venerdì 19 dicembre 2008

Iman e rabbini al congresso «Hommes de parole»






Parigi, 18
. Non è cosa di tutti i giorni, a un convegno, sentire un rabbino terminare il suo intervento con insha'Allah e un imam salutare con shalom, così come è inusuale vedere una cinquantina di essi pregare insieme nella Grande moschea di Parigi e il gran rabbino del concistoro centrale di Francia, René-Samuel Sirat, accanto a due ayatollah sciiti. Potere del dialogo fra le religioni che negli ultimi tempi sta facendo indiscutibili passi avanti. Una prova si è avuta al terzo congresso mondiale degli imam e dei rabbini per la pace riunitosi da lunedì a mercoledì scorsi nella sede dell'Unesco a Parigi. Una tre giorni di intensi e a volte animati dibattiti tra religiosi di ventitré Paesi. Gli ottantacinque partecipanti, provenienti per lo più dai Territori palestinesi e da Israele, hanno fatto venire allo scoperto divergenze e incomprensioni ma hanno anche cominciato a sgretolare il muro che per decenni ha separato i rappresentanti delle due religioni.
Al termine, nessuna dichiarazione finale ("sarà pubblicata al più presto", si sono affrettati a dire gli organizzatori) ma una posizione comune da sostenere nei mesi a venire: una soluzione politica della crisi mediorientale - è stato affermato - non può essere soltanto laica; i politici devono ascoltare gli imam e i rabbini, voce spirituale che deve essere presente nelle discussioni di pace; e imam e rabbini devono assieme condannare tempestivamente ogni atto di violenza, da qualsiasi parte provenga.
"In questa terza edizione - ha sottolineato Alain Michel, presidente della fondazione Hommes de parole e co-fondatore del congresso - enormi progressi sono stati fatti e si è delineata con forza la volontà comune di essere utili al processo di pace tra israeliani e palestinesi". A chi gli ha fatto notare l'assenza di una dichiarazione finale (sembra che il documento si sia arenato sull'annosa questione della definizione di terrorismo e sui termini occupazione e kamikaze), Michel ha risposto: "Mi sarei molto meravigliato se non ci fosse stata animosità nel dibattito; sarebbe stato il fallimento del congresso. Averli messi tutti insieme a parlare, a gettare basi di amicizia, è già grandissima cosa".
Il presidente di Hommes de parole spera di avere, fondi permettendo, un maggior numero di partecipanti alla prossima edizione, che sarà allargata ai cristiani (a Parigi era comunque presente una rappresentanza dei cristiani di Terra Santa). Michel ha annunciato la creazione di un comitato misto che si riunirà una volta al mese e che vede tra i membri il vicepresidente della Comunità religiosa islamica (Coreis), l'imam Yahya Pallavicini. Il rappresentante dei musulmani italiani ha ammesso che "non c'è una bacchetta magica" per arrivare alla pace aggiungendo però che da questo congresso "non facile", perché non è facile "unire senza confondere le esperienze culturali delle varie regioni del mondo", è emersa "una vera volontà politica": operare insieme per la pace nel Vicino Oriente. Perché, come ha spiegato l'imam Yahya Hindi, della Georgetown University (Washington), il Vicino Oriente "è un battello che sta affondando, e dobbiamo lavorare insieme senza accuse reciproche, senza farci paralizzare dal passato, e condannando insieme la violenza".
Il terzo congresso mondiale degli imam e dei rabbini - intitolato "La sacralità della pace" - è giunto al termine dell'Anno delle iniziative di pace per la riconciliazione fra israeliani e palestinesi indetto per il 2008 dall'organizzazione. Dopo i precedenti incontri a Bruxelles e a Siviglia, l'impegno è di riscoprire i valori religiosi comuni attraverso la lettura dei testi sacri e di promuovere azioni di dialogo tese a sostenere gli sforzi di pace.

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