sabato 23 giugno 2012

Al Card. Giuseppe Versaldi la diaconia della Basilica del Sacro Cuore

Nella classica cornice della basilica del Sacro Cuore di Gesù in Roma a Castro Pretorio, a pochi passi dalla stazione internazionale di Termini, venerdì scorso 15 giugno il cardinale Giuseppe Versaldi ha preso possesso della diaconia a lui assegnata dal Santo Padre Benedetto XVI.
Ogni porporato ha una chiesa romana a lui incardinata come espressione anche visibile, della sua unione con il Capo della cattolicità e Successore di Pietro, ecco perché al nostro arcivescovo è stato conferito il titolo della parrocchia dell’Urbe dedicata al Sacro Cuore di Gesù, promossa e costruita grazie all’impegno di don Giovanni Bosco e retta dai sacerdoti della congregazione salesiana voluta dal Santo piemontese negli ultimi anni della sua vita terrena.
La basilica suggerita dalla paterna sensibilità spirituale del papa Pio IX che volle far innalzare sul colle più altro di Roma, l’Esquilino, a partire dal 1870, avrebbe inizialmente dovuto essere dedicata a San Giuseppe, Sposo di Maria Vergine che proprio in quegli anni, siamo al terzo quarto del XIX secolo, il Pontefice aveva indicato come Patrono della Chiesa universale ma che grazie all’incremento notevole della devozione al Sacro Cuore di Gesù sparsa nell’intera Europa, papa Mastai aveva convertito all’amore di Cristo per l’umanità.
Tuttavia i lavori si svolgono con snervante rilento anche in ragione delle mutate condizioni politiche della nuova capitale del regno d’Italia ed alla morte di Pio IX, nel febbraio 1878, non sono che gettate le fondamenta del tempio.
Leone XIII che viene eletto nello stesso mese, decide di continuare l’opera del suo predecessore ma i problemi sembrano moltiplicarsi tanto che papa Pecci anche su suggerimento dell’arcivescovo di Torino Alimonda, affida al sacerdote Giovanni Bosco del quale conosce lo spirito, la santità e la sconfinata fiducia nella Provvidenza, l’incarico di portare a compimento la costruzione del santuario che sarebbe poi stato affidato ai suoi figli spirituali.
Don Bosco giunge a Roma, dopo un viaggio non privo di difficoltà nel 1880 ed accetta senza condizioni il gravoso impegno sottolineando che “Ogni desiderio del Vicario di Cristo è per me un comando preciso” e che i debiti sottoscritti per edificare le cose del Signore sono ampiamente da Lui pagati con opportuno interesse e perfino con una “mancia” finale.
Il fondatore dei Salesiani non si limita a metter mano alla chiesa ma domanda al Pontefice di costruirvi accanto un ricovero per i giovani sbandati della nuova capitale dello stato ottenendone il consenso.
Nei successivi sette anni si trasforma in pellegrino questuante e tocca gran parte degli stati europei pur di recuperare il denaro necessario per coprire il sacro edificio compromettendo irrimediabilmente la propria salute.
A don Bosco, a Roma dal 30 aprile al successivo 18 maggio, rimarrà l’umana soddisfazione di essere presente alla solenne inaugurazione del santuario avvenuta esattamente 125 anni or sono il 14 maggio 1887 e ad essa aggiunge una spropositata soddisfazione spirituale potendo, due giorni dopo, celebrare la Santa Messa all’altare di Maria Ausiliatrice che aveva voluto al transetto di sinistra della chiesa, proprio di fronte alla cappella di San Giuseppe che del santuario avrebbe dovuto essere l’originale titolare.
In quella straordinaria occasione don Giovanni interrompe per ben quindici volte la celebrazione per lasciare sfogo al pianto ed al termine del sacrificio Eucaristico rivelerà di aver rivissuto il sogno fatto a nove anni, ma soprattutto di aver compreso il significato di quanto la Madonna gli aveva preannunciato quando gli disse: “A suo tempo tutto capirai…”.
Il sogno si era dunque avverato ed al servo buono e fedele non rimaneva che l’eterna ricompensa; morirà a Torino solo pochi mesi dopo, alla fine di gennaio del 1888: a coronamento della sua missione fra gli uomini la Chiesa ne farà un grande Santo la cui devozione si spargerà nel mondo intero.
La basilica è edificata su tre navate, transetto, presbiterio ed ampio coro, in linea sobria e decorosa completata da un elegante campanile anch’esso come la chiesa, su progetto dell’architetto Francesco Vespignani, la cui sommità è sormontata da una monumentale statua del Sacro Cuore di Gesù in rame dorato alta ben 6,5 metri e donata dagli ex allievi salesiani dell’Argentina.
L’interno del santuario è ricco di decorazioni, dalla cassonettatura della volta della navata centrale intagliata in legno e dorata da Andrea Bevilacqua che incorniciano quattro affreschi di Virginio Monti riproducenti episodi legati alla misericordia divina tratti dal testo evangelico, alla sottostante raffigurazione di 12 Profeti eseguita da Cesare Caroselli; tutte quante opere di ispirato realismo spirituale e ben adeguate alla solennità dell’edificio.
La volta del transetto è arricchita dallo stemma intagliato della Congregazione fondata da San Giovanni Bosco e da lui voluto nel 1885 quando lo fece collocare fra la “promessa” ed il “compimento”, vale a dire fra gli affreschi dell’Annunciazione e quello della nascita di Gesù, opere dello stesso Monti. 
Nelle pareti laterali sempre del transetto il Caroselli dipinse le figure a corpo intero degli Apostoli.
L’altare maggiore che domina con l’ancona il presbiterio e realizzato in marmo senese, accoglie la tela di Francesco de Rhoden che raffigura la terza apparizione del Sacro Cuore di Gesù come descritta da Santa Margherita Maria Alacoque.
Il coro è spazioso poiché San Giovanni Bosco lo volle di quelle dimensioni per accogliervi e far pregare tutti i giovani, ed ancor oggi è ben illuminato ed armonioso.
Gli altri altari del tempio sono dedicati a Santa Maria Mazzarello cofondatrice con don Bosco delle Figlie di Maria Ausiliatrice, San Francesco di Sales ispiratore della Congregazione salesiana, Sant’Anna e San Gioacchino genitori della Madonna, e San Domenico Savio raffigurato sulla tela con lo stesso suo padre spirituale.
Molti arredi lignei sono stati eseguiti e scolpiti nelle scuole salesiane di Valdocco a Torino e San Benigno Canavese ideati da docenti di quei centri e rivisti dallo stesso Fondatore e di notevole pregio è il grande organo che armonizza ed accompagna i canti liturgici durante le funzioni. 
Occorre inoltre far notare che per la prima volta nella più che centenaria storia del santuario, un cardinale assume il possesso del titolo nel giorno della festa patronale dedicata al Sacro Cuore di Gesù, un evento senza dubbio ben augurante per il nostro cardinale arcivescovo che nell’omelia pronunciata nella celebrazione Eucaristica della solennità, si è detto disponibile ad essere presente nella basilica ogni qual volta che quella porzione del popolo di Dio avrà bisogno di lui.
Diac. prof. Luciano Orsini
Delegato vescovile per i Beni Culturali

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Omelia
Presa di possesso Basilica S. Cuore
15 giugno 2012
La provvidenziale coincidenza della solennità del sacratissimo Cuore di Gesù con la mia presa di possesso della Diaconia di questa veneranda Basilica fondata dallo stesso S. Giovanni Bosco e zelantemente officiata dai suoi figli, è solo l’ultima squisitezza dell’amore del Signore e della sua misericordia che voglio con voi cantare per leggere nella storia di tutti i tempi le meraviglie operate da Dio. Insieme con il Signore voglio ringraziare ancora il Santo Padre per avermi chiamato a far parte del Collegio cardinalizio per servirlo nel suo universale ministero petrino e mi ha affidato questa Diaconia; come pure ringrazio la comunità salesiana, a cominciare dal Parroco don Valerio Baresi, che mi ha già dimostrato affetto e generosa accoglienza che cercherò di onorare per la maggior gloria di Dio.
L’icona del Cuore di Gesù che oggi celebriamo vuole esprimere null’altro se non l’incarnazione nella storia umana dell’eterno amore di Dio come si è manifestato pienamente e visibilmente nella divina persona di Cristo nostro Salvatore. Nel linguaggio umano, antico come moderno, il cuore esprime simbolicamente il centro e l’interiorità dell’essere umano da cui scaturisce l’amore inteso nel suo pieno significato agapico, che comprende non solamente il sentimento, ma anche l’intelletto e la volontà che si esprime nel dono di sé (Deus caritas est, n.17).
Abbiamo, dunque, in questa immagine del Cuore di Gesù l’espressione del mistero dell’amore divino incarnato nella natura umana del Signore Gesù: quello che era invisibile si è reso visibile proprio nel rivelarsi storico della persona di Cristo che manifesta in forma umana l’amore divino. Attraverso quanto i Vangeli ci narrano possiamo così contemplare nella realtà umana “quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità “ (Ef. 3, 16) dell’amore di Dio verso l’umanità. In questa manifestazione possiamo cogliere tutte le sfumature dell’amore come si esprime nella natura umana, ma non dobbiamo dimenticare che le componenti umane di questo amore sono superate dal fatto che sono l’espressione dell’amore dell’unica persona divina del Verbo di Dio. In altre parole, nel Cuore di Gesù ci è dato di contemplare le espressioni umane dell’amore, e dunque una realtà a noi vicina e comprensibile, ma queste manifestazioni vengono
dall’unica Persona del Verbo in cui coesistono sia la natura umana sia quella divina.
In questa contemplazione abbiamo più facile accesso al mistero dell’Incarnazione che è il vertice dell’amore divino, ma anche modello della perfezione della natura umana in quanto l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di quel Dio che è amore. Possiamo così dire che la manifestazione umana dell’amore di Dio nel Cuore di Gesù è la via privilegiata della conoscenza del mistero di Dio da parte dell’uomo e nello stesso tempo il modello da imitare per raggiungere la piena realizzazione della natura umana.
Per tutti questi motivi Gesù esercitava una irresistibile attrattiva sulle folle quando ha iniziato a manifestarsi come l’Inviato del Padre: la sua predicazione provocava l’ammirazione della gente perché “mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo” (Gv, 7,45) e le sue opere di bene a favore dei poveri e bisognosi conquistavano la simpatia del popolo che numeroso accorreva a lui.
Fermiamoci, dunque, un istante a contemplare questo Sacratissimo Cuore secondo quanto ci è stato fedelmente trasmesso da coloro che furono i diretti testimoni della sua storica manifestazione. E per non sbagliare ascoltiamo le stesse parole con cui Gesù si è definito quando si proponeva come modello da imitare: “Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime” (Mt 11, 29-30). Per spingerci all’imitazione di sé, cioè a seguirlo come suoi discepoli, Gesù, dunque, si è presentato con il suo cuore mite ed umile così da indicarci la via della vera consolazione dalle nostre fatiche umane. E appena ci fermiamo a contemplare la vita e le opere di Gesù non possiamo che trovare conferma di queste sue parole.
Sì, veramente umile sei stato, o Signore Gesù, nel volerti abissare nell’annichilimento della nostra debole e corrotta natura umana quando non considerasti come tesoro geloso la tua uguaglianza con Dio, ma spogliasti te stesso assumendo la condizione di servo, umiliando te stesso e facendoti obbediente fino alla morte e alla morte di Croce (Fil 2, 6-8). In tutto simile a noi, eccetto il peccato, hai voluto vivere quasi tutta la tua vita nel nascondimento di Nazaret, celando la tua potenza divina nella insignificanza di una vita ordinaria, accettando le leggi umane della gradualità della crescita, della necessità dell’apprendimento nell’obbedienza a creature umane fino al paradosso che i tuoi compaesani
si stupirono quando iniziasti a rivelarti come il Messia atteso (“Non è il figlio di Giuseppe? Lc 4,22).
Ed anche in tutta la missione pubblica non possiamo non ammirare la tua umiltà fin dall’inizio, quando ti mettesti in fila per farti battezzare al Giordano suscitando la giusta protesta del Precursore che non capiva come quel gesto voleva anticipare la tua decisione di prenderti sulle spalle i nostri peccati per inchiodarli sul legno della Croce.
Così rimaniamo ancora stupiti di fronte al tuo sottometterti alle tentazioni nel deserto per condividere in tutto, eccetto il peccato, la fragilità della nostra condizione umana. Ma tutta la tua vita non è stata che la conferma del tuo proposito di esser venuto in questo mondo “non per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). E quando le folle, attratte da questa umile disponibilità accorrevano sempre più numerose a te, dimostravi una disponibilità che non ti lasciava neppur più il tempo per mangiare e riposarti, evitando però di volere trarre profitto da questo successo fino a ritirarti tutto solo sulla montagna quando vennero per farti re (Gv 6, 15). Ma è durante l’ultima cena che noi possiamo cogliere il momento più significativo del tuo cuore umile quando ti cingesti del grembiule per lavare i piedi agli apostoli, smarriti e pronti ad abbandonarti, per insegnare loro con l’esempio, tu il Maestro,che l’amore per essere vero deve essere umile fino a servire i fratelli.
Se con l’umiltà il Signore Gesù ha voluto abbassarsi fino a noi per farsi nostro fratello, con la mitezza ha voluto conquistare il nostro cuore per provocarci ad una risposta di amore al suo amore. Il suo Cuore mite infatti, ha reso evidente il suo desiderio di volere il nostro bene al di là di ogni nostro merito ed aspettativa. Nel contesto di una religione che si era ridotta ad amministrare una giustizia sovente misurata sull’esteriorità dei comportamenti e che prevedeva una implacabile punizione contro quei peccatori che non riuscivano a nascondere le loro colpe, la mitezza di Gesù è apparsa come una fresca rugiada in un deserto assetato.
E noi siamo qui per contemplare, o Signore Gesù, questo tuo cuore mite verso tutti, ma specialmente verso i poveri peccatori. Come non ammirare la tua bontà e pazienza verso la donna samaritana piena di boria religiosa, alla quale chiedesti da bere per darle in dono la grazia della conversione perché conquistata da chi, pur conoscendo i suoi peccati, la trattava con amore? E come non ricordare la mitezza con cui hai conquistato il capo dei pubblicani, quel Zaccheo tutt’altro che intenzionato a cambiare vita, ma che crollò di fronte a quel tuo amorevole imperativo”Zaccheo, scendi
subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5)? E ad un peccatore di non minor calibro come Matteo rivolgesti pure la chiamata a seguirlo tra i tuoi più stretti discepoli. Per non dimenticare la tua delicatezza e stima verso le donne nel contesto di una società che le svalutava. Così hai espresso pubblicamente la tua ammirazione per l’obolo della povera vedova che aveva offerto al Signore tutto quanto aveva per vivere (Mc, 12, 43-44). E quanta squisita accondiscendenza anche verso la pagana Cananea che si accontentava delle briciole del tuo amore e alla quale rivolgesti il tuo elogio e concedesti il tuo favore: “Donna, davvero grande è la tua fede. Ti sia fatto come desideri” ( Mt, 15,28). Per non parlare del coraggio e dell’astuzia con cui, o Signore, hai sottratto l’adultera alla furia del drappello di spietati giudici che non hanno potuto resistere al tuo sguardo che svelava i loro peccati occulti. Fino all’elogio della superiorità dell’amore su ogni peccato di fronte al fariseo che si scandalizzava perché ti lasciavi lavare e profumare i piedi da una pubblica peccatrice: “Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato” (Lc 7, 47). E sulla Croce hai ancora avuto il fiato per invocare dal Padre il perdono per coloro che ti avevano crocifisso: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 24).
Cari fratelli e sorelle, ripercorrendo anche solo questi pochi cenni della vita di Gesù ci sentiamo riscaldare il cuore, come accadde ai discepoli di Emmaus. Tuttavia non possiamo fermarci al passato senza far torto proprio a questo Cuore il quale continua ancora oggi qui e per ciascuno di noi ad essere mite ed umile per conquistarci al suo amore. Solamente una colpevole ed ingrata dimenticanza e superficialità può impedirci di leggere nella nostra vita questa presenza consolante e ristoratrice. Si, anche a noi qui e oggi il Cuore di Gesù ripete “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”. Ed è paradossale che in questi nostri tempi in cui la fatica e l’oppressione si vanno globalizzando l’umanità rimanga in gran parte sorda a questo invito ed, anzi, come sottolinea Benedetto XVI, sembra disprezzare la voce di Dio e cercare altrove il rimedio alla crisi. Almeno noi credenti troviamo tempo e modo per accorgerci di questo appello del Cuore Sacratissimo di Gesù, rinunciando agli idoli della nostra autosufficienza come pure evitando i vittimismi delle delusioni che ci andiamo a creare.
Ecco allora il primo e fondamentale passo per una vera soluzione delle nostre difficoltà: torniamo ad abbeverarci a questa fonte dell’amore divino che si è manifestato nel Cuore di Cristo mite ed umile. Benedetto XVI ha scritto nella sua prima enciclica, “Chi vuole donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l’uomo può diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva. Ma per diventare una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore scaturisce l’amore di Dio” (Deus caritas est, n.7).
Sacratissimo Cuore di Gesù donaci la grazia di vivere la nostra fede come abbandono al tuo amore; lo stesso abbandono che ebbe S. Giovanni Bosco quando accettò la proposta di Leone XIII di costruire questo Tempio in tuo onore( ai suoi perplessi consiglieri il Santo disse: “Vi assicuro che il S. Cuore manderà i mezzi per fabbricare la sua Chiesa, pagherà i nostri debiti e ci darà una bella mancia”).
Donaci la capacità di contemplare il tuo Cuore mite ed umile per riceverne la forza di imitarlo così da scrivere nella storia del nostro tempo, seppure come immagine, povera ma autentica, la traccia indelebile del tuo amore incarnato. Solo così il mondo potrà ancora riconoscere la tua presenza e l’evangelizzazione sarà rinnovata e resa credibile dalla nostra testimonianza di carità che scaturisce dal tuo Sacratissimo Cuore. Amen
Card. Giuseppe Versaldi


(Dal sito della Diocesi di Alessandria)

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