martedì 2 settembre 2008

Teologia: Intervista

Intervista inedita al Card. Georges M. M. Cottier, allora teologo in carica della Casa Pontificia, realizzata al Priorato di S. Pierre, (Aosta) il 24 agosto 2002

***

Quali sono i più diffusi errori teologici odierni e le sfide più impegnative per i cattolici del terzo millennio?

E’ una grossissima questione. Gli errori teologici ci sono sempre stati. Perciò c’è un Magistero della Chiesa che ci ricorda quale è l’interpretazione autentica della parola di Dio, perché la teologia è una riflessione umana alla luce della fede sul contenuto del messaggio biblico evangelico, questo messaggio è ricchissimo e anche complesso, c’è sempre stata la possibilità di fare degli errori di interpretazione, perciò per noi cattolici questo messaggio della parola di Dio è affidato alla Chiesa e nella Chiesa è affidato al Magistero della Chiesa che ci dice qual è la linea giusta. Questo non toglie la necessità della teologia, nel senso generale di riflessione fatta innanzi tutto da tutti i cristiani che devono “pensare” la loro fede, poi c’è una disciplina più specializzata, scientifica, chiamiamola teologia, che è un discorso di riflessione sul contenuto, le ricchezze e l’armonia del messaggio rivelato, e questo è il quadro generale. Tutti i grandi Concili ecumenici sono intervenuti perché c’erano degli errori, delle difficoltà di interpretazione, prima di tutto sull’identità di Cristo, sul mistero stesso di Dio o sul mistero della S. Trinità. Questo mi sembra l’asse della riflessione teologica che ha provocato la Chiesa a precisare e lo fa lungo tutta la sua storia. Oggi mi sembra che i problemi più delicati riguardano l’incontro con le altre religioni. C’è la tendenza da parte di molta gente ad accorgersi della ricchezza che tutte le religioni possono contenere e di porre come una equivalenza di tutte le religioni senza vedere qual è la singolarità e la trascendenza del messaggio cristiano centrato sulla persona stessa di Gesù Cristo.

Si può dire che esistono delle mode, delle tendenze nella teologia?

Si può dire perché la teologia come tale è una disciplina umana, cioè non è Magistero. Il Magistero è assistito dallo Spirito Santo e può dire questo è giusto o questo è falso. Ma ciò non toglie la necessità della riflessione che può dipendere dai problemi ai quali un epoca è più o meno sensibile o può dipendere dalle filosofie che sono più forti in un’epoca che in un'altra. Tutto questo ha un influsso sul lavoro teologico. Da sé la teologia non dovrebbe cedere alle mode, la moda è una cosa effimera.

Karl Rahner in “Scritti teologici” (1970) ha scritto che l’interlocutore decisivo della teologia non sarà più in futuro la filosofia nel senso tradizionale, ma saranno le scienze del tempo, pluraliste e non filosofiche e con la concezione dell’esistenza che sapranno creare direttamente o favorire indirettamente si presenteranno come l’interlocutore della teologia senza passare per la filosofia. Cosa ne pensa, è accaduto?

Non sono pienamente d’accordo con questo pensiero di Rahner, perché tutte le scienze “ricercano” e gli scienziati si rivolgono a dei problemi che non sono direttamente risolvibili dalla scienza stessa, cioè c’è sempre stata dietro le scienze una filosofia implicita e una mediazione della filosofia è necessaria. E’ vero che molti problemi ci arrivano proprio a partire delle scoperte scientifiche e anche dalle scienze umane, ma non vedo come si possa fare economia di questa mediazione della filosofia.

La difficoltà di comprensione fra teologi e Magistero scaturiscono da un difficile compito di cui parlò a Parigi nel 1980 Giovanni Paolo II di fronte ai responsabili delle università cattoliche: unificare due ordini di realtà che vengono talora percepiti come antitetici, la ricerca della verità e la certezza di conoscere già la fonte della verità stessa. Ma questo nel 1980 prima dell’Enciclica Fides et Ratio. Cambia qualcosa ora ?

No, la problematica è sempre la stessa e la risposta è sempre la stessa, già dai tempi dei Padri della Chiesa. E’ stata elaborata in maniera magisteriale dal Concilio Vaticano I, quando si è parlato della ragione e della fede, perché la filosofia è una disciplina umana che cerca di rispondere ai grandi problemi che l’uomo si pone e che la realtà umana ci pone, con i mezzi propri dell’uomo. L’uomo è dotato di una ragione che è capace di cogliere il vero, tema che è molto sottolineato dall’Enciclica “Fides et Ratio”. Invece la fede riceve la parola di Dio ma non si tratta dello stesso oggetto, perché la ragione conosce questo aspetto della realtà che è alla portata della ragione umana e la ragione stessa umana può capire che ha dei limiti, può arrivare a conoscere per esempio l’esistenza di un Dio, le tracce di Dio nella natura, come Creatore, questo lo dice già S. Paolo all’inizio della Lettera ai Romani, invece la rivelazione cristiana biblica che comincia nel Vecchio Testamento e continua nel Nuovo, la rivelazione cristiana ci apre il mistero stesso di Dio, cioè una cosa che la ragione umana da se stessa non può penetrare dunque al di là della ragione c’è tutto il mondo del mistero di Dio e del disegno si salvezza di Dio che possiamo conoscere soltanto se Dio si fa conoscere lui stesso; questo significa la “rivelazione” Allora il Concilio Vaticano I ha aggiunto una cosa molto importante: dicendo come l’origine, la fonte, la radice sia della ragione umana sia della rivelazione è Dio stesso, le due non possono contraddirsi. Se c’è una contraddizione vuol dire che qualche cosa nel ragionamento umano non è andata bene, infatti la Chiesa ha sempre favorito la ricerca filosofica.
Riferendosi ai suoi tormentati anni di ateismo, Edith Stein scrisse: “La mia sete di verità era una preghiera continua” oppure riferendosi al suo maestro Husserl: “Chi cerca la verità cerca Dio, che ne sia cosciente o no”.
Infatti S. Teresa Benedetta della Croce era anche una grande filosofa.

Un documento della Commissione teologica internazionale del 1976 faceva osservare che “non bisogna meravigliarsi né sperare che si arriverà mai ad eliminare appieno le divergenze. Al contrario, ovunque c’è vita c’è tensione”. J.N. Nicolas O.P. scriveva nel 1974: “La Chiesa è una società. In ogni società si danno tensioni fra i detentori di diverse responsabilità. Ciò non è solo inevitabile, ma è sano, è un segno di vita. Queste tensioni generano conflitti, di idee, di interessi, e di persone, le quali si impegnano a difendere con tutte le loro passioni, le più nobili e le meno nobili, nell’esercizio delle loro responsabilità. La Chiesa non sfugge a questa elementare legge sociologica. Non si tratta di teorizzare una conflittualità permanente. Si tratta invece di distinguere tra una conflittualità fisiologica, che è fattore di crescita, e una conflittualità patologica, che perturba l’organismo ecclesiale”. Cosa ne pensa?

E’ vero ancora. Il Magistero spiega cosa dice la parola di Dio e deve ripeterlo ad ogni epoca, il Magistero attuale parliamo, del Concilio Vaticano II, e dopo il Concilio di due importanti avvenimenti, la professione di fede di Paolo VI e il Catechismo della Chiesa Cattolica dell’attuale Pontefice. Sono aggiornamenti, cioè messa a disposizione nel mondo di oggi di queste verità, ma sorgono sempre nella storia dell’umanità nuovi problemi e non è detto che sia il Magistero il primo a vedere i nuovi problemi, spesso sono i teologi o anche della gente fuori della Chiesa a sollevare questi problemi. Il ruolo dei teologi è rispondere a questi problemi. E l’infallibilità non appartiene alla teologia, il teologo può onestamente sbagliarsi, ad un certo momento il Magistero dovrà intervenire e dire questa via è sbagliata o questa maniera di dire le cose non è giusta, o anche in alcuni casi dire che non è prudente lanciare nel popolo di Dio tale idea senza dare una giustificazione abbastanza approfondita, perché può succedere che uno veda una cosa giusta ma le giustificazioni che ne dà non siano pienamente giuste o solide. Poi esistono punti di approccio differenti secondo i teologi, vari teologi stessi sono in tensione. Nicolas diceva che “tensione” non vuol dire “contraddizione”, tensione vuol dire essendo tutti uniti nella fede, ricercare come le tensioni permettono di incontrarci ad un livello più profondo.

Negli ultimi decenni, la teologia, dopo essere stata esclusivamente appannaggio dei chierici, è coltivata da un numero considerevole di donne, religiose o laiche e anche da uomini sposati. Si notano ancora oggi anche nuovi luoghi in cui si fa teologia al di là di università o seminari. Come vede questo fenomeno? E’ un buon segno, in quanto sono punti di vista ancora diversi?

Certo. Pensare la nostra fede è una esigenza, l’ho detto all’inizio. Quando comincio pensare la mia fede non sono solo e neanche il primo che lo fa. E poi c’è stato lungo i secoli la costruzione di un patrimonio umano che è ricchissimo che è la tradizione teologica. Entrare nella conoscenza di questa grande riflessione umana dei credenti lungo i secoli mi aiuta a pensare e continua a riflettere diciamo che è una esigenza che ogni battezzato può sentire. Alcuni poi trovano proprio lì una vocazione specifica, molti laici, religiose, religiosi, fanno della teologia e, quando lo fanno bene, è un arricchimento grande e molto positivo per la Chiesa.

Se dovesse dare un consiglio a chi incomincia o chi vorrebbe incominciare lo studio della teologia.

Leggere bene il Catechismo della Chiesa Cattolica, che non è un libro di teologia ma ci dà la base , il patrimonio di fede, a partire da questo posso incominciare a capire. Se è possibile, seguire dei corsi, inizierei prima dai corsi biblici, l’esegesi, la fonte primaria della teologia è la Parola di Dio e dobbiamo conoscere bene la Parola di Dio, questo è il compito di questa disciplina teologica che si chiama esegesi. Quindi fare un buon corso di esegesi, sapere come comportarsi davanti alla Parola di Dio, la Bibbia. A partire da questo, seguire i corsi sulle parti essenziali della teologia, la teologia speculativa, cioè i grandi misteri della fede e la teologia morale che sono mondi immensi. Un corso di teologia sistematica, mi sembra una necessità per avere una visione globale del problema che può rimanere ancora in parte superficiale in un primo approccio, poi si può approfondire un tema, per arrivare a leggere i grandi teologi, S. Agostino, S. Tommaso, i Padri della Chiesa.

Coltivata prima nelle università e nei monasteri, dopo il Concilio di Trento la teologia si diffuse anche nei seminari, voluti dallo stesso Concilio per una formazione maggiore del clero. Nello stesso tempo si affermava anche il Magistero dei vescovi e del Papa. Ma non si tratta di magisteri in concorrenza tra loro, né di magisteri paralleli, come spiega l’Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 1990. L’Istruzione ricorda la distinzione di S. Tommaso tra il “magisterium cathedrae pastoralis” e il “magisterium cathedrae magisterialis” ossia dell’insegnamento. Ma nessuno dei due potrebbe incorporare l’altro. Questo schema però è valido nella misura in cui la struttura gerarchica della Chiesa si accompagna al riconoscimento di una pari dignità tra i battezzati, estesa anche al campo delle rispettive attività secondo il Canone 108 del Codice di diritto canonico: “Tra tutti i fedeli per il fatto della loro rigenerazione nel Cristo, esiste, quanto alla dignità e all’attività, una vera uguaglianza in virtù della quale tutti cooperano all’edificazione del Corpo del Cristo secondo la condizione e la funzione proprie di ciascuno”. Come dobbiamo intendere la distinzione di S. Tommaso?

Bisogna vedere il senso che dava a queste parole S. Tommaso. Forse parlava del magistero non come lo intendiamo noi, ma come del “ teologo che insegna”, pastorale in senso etimologico è il pastore che guida il popolo di Dio, il magistero dei vescovi e l’insegnamento dei maestri di teologia. Si sa che a partire dal medioevo l’università è centrata sull’insegnamento della teologia che è la disciplina regina dell’università medioevale. Il maestro di teologia è il maestro della fede che insegna le cose più alte. Sono due magisteri, ma oggi quando parliamo di magistero e pastorale la parola ha cambiato di senso. Diciamo magistero dottrinale quando si tratta della dottrina, pastorale quando si tratta della direttiva del pastore come guida del popolo di Dio. Ma il magistero in teologia è, secondo S. Tommaso, il teologo che insegna, ed è una missione ecclesiale, quando qualcuno insegna teologia ha un mandato della Chiesa, ma lui deve essere sottomesso al magistero dei pastori, dei vescovi, l’ultima parola viene dal magistero, la teologia è una disciplina che si fa alla luce della fede ed è una disciplina umana, invece il magistero è assistito dal carisma dello Spirito Santo e anche dal carisma dell’infallibilità, nei gradi più essenziali. Alcuni oppongono l’insegnamento dei pastori all’insegnamento dei teologi, ma come battezzato il teologo è anche sottomesso all’autorità dei pastori, dei vescovi.
Allora la Chiesa è essenzialmente comunità di fede, e solo in relazione al servizio della fede i suoi membri possono avere differenti postazioni. Solo in relazione al servizio della fede la Chiesa, sebbene costituita da uguali è anche strutturata gerarchicamente. In queste prospettive il magistero dei teologi e quello gerarchico non si possono definire paralleli. La Chiesa gerarchica stessa conferma la funzione dottrinale dei teologi, interni o esterni che siano, alla gerarchia.
Quando la Chiesa vede una qualità
eminente di dottrina in alcuni santi può proclamarli “dottori della Chiesa”, perché il loro insegnamento ci fa entrare pienamente e sicuramente nel patrimonio dottrinale della Chiesa stessa, questo non è legato al sacerdozio o all’episcopato, riguarda i battezzati, lo dimostra il titolo di dottore della Chiesa conferito ai più eminenti tra loro. E Paolo VI lo conferì per primo a due donne estranee alla gerarchia episcopale: Teresa d’Avila e Caterina da Siena, più vicino a noi è stato conferito da Giovanni Paolo II anche a S. Teresa di Lisieux.

Vuole dare un messaggio come religioso domenicano ai religiosi di oggi?

Se io sono filosofo e teologo è perché sono Domenicano. L’Ordine Domenicano è l’ordine della predicazione, cioè dell’annuncio della fede, tutto quello che abbiamo detto finora, l’aiuto ad aiutare la gente a penetrare il mistero della fede, con una dimensione missionaria e apostolica. S. Tommaso diceva che la nostra vita religiosa deve essere trasmettere agli altri il frutto della nostra contemplazione, la nostra teologia deve essere radicata nella preghiera, nella ricerca della perfezione cristiana, che è la carità. Due elementi fondamentali sono l’ufficio divino e la vita fraterna, perché, come diceva Paolo VI, la testimonianza fa parte della predicazione, non si può separare predicazione e testimonianza e la testimonianza è la testimonianza della comunità cristiana, cioè l’amore fraterno deve essere segno dell’amore di Dio. La vita consacrata, questo vale per tutti, è come un’anticipazione escatologica del regno, questo segno che è costituito dalla vita religiosa, la Chiesa ci tiene moltissimo. Essere teologo per me è quasi una conseguenza dell’essere religioso domenicano.
(
Maria Letizia Azzilonna )

Nessun commento:

Posta un commento