella cornice giuridica nel rispetto della dignità della persona. Ecco perché la libertà di religione trova un limite dentro se stessa: deve essere conforme alla verità dell'uomo e non contro di essa. Anche la libertà di religione deve, quindi, rispettare la legge morale naturale, l'ordine pubblico e, in una parola, i diritti umani. Sono questi i "debiti limiti" cui fa riferimento il Concilio [23]. Chi chiede per sé la libertà di religione, ma non accetta di rispettare la giustizia, delegittima quella sua stessa richiesta, privandola del suo vero fondamento. Lo Stato che, nell'organizzare la vita della comunità in vista di un bene comune, disciplina anche la libertà di religione, deve farlo alla luce della verità dell'uomo.
Già da questa preliminare osservazione emerge che lo Stato non può condividere l'ideologia del relativismo religioso. Esso non eserciterebbe, in questo caso, il suo mandato di costruire il bene comune secondo i dettami della ragione. Ci possono essere religioni che nelle loro pratiche contraddicono quegli stessi diritti umani in nome dei quali pretendono la propria libertà . Il caso più evidente è quello del terrorismo e, in generale, di chi uccide in nome di Dio: "quando una certa concezione di Dio è all'origine di fatti criminosi, è segno che tale concezione si è già trasformata in ideologia" [24]. Le religioni possono contraddire i diritti umani anche quando non ammettono l'eguale dignità di tutti gli uomini senza distinzione di sesso o di razza o di ceto sociale. In tutti questi casi lo Stato dovrà discernere, non con criteri confessionali, ma alla luce della verità razionale, che rimane la bussola principale del potere politico. Il nesso tra religione e verità è all'origine del diritto alla libertà religiosa. Questo non è un diritto arbitrario, ma espressione del dovere di cercare la verità. Per questo lo Stato, nel riconoscerlo, deve farlo senza rompere il nesso religione-verità. Se lo Stato considera il diritto alla libertà religiosa come un diritto arbitrario e destituito di una sua verità, finirà per equiparare tutte le religioni in un qualunquismo relativistico che può aprire la strada al non rispetto di diritti umani fondamentali. Anche la religione può esprimersi in forme patologiche ed in questo caso la ragione politica deve correggerla. Per poterlo fare la ragione politica deve a sua volta accettare di farsi correggere dalla religione, che la aiuta a non chiudersi in se stessa [25].
Oltre a discernere tra le religioni alla luce dei diritti umani, lo Stato dovrà garantire alla religione non solo uno spazio privato ma anche uno spazio pubblico. Non sarà cioè sufficiente che i credenti possano liberamente partecipare al culto, occorrerà anche che le comunità religiose, sia a livello sociale che istituzionale, possano partecipare al dibattito pubblico in modo che a Dio sia riconosciuta una "piena cittadinanza" [26] nella società. Così facendo, lo Stato non diventa esso stesso religioso, perché esercitare una ragione aperta alla trascendenza è fonte di libertà di giudizio, mentre diventerebbe ideologicamente antireligioso nel caso facesse il contrario. In questo ambito la neutralità non esiste [27], un presunto spazio pubblico neutro da assoluti religiosi esprime una assolutezza antireligiosa.
Una delle principali forme per la tutela del diritto alla libertà religiosa e degli altri diritti umani, è da parte dello Stato il riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza, quando siano in gioco valori inerenti la trascendente dignità della persona umana e quando si ritenga di dover obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Anche in questo caso, lo Stato è tenuto a riconoscere tale diritto non per motivi "religiosi", ma per due ragioni connesse con la verità della persona umana. La prima ragione è il riconoscimento della coscienza personale come originario spazio di libertà per la persona. Il secondo è il riconoscimento del significato politico dell'obiezione di coscienza, che non è da vedersi come un fatto semplicemente privato, ma anche pubblico in quanto richiama la politica stessa a quanto non è a sua disposizione e, così facendo, la conferma nella propria libertà [28].
[1] Analogamente il paragrafo 1 afferma: "tutti gli uomini sono tenuti a cercare la verità" .
[2] Dignitatis humanae cit., n. 2. "E' però un diritto in funzione di un dovere. Anzi, come ha ribadito più volte il mio predecessore Paolo VI, è il più fondamentale dei diritti in funzione del primo dei doveri, qual è il dovere di muoversi verso Dio nella luce della verità e con quel moto dell'animo che è amore" (GIOVANNI PAOLO II, Discorso a studiosi giuristi, 10 marzo 1984, n. 6. "Il diritto alla libertà religiosa presuppone il dovere di cercare la verità su Dio, con una volontà esente da coazioni e con una ragione immune da pregiudizi" (D. MAMBERTI, L'azione della Santa Sede in favore della libertà religiosa,
www.zenit.org).
[3] Dignitatis humanae n. 2; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, n. 8.
[4] "La salvezza si trova nella verità" (CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione Dominus Jesus n. 22.
[5] "La libertà religiosa non è licenza di aderire all'errore, né un implicito diritto all'errore" (PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 421, p. 229; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2108).
[6] Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2105.
[7] "Noi crediamo che quest'unica vera religione risieda nella Chiesa cattolica ed apostolica" (Dignitatis humanae, n. 1): "Occorre quindi aver riguardo sia ai doveri verso Cristo, Verbo vivificante che deve essere predicato, sia ai diritti della persona umana" (Ivi, n. 14).
[8] Dignitatis humanae n. 1.
[9] GIOVANNI PAOLO II, Enc. Centesimus annus, n. 47: "Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della persona umana".
[10] "Solo una verità trascendente è intrascendibile" (G. CREPALDI e S. FONTANA, La dimensione interdisciplinare della Dottrina sociale della Chiesa, Cantagalli, Siena 2006, p 18; ma si veda l'intero capitolo).
[11] GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici, n. 39.
[12] GIOVANNI PAOLO II, Nel rispetto dei diritti umani il segreto della pace vera, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1 gennaio 1999, n. 5.
[13] Ivi, n. 49.
[14] Ivi, n. 5.
[15] La ha di recente ribadito Benedetto XVI nel Discorso all'Assemblea delle Nazioni Unite del 18 aprile scorso: "Tali diritti sono basati e modellati sulla natura trascendente della persona [...]. Il riconoscimento di questa dimensione va rafforzato se vogliamo sostenere la speranza dell'umanità in un mondo migliore".
[16] GIOVANNI PAOLO II, Enc. Centesimus annus, n. 24.
[17] BENEDETTO XVI, Enc. Spe salvi, n. 35.
[18] Ivi, n. 36.
[19] Non si possono "realizzare semplicemente con l'applicazione di procedure corrette" (BENEDETTO XVI, Discorso all'Assemblea delle Nazioni Unite - 18 aprile 2008).
[20] Anche a proposito dei diritti umani si può affermare quanto Romano Guardini diceva della vita in generale: "Senza elemento religioso la vita diventa come un motore che non ha più olio» (R. GUARDINI, La fine dell'epoca moderna, Morcelliana, Brescia 10038, p. 98).
[21] R. GUARDINI, La fine dell'epoca moderna cit., p. 100.
[22] BENEDETTO XVI, Discorso all'Assemblea delle Nazioni Unite - 18 aprile 2008).
[23] Dignitatis humanae cit., n. 2; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2106.
[24] BENEDETTO XVI, La persona umana cuore della pace, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, n. 10.
[25] J. RATZINGER-J. HABERMAS, Etica, religione e Stato liberale, Morcelliana, Brescia 2005.
[26] BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al IV Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa italiana, Verona 19 ottobre 2006, in Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 2, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, p. 471.
[27] S. FONTANA, El relativismo occidental como cuestión ética y política. Respuesta de la fe cristiana, in "Corintios XIII - Revista de teologia y pastoral de la caridad", n. 122, abril-junio 2007, pp. 233-268.
[28] PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 399, p. 218.

mercoledì 13 agosto 2008

Comportamento ecologico


Monsignor Crepaldi: rispettare la natura è rispettare se stessi
(Da un recente documento di Mons. Giampaolo Crepaldi, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.)
COMPORTAMENTO ECOLOGICO, RESPONSABILITA' ETICA DELL'UOMO, RISPETTO DELLA NATURA E DELLA PROPRIA VITA NEL MONDO
(...) Il problema ambientale è un problema antropologico. Scriveva Giovanni Paolo II nella Centesimus annus: "All'origine dell'insensata distruzione dell'ambiente naturale c'è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L'uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione della cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra [...] e invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui" [9].Nella prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, quella ecologica non è solo un'emergenza naturale, è anche un'emergenza antropologica. Il modo di rapportarsi al mondo dipende dal modo di rapportarsi dell'uomo con se stesso. Ma a leggere il passo della Centesimus annus riportato qui sopra, bisogna anche aggiungere che il modo con cui l'uomo guarda dentro se stesso dipende da come si rivolge a Dio. L'errore antropologico è, a sua volta, un errore teologico. Quando l'uomo vuole porsi al posto di Dio, come dice l'enciclica, perde di vista anche se stesso e la sua responsabilità di governo della natura. (...)
Utilizzando l'orizzonte concettuale di fondo proposto dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa sulla questione ambientale, si può tentare di evidenziare alcune tra le più significative affermazioni. Per efficacia espositiva si utilizzerà il codice linguistico del decalogo, anche se quello che segue non intende essere e proporsi come il decalogo.

1. La Sacra Scrittura indica i criteri morali fondamentali per affrontare la questione ambientale: la persona umana, fatta ad immagine e somiglianza di Dio Creatore, è posta al di sopra di tutte le altre creature terrene, che deve usare e curare in modo responsabile per corrispondere al grande progetto divino sulla creazione. L'Incarnazione di Gesù, Verbo divino, e la Sua predicazione testimoniano il valore della natura: niente di quanto esiste in questo mondo risulta estraneo al disegno creatore e redentore divino (nn. 451-455).
2. Nell'approccio alla questione ambientale il Magistero sociale della Chiesa sollecita a tener conto di due esigenze fondamentali: a) non si deve ridurre utilitaristicamente la natura a mero oggetto di manipolazione e sfruttamento; b) non si deve assolutizzare la natura, ne sovrapporla in dignità alla stessa persona umana (nn. 461-464).
3. La questione ambientale odierna coinvolge l'intero pianeta e la tutela dell'ambiente costituisce una sfida per l'umanità intera: si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo. La responsabilità verso l'ambiente, patrimonio comune del genere umano, si estende non solo alle esigenze del presente, ma anche a quelle del futuro. Si tratta di una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future (nn. 466-467).
4. Nell'approccio alla questione ambientale si deve far valere il primato dell'etica sulla tecnica e, dunque, della necessità di salvaguardare sempre la dignità dell'essere umano. Punto di riferimento centrale per ogni applicazione scientifica e tecnica è il rispetto dell'uomo, che deve accompagnarsi ad un doveroso atteggiamento di rispetto nei confronti delle altre creature viventi (nn. 456-460).
5. In una corretta impostazione della questione ambientale, la natura non va considerata una realtà sacra o divina, sottratta all'azione umana. Essa è piuttosto un dono offerto dal Creatore alla comunità umana, affidato all'intelligenza e alla responsabilità morale dell'uomo. Per questo egli non compie un atto illecito quando, rispettando l'ordine, la bellezza e l'utilità dei singoli esseri viventi e della loro funzione nell'ecosistema, interviene modificando alcune loro caratteristiche e proprietà. Sono deprecabili gli interventi dell'uomo quando danneggiano gli esseri viventi o l'ambiente naturale, mentre sono lodevoli quando si traducono in un loro miglioramento (nn. 472-480).
6. La questione ambientale evidenzia la necessità di armonizzare le politiche dello sviluppo con le politiche ambientali, a livello nazionale e internazionale. La programmazione dello sviluppo economico deve considerare attentamente la necessità di rispettare l'integrità e i ritmi della natura, poiché le risorse naturali sono limitate e alcune non sono rinnovabili. Ogni attività economica che si avvalga delle risorse naturali deve anche preoccuparsi della salvaguardia dell'ambiente e prevederne i costi, che sono da considerare come una voce essenziale dei costi dell'attività economica (nn. 469-470).
7. La questione ambientale richiede che si operi attivamente per lo sviluppo integrale e solidale delle regioni più povere del pianeta. A questo riguardo, la dottrina sociale invita a tener presente che i beni della terra sono stati creati da Dio per essere sapientemente usati da tutti: tali beni vanno equamente condivisi, secondo giustizia e carità. Nell'attuazione di uno sviluppo integrale e solidale, il principio della destinazione universale dei beni offre un fondamentale orientamento, morale e culturale, per sciogliere il complesso e drammatico nodo che lega insieme questione ambientale e povertà (nn. 481-485).
8. La questione ambientale richiede per la protezione dell'ambiente la collaborazione internazionale, attraverso la ratifica di accordi mondiali sanciti dal diritto internazionale. La responsabilità verso l'ambiente deve trovare una traduzione adeguata a livello giuridico. Il contenuto giuridico del diritto ad un ambiente sano e sicuro dovrà essere elaborato secondo le esigenze del bene comune e in una comune volontà di introdurre anche sanzioni per coloro che inquinano (n. 468).
9. La questione ambientale sollecita un effettivo cambiamento di mentalità che induca ad adottare nuovi stili di vita. Tali stili di vita devono essere ispirati alla sobrietà, alla temperanza, all'autodisciplina, sul piano personale e sociale. Bisogna uscire dalla logica del mero consumo e promuovere forme di produzione agricola e industriale che rispettino l'ordine della creazione e soddisfino i bisogni primari di tutti. Un simile atteggiamento favorisce una rinnovata consapevolezza dell'interdipendenza che lega tra loro tutti gli abitanti della terra (n. 486).
10. La questione ambientale richiede anche una risposta a livello di spiritualità, ispirata dalla convinzione che il creato è un dono, che Dio ha messo nelle mani responsabili dell'uomo, affinché ne usi con amorevole cura. L'atteggiamento che deve caratterizzare l'uomo di fronte al creato è essenzialmente quello della gratitudine e della riconoscenza: il mondo, infatti, rinvia al mistero di Dio che lo ha creato e lo sostiene. Se si mette tra parentesi la relazione con Dio, si svuota la natura del suo significato profondo, depauperandola. Se invece si arriva a riscoprire la natura nella sua dimensione di creatura, si può stabilire con essa un rapporto comunicativo, cogliere il suo significato evocativo e simbolico, penetrare così nell'orizzonte del mistero, che apre all'uomo il varco verso Dio, Creatore dei cieli e della terra. Il mondo si offre allo sguardo dell'uomo come traccia di Dio, luogo nel quale si svela la
Sua potenza creatrice, provvidente e redentrice (n. 487).

giovedì 7 agosto 2008

Olimpiadi


I Giochi ginnici celebrati dai Greci nella città di Olimpia, in occasione delle feste Olimpie, si fanno risalire al 776 a.C. Ai giochi partecipavano numerosi atleti, che ci cimentavano in diverse discipline: corse a piedi e con i carri, lanci del giavellotto e del disco, pugilato, lotta e altro ancora. I giochi si svolgevano in piena estate fra luglio e agosto, nel periodo della luna piena, perchè allora il mare era calmo, la navigazione tranquilla e si poteva dormire all'aperto. Gli spettatori si raccoglievano sui pendii oppure ai lati della pista e i nomi dei vincitori passavano di bocca in bocca insieme al nome della città d'origine. A sera i tifosi, amici, parenti, compatrioti, li portavano in trionfo fra canti di gioia. La fama dei giochi di Olimpia fu tale che alle gare si affiancarono presto manifestazioni culturali e artistiche. Gli storici leggevano brani delle loro opere, i poeti le loro poesie, gli scultori esponevano le loro opere, le guerre venivano sospese e gli avversari si riappacificavano. Le Olimpiadi moderne si svolsero per la prima volta nel 1896 ad Atene pr iniziativa di Pierre De Coubertin e continuano a celebrarsi ancora oggi con frequenza quadriennale.
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Padre Celeste,
Tu che ami e proteggi il creato e tutte le creature,
Tu che dai sostegno e vita a tutte le attività dell'uomo,
guarda con benevolenza le antiche, sane, belle attivitò ludiche di questa umanità,
perché fedeli all'autentico spirito sportivo, si svolgano nella pace e nella concordia di tutti i popoli e le nazioni che vi parteciperanno sia di persona che attraverso i mezzi di comunicazione.
Padre Buono e tre volte Santo, scoraggia gli operatori di discordia, sostieni e incoraggia gli operatori della vera, autentica pace, e di ciò che è autentico spirito sportivo, perché attraverso la bellezza e la perfezione fisica dell'umana creatura, così ben esaltata in queste competizioni, salga da tutti i cuori un inno gioioso di lode a Te Sommo e Celeste Creatore. Amen