sabato 13 settembre 2014

Felicità ed educazione I parte

Il testo che segue è l'inizio di un mio elaborato scritto in occasione dell'esame di pedagogia generale. Verrà pubblicato tra breve completo con tutte le sue note e la bibliografia. Intanto, volendo contribuire all'attuale dibattito in corso sul sistema scolastico/educativo, ne propongo alcune parti.

Introduzione

Se dovessimo iniziare questa trattazione secondo il comune sentire, non sembrerebbero esserci cose più distanti che la felicità e l'educazione, qualora per il termine educazione ci fermassimo a certe immagini stereotipate, sinonimo di tristi elenchi di divieti e, ancor più, di grigi personaggi di vittoriana memoria, dall'indice perennemente puntato, se non di verghe e bacchettate su mani o altre parti sensibili, dalle orecchie d'asino fino ai famigerati ginocchioni sulle leguminacee. L'immaginario collettivo potrebbe scatenarsi con la complicità di numerose opere letterarie e cinematografiche persino di un certo spessore. Ma neanche i moderni metodi educativi riescono ad avvicinare un po’ i due concetti che permangono, almeno superficialmente, ancora a debita distanza, se non agli antipodi, l'uno dall'altro. Nella più diffusa accezione, la felicità sembra essere il contrario di ciò che comunemente s’intende per educazione, quasi uno sbracarsi scomposto, un lasciarsi andare senza freni di alcun tipo, far emergere non la parte migliore di sé, bensì la peggiore! Detto ciò si rende necessario un chiarimento sui termini della questione. Il termine felicità deriva dal latino felicitas, il greco usa il termine eudaimonia: intendiamo con questo termine una “condizione di equilibrio e corrispondenza fra desideri, aspirazioni della volontà e loro attuazione generante sentimenti di appagamento nel soggetto”. La nozione di felicità, intesa come condizione (più o meno stabile) di soddisfazione totale, occupa un posto importante nelle dottrine morali dell'antichità classica, si usa indicarle come dottrine etiche eudemonistiche. Sarà quindi inevitabile, il riferimento alla storia del pensiero umano, e di come, nel corso del tempo, si sia tentato di indicare la via per raggiungerla. Ma ha ancora senso oggi, nell’epoca del Prozac porsi questo genere di quesiti? Il termine educazione ha duplice derivazione: dal latino edere (allevare, curare, alimentare) ma anche da ex-ducere, (ducere significa condurre, e-ducere trarre fuori, elevare, condurre, trarre alla luce, generare, allevare); anche nella lingua greca con paideia (educazione) abbiamo un campo semantico simile: il verbo significa educare, allevare, tirar su, istruire, formare, correggere. Le note concettuali implicite nel termine educazione sono non tanto e non solo un mettere dentro, più un'azione contraria, un trarre fuori, una pienezza da sviluppare. Il senso di allevare comprende anche quello del nutrire , ma il fine non è semplicemente riempire, quanto innalzare e migliorare. È evidente il contenuto relazionale dell'atto, non ci si educa da soli e neanche basta l'azione unilaterale dell'educatore, occorre sollecitare una risposta attiva dell'educando. Il frequente equivoco dei nostri tempi intravisto da Paul Watzlawick agli inizi degli anni ‘90 , è di confondere i campi dell'educazione e del sapere con l'azione dell'acquisire informazioni, meccanismo più semplice ed accessibile a tutti grazie alle tecnologie informatiche, se alle informazioni tutti possono accedere, avvertiva Watzlawick, al sapere bisogna essere iniziati.

1. L’educazione

Ai tempi di Aristotele ci si domandava se la "paideia" dovesse occuparsi più dell'intelligenza o del carattere dell'anima, dello sviluppo della conoscenza o della formazione della condotta. Il quesito è ancora attuale. È possibile iniziare a riflettere già partendo dal termine latino liberi, cioè figli, la parte libera della famiglia romana, era l’adolescente che aveva raggiunto la capacità generativa, (prima era puer), derivante da libertas, autonomia, indipendenza. Educare significa integrazione, sviluppo armonico della natura umana fatta di materia e spirito, non si può badare separatamente allo sviluppo del corpo e della mente, è l’unione sostanziale che definisce l’essere umano, ciò comporta che l’educazione sia integrale, dell’essere umano intero: i sensi e le mani oltre alla ragione. Non si può parlare di educazione se non vi è un miglioramento della razionalità, l’unità sostanziale si ottiene con la guida della ragione, mentre l’attività dell’educatore sarà quella di aiuto-assistenza ai dinamismi attivi dell’educando. Per questo si considera agente naturale dell’educazione l’educando, non l’educatore. Va ricordato inoltre che, se la crescita fisica dell’uomo ha dei limiti, essendo la materia finita, l’uomo è un essere capace di crescere senza limiti, anzi, per l’uomo vivere è essenzialmente un crescere senza fine e lo stesso processo educativo può durare per tutta la vita; sono molti i settori del sapere in cui si parla di formazione permanente. Nel corso della storia umana, abbiamo avuto differenze di prospettive a riguardo; in base alla concezione che si ha dell’uomo, si avranno definizioni diverse di educazione. S. Tommaso, confermando l’opinione di altri pensatori, sosteneva che educazione è “conduzione e promozione della prole allo stato perfetto di uomo in quanto uomo che è lo stato di virtù”. Un processo guidato, suscitato, promosso, orientato e diretto. L’educazione non dà la vita, ma fa in modo che si arrivi a uno stato di vita conveniente, “sostiene l’umanizzazione dell’essere umano”, lo aiuta nel realizzare la sua esistenza. Anche Dante Alighieri circa un secolo dopo, nella sua più celebre opera, esortava a “seguir virtute e conoscenza” , il sapere non disgiunto, quindi, da una retta condotta. Persino Rousseau nella sua teorizzazione di quella che definiva l’educazione negativa, in una sezione dell’Emilio, affronta il problema dell’educazione religiosa e morale. Il modello illuminista ha interpretato l’azione educativa come un fatto di conoscenza e di scienza, cioè si cresce imparando a ragionare, per il modello attivistico si cresce facendo esperienze, nel primo caso l’educazione diviene specializzazione, nel secondo abilitazione. A lungo l’istruzione è stata interpretata come addestramento e/o adattamento alla vita sociale (Dewey), mentre le pedagogie più recenti di matrice strutturalista o cognitivista (Piaget, Gardner, Bruner, Rogers) si sono occupate del funzionamento della mente e della motivazioni del comportamento. Era convinzione di S. G. Bosco che l’educazione è cosa di cuore e che solo Dio ne ha le chiavi, questo per dire che essa ha a che fare con l’unicità dell’uomo e il suo destino eterno, quindi richiede un approccio più sapienziale che intellettuale, più artistico che tecnico. Anche per Edith Stein il lavoro educativo equivale a una creazione “mentre le altre attività si fermano alle facoltà dell’uomo, l’educazione penetra fino all’anima stessa, alla sua sostanza, per darle una forma nuova e così ricreare l’uomo nella sua totalità”. Come se l’educazione richiedesse una metodologia a-metodica. Ma soprattutto all’educatore si richiede un’autentica umiltà perché “avendo a che fare con la totalità dell’essere e con l’individualità dell’uomo, la sua scientificità non è omogenea ai paradigmi delle altre scienze.” Guardini sottolineava che l’educazione, per non perdersi, dovrebbe avere sempre cura dell’integrità spirituale dell’uomo e del suo destino di grazia. “Le pedagogie correnti hanno un elemento in comune: manca loro la percezione dello specifico pedagogico, e si ripiegano su di un unico ambito di valore”. Similmente Maritain, denunciava come piaga della pedagogia contemporanea lo smarrimento dei fini e il privilegio dei mezzi. Così Buber: “il lavoro educativo […] è un guidare alla realtà e alla realizzazione […] significa trasmettere, tramite una persona, una selezione del mondo ad un'altra persona […] indirizza verso l’unità reale che si nasconde dietro alla molteplicità di significati.” Don Giussani riteneva l’educazione accompagnamento autorevole e benevolo nel verificare la corrispondenza fra realtà e aspirazioni più profonde dell’uomo, in modo da non poter non riconoscere in essa la presenza di un senso totale. Peters definiva educazione “una forma di vita valida e desiderabile per se stessa”, alcuni vedono nel suo concetto di educazione un completamento della definizione tomista. Viene rifiutata una concezione utilitaristica di essa, che la vorrebbe come una preparazione per soddisfare richieste circostanziali. Secondo Peters, “essere educato non vuol dire aver raggiunto la propria meta, ma si viaggiare avendo un punto di vista originale”, una sorta di iniziazione o preparazione per una forma di vita valida. Si comprende come sia difficile una definizione del termine educazione, perché trattasi di relazione tra due soggetti agenti, si potrebbe parlare di aiuto al perfezionamento umano. Ecco alcune caratteristiche essenziali: è un’azione, ci riferiamo all’agire di due esseri, è un sapere pratico, non si regge per la conoscenza della verità dell’oggetto, ma per la rettitudine dell’azione, inoltre è un’azione reciproca, di reciproco aiuto. Il perfezionamento umano si ordina a e verso la ragione, cioè è la razionalità che integra le altre facoltà umane, mentre il razionalismo vede la ragione come un tiranno degli affetti, contrapponendole una reazione romantica in difesa del valore umano dei sentimenti. Si crea così un’errata impostazione dicotomica, rinunciando ad ogni processo di integrazione. Per Aristotele la questione era di ordinare debitamente l’una e le altre in modo che la ragione possa trarre profitto dalle emozioni e crescere in sapienza. Questo controllo suppone l’integrazione dell’operatività umana che, attraverso l’agire, si appropria di se stesso; l’esercizio continuo forma le facoltà umane, gli abiti realizzano il dominio dell’essere umano, condizione per cui diventa possibile la felicità. L’abito è un’acquisizione avvenuta nel passato e, insieme, una possibilità per il futuro. In conclusione “l’educazione è l’azione reciproca di aiuto volta al perfezionamento umano, intenzionalmente ordinato alla ragione, e da esso diretto in quanto promuove la formazione di abiti eticamente buoni.” (continua)

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