martedì 15 febbraio 2011

La qualità di una società è proporzionale alla qualità della informazione che circola

L’UCSI NELLA COMUNICAZIONE ITALIANA

L'etica della professione giornalistica, e in generale l'etica della comunicazione, costituiscono il principale impegno dell'UCSI.
L'infoetica, come ha ricordato recentemente anche Benedetto XVI, o forse con termine più ampio la mediaetica perché ormai l'informazione è troppo legata alle altre forme e alle altre intenzioni comunicative perché la si possa disgiungere, sono la strada maestra per un lavoro educativo che deve coinvolgere i giornalisti, i comunicatori in genere e che ormai va esteso a tutto il pubblico, inteso come naturale recettore ma anche come produttore di contenuti, perché tutti siamo potenziali comunicatori attraverso le nuove tecnologie.
Davvero oggi la qualità di una società è proporzionale alla qualità della informazione che circola in quella società, e in generale a quella dei media che quella società produce. Anche la politica è presa in questo circuito perché oggi la politica si nutre dei media.
In Italia non c'è una tradizione forte di autonomia dei media dalla politica, ma questa autonomia va costruita. Se è vero che media, politica e società sono strettamente connessi, credo che qualsiasi intervento per migliorarne la società e la politica non possa partire altro che dai media e dalle persone che li fanno, oltre che dalla scuola. Questo è il quadro ideale nel quale si muove l'UCSI, che peraltro dispone di strumenti limitati.
Ci battiamo per una professione consapevole, competente e responsabile che sia in grado di contrastare un mondo giornalistico autoreferenziale ed asservito ai poteri forti. Quando sentiamo definire i giornalisti sciacalli o avvoltoi, come è avvenuto in questi giorni, sappiamo che ci sono esagerazioni ma anche che troppi giornalisti e troppi giornali non hanno rispetto per il proprio mestiere.
Il Manifesto per un'etica dell'informazione, che porta la firma di Adriano Fabris, docente di Etica della comunicazione e Filosofia morale all'Università di Pisa, è diretto a tutti coloro che appartengono al sistema dei media e che sono collegati in qualunque forma ad una attività di informazione (comunicatori, pubblicitari, giornalisti, editori, manager editoriali, mondo della politica e delle istituzioni). Ricordo che il Manifesto presuppone ed accetta i diversi codici di autoregolamentazione della professione, ma punta ad offrire indicazioni ulteriori di ordine etico. Si parte dalla affermazione che l'informazione non è spettacolo e si continua dicendo che il giornalista deve sempre essere in grado di giustificare i criteri delle sue scelte, senza trincerarsi per farlo dietro alle proprie opinioni. Il testo è reperibile su www.ucsi.it.
Bisogna anche aggiungere che il servizio pubblico radiotelevisivo ha le responsabilità maggiori riguardo a questa problematica. Molti dati, cito l'ultima indagine sui media che il Censis realizza con la collaborazione dell'UCSI, dimostrano chiaramente che la televisione resta al centro di tutti i processi informativi e comunicativi e che il servizio pubblico, la RAI, è chiamata a svolgere un ruolo di guida, di riferimento qualitativo, di bussola in mezzo agli altri media. Per questo i cittadini pagano il servizio pubblico, e per questo dovrebbero continuare a pagarlo; ma certo ottenendo fino in fondo che questa missione venga svolta, cosa sulla quale oggi è lecito dubitare. Tanto è vero che altri canali tendono legittimamente a sostituirla: penso a TV2000, la TV della chiesa italiana, e in parte anche a canali come La7 o come il TG di Sky. Credo proprio che oggi occorra ripensare alla esigenza di servizio pubblico quasi prescindendo dalla RAI, in un'ottica di sistema, tanto peggio per lei se la RAI non riesce o non può liberarsi dalla sua crisi. Dobbiamo conservare qualche speranza che ci riesca alla fine.
Quella del giornalista è una professione che si trasforma enormemente. E' poco studiata la trasformazione che avviene nel giornalismo quando è chiamato a operare in diretta, come avviene in TV, nella radio, ma anche in internet e nelle agenzie di stampa. La diretta comporta concorrenza spietata su chi arriva primo e difficoltà oggettiva a controllare le fonti e a ragionare sugli effetti. Occorre maturare pratiche e forse anche norme cogenti su questo dilemma.
C'è anche il problema della formazione e del reclutamento. In Italia c'è un Ordine professionale che vigila su questi aspetti, che deve intervenire in modo significativo sia sul controllo dei percorsi formativi e di accesso alla professione. Però c'è anche la consapevolezza che la libertà di comunicare è un diritto insopprimibile delle persone e non solo dei giornalisti, e che internet dà praticamente a tutti la possibilità di comunicare socialmente. Non dobbiamo strapparci le vesti se su internet troviamo infinite sciocchezze, perché è anche piena di informazioni professionali e corrette. Tutto sta nel saper scegliere.
Né d'altra parte possiamo dimenticare le responsabilità dei lettori, degli spettatori, cioè di tutti. E' un corto circuito quello tra società, opinione pubblica, politica e media. Se la gente cerca buona informazione la trova, se la cerca cattiva trova anche quella. Ma non bisogna scoraggiarsi perché le trasformazioni, i miglioramenti richiedono tempo, occorre vincere l'inerzia sociale. Bisogna definire gli strumenti e gli obbiettivi per contrastare l'inerzia e ottenere il miglioramento. Attenzione ai media nella scuola, formazione degli adulti in generale e formazione permanente dei professionisti della comunicazione sembrano le strade più praticabili. Ma bisogna intervenire anche nella gestione dei media, a cominciare dai grandi media, quelli che fanno opinione, e da quelli che essendo pagati con i soldi di tutti devono avere l'obbligo di fare una buona comunicazione.
Le attività associative sono importanti in questa battaglia. Vorrei citare oltre all'UCSI almeno l'AIART, ma mi rendo conto che dovrei fare un lungo elenco tra quelle iscritte al Copercom, il Coordinamento delle associazioni per la comunicazione, attivo nel mondo cattolico; e vorrei aggiungere anche sigle non propriamente interne al mondo cattolico come Libera informazione... Nel mondo anglosassone, dove nel complesso l'informazione è un poco migliore che da noi, le associazioni hanno un ruolo sociale molto rilevante e vengono ascoltate anche dalla politica. Partecipare a un programma associativo spesso serve a non sentirsi soli nelle battaglie e anche a chiarirsi le idee.
Poi, naturalmente, i giornalisti devono cercare di essere fonte primaria delle informazioni, o almeno di confrontarle tra più fonti e di non lasciarsi distruggere dall'ansia di arrivare per primi. Occorrono cultura personale, maturità, equilibrio, esperienza, dedizione, ansia di verità... Purtroppo non basta essere fermi nelle proprie convinzioni etiche, bisogna che queste sopravvivano forti nel confronto continuo con le opinioni degli altri. Altrimenti rischiamo di comunicare solo per noi stessi, di chiuderci nella torre d'avorio dell'autoreferenzialità, che è nemica della carità. Perché credo, in ultima analisi, che comunicare debba essere un modo di esercitare la carità, quella carità che come dice san Paolo nella lettera ai Corinzi, "si compiace della verità".

Tratto da:"50 anni di UCSI - Dieci anni di informazione visti con gli occhi di alcuni testimoni", a cura di Vincenzo Varagona, edito in occasione dell'Assemblea dell'UCSI Marche.

Venerdì 07 Gennaio 2011 17:06
di Andrea Melodia, presidente Ucsi

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