venerdì 8 aprile 2011

"IL GIORNALISMO DEVE ALLARGARE I PROPRI ORIZZONTI"

Intervista di Massimo Boccarella a S.E. Mons.Giuseppe Anfossi.
[in IL GIORNALISMO. LE JOURNALISME, n. 1/2011, p. 7]

1. Dove finisce il confine tra il dovere di informare e il rispetto della persona?

Il giornalista è un professionista: quando incontra una persona che è in difficoltà o meglio che è in una situazione nuova, che la espone allo sguardo indiscreto e che turba il suo equilibrio, normalmente si tratta di un forte che incontra un debole: non può abusare della sua superiorità e per esempio, umiliarla o suscitare la sua emozione ed esporla al pubblico; non può usare come vuole le informazioni che carpisce in un momento di debolezza. Sempre di più l'informazione è una merce che si vende, è facile perciò cedere alla tentazione di trarne profitto. A proposito di questo stesso tema, riferito alla vita della chiesa, vedo due difficoltà. Sul mondo-chiesa vince sempre un pregiudizio singolare: i cittadini credenti e i preti, sono sempre trattati come dei minori, incapaci di avere linee di vita, pensieri, giudizi morali e comportamenti liberi e propri. Il giornalista li immagina sempre al guinzaglio di un'autorità, a cui devono riferirsi e a cui obbedire. Mi colpisce poi la selezione che i giornalisti sono soliti fare degli argomenti interessanti per loro, non coincidono quasi mai con quelli che sono interessanti per noi. Vedono soltanto cerimonie un po' vistose, oppure scandali, infine, cercano contraddizioni tra predicazione e comportamento reale, oppure contrasti tra l'autorità religiosa e il prete o la gente. Questi ultimi temi li ammetto, però la vita della gente, comprese le situazioni dolorose, oppure i pochi luoghi in cui si pensa qualche cosa di un po' più impegnato o di decisamente nuovo e serio, non interessano. Posso ricordare, al riguardo una situazione di questo tipo molto recente: tutte le associazioni laicali presenti in Valle sono riunite per un fine settimana nella Villa di Valtournenche, ebbene il rifiuto ad incontrarli e intervistarli portò argomenti di una banalità sconcertante.

2. In una piccola comunità che ruolo deve avere l'informazione?

Il telegiornale della sera proposto dalla terza rete RAI della nostra Valle, colpisce subito un cittadino che viene da una più grande regione o città. E' proprio evidente che riflette una piccolissima comunità. Da un lato, in un certo senso negativo, appare subito che spesso mancano avvenimenti da narrare o da documentare, e dall'altra, in positivo, permette di valorizzare molte persone, anche gruppi e varie istituzioni. Praticamente, tutte le persone che fanno cose degne di nota hanno la possibilità di comparire sullo schermo. Altro dato positivo è la possibilità teorica di segnalare idee, iniziative di cultura, assistenza, servizio sociale e volontariato. Penso in modo particolare alla promozione del canto e della musica e così dello sport soprattutto competitivo che già avviene. Vedo però che è carente la promozione dell'alpinismo giovanile, familiare e in generale dello sport non competitivo. Nonostante ciò. a me pare che questo giornalismo debba allargare l'orizzonte e non temere di affrontare temi decisamente delicati che implicano approfondimento interpretativo. Inoltre, temo che non abbiano un progetto a monte, ad esempio sull'immagine che vogliono dare della Valle d'Aosta. Lo lasciano in mano al governo, mentre potrebbero elaborarne uno proprio. Mi riferisco alla non sufficiente esaltazione della componente culturale e artistica (ad esempio, Aosta è una città di arte?), e all'immagine estiva della Valle come un susseguirsi di sagre e di appetitose offerte di cibi tradizionali.

Volendo insistere sulle debolezze del nostro giornalismo valdostano (chiedo però perdono perchè essendo anche io promotore di un giornale e di una radio, parlo anche per me) trovo che potrebbe coltivare di più la curiosità culturale e sociale: ci sono diversi problemi seri e propri della nostra terra, regolarmente taciuti, forse sono anche un po' tabou. Mi limito a richiamarne due, i giovani e l'immigrazione straniera. Secondo me, il futuro di una regione così vecchia e con un tasso così debole di natività, è fortemente compromesso, ma nessuno lo vede. Almeno varrebbe la pena aver cura dei giovani. Ebbene nessuno si occupa seriamente di loro, escludendo forse la promozione dello sport popolare e competitivo. Si conoscono troppo poco il loro mondo, le loro paure, i loro desideri e soprattutto si fa troppo poco per preparali a prendere in mano le redini della Valle negli anni che stanno per venire. Un sintomo preoccupante di questo disinteresse è stato dato dal silenzio totale anche dei grandi e più diffusi nostri giornali, TV e Radio, sulla ricerca fatta dalla nostra Università sui giovani nell'anno 2008. Vale la stessa cosa per le conferenze stampa che ogni anno da cinque ormai, fa la Caritas diocesana per presentare uno studio imponente e unico in Italia, in grado di offrire informazioni precise e aggiornate sulla presenza degli stranieri in Italia e nella Valle.

Vedo un problema ulteriore. In una realtà piccola come la nostra, dove tutti si conoscono da un lato non è facile sfuggire al favore che non può non nascere da vecchia e nuova amicizia, colleghi di lavoro, ex compagni di scuola... e dall'altro il potere di influenza delle istituzioni e della politica in virtù delle piccole misure, senza voler accusare nessuno, si accentua facilmente e spesso, e così il sistema informativo globale perde autonomia e soprattutto la voglia di prendere iniziativa.

3. Nella società moderna la famiglia è fonte anche di notizie di cronaca. Come tutelare chi non è direttamente coinvolto senza penalizzare l'informazione?

La lettura che i giornalisti fanno della famiglia è del tutto schierata; non ne vedono l'ambivalenza che di questa realtà mette insieme positività e negatività. Per loro sono interessanti quasi solo le famiglie disfatte, e trovano anche un po' di gusto a mostrare che la chiesa perde la partita e che nessuno l'ascolta più. L'impasto dell'avventura umana e spirituale che c'è dentro nessuno sembra vederla. In una società in trasformazione come la nostra e soprattutto in una società che ha bruciato tutti i controlli sociali in particolare quelli che venivano dall'educazione cattolica unitamente al costume parzialmente inconscio ma osservato - quelli propri della famiglia estesa e contadina - tutti i cittadini hanno molta più libertà di un tempo e i giovani soprattutto, non ricevendo spinte che li responsabilizzino; in questa situazione di enormi condizionamenti succede che le persone più deboli le meno capaci di autocontrollo, cedano e paghino il prezzo più alto. Molte volte le famiglie che vanno a pezzi e che alimentano le notizie di cronaca sono espressione di questa parte debole della nostra società. L'informazione se non si limita a narrare e a stupire, ma da spazio all'interpretazione, può non infierire sui deboli e colpire forse chi produce o mantiene il caso acceso abnorme e soprattutto e cominciare a denunciare la sfacciata libertà che indebolisce coloro che sono già stati feriti nel corso della loro vita.

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