domenica 16 novembre 2008

L'impegno comune



L'impegno futuro cristiano-islamico
di Christian W. Troll

(Pontificia Università Gregoriana)


Consentitemi, prima di tutto, di esprimere la mia gratitudine a Dio per aver ispirato un piccolo gruppo di fedeli musulmani a scrivere la lettera aperta "A Common Word" (ACW) del 13 ottobre 2007, e numerosi altri eminenti guide e studiosi musulmani a firmarla. Lasciatemi ringraziare Dio anche per aver ispirato l'arcivescovo di Canterbury a scrivere la sua risposta: "A Common Word for the Common Good" (ACWCG), dopo aver chiamato a consulto all'inizio di quest'anno un buon numero di cristiani di diverse denominazioni ed aver ascoltato con attenzione le loro risposte a ACW. Queste due iniziative hanno contribuito in modo significativo a far progredire il dialogo religioso tra musulmani e cristiani. Dico qui la mia piena concordia con ciò che l'arcivescovo ha scritto all'inizio della sua profonda e ispirata risposta ad ACW: "Solo aprendoci alla prospettiva trascendente alla quale la vostra lettera è orientata, e alla quale anche noi guardiano, noi troveremo le risorse per una dedizione radicale, trasformante, non violenta, a favore dei più profondi bisogni del nostro mondo e della nostra comune umanità".

I due documenti non perdono tempo nei complimenti di circostanza, né scansano le contestazioni e le critiche, ma dall'inizio alla fine mantengono un attitudine di ascolto, di gentilezza, di rispetto, nella consapevolezza della comune responsabilità di fronte a Dio, il genere umano e l'intero creato. Di fatto, essi aprono la possibilità di un nuovo stadio nel processo in corso dell'incontro cristiano-islamico.

Sono stato invitato a questa sessione sul tema "L'impegno futuro cristiano-islamico", alla luce dei due documenti citati e di altre risposte e discussioni nella scia di "A Common Word", per svolgere alcune riflessioni su "I modi migliori di praticare l'impegno cristiano-islamico".

Gli autori di ACW hanno giustamente fatto appello alla responsabilità politica e sociale di cui sono portatori cristiani e musulmani, anche solo per il fatto di costituire circa la metà della popolazione del mondo. Noi possiamo rendere giustizia a questa responsabilità ed esaudire le attese espresse nei due documenti, con un minimo di credibilità, solo se abbiamo il coraggio e la fiducia di parlarci gli uni gli altri su ciò che ci muove nel profondo dei cuori e delle menti, mentre riflettiamo sul reale incontro nei fatti tra cristiani e musulmani. Siamo davvero preparati a un'autocritica onesta, siamo desiderosi di ascoltare e magari di accettare ogni critica argomentata che ci proviene dai nostri interlocutori nel dialogo, ed anche da interlocutori di una società ancor più vasta?

Questo contributo inizia dalla comune affermazione del posto assolutamente centrale tenuto in ciascuna delle due fedi dall'amore di Dio e dall'amore del prossimo, ossia dal duplice comandamento dell'amore. Senza entrare nelle impegnative questioni teologiche toccate da ACW e ACWCG, mi soffermerò brevemente su cinque precise questioni che sembrano richiedere attenzione ed azione, da parte dei cristiani e dei musulmani, sempre tenendo presente il tipo particolare di incontro in questione.


1. Il duplice comandamento dell'amore e il continuo centrarsi su di sé dell'uomo


ACW, sorprendentemente alla luce del ritratto che il Corano fa della condizione dell'uomo, dice poco a proposito di quelle realtà costanti che contrassegnano la vita umana individuale e associata come, ad esempio, la dimenticanza di Dio e la ribellione contro di lui, o l'oppressione nel senso dell'eccedere i giusti limiti di comportamento nel trattare con gli altri, violando i diritti umani essenziali, specialmente quelli dei deboli e degli emarginati. Pensa forse ACW che gli esseri umani, se solo sufficientemente e volonterosamente istruiti sul duplice comandamento dell'amore, potranno e vorranno superare questa situazione problematica? ACW non discute i modi in cui l'amore di Dio è capace di arrivare e sanare "la situazione dell'uomo". Al contrario, la risposta dell'arcivescovo dice che "quando Dio agisce verso di noi con compassione per liberarci dal male, per sanare le conseguenze della nostra ribellione contro di lui e per farci capaci di invocarlo con fiducia, il suo è un naturale, ma non automatico, fluire all'esterno del suo agire eterno". Abbiamo in comune noi, cristiani e musulmani, una consapevolezza del nostro bisogno di essere liberati da Dio nella libertà del suo dono di amore? In questo caso, la nostra risposta d'amore all'agire di Dio sembrerebbe richiedere pentimento, preghiera per un'intima purificazione così come per una purificazione fatta di atti di compassione, la pratica dell'autocritica come individui e come persone associate, e la preghiera perché possiamo essere sanati, redenti e rigenerati dalla forza dell'amore di Dio che si dona.

Questa consapevolezza produrrà in noi uno sforzo risoluto verso una onesta autocritica, così come un intenso desiderio di ricevere istruzioni e di essere purificati e trasformati dall'ascolto di ciò che Dio vuole dirci attraverso i nostri interlocutori nel dialogo, siano essi seguaci dichiarati di una fede religiosa o no. Riteniamo il nostro dialogo sufficientemente sostenuto da queste convinzioni e le nostre attitudini modellate da esse?


2. Il duplice comandamento dell'amore come chiave di interpretazione delle Sacre Scritture


L'arcivescovo di Canterbury ha messo in rilievo la differenza sostanziale tra come i cristiani e i musulmani comprendono ciò che sono le Sacre Scritture, come anche i posti differenti tenuti dalle rispettive Scritture nell'insieme delle loro teologie. Concordo pienamente con lui quando dice che, a dispetto di queste differenze, "studiare le nostre Scritture insieme può continuare a procurare momenti fruttuosi nel nostro impegno reciproco nel processo di costruire una casa insieme". Di fatto ritengo che sforzi risoluti ed efficaci, nel promuovere lo studio da cima a fondo della tradizione religiosa dell'interlocutore musulmano o cristiano del dialogo, siano essenziali specialmente tra gli studiosi di religione, musulmani e cristiani. Tale studio dovrebbe essere caratterizzato al tempo stesso da empatia e da rigore critico, e dovrebbe sforzarsi di comprendere le singole dottrine dentro l'insieme dell'universo di fede dell'interlocutore nel dialogo. Abbiamo studiosi cristiani dell'islam e studiosi musulmani del cristianesimo sufficientemente preparati in questa visione d'insieme? Uno studio critico e al tempo stesso empatetico dell'interlocutore nel dialogo implicherebbe che sempre più cristiani studino l'islam come i musulmani lo vedono idealmente e anche come esso è stato ed è vissuto in concreto; allo stesso modo, implicherebbe che sempre più musulmani studino gli insegnamenti normativi così come le realtà empiriche della fede cristiana e della tradizione della cristianità, con una pari attitudine di apertura critica. In questo modo, dottrine quali ad esempio "l'alterazione delle scritture blbliche fatte da ebrei e cristiani" (tahrif), "l'incarnazione di Dio nel Messia Gesù", "la Santa Trinità di Dio", "la natura increata del Corano", "Maometto sigillo dei profeti" (khatam an-nabiyyin) potrebbero essere meglio apprezzate anche da coloro che non possono accettarle nella fede. Avanzo qui la richiesta di un insegnanento critico cristiano-musulmano contrassegnato dalla volontà di comprendere, olte che di amare. Perché non riformulare anche in questo modo la regola d'oro: Cerca di comprendere la fede dell'altro come tu vorresti che la tua fede sia compresa?

Quei musulmani e quei cristiani che percorrono il difficile sentiero dell'applicazione intelligente delle moderne scienze umane alle grandi antiche discipline delle loro rispettive tradizioni tradiscono forse la loro fede e agiscono contro la carità? No. I cristiani e i musulmani impegnati nello studio dell'altra fede devono percorrere questo difficile sentiero in uno spirito di comprensione caritatevole ed empatetica. Dove questo spirito manca, negli studi delle tradizioni degli uni e degli altri, noi tradiamo gli imperativi fondamentali che sono comuni a entrambe le nostre fedi circa l'amore e il rispetto del nostro prossimo.


3. Il duplice comandamento dell'amore e i diritti umani


Solo piuttosto di recente le Chiese cristiane e pochi individui e gruppi (almeno di una certa dimensione) musulmani hanno modificato il loro insegnamento sui diritti umani, in via di principio. Hanno compiuto una svolta e sono diventati sostenitori e difensori dei diritti umani. Dio stesso, essi argomentano, ha fondato tali diritti, come parte dell'intima natura dell'uomo. Questa è la ragione decisiva per cui tali diritti reclamano il rispetto incondizionato sia da parte dello Stato che da parte della Chiesa. Diritti umani e diritti divini non possono essere messi in campo gli uni contro gli altri. I diritti umani danno espressione alle condizioni minime che proteggono la dignità che è dovuta alla persona umana come creatura di Dio. In questo senso, riconoscere e rispettare i diritti umani non è nulla di diverso che obbedire alla volontà di Dio; in effetti, vi sono molti credenti per i quali la promozione dei diritti umani è un aspetto dell'obbedienza al duplice comandamento dell'amore. Ho ragione o sbaglio quando sostengo che coloro che hanno firmato ACW implicitamente riconoscono i diritti umani? La parola "islam" significa "sottomissione alla volontà di Dio". Quindi, se i diritti umani corrispondono alla volontà divina, è giusto dire che l'islam per sua natura comporta l'obbligo di riconoscerli, assieme a tutti gli uomini di buona volontà?


4. Il duplice comandamento dell'amore e l'organizzazione dello stato in società multietnica e multireligiosa


Nel dialogo cristiano-musulmano la questione della corretta relazione tra la religione e lo Stato gioca un ruolo importante. L'alto interesse della gran parte dei cristiani e di molti musulmani per la separazione tra la religione e lo Stato non sembra primariamente dovuta a ragioni filosofiche o ideologiche. Molto più importanti e assolutamente necessarie, per capire questa separazione, sono le vicende storiche che hanno portato ad essa: in Occidente sono state specialmente le guerre confessionali dopo la Riforma protestante e, più avanti, le dittature fasciste e comuniste del XX secolo. Dei limiti sono così imposti sia alla religione che allo Stato, che a loro volta li accettano. Ciò deriva dal convincimento che questa mutua demarcazione è utile a entrambe le parti e consegue da quell'amore del prossimo che consiste nel rispettare l'identità religiosa e confessionale dell'altro, anche se l'insegnamento associato con tale identità è respinto come inadeguato o falso. Ciò esclude l'obiettivo di imporre un ordine statuale islamico o cristiano. Ciò comporta l'idea che la separazione tra lo Stato e le religioni serve la coesistenza pacifica di tutti i popoli. Il ruolo neutrale che è prescritto allo Stato trattiene lo Stato dallo sviluppare una esagerata, pseudoreligiosa comprensione di sé e anche trattiene particolari religioni dal piegare il potere e la violenza ai propri interessi. Il tentativo di stabilire Stati cristiani è fallito con enormi costi per tutte le parti. Niente fa pensare che degli stati islamici possano funzionare meglio. Qui la questione cruciale è ancora una volta la comprensione dei diritti umani. Io penso che dovremmo intensificare il dialogo su questo punto.

Lo Stato moderno deve preservare la sua neutralità religiosa. Possiamo resistere insieme a tutti i tentativi, da qualsiasi parte provengano, di creare passo dopo passo spazi di dominio di una Legge direttamente derivata da testi ritenuti divinamente rivelati e alla fine uno Stato governato da un simile corpo di leggi?


5. Il duplice comandamento dell'amore e la violenza nel nome della religione


Nessuna religione può dirsi libera dal fatto che della violenza sia stata o sia tuttora perpetrata in suo nome. Il fardello così ereditato non può sparire per incanto. Perché il passato e la sua memoria siano sanati ci vuole di più che un accordo sui fatti, anche se il solo far questo può essere molto difficile. Tutte le religioni devono affrontare il compito di fare chiarezza sulla loro relazione con la violenza, per il bene del futuro. Ciò va molto al di là del problema della Guerra Santa. Come una religione deve agire con gli esseri umani che si allontanano da essa? E come con coloro che falsificano o diffamano o ridicolizzano la fede? Nell'Occidente cristiano per secoli chi era giudicato colpevole di apostasia, eresia e bestemmia era minacciato o punito con la morte. Questo è il passato, sperabilmente per sempre. Il principio capitale secondo cui nessuno deve essere costretto a credere (cfr. Corano 2, 256) arriva ad essere pienamente realizzato solo se garantisce anche la libertà di abbandonare la fede, di comprenderla in modo differente, o anche di disprezzarla. Sono fortemente convinto che compete esclusivamente a Dio giudicare il peso di simili scelte. Solo Lui è capace di vedere chiaro nel profondo dei cuori delle donne e degli uomini. Di conseguenza noi dovremmo guardarci dal voler anticipare il Suo giudizio.

Prima di concludere consentitemi di fare una proposta pratica: non potrebbe il Cambridge Inter-Faith Programme, nello spirito di ACW, costituire un comitato di lavoro permanente cristiano-musulmano (non voglio chiamarlo un comitato di guardiani) che accolga e valuti le denunce da parte di musulmani e cristiani circa modi di agire e di parlare ad opera di individui e istituti musulmani e cristiani che sembrino contraddire clamorosamente lo spirito e i principi del dialogo al quale questi stessi individui ed istituti si sono impegnati?


Conclusioni


Il dialogo tra cristiani e musulmani è probabilmente soltanto agli stadi iniziali. Esso esige pazienza e fiducia, sforzo costante e cuori aperti. È la nostra fede, prima di tutto, che ci comanda di parlarci l'un l'altro a dispetto di tutte le scoraggianti esperienze delle nostre relazioni passate e presenti. In altre parole, Dio aspetta da noi un dialogo, il Dio che noi cristiani invochiamo insieme con voi musulmani come il misericordioso, il giusto, l'amorevole e il paziente. Noi dobbiamo gratitudine a Dio e anche agli autori della lettera aperta, così come all'arcivescovo di Canterbury, per aver efficacemente focalizzato le nostre aspirazioni e preghiere sul progrediente pellegrinaggio di incontro tra gli uni e gli altri, verso di Lui.





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