mercoledì 3 settembre 2008

Teologia: cenni storici

Che cos'è un teologo, chi lo è e chi non lo è, e a cosa serve? Qual è il compito del teologo e quale posto occupa, quale funzione gli compete nella Chiesa e nella società?
La fede cristiana non può fare a meno della teologia e quindi dei teologi, è un’esigenza fondamentale e permanente, fin dalla sua origine la fede cristiana si è espressa attraverso determinate teologie. Già nel Nuovo Testamento accanto alle grandi teologie di Paolo e di Giovanni si indicano anche quella di Matteo, Marco, Luca. La fede cristiana è una risposta viva e personale a un Dio che è entrato in rapporto con gli uomini parlando. Un Dio che mira a farsi capire. La teologia è lo sviluppo della parola di fede come risposta alla Parola di Dio; essa si trova in germe nella fede di ogni cristiano e quindi per certi aspetti, è una caratteristica esclusiva del cristianesimo. Se nella Chiesa non tutti sono teologi nel senso esatto e rigoroso della parola, è vero pure che ciascun cristiano è in un certo modo teologo e può essere chiamato a divenirlo ancora più. Il teologo propriamente detto è colui che si caratterizza per una competenza; è uno che parte da una conoscenza approfondita dei documenti della fede ed è quindi in grado di valorizzarne con rigore il contenuto. Ma sarebbe sbagliato pensare che questi compiti affidati ai teologi professionisti dispensino gli altri cristiani dal coltivare la loro fede sul piano della informazione e su quello della riflessione. Essi devono fare tutto il possibile per arricchirla e farla crescere secondo le proprie capacità intellettuali e in sintonia con l'accrescimento della loro cultura generale. Nella Chiesa non è mai venuto meno il servizio teologico anche se non sempre assegnato allo stesso modo. Il Nuovo Testamento certifica che sin dalle origini esistevano carismi e ministeri differenziati. Tra i carismi ecco quello di "dottore"; tra i ministeri ecco l'insegnamento. Negli Atti leggiamo (13,1) "C'erano nella comunità di Antiochia profeti e dottori". Nella Prima Lettera ai Corinzi S. Paolo elenca tutte le varie mansioni: "Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa come apostoli, in secondo luogo come profeti, poi come maestri, poi vengono i doni di far guarigioni..." Ognuno ha una funzione come risposta a una chiamata o se si vuole a una grazia specifica; e questa diversità forma la ricchezza della Chiesa. E sempre Paolo nella Lettera agli Efesini: "E' lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo". (4, 11-13)
E' certa l'esistenza di un ministero dell'insegnamento e di dottrina affidato a "dottori" o "maestri" e non sembra che si confondesse col ministero dell'apostolato, perché allora non ci sarebbe stato bisogno di citarlo e di insistere sulla natura distinta di queste differenti funzioni. Si può dire che nella Chiesa non c'è mai stata una rigida divisione del lavoro sul modello industriale, per la totale libertà divina nell'elargire grazie e suscitare vocazioni, i compiti e i servizi nella Chiesa non rimangono affatto impermeabili e "stagni". Una stessa persona può essere chiamata a prestarne contemporaneamente più d'uno. S. Paolo teneva molto al suo titolo di Apostolo, (1 Corinzi 9,1; Galati 1,1) Ma chi non gli darebbe anche il titolo di dottore?
Nei primi secoli cristiani i grandi dottori, quelli che oggi noi chiameremmo teologi furono spesso dei vescovi, dei pastori, (Basilio di Cesarea, Ireneo di Lione, Gregorio Nisseno e Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Agostino) anche se non mancarono eccezioni da Origene a Tertulliano o a Gerolamo. Nel medioevo la funzione del teologo prende più consistenza, svincolandosi da rapporti diretti con gli incarichi pastorali. Si impone il concetto di teologia come disciplina a sé, più tardi assunta al rango di scienza. Siamo nella fase della nascita delle università, luogo d'incontro tra tante forme del sapere, ciascuna delle quali è chiamata a qualificarsi. I titoli di dottore o maestro in scienza sacra all'epoca oltre a indicare qualifiche e funzioni di Chiesa, collocavano pure chi ne era insignito nell'ordine generale della cultura e della società. I teologi erano i docenti di una scienza particolare, prima ancora che predicatori o catecheti. Tommaso d'Aquino resta la personificazione più alta del nuovo tipo di teologo. Destinato a non scomparire più. Il teologo è e rimarrà anche colui che possiede, col dovere di trasmetterla, una conoscenza precisa e rigorosa della Scrittura e della Tradizione della Chiesa. Potrà essere più o meno geniale o potrà limitarsi a esporre conoscenze e riflessioni dei predecessori e di colleghi, ma potrà pure compiere elaborazioni personali e più o meno nuove, rispondere a domande nuove o inedite per raggiungere nuovi destinatari. Coltivata prima nelle università e nei monasteri, dopo il Concilio di Trento la teologia si diffuse anche nei seminari, voluti dal Concilio per una formazione maggiore del clero. Nello stesso tempo si affermava anche il magistero dei vescovi e del Papa, ma non si tratta di magisteri in concorrenza tra loro, né di magisteri paralleli, come spiega l’Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 1990. L’Istruzione ricorda la distinzione di S. Tommaso tra il “magisterium cathedrae pastoralis” e il “magisterium cathedrae magisterialis”, ossia dell’insegnamento. Ma nessuno dei due potrebbe incorporare l’altro. Il loro rapporto corrisponde piuttosto a quel sistema di equilibrio decentrato di cui parla lo storico J. Le Goff in Naissance di Purgatoire. Questo schema però è valido quando la struttura gerarchica della Chiesa si accompagna al riconoscimento di una pari dignità tra i battezzati, estesa anche al campo delle rispettive attività secondo il canone 108 del Codice di Diritto Canonico: “Tra tutti i fedeli per il fatto della loro rigenerazione nel Cristo, esiste, quanto alla dignità e all’attività, una vera uguaglianza in virtù della quale tutti cooperano all’edificazione del Corpo del Cristo secondo la condizione e la funzione proprie di ciascuno”.
La Chiesa è essenzialmente comunità di fede, e solo in relazione al servizio della fede i suoi membri possono avere differenti collocazioni. Solo in relazione al servizio della fede la Chiesa, sebbene costituita da uguali è anche strutturata gerarchicamente. In queste prospettive il magistero dei teologi e quello gerarchico non si possono definire paralleli. La Chiesa gerarchica stessa conferma la funzione dottrinale dei teologi, interni o esterni che siano, alla gerarchia. Negli ultimi decenni, dopo essere stata esclusivamente appannaggio dei chierici, la teologia oggi è coltivata da un numero considerevole di donne, religiose o laiche e anche da uomini sposati. Si notano ancora oggi anche nuovi luoghi in cui si fa teologia al di là di università o seminari. Alla teologia tradizionalmente è stato affidato un compito apologetico, ossia di difesa e giustificazione della parola di fede. Tale compito richiede rispetto e modestia. Resta il fatto che ogni teologo è responsabile della tradizione della fede (della sua fedele consegna da una generazione all’altra) davanti al mondo. Lo è altrettanto di fronte alla Chiesa, ossia al popolo credente e alle istanze gerarchiche. C’è infine la responsabilità del teologo di fronte a Dio. Non si deve mai dimenticare che il suo dovere consiste nel parlare di Dio. Teologia significa letteralmente “discorso relativo a Dio”. Parlare di Dio significa parlare di Colui che non appartiene a nessuno e che si è fatto conoscere solo perché noi possiamo continuar
e a cercarlo nella verità.

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