mercoledì 17 giugno 2009

Dossier Radio I parte

LA COMUNICAZIONE DELLA CHIESA

RADIO CATTOLICHE
E NUOVE TECNOLOGIE
PER LA MISSIONE

Prima parte

Introduzione

Il Magistero dei Papi e la comunicazione

Intervista a Sua Ecc. Mons. Claudio Maria Celli,
Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

Il Congresso Internazionale delle Radio cattoliche

Intervista al dott. Angelo Scelzo,
Sottosegretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

Intervista al prof. Don José Maria La Porte,
esperto di Fondamenti della Comunicazione Istituzionale della Chiesa
presso la Pontificia Università della Santa Croce








Questo dossier è disponibile anche sul sito dell’Agenzia Fides: www.fides.org
Introduzione

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - In un’epoca in cui le innovazioni tecnologiche occupano - e quasi invadono - una grossa fetta della comunicazione e della vita quotidiana, la radio può apparire un mezzo di comunicazione vecchio e in disuso. Nulla di più errato. Proprio la radio, infatti, in tempi recenti è riuscita ad avere una nuova vita e nuova linfa anche grazie all’utilizzo di internet. Un mezzo di comunicazione, quindi, ancora molto utilizzato nel nord, ma anche del sud del mondo, grazie al fatto di essere uno strumento fruibile semplicemente senza bisogno di troppe spese e troppi apparati tecnologici.
Un mass medium, la radio, fondamentale, perché veicola i suoi messaggi basandosi esclusivamente sull’utilizzo della parola, e sul suo potere evocativo ed educativo. Inoltre la radio si ascolta mentre si fanno altre cose, è fruibile anche da chi è ammalato o non particolarmente istruito, entra direttamente nelle case, negli uffici, nelle automobili. Uno strumento povero, ma dalle grandi potenzialità: solo in Italia si contano 38 milioni di radioascoltatori, su una popolazione di circa 55 milioni di persone.
La radio è solo uno dei tanti mezzi di comunicazione, privilegiato, insieme alla carta stampata, che la Chiesa utilizza per comunicare il Messaggio per eccellenza, quello cristiano. Come dimostra il tema del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali di questo anno 2009, "Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia", la Chiesa pone attenzione anche alle potenzialità comunicative delle nuove tecnologie, internet fra tutte. Il Messaggio più importante della storia è stato annunciato fin dai suoi albori attraverso la parola, Gesù stesso può definirsi un eccellente maestro di comunicazione. Per questo motivo l’ambito comunicativo deve essere un campo di interesse e di missione per il cristiano moderno, intelligente nell’utilizzare al meglio i mezzi (media) che la realtà offre.


Il Magistero dei Papi e la comunicazione

La comunicazione della Chiesa, in passato e soprattutto nel nostro secolo, con l’avvento della radio e della tv, è stata in gran parte affidata alle comunicazioni dei Pontefici: dalle Lettere, ai Messaggi, alle Encicliche, fino all’Angelus e ai numerosi messaggi in particolari occasioni. La Chiesa è sempre stata estremamente intelligente nel cogliere e nell’avvicinarsi ai mezzi di comunicazione, anche se spesso, come nel caso della tv prima, ed ora delle nuove tecnologie, deve apprenderne proprietà e problematiche. In ogni tempo, la Chiesa, ha saputo utilizzare tutto quel che poteva essere utile alla diffusione del messaggio cristiano: basti pensare al rapporto con la stampa, che rese possibile la diffusione della Bibbia, pur in un periodo non semplice dal punto di vista religioso.
Nel nostro secolo alcuni Pontefici hanno dato grande impulso alla comunicazione della Chiesa, apportando novità significative e durature. Già alla fine del secolo scorso, nel 1898, ci furono le prime immagini cinematografiche di un Papa, Leone XIII, ripreso mentre passeggiava nei giardini vaticani. Importante l’esempio di Papa Pio XI, che il 12 febbraio del 1931 inaugurò la Radio Vaticana, fondata da Guglielmo Marconi. Ancora oggi la Radio Vaticana è l’emittente radiofonica della Santa Sede; la radio ha compito di essere strumento di comunicazione ed evangelizzazione, attraverso la diffusione dei messaggi del Pontefice, le informazioni sulla Santa Sede e la vita della Chiesa Cattolica nel mondo, aiutando i fedeli nelle problematiche della situazione attuale, illuminandoli con gli Insegnamenti e col Magistero della Chiesa.
Il 2 aprile del 1964, con la Lettera Apostolica Motu Proprio “In fructibus multis”, Papa Paolo VI istituì la Pontificia Commissione per le Comunicazioni sociali. Il Santo Padre, in questo modo, dava seguito a quanto stava emergendo nel Concilio Vaticano II, e all’intuizione del suo predecessore, Giovanni XXIII, che nel 1959, col Motu Proprio “Boni Pastoris”, aveva dato un diverso assetto alla Commissione permanente, facendo diventare la Pontificia Commissione per la cinematografia, la radio e la televisione un ufficio stabile presso la Santa Sede. A questa Commissione, durante il Concilio, venne data anche la competenza relativa a tutti gli organi di comunicazione, compresa la stampa. Onorata di questi nuovi compiti, la commissione prese il nome di Pontificia Commissione per le Comunicazioni sociali e ancora oggi – il nome è ora Pontificio Consiglio - è l’organismo della Santa Sede a cui è affidato il compito di ‘sostenere adeguatamente l'azione della Chiesa e dei fedeli nelle molteplici forme della comunicazione seguendo i quotidiani cattolici, le pubblicazioni periodiche, le emittenti radiofoniche e televisive’.
Giovanni Paolo II è stato, certamente, un Papa estremamente comunicativo: in lui tutto è stato comunicazione, a partire dai suoi viaggi, passando per le Giornate Mondiali della Gioventù, fino ai momenti della sua malattia e della sua morte. Il Pontificato di Giovanni Paolo II si è sviluppato nel periodo di maggiore ampliamento dei mezzi di comunicazione, e il Papa ha ben compreso l’importanza dei media e la possibilità di farne un uso positivo: sotto il suo Pontificato, nel 1983, venne istituito il Centro Televisivo Vaticano (CTV), divenuto, poi, nel 1996, un organismo direttamente collegato alla Santa Sede, con lo scopo di documentare con le immagini il Ministero Petrino. Durante il Pontificato di Giovanni Paolo II, nel 1991, ha visto la luce anche il VIS (Vatican Information Service), un sistema, interno alla Sala Stampa della Santa Sede, che fornisce, dal lunedì al venerdì, per tutto l’anno, e in quattro lingue (italiano, spagnolo, inglese e francese) informazioni sulle attività del Papa e della Curia Romana.
Il Pontificato di Papa Benedetto XVI è ancora agli inizi, ma l’attenzione comunicativa è molto evidente; in particolare l’accordo con Youtube, grazie al quale le attività del Papa potranno essere seguite in quello che è noto come il “sito dei video”, fruito soprattutto da quella che lo stesso Papa ha definito la digital generation; si tratta di un canale dedicato, che contiene videonews sulle attività del Papa e sugli eventi vaticani, aggiornato quotidianamente e disponibile in italiano, inglese, tedesco e spagnolo. Inoltre, nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2009, Papa Benedetto XVI ha mostrato ulteriormente la sua sensibilità comunicativa, rivolgendosi in particolare ai giovani cattolici, “per esortarli a portare nel mondo digitale la testimonianza della loro fede”. Dice loro il Papa: “Nei primi tempi della Chiesa, gli Apostoli e i loro discepoli hanno portato la Buona Novella di Gesù nel mondo greco romano: come allora l’evangelizzazione, per essere fruttuosa, richiese l’attenta comprensione della cultura e dei costumi di quei popoli pagani nell’intento di toccarne le menti e i cuori, così ora l’annuncio di Cristo nel mondo delle nuove tecnologie suppone una loro approfondita conoscenza per un conseguente adeguato utilizzo. A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo ‘continente digitale’ “.


Intervista a Sua Ecc. Mons. Claudio Maria Celli,
Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

Da Youtube in poi, c’è un diverso approccio della Chiesa Cattolica verso le nuove tecnologie: quali sono i reali vantaggi che le nuove tecnologie possono portare alla diffusione del messaggio evangelico?
Credo che la Santa Sede, e in particolare il messaggio del Santo Padre, abbiano evidenziato la consapevolezza della positività delle nuove tecnologie. Tutti siamo coscienti anche dei limiti, delle ambiguità delle nuove tecnologie, ma ciò non toglie nulla alla valutazione di positività della Santa Sede. E questo implica il nesso “nuove tecnologie, nuove relazioni”: oggi nuovi strumenti permettono di superare barriere geografiche, offrono delle possibilità prima insospettate di conoscenza e relazione. Questo favorisce una visione del mondo che definirei ‘cristiana’, perché eliminando determinate barriere che pur esistono, veramente si percepisce che si appartiene ad una stessa famiglia. Le nuove tecnologie, quindi, offrono delle grandi possibilità: il problema è fare in modo che queste possibilità siano al servizio di valori umani e di contenuti umani. Per questo la seconda parte del messaggio del Papa esorta a promuovere una cultura del dialogo, del rispetto e dell’amicizia.
Le tecnologie, inoltre, hanno in sé degli aspetti tecnici, ma devono avere anche un’anima, data dai valori, innanzitutto quello del dialogo e del rispetto per l’altro. Il grande invito del Papa è di promuovere una nuova cultura e la Chiesa vede con interesse queste possibilità e cerca di favorirle il più possibile. Bisogna sottolineare che i mezzi di comunicazione forniscono un grande aiuto, ma non sostituiscono la comunità. I mezzi di comunicazione possono creare contatti, simpatia, un ascolto che può favorire un cammino di conoscenza. È la comunità, però, quella che aiuta a trovare i veri valori, la tecnologia va collegata ad una comunità che accoglie colui che vuole fare un certo tipo di cammino. I mezzi di comunicazione non possono sostituire una comunità viva ed operante. La vita cristiana non è un’ideologia che si apprende, ma uno stile di vita; ed è la comunità cristiana che aiuta a fare sì che quel messaggio possa essere esplicitato in una vita sempre più ricca.

Poco tempo fa Lei è stato in Costa d’Avorio: vecchie o nuove tecnologie per la missione? E come si elimina il digital divide e si facilita l’accessibilità ai mezzi di comunicazione?
L’incontro in Costa d’Avorio con i Vescovi – e i due incontri successivi con i Vescovi nigeriani - sono stati un’occasione per parlare anche di comunicazioni sociali e di nuove tecnologie. La Nigeria ha una popolazione di più di cento milioni di persone, e circa 4 milioni sono coloro che frequentano internet. Questo vuol dire che anche i giovani del mondo africano, soprattutto coloro che hanno una cultura superiore, si stanno aprendo alle nuove tecnologie; la nuova gioventù, in particolare coloro che accedono alle università, sono inseriti nelle problematiche dell’uso delle nuove tecnologie. E se da un lato non vanno abbandonati i vecchi mezzi di comunicazione, come ad esempio la carta stampata (basti pensare alle piccole pubblicazioni delle diocesi, che permettono alle comunità di avere una loro espressione e di rimanere in contatto coi Vescovi) o la radio – anche se in Africa, dove esistono circa duecento radio cattoliche, la situazione è problematica da questo punto di vista - si pone il problema dei nuovi mezzi.
I vecchi mezzi di comunicazione sono utili dove non c’è energia elettrica, dove esiste il digital divide, fenomeno per cui vasti settori dell’umanità sono tagliati fuori dall’accesso alle nuove tecnologie, e che è strettamente collegato allo sviluppo: la globalizzazione è tale anche per il grande contributo offerto dalle tecnologie dell’informazione; esserne fuori vuol dire esser tagliati fuori da possibilità di sviluppo sociale ed economico, per questo il Papa è molto attento a questo problema e lo ha riportato nel messaggio. Oggi vasti settori dell’umanità, soprattutto i giovani, sono tagliati fuori dall’accesso al computer, ad internet, ai telefoni cellulari. C’è un cammino che va aiutato, capito e supportato. Uno dei problemi che stiamo affrontando in questo momento è quello della ‘banca programmi’: spesso, infatti, i media hanno le equipe tecnologiche, ma non hanno la capacità di produrre programmi idonei.

Quando si parla di nuove tecnologie, è facile evocare il binomio relativo ai giovani: qual è il loro contributo alla Chiesa del Terzo Millennio?
Il Messaggio del Papa del 2009 per la prima volta è rivolto alla digital generation, anche perché la maggioranza di coloro che, per esempio, frequentano Youtube sono giovani che vanno dai 25 ai 35 anni. In occasione del lancio dell’accordo con Youtube un giornalista mi chiese se, in questo modo, il Papa non sminuiva troppo se stesso. La mia risposta fu semplice: innanzitutto il Figlio di Dio stesso si è abbassato, facendosi uomo in mezzo a noi, e questa è la Chiesa. In secondo luogo, il Papa desidera essere presente lì dove gli uomini si trovano, in questo areopago moderno; per questo i giovani possono dare davvero un contributo a questa realtà, un contributo che va accolto e compreso. La Chiesa non può ridurre la sua missione unicamente a questo, ma credo che debba utilizzare tutto ciò che la tecnologia mette a sua disposizione; la Chiesa, inoltre, sa di essere una comunità vivente e che qualsiasi messaggio, pur annunciato con le più differenti e moderne tecnologie, deve trovare accoglienza in una comunità viva e operante.

Come è possibile fare missione, attraverso la comunicazione, dove i mezzi di comunicazione non esistono?
In questi paesi, soprattutto le radio cattoliche portano contributi di duplice natura: il primo è la formazione per uno sviluppo integrale umano; la Chiesa nel suo messaggio di evangelizzazione ha come scopo anche quello di formare gli uomini; quindi è un messaggio che comprende anche una importante dimensione umana; l’altro contributo è l’annuncio del Vangelo. Il nostro scopo oggi è preparare persone che sappiano essere attente alle nuove tecnologie e che sappiano trasmettere, attraverso le nuove tecnologie, la verità del messaggio evangelico. I mezzi di comunicazione, come dice anche il Papa nel suo messaggio, non sono più solo degli strumenti, ma nelle comunicazioni moderne stanno creando una nuova cultura e l’interesse della Chiesa è essere presente in questa nuova cultura, interattiva e multimediatica. Il nostro problema è preparare persone che siano, all’interno di questa nuova cultura, strumenti di valori umani ed evangelici, e possano permeare, come lievito fecondo, questa nuova realtà umana in cui viviamo.

Nel giugno 2008 si è svolto il Congresso delle Radio Cattoliche: quali punti di riflessione e lavoro sono emersi in quell’occasione? Cosa rende la radio uno strumento così adatto alla missione?
Nel momento attuale c’è una riscoperta della radio, perché è più adattabile al cammino dell’uomo, è innegabile che si plasma meglio, dal punto di vista formale, al movimento della vita dell’uomo di oggi; è innegabile che la radio debba avere alcune funzioni, come ricordava il titolo del convegno incentrato su “Identità e missione”: da un lato c’è l’identità di una radio cattolica che deve essere annunciatrice del Vangelo, ma deve essere dialogante, non parlare solamente ai cattolici, ma ad ogni uomo, soprattutto nel momento attuale, in cui l’uomo sperimenta la solitudine ed è alla ricerca di una sua identità. La funzione della radio non deve essere solamente devozionale, che è pure una caratteristica positiva, ma anche avere capacità di dialogo con chi è lontano, con chi non condivide o non conosce il Vangelo. Per questo ogni radio cattolica ha una dimensione di missionarietà, deve essere una comunità che accoglie chi, attraverso la radio, scopre i valori cristiani e Cristo stesso; le radio cattoliche devono avere una dimensione dialogante, devono diventare dialogo di vita con le persone che accolgono, fino a condividere le gioie, i dolori, le lotte delle persone. Qui si pone il cammino per una radio cattolica oggi.

Nel giorno della festa di San Francesco di Sales, Patrono dei giornalisti, Lei ha auspicato che i giornalisti siano messaggeri di verità: quali caratteristiche deve avere un buon comunicatore? Come si arriva alla verità?
È eloquente il messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali dello scorso anno, dove il Papa parlava di mass media ad un bivio, tra protagonismo e verità, ricerca della verità. Credo che non solo i giornalisti, ma ogni uomo dovrebbe esprimere nella sua vita la forte ricerca della verità. E questa ricerca della verità deve essere condivisa con gli altri; questo vale per ogni uomo, e maggiormente per i giornalisti, per i quali è un servizio: i grandi giornalisti che hanno marcato i momenti della storia di ogni paese non hanno fatto pettegolezzo, ma hanno cercato la verità, qualunque essa fosse, ed hanno pagato di persona per quella verità. Bisogna scoprire, allora, cos’è la Verità: la ricerca dell’uomo non è una verità qualsiasi, c’è una solo Verità, la Verità sull’uomo, sul suo destino, sul suo significato, sulla vita di tutti i giorni. Questa ricerca appassionata per la Verità dovrebbe essere la caratteristica del vero giornalista; inoltre, la missione affascinante, coinvolgente e appassionante è condividere questa Verità con gli altri, nonostante ci siano vari settori della società che non amano sentire la verità.

Cosa si aspetta dopo la celebrazione della Giornata delle Comunicazioni Sociali ?
Le Giornate delle Comunicazioni Sociali vogliono attirare l’attenzione di quanti operano nel settore su determinati valori. Un primo risultato lo abbiamo già ottenuto: poiché il messaggio è rivolto principalmente ai giovani, abbiamo coinvolto i giovani nella diffusione del messaggio. Circa 100 mila giovani hanno trasmesso ai loro amici, via internet, il messaggio del Papa. Come dice il Signore Gesù, a noi spetta seminare, poi il crescere bisogna lasciarlo al buon Dio, e sarà Lui a verificare in che modo questo messaggio fermenta, trasforma, anima la presenza della Chiesa e degli uomini di buona volontà in questo settore.


Il Congresso Internazionale delle Radio cattoliche

Viste le sue caratteristiche – fruibilità, semplicità, uso della parola, facilità di reperimento dei mezzi necessari - la radio è uno strumento che è stato riscoperto anche per la missione cattolica. Il rapporto tra missione e radio cattoliche è stato oggetto di un Convegno, organizzato a giugno 2008 dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, dal titolo significativo: “L’identità e la missione delle radio cattoliche oggi. Dal pensiero sull’uomo ad una informazione a servizio della persona”. Il convegno, del quale sono stati protagonisti rappresentanti da più di 60 paesi dei cinque continenti, è stata l’occasione per riflettere sul ruolo della radio nelle zone di missione e per raccontare le esperienze significative già in atto. I partecipanti al Congresso sono stati ricevuti in udienza dal Santo Padre Benedetto XVI , che ha posto l’accento sull’importanza della parola, strumento fondamentale per l’uomo di esaudire uno dei connotati antropologici che lo contraddistingue, quello della comunicazione.
La capacità di relazione dell’uomo si basa “sulla ricchezza condivisa di una ragione creata ad immagine e somiglianza del Logos eterno di Dio, quel Logos per cui tutto liberamente e per amore è creato”. Un Logos non estraneo alla vita degli uomini, ma che, anzi, nell’amore da Lui rivelato e donato in Cristo, suscita in essi la possibilità e il desiderio di un rapporto nuovo con Lui e fra loro. Il tema della parola è stato centrale anche nel Sinodo dei Vescovi, lo scorso ottobre, imperniato effettivamente sul tema della Parola di Dio, sull’ascolto , la lettura e l’amore di cui il Verbo deve essere oggetto.
Il Congresso è stato pensato come una possibilità reale di contributo e di scambio tra le varie realtà presenti: per questo è stato organizzato in gruppi che, nel corso delle varie giornate, si sono confrontati sul ruolo delle radio nella comunicazione della parola, sulle potenzialità della radio a seconda del messaggio e del pubblico a cui si rivolge, sui temi che è più importante affrontare attraverso la radio, e sull’apporto delle nuove tecnologie nell’utilizzare la radio al massimo delle opportunità di cui è fatta. Importanti spunti di lavoro sono emersi da questo Congresso: come ha detto anche il Papa, incontrando i congressisti, la consapevolezza di un modo sempre nuovo che le radio cattoliche hanno di fare missione; la certezza che anche l’esperienza radiofonica nasce dall’incontro con Gesù, quindi ha come missione la diffusione del Vangelo, vissuta in un contesto specifico (a seconda dei luoghi, per esempio); la promozione umana, alla quale le radio devono sempre guardare, soprattutto nei luoghi più difficili, in cui persino fare la radio è una sfida che sembra impossibile; e, come ha ricordato mons. Celli, la consapevolezza di essere portatori del messaggio di un Altro, più grande di noi: non sono, quindi, le innovazioni tecnologiche o le capacità personali a fare della radio un importante veicolo per l’evangelizzazione, ma soprattutto la Grazia di Dio che si trasmette attraverso la Parola.


Intervista al dott. Angelo Scelzo,
Sottosegretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

È recente la creazione di un canale dedicato alle attività del Papa e del Vaticano su Youtube: come cambia la comunicazione della Chiesa con l’utilizzo di internet ?
Non si può dire che cambi la comunicazione della Chiesa; la Chiesa semplicemente utilizza tutte queste opportunità per diffondere il messaggio al meglio, ad una platea sempre più vasta e più articolata, soprattutto alla generazione digitale, ai giovani. Il messaggio specifico della Chiesa non cambia. L’accordo con Youtube, infatti, non prevede una produzione specifica delle attività del Papa, della Chiesa, della Curia; semplicemente Youtube prende per sé tutto ciò che già producono gli organi ufficiali della Chiesa. Non c’è, quindi, variazione nella modalità di comunicazione della Chiesa, ma la Chiesa tiene conto di questi nuovi strumenti, perché sa di avere un messaggio da offrire, e non si ferma di fronte alle nuove tecnologie, anzi, riconosce che queste hanno un ruolo fondamentale nella diffusione del messaggio. La Chiesa è di per sé comunicazione, ha un ruolo, che è quello di annunciare la Parola, quella notizia che duemila anni fa ha cambiato il mondo; lo ha fatto nei primi anni con la predicazione orale, ora lo fa con gli strumenti che le nuove tecnologie mettono a disposizione.

Quali sono i rischi e le opportunità che le nuove tecnologie possono portare alla diffusione del messaggio evangelico?
La Chiesa utilizza le nuove tecnologie, ma non solo dal punto di vista tecnico. L’utilizzazione di questi mezzi comporta alcune conseguenze e la Chiesa riflette sul modo migliore per utilizzare questi strumenti, che, come sottolinea bene il Messaggio del Papa, possono essere alla base di una nuova rete di relazioni, possono allargare l’area in cui il dialogo, i contatti, le nuove aggregazioni nascono. Nuove tecnologie, nuove relazioni, E l’obiettivo è che le nuove relazioni siano improntate al dialogo, alla tolleranza, all’amicizia, a tutti quei valori positivi che di per sé non offre la rete, ma possono derivare dalle nuove tecnologie. Questo non vuol dire mettere da parte i rischi, né accostarsi ingenuamente a queste nuove realtà; si fa una valutazione dei rischi, soprattutto dall’uso improprio della rete, ma il Papa sottolinea un altro rischio fondamentale: che queste nuove tecnologie possano allargare il divario tra paesi ricchi e paesi poveri, e il deficit di comunicazione dei paesi poveri. Questo è grave, perché in una società sviluppata come quella attuale, la mancanza di comunicazione è equiparata alla mancanza di un bene primario.
Un altro rischio deriva dal fatto di valutare le nuove tecnologie solo dal punto di vista tecnico e non solo da quello relazionale, che si possano, cioè, creare, comunità solo virtuali; non è importante esclusivamente la possibilità di entrare in collegamento, in contatto, ma occorre guardare anche alla qualità di questo contatto. L’obiettivo dell’avvicinamento alle nuove tecnologie non è quello di annullare il valore e l’importanza del contatto diretto, dell’incontro, delle comunità reali, poiché sono queste il senso ultimo della comunicazione. Le nuove tecnologie sono un’opportunità, che va curata, implementata, inserita in un progetto più ampio; questo è il compito di quanti lavorano nei media e hanno a cuore il bene comune.

Nel suo Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali 2009 il Santo Padre parla di “desiderio di connessione e istinto di comunicazione”: quali caratteristiche deve avere una buona comunicazione per favorire il dialogo, l’integrazione, il rispetto reciproco, la ricerca della verità?
Tutti gli esseri umani hanno bisogno di relazionarsi, oggi questa necessità passa anche attraverso le nuove tecnologie. L’uomo non è un’isola, non può stare da solo, l’istinto di comunicazione è nella sua natura. Occorre che questa comunicazione sia di qualità. Non basta essere ‘connessi’, ormai siamo tutti sempre connessi, ma questo non basta; se il problema fosse solo la connessione, noi saremmo sommersi dalle nuove tecnologie e dalle informazioni che veicolano da tutte le parti del mondo. Il punto della questione non è la connessione, ma dare un senso vero alla comunicazione e guardare ai mezzi di comunicazione come un’opportunità. Non potrà mai esistere un mezzo di comunicazione o un mezzo tecnologico senza apporto dell’uomo, senza l’intelligenza o i sentimenti che guidano la vita dell’uomo.

Tante iniziative mostrano che la Chiesa sta riflettendo sulle potenzialità delle nuove tecnologie e mostrando di essere attuale: un duro colpo per chi ritiene la Chiesa Cattolica un’istituzione vetusta e chiusa?
La Chiesa è di per sé comunicazione, è nata su un annuncio, su un fatto; un annuncio e un fatto che non hanno avuto difficoltà a propagarsi perché a quei tempi non c’era internet! La Chiesa è una specie di “internet concreto”, una connessione ramificata, fatta di articolazioni centrali e periferiche, è universale e vive in ogni territorio. Chi afferma che la Chiesa è un’istituzione vetusta non parte dalla natura stessa della Chiesa, nata su una parola - il Vangelo - e su un fatto – la nascita di Cristo -, che poi, in ogni tempo, la Chiesa non ha mai cessato di comunicare, poiché il suo dovere fondamentale è quello dell’annuncio e dell’evangelizzazione. La Chiesa non può rinunciare alle nuove tecnologie, strumenti che utilizza per portare la notizia dell’annuncio, che è la base su cui la Chiesa può impostare il suo lavoro.

Con l’avvento delle nuove tecnologie, i mass media classici dovranno ripensare al loro ruolo, alle modalità e ai contenuti?
Indubbiamente sì, i prodotti di giornali e tv rischiano di diventare vecchi in breve tempo. Internet e le nuove tecnologie rendono il ritmo delle notizie molto più veloce. I mezzi classici mantengono il primato dell’ approfondimento e dell’analisi grazie alle valutazioni degli specialisti, non congeniali ai new media, che puntano, invece, molto sulla velocità e sulla partecipazione di un pubblico più vasto (per esempio i blog). Anche i mezzi classici si rendono conto, però, dell’importanza della rete: ormai tutti i maggiori quotidiani hanno una versione online, per offrire al lettore un flusso di notizie veloce e continuo, un aggiornamento in progress di tutto ciò che avviene.

Se è vero che, in Italia, il sistema dei media è in declino, in che modo i cattolici che lavorano nei media possono testimoniare la loro fede senza scendere a compromessi e manipolare la realtà?
I cattolici nei media sono chiamati, certamente, a testimoniare la loro fede, ma soprattutto a svolgere con competenza il proprio lavoro. Il fatto di essere cattolici e di avere fede, non rende di per sé valido un giornalista, anzi in questo momento c’è bisogno di professionisti più preparati, in grado di fare bene il proprio mestiere, nei diversi ambiti in cui i media svolgono il loro lavoro. È una sfida sempre nuova, perché le nuove tecnologie impongono nuovi approfondimenti, ritmi di lavoro diversi, valutazioni diverse. Nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni sociali, il Santo Padre, dopo essersi rivolto ai giovani, si rivolge ai cattolici, che sono invitati ad essere dentro le problematiche della comunicazione, non solo con la testimonianza della loro fede, ma soprattutto con valori professionali alti.

La radio ha ancora la forza di essere strumento per la missione? E in quali luoghi questo mezzo è più utilizzato dalle comunità cristiane?
La radio oggi è molto diversa dal passato, è entrata pienamente nel mondo dei new media, ma resta un mezzo di comunicazione validissimo: innanzitutto, in molte zone, basti pensare all’Africa, la radio è l’unico mezzo di comunicazione, usato non solo per una comunicazione dottrinale, ma anche come mezzo di comunicazioni di servizio, di avviso, di allarme, di comunicazione sociale. È un mezzo che è la voce di alcune comunità che non hanno altri mezzi per comunicare. La radio, poi, è la colonna sonora della vita quotidiana, di quanti restano a casa o svolgono altre attività mentre l’ascoltano; rispetto alla tv, necessita di minore concentrazione e applicazione per essere ascoltata. È il medium che tiene più compagnia, ha una funzione sociale più umanizzante degli altri. Per le missioni è fondamentale, è la voce delle comunità che si cercano, e permette a molti gruppi di entrare in contatto, scambiarsi notizie, opinioni e commenti. Nei paesi di missione ha un ruolo importantissimo: basti pensare che in Africa c’è il maggior sviluppo di radio diocesane, unico modo di contatto tra le varie comunità.

La multimedialità può offrire un servizio valido alla comunicazione della Chiesa e, quindi, ai fedeli ?
Certamente, poiché la multimedialità è lo sviluppo di tante occasioni e opportunità che la Chiesa ha per raggiungere i fedeli dove vivono; consente di avere più strade a disposizione per raggiungere le comunità con diverse modalità, e pone anche alla Chiesa il problema di graduare il messaggio: non è, infatti, uguale parlare per radio o tramite internet o attraverso la stampa. C’è anche in questo caso la necessità di attenzione da parte della Chiesa al fatto che i mezzi sono essi stessi un messaggio, una parte fondamentale del messaggio. La Chiesa si rivolge ai fedeli, ma non solo, si rivolge alla comunità: la multimedialità consente una gradazione di temi e di toni.


Intervista al prof. Don José Maria La Porte,
esperto di Fondamenti della Comunicazione Istituzionale della Chiesa
presso la Pontificia Università della Santa Croce

Come affrontare dal punto di vista ecclesiale la comunicazione?
Per certi versi la Chiesa sta comunicando da duemila anni, non è una novità. Ha comunicato, con la predicazione, coi Padri della Chiesa, coi Santi che hanno scritto, con le biografie, ha comunicato attraverso l’arte.

E adesso, quali sono i tratti distintivi della comunicazione istituzionale della Chiesa?
Occorre vedere ora, nel XXI° secolo come riuscire a comunicare meglio sfruttando i mezzi che abbiamo a disposizione. Comunicare istituzionalmente la Chiesa vuol dire approfondire gli elementi essenziali della propria identità e cercare di farli diventare cultura; visto che nel XXI° secolo la cultura è mediatica, occorre comunicare la fede istituzionalmente e mediaticamente, non solo usare i mezzi per proclamare il Vangelo, certamente, ma anche creare una cultura. In questo senso è interessante il “Progetto culturale” della Conferenza Episcopale Italiana.
E come?
La Chiesa comunica come soggetto di comunicazione quando realizza la comunicazione attraverso canali propri e ufficiali, e come oggetto di comunicazione, quando diventa tema della comunicazione, come nel caso di giornali o radio o tv o pagine web, che non hanno a che vedere con la Chiesa, ma che parlano di essa, di aspetti collegati alla sua missione. In questo senso se la Chiesa riesce a creare una strategia adeguata, riuscirà a presentare la fede in modo adeguato anche in contesti apparentemente indifferenti. In tutti e due i casi, come oggetto e soggetto, la Chiesa ha grandissime possibilità di comunicare la fede in maniera adeguata.

In che modo la Chiesa Cattolica, attraverso i suoi rappresentanti, comunica oggi il messaggio di cui è depositaria?
La Chiesa interviene nel dibattito pubblico, in un modo ufficiale, attraverso i suoi rappresentanti. Questa comunicazione ufficiale ha un ruolo, come contrappunto morale nel dibattito pubblico. Ma esiste anche una comunicazione non ufficiale, ugualmente importante, in linea con il Concilio Vaticano II, che realizzano i fedeli laici, sia perché intervengono nei media, sia come destinatari dell’informazione.

Qual è il ruolo dei laici?
Attraverso il lavoro professionale nei media possono realizzare un giornalismo aperto verso la verità e riuscire a proporre la fede in modo attraente. Hanno anche un ruolo essenziale come destinatari della comunicazione dei media perché saranno critici con le notizie che non abbiano accuratezza, quando si parla di fede.

Che valore ha (ed ha avuto) il linguaggio utilizzato e come varia a seconda dei momenti diversi che la società e la cultura attraversano e a seconda dei luoghi in cui la Chiesa opera?
Il linguaggio è chiave e lo è stato sempre nella storia della Chiesa. Tra le sfide istituzionali ma è anche un punto positivo, c’è il fatto di avere un ‘deposito’ che non può cambiare, un deposito che è dinamico e statico allo stesso tempo, dinamico perché serve da fonte d’ispirazione e statico perché diventa un punto fermo, come un indicatore, un segnale nella strada della storia .

Per esempio?
San Paolo, le cui lettere sono state decisive nel genere letterario epistolare, tanti movimenti artistici che si sono generati come frutto della fede della gente nei secoli, la stessa Cappella Sistina, hanno alla radice una fonte d’ispirazione che è il messaggio rivelato, una linfa che alimenta le possibilità espressive e artistiche degli uomini e le porta ad un livello superiore.

E’ così anche nel XXI secolo?
La particolarità del XXI secolo è che la Chiesa deve riuscire a trasmettere questo suo deposito in un contesto mediatico, senza avere paura, come non l’ha avuta prima. Attualmente la società è molto secolarizzata e ci sono problemi complessi, ma anche quando la Chiesa ha iniziato ad usare la stampa, per esempio, c’erano le guerre di religione, problemi sociali e tutto un continente appena scoperto, e comunque, anche in quel difficile contesto la stampa è servita per diffondere la Bibbia.

Come si collegano il linguaggio dei media e il linguaggio della fede?
La fede è capace di vivificare ogni realtà umana, anche i mezzi che si sono sviluppati negli ultimi decenni. Il linguaggio è chiave e ogni mezzo che viene creato e sviluppato ha un linguaggio proprio. A sua volta, la fede ha una dinamica e natura particolare, deve vivificare quel linguaggio e portarlo oltre; non si tratta soltanto di un mutuo adattamento, ma la fede diventa vero motore di sviluppo dei linguaggi comunicativi. C’è un linguaggio dei media che va vissuto, che va collegato con il linguaggio umano e col linguaggio della fede, vanno messi in rapporto, perché tutti e tre sono fonti creative. Il risultato di questa interazione è molto di più che la semplice somma di tutti e tre.


La comunicazione del messaggio cristiano, però, non è solo istituzionale…
Quando la Chiesa comunica istituzionalmente deve trovare dei modi di illustrare quella comunicazione, trovare esempi e testimonianze in cui quel messaggio viene incarnato nelle persone. Per comunicare la fedeltà matrimoniale non basta un comunicato, forse è più utile l’esperienza di una coppia che ha festeggiato 50 anni di matrimonio! In questo modo, si parla di amore e anche di fede.

Quanto influisce l’esperienza vissuta dei numerosi testimoni della fede ?
Quando il cristiano lavora nei media o è spettatore dei media, deve sapere mostrare con autenticità la propria fede e non avere paura. Bisogna trovare, anche come strategia di comunicazione istituzionale, la fede incarnata nelle persone, cioè far vedere, toccare, come la Grazia di Dio agisce nelle persone concrete, perché rimanda alla Chiesa e a Dio. L’esperienza, per esempio dei volontari o dei missionari, esprime non solo la solidarietà e il desiderio di fare bene il loro lavoro lì dove sono ma lascia intravedere un’altra prospettiva, la fede in Dio, vera motivazione per dedicare la vita agli altri. La sfida è trovare esempi di queste persone che attraverso il loro atteggiamento e modo di fare ti fanno intravedere il mistero di Dio, ti cambiano e ti aiutano. Occorre trovare esempi soprattutto di giovani che lavorano ed operano nel concreto.

Da molte parti viene spesso fuori la critica alla Chiesa Cattolica di essere poco moderna e addirittura oscurantista, troppo conservatrice: i metodi comunicativi della Chiesa sono attuali e adatti alle esigenze dell’uomo del Terzo Millennio?
Il tema religioso, anche per i media, non ha diminuito il suo interesse. In fondo è un pregiudizio pensare che la Chiesa sia oscurantista, pregiudizio basato sulla logica minoranza/maggioranza. Secondo me, in questo momento, i veri progressisti sono i cristiani, perché non hanno paura di cambiare cose che alcuni considerano inamovibili; se c’è qualcuno che è progressista e che si fida della ragione è proprio il cristiano che vive la fede della Chiesa, come mostra il Discorso di Ratisbona, in cui Benedetto XVI non ha avuto paura di parlare di fede e di ragione. È oscurantista chi non vuole mettere in campo la ragione, dialogare, affrontare i problemi veri.

Ma lei pensa che queste idee vengono comunicate?
C’è una strada da fare. Questo è, certamente, per la Chiesa un momento appassionante per comunicare. La fede non è vista bene da parte di un settore della società che spesso non è aperto alle domande essenziali dell’uomo, un settore che alimenta gruppi di pressione molte volte minoritari, mentre le persone reali vedono di buon occhio la fede; un esempio è la morte di Giovanni Paolo II. Come dice un consultore del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, c’è differenza tra l’opinione pubblica e quella pubblicata, cioè alle volte quel che viene pubblicato non rispecchia del tutto l’opinione della gente comune.

I metodi comunicativi della Chiesa sono attuali e adatti alle esigenze dell’uomo del Terzo Millennio?
Credo che i mezzi di comunicazione ufficiali della Chiesa, seppure si sono sviluppati molto, ancora hanno strada da fare, mentre l’iniziativa dei cattolici singoli è davvero all’avanguardia. In internet, per esempio, ci sono molte cose, anche piccole, parte della vita stessa, notizie, blog, forum sulla Chiesa e sul Papa, un movimento da basso che sta andando più avanti dal punto di vista della comunicazione.

In che direzione la Chiesa può migliorare e sviluppare le sue capacità mediatiche?
Innanzitutto, con la formazione delle persone che lavorano negli uffici che fanno comunicazione istituzionale, con la sensibilità comunicativa e con l’amore per la professione giornalistica; poi formando i laici che lavorano negli ambiti comunicativi, dandoli supporto per vivere con integrità la fede. Infine, aiutando la formazione di un criterio morale di tutti quanti usufruiscono dei media. La sfida è aiutare i cristiani ad esprimere la fede in mille modi possibili.

La necessità di utilizzare i mass media e le nuove tecnologie rischia di indebolire la forza del messaggio cristiano?
Mai come ora il messaggio della fede è riuscito ad arrivare in ogni posto, la Chiesa riesce ad arrivare molto più lontano di prima. Comunque, i mass media non sono i mezzi assoluti, internet non potrà sostituire la diffusione personale della fede, perché sempre la fede avrà bisogno del rapporto umano, della testimonianza, di una catechesi, di un percorso, di una comunità dei credenti.

Come si comporta, allora, un buon medium cattolico?
Il medium per eccellenza è quello che si pensa e si concepisce come complemento e servizio; un sito internet cattolico può aiutare le persone ad avvicinarsi alla fede, alla preghiera, è un mezzo straordinario, molto utile, grazie al quale molte persone sanno del Papa, dei cattolici di altri posti del mondo, cosa che fino a poco fa era impossibile. Il problema può nascere se si fa di internet un sostituto dei mezzi usati in precedenza, se viene cancellata la dimensione interpersonale dell’ annuncio, della direzione spirituale, della formazione. L’importante è che un mezzo di comunicazione non voglia sostituire gli altri canali attraverso cui si sviluppa la fede, ma ne sia complemento e servizio. La potenzialità è, comunque, straordinaria, anche dal punto di vista della creazione di una cultura cattolica.

Da dove deriva una certa ‘diffidenza’ della Chiesa nei confronti della tv?
I mezzi non sono in sé né negativi, né positivi, dipende dal messaggio che veicolano. In una società secolarizzata, la tv assume un ruolo negativo, se i programmi non sono di qualità e se le persone passano troppe ore al giorno di fronte alla tv; inoltre, molte volte il modo in cui i media, e soprattutto la tv, guardano le questioni della Chiesa è superficiale; spesso le trasmissioni tv vogliono un rappresentante della Chiesa per il dibattito, non per l’interesse a cercare la verità sugli argomenti trattati.

E questo suppone una barriera?
Ci si trova in difficoltà di fronte a un mezzo che spettacolarizza, che semplifica, che drammatizza, che ha bisogno di sintetizzare in un minuto duemila anni di storia. La barriera non è con il mezzo, ma con la cultura della superficialità e del doppio linguaggio di alcuni che intervengono nei media; per loro frequentemente le religioni e la fede rappresentano una difficoltà, ma non è un problema del mezzo. Il vero problema è culturale ed ideologico; inoltre, si sono formati dei cliches comunicativi che non sono veri.

Il mezzo radiofonico possiede ancora la forza comunicativa e missionaria di cui la Chiesa necessita?
Sì, perché ogni mezzo ha un proprio pubblico, e soprattutto in alcuni luoghi di Asia, Africa e America Latina, la radio continua ad essere l’unico mezzo per ragioni collegate alla geografia e alla propria storia.

E quando arriverà il satellite?
Credo che la radio continuerà ad avere il suo pubblico, anche se in quei luoghi arriverà la tv, poiché ha un’enorme immediatezza, è un mezzo caldo, favorisce l’intimità del messaggio, ci si concentra sulle parole e non sulle immagini, è un veicolo straordinario. Il problema è quando si funzionalizza troppo la radio e non si è creativi, quando si pensa che il mezzo in se è tutto. Invece no, la radio è come un’orchestra, tu devi riuscire a tirar fuori il meglio di quel mezzo, e se sei creativo, riuscirai anche ad avere un’alta audience.

Soltanto con programmi religiosi?
Fare radio cristiana non vuol dire solo fare radio confessionale, essere giornalisti cristiani non vuol dire parlare solo di fede, ma dire la verità e fare un lavoro da professionisti. Alcune radio cattoliche sono punto di riferimento informativo in Europa, Africa e America Latina. La radio ha davvero una potenzialità ancora oggi straordinaria, anche se spesso sottovalutata.

In particolare nel secolo scorso ed in quello attuale, il rapporto tra comunicazione e Pontificato è stato strettissimo: quali a suo avviso i passi più innovativi che i Pontefici hanno compiuto in ambito comunicativo?
Mi vengono in mente le prime immagini cinematografiche del Papa che passeggia nei giardini vaticani nel 1898 (Leone XIII) o la creazione di Radio Vaticana (Pio XI) o il fatto che Paolo VI fosse il figlio di un direttore di giornale, ma anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno avuto una grande influenza nei media.

In che senso?
Sono andati oltre il rappresentare il Magistero della Chiesa nei media. Giovanni Paolo II ha posto la Chiesa come tema di interesse in ambito pubblico, ha eliminato un po’ i pregiudizi sulla fede che esistono tra alcuni professionisti dell’informazione; ha viaggiato molto, è andato fuori, ha dialogato con i giornalisti, in certo senso, lui stesso era il messaggio, come testimone, e sotto il suo Pontificato la comunicazione è stata molto potenziata.

E Benedetto XVI?
Si tratta di due Pontefici diversi, ma molto mediatici. Benedetto XVI è collegato non al mezzo come mezzo, ma ai suoi contenuti, alla capacità di entrare nel dibattito pubblico su argomenti specifici. Come diceva di recente un vaticanista, la cosa che sorprende positivamente è che insieme alla capacità di intervenire in questioni morali pubbliche allo stesso tempo, nel suo magistero ordinario mette sempre la liturgia al centro, per così dire, non segue “l’agenda dei media”, ma la logica del messaggio proposto attraverso la liturgia. E allo stesso tempo non ha paura di affrontare alcun tema quando è necessario, anche se può sembrare impopolare perché va sempre all’essenziale.

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Dossier a cura di P.C. - Agenzia Fides 30/05/2009; Direttore Luca de Mata

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