mercoledì 18 marzo 2009

Torture moderne (La corona di spine)

Depressione: curarla ricaricando il cervello come una pila.
Trattamento sperimentato in Italia: risultati preliminari incoraggianti su pazienti «resistenti» ai farmaci

(Grazia Neri)

MILANO - Se il cervello fosse come una pila, la depressione potrebbe essere vista come se il livello della «batteria» fosse basso. Perchè allora non ricaricare un cervello gravemente depresso con la corrente, innocua e indolore? È quello che hanno provato a fare i ricercatori del Policlinico Ospedale Maggiore di Milano guidati da Alberto Priori, in collaborazione con la Clinica Villa Santa Chiara di Verona, in uno studio pubblicato oggi sul Journal of affective disorders.

L'ESPERIMENTO - Gli specialisti hanno applicato due elettrodi sulla fronte dei pazienti, collegandoli a uno stimolatore elettrico gestito da un computer. Il dispositivo, che rilascia una corrente elettrica continua a bassa intensità, è stato testato su 14 pazienti (di cui 13 donne) gravemente depressi e sui quali i farmaci non avevano sortito alcun effetto. «I pazienti - dicono i ricercatori - sono stati sottoposti alla tecnica due volte al giorno per cinque giorni consecutivi, riportando un marcato miglioramento già dopo cinque giorni, che si manteneva per diverse settimane».

PROSPETTIVE - La tecnica potrebbe essere usata su coloro che soffrono delle forme più gravi di depressione, circa il 30% dei 5 milioni di italiani colpiti, e «seppure lo studio sia ancora preliminare e su un piccolo numero di individui, i risultati indicherebbero una nuova possibilità per il trattamento della depressione grave farmaco-resistente». I ricercatori sono già al lavoro per estendere questi primi risultati preliminari:


17 marzo 2009 (Corriere della Sera)



La provocazione terapeutica chiamata elettroshock

di CLAUDIA DI GIORGIO

E' la più controversa delle terapie psichiatriche e torna ciclicamente ad occupare le prime pagine dei giornali, suscitando ogni volta polemiche roventi. Stiamo parlando dell'elettroshock, o, per usare il gergo medico, la terapia elettroconvulsivante, al centro, in questi giorni, dell'ennesima diatriba tra favorevoli e contrari. Inutile, repressivo e barbarico o insostituibile salvatore di vite umane? Ora da uno studio scientifico statunitense viene una provocazione - a favore dell'"elettro" - che merita di essere conosciuta. Proprio nei giorni in cui in Italia la circolare del ministro della Sanità Rosy Bindi, a favore di questa pratica, sta suscitando tante polemiche, nel mondo sia politivo che scientifico.

Per il profano che non si accontenta di suggestioni emotive, è difficile districarsi tra le diverse posizioni e sfuggire alle evocazioni di tanto cinema e tanta letteratura. Lasciamo dunque da parte per un momento il ricordo delle immagini di "Qualcuno volò sul nido del cuculo", (che sarebbe un po' come tentare di formarsi un'opinione sulla chirurgia del trapianto di organi sulla base dei film di Frankestein), e vediamo anzitutto in cosa consiste oggi l'elettroshock. Il fondamento medico della terapia sta nella constatazione, che risale ai tempi di Ippocrate, che una convulsione di tipo epilettico ha effetti positivi sulla depressione.

Nel corso dei secoli, le convulsioni sono state provocate con vari metodi, spesso estremamente violenti e pericolosi, fino a quando, nel 1938, due medici italiani, Ugo Cerletti e Lucio Bini, non ebbero l'idea di ricorrere all'elettricità. Come molte altre terapie psichiatriche, nella fase iniziale l'elettroshock è stato usato in maniera grossolana, francamente pericolosa e talora utilizzata più per controllare i pazienti scomodi che per ragioni effettivamente terapeutiche. Ma dai tempi di Cerletti e Bini, la metodologia dell'ECT (per usare l'acronimo inglese di "electroconvulsant therapy") si è evoluta e perfezionata ed oggi la pratica psichiatrica effettua quella che viene chiamata "terapia elettroconvulsivante unilaterale", così detta perché coinvolge solamente uno degli emisferi cerebrali.

Niente sedie elettriche, legacci di cuoio e dosi elevate di elettricità somministrate quasi a casaccio. Oggi l'intervento viene eseguito con macchine computerizzate e programmate a seconda del paziente, in anestesia generale e con l'obbligatoria presenza di uno psichiatra e di un anestesista. Ed altrettanto obbligatorio, almeno in teoria, è il consenso del paziente o di chi ne fa le veci, che a termini di legge deve essere pienamente informato sul funzionamento della terapia e sui suoi effetti collaterali.

Al paziente vengono applicate due piastrine metalliche all'esterno dell'emisfero non dominante del cervello (il destro, nella maggior parte dei casi), attraverso cui viene fatta passare una corrente dell'intensità di circa 0.9 Ampere (tanto per intenderci, per accendere una lampadina servono 2 Ampere). L'energia è di circa 24 joules e il voltaggio utilizzato (si tratta di corrente continua, come quella delle batterie) è di circa 100-110. La scossa dura circa 0.14 secondi, e la convulsione che ne segue va da 10 a 40 secondi. La seduta viene ripetuta due o tre volte a settimana per circa un mese, a seconda dei casi.

Ma cosa fa la scossa elettrica? In pratica, riattiva di colpo i neurotrasmettitori, rialzando in particolare la noradrenalina, che nei depressi sarebbe estremamente carente. Equivale, insomma, ad una dose elevatissima di antidepressivi somministrata in un colpo solo, sostituendo l'intervento farmacologico che, in dosi equivalenti, sarebbe pericolosamente tossico.

Una scossa rivivificante, dunque, che rimette in moto meccanismi cerebrali devastati dalla malattia. Da usare, e questo viene sottolineato in tutti i testi ufficiali, anche i più favorevoli, solo ed esclusivamente per i casi di emergenza. Nel 1985, i National Institutes of Health americani hanno dedicato al problema dell'elettroshock un'intera conferenza, emettendo alla fine una sentenza favorevole alla sua applicazione. Citando direttamente dal documento finale emesso dai NIH, "nessuno studio ha rilevato un'altra forma di terapia che si dimostri superiore all'Ect per la cura a breve termine delle depressioni gravi." L'unica terapia possibile, insomma, per i soggetti in condizioni acute, con evidenti intenzioni suicide, catatonia o mancata rispondenza alle cure farmacologiche. L'elettroshock permetterebbe dunque di recuperare un paziente a rischio di vita (oppure troppo anziano o debilitato per assumere farmaci) che potrà poi essere curato con antidepressivi e/o psicoterapia.

I fautori dell'elettrochock sostengono infatti che non è possibile mettere sullo stesso piano un intervento di emergenza, di durata limitata, come l'Ect e una cura lunga e complessa come quella psicoterapica, inapplicabile nella maggioranza dei casi acuti. E per molti soggetti, aggiungono, la psicoterapia è comunque improponibile, perché prevede la volontà del paziente a sottoporvisi, e gli strumenti culturali ed anche finanziari per proseguirla e trarne giovamento.

L'elettroshock uscirebbe quindi assolto e addirittura vincente nella letteratura medica più diffusa e recente. Ma non ne vanno per nulla sottovalutati gli effetti collaterali, che rimangono pesanti anche rispettando la metodologia prevista. I rischi di mortalità sono bassi (2,9 decessi su 10.000 secondo lo studio più pessimistico, 4,5 su 100.000 secondo il più favorevole) e vanno comunque confrontati con un rischio di suicidio che tocca una media del 15 per cento nei depressi gravi. Tuttavia, immediatamente dopo il risveglio, l'elettrochock provoca uno stato confusionale, in alcuni casi anche molto grave, ed una perdita di memoria che può coprire anche un arco di una decina di giorni.

Secondo i Nih, inoltre, l'1 per cento circa dei pazienti sottoposti a ECT può soffrire di forme gravi di amnesia, anche se generalmente i problemi si risolvono entro sei-sette mesi dal trattamento. Una ricerca condotta a tre anni dalla terapia, però, ha rilevato in molti pazienti un complessivo peggioramento delle capacità di memorizzazione. Un po' salomonicamente, il panel di esperti dei National Health Institute (che comprendeva anche psichiatri decisamente contrari all'Ect), ha concluso la sua conferenza sottolineando che servono ancora altri studi sui meccanismi di base del funzionamento dell'elettrochock, raccomandando che la scelta della terapia venga effettuata solo dopo "una complessa considerazione di vantaggi e svantaggi a confronto con altre terapie" e ricordando che "per prevenire errori ed abusi è essenziale stabilire adeguati standard procedurali e di controllo dell'Ect". Sembra insomma di poterne concludere che se gli abusi e gli errori del passato (sperando che appartengano solo al passato) non possono essere utilizzati come argomenti a sfavore della terapia, quando si troverà un'alternativa efficace all'elettrochock tireremo tutti quanti un bel respiro di sollievo. Pazienti, psichiatri e pubblica opinione.

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Stop elettroshock

Nonostante la mancanza di adeguati e rigorosi studi scientifici (in cinquant'anni ne sono stati effettuati sei), l'utilizzo dell'elettroshock è stato generalizzato e allargato alla quasi totalità dei disturbi psichiatrici: in particolare, viene generalmente utilizzato con pazienti gravemente depressi, quando altre forme di terapia, come gli psicofarmaci o la psicoterapia, non sono stati efficaci o non sono indicati, o si valuta che non possano essere di aiuto, come in casi di emergenza come ad esempio un elevato rischio di suicidio; pazienti che soffrono delle principali forme di mania (un disturbo dell'umore associato a comportamento iperattivo, irrazionale e distruttivo), alcune forme di schizofrenia, e qualche altro disturbo mentale e neurologico. L'elettroshock è usato anche nel trattamento dei disturbi mentali nei pazienti anziani, le cui condizioni di salute possono sconsigliare un trattamento farmacologico.

Proprio sulla riduzione del rischio di suicidio, esiste uno studio - spesso citato dai fautori dell'elettroshock - "Mortality in depressed patient with electroconvulsive therapy and antidepressants", di D. Avery e G. Winokur, pubblicato nel 1976; esso recita testualmente: "Nel presente studio, i trattamenti utilizzati non hanno dimostrato di avere alcuna efficacia nel diminuire i suicidi".

Nel 1986 è stata pubblicata una rassegna critica di cinque studi di Crow e Johnston, condotti tra il 1953 e il 1966 mettendo a confronto elettroshock vero con elettroshock simulato. I risultati furono i seguenti: solo una particolare patologia, la depressione delirante, mostrava un sostanziale miglioramento con la Tec vera rispetto a quella simulata; tale miglioramento non permaneva per un periodo superiore ad un mese, dopo di che i pazienti trattati e non trattati tornavano ad essere indistinguibili quanto a sintomatologia. In un trial del 1985, Gregory, Slawers e Gill confrontarono 69 pazienti depressi, giungendo alle stesse conclusioni.

Un dato molto importante da sottolineare è che i due terzi delle persone che subiscono l'elettroshock nel mondo sono donne.

Negli anni passati, l'elettroshock è stato utilizzato come "terapia" per omosessuali e alcolisti. Negli anni '50 e '60 il prof. Giorgio Coda, uno psichiatra di Collegno, somministra elettroshock lombopubici ai bambini enuretici - quelli che fanno pipì addosso durante la notte. L'operato del prof. Coda è stato ampiamente documentato nel libro "La fabbrica della follia" (Associazione per la lotta contro le malattie mentali, La fabbrica della follia, Torino, 1971, Einaudi): "la variante dell'elettromassaggio era utilizzata per i più svariati fini... sugli alcolisti, sui catatonici, perfino sui morti per vederne le reazioni... consisteva nell'applicare due elettrodi alle tempie del paziente e poi, anziché dare la corrente in misura da far perdere la coscienza, nell'agire alternativamente sul pulsante, procurando ripetute scariche con un effetto che doveva essere terribile...". Nel 1974 il prof. Coda viene processato con l'accusa di aver torturato i suoi pazienti con la macchina da elettroshock.

Segnalazioni sull'utilizzo dell'elettroshock come strumento di tortura risultano nei rapporti delle principali organizzazioni umanitarie mondiali; nel Kashmir è utilizzato per estorcere confessioni "spontanee" ai ribelli armati (vedasi "Informazioni ottenute con la tortura e il terrore", Gabriel Kash in "Avvenimenti" del 28 giugno 1995).

Nel Sud Africa della segregazione razziale, crescono e proliferano manicomi per neri, i centri Smith Mitchell, all'interno dei quali l'elettroshock è usato come mezzo punitivo e unica terapia psichiatrica, come risulterà dalle denunce del 1975 e dalla condanna da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (1977).

La recente circolare del Ministro della Sanità Rosy Bindi consiglia, su indicazione del Consiglio Superiore di Sanità, l'utilizzo dell'elettroshock nella cura delle seguenti patologie: depressione, mania, disturbo schizofreniforme, schizofrenia, catatonia, sindrome maligna da neurolettici, gravi disturbi mentali in corso di gravidanza, psicosi puerperale. La stessa circolare definisce la TEC come "presidio terapeutico di provata efficacia".

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Esistono persone decisamente innocue sottoposte a questo tipo di "cura" e a loro insaputa, e a insaputa dei loro parenti. Esistono persone sottoposte a questo trattamento ogni qualvolta devono compiere qualcosa di importante in cui è richiesta una certa lucidità mentale, un incontro di lavoro, un esame...ecc. ecc. Gli effetti immediati sono confusione mentale, difficoltà di espressione, apatia, mancanza di forza di volontà, memoria a "buchi". Se può andare bene come arma in mano alle forze dell'ordine per bloccare un malvivente, o un potenziale assassino, perché deve essere usata per colpire persone innocenti? Quanti danni materiali, morali e fisici può chiedere una persona che è stata sottoposta da un decennio a questo trattamento? I danni alla "corteccia" superficialmente quasi invisibili, tranne a volte un piccolo rossore e una sorta di mini "bernoccolo" dolente al tatto, ma non subito, compare diverse ore dopo la scossa. Alla lunga diviene come una sorta di "corona di spine"...!
Organizzazioni umanitarie, dove siete?
(MLA)

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