giovedì 18 febbraio 2010

Haiti com'era

Speranze e problemi che gli haitiani affrontano non soltanto a causa delle terribili catastrofi naturali, ma anche nei confronti di tutti coloro che per anni hanno “dimenticato” che questa terra è stata una delle prime a dare indipendenza a chi fino ad allora aveva solo conosciuto la schiavitù.

LA PERLA SPEZZATA DELLE ANTILLE

Superficie: 27.750 Kmq
Popolazione (dato del 2008): 8.924.553 di ab.
Capitale: Port-au-Prince
Moneta: Gourde haitiano
Forma di governo: repubblica presidenziale
Lingua: francese (ufficiale), ma la maggioranza della popolazione parla il creolo, lingua locale con elementi africani, spagnoli, inglesi.
Religione: cattolicesimo, protestantesimo e vudù (un misto di cristianesimo e credenze africane)


UN PO’ DI STORIA

Quando Cristoforo Colombo vide quest’isola verde, in mezzo al mare blu dei Carabi, affascinato dalla sua bellezza, la chiamò la “perla delle Antille” per il suo ottimo clima e la natura lussureggiante.
Ora l’isola è tagliata in due: metà è rimasta una perla: la Repubblica Dominicana, ricca e ricercata dai turisti. Metà è diventata un sasso: Haiti, un’isola senza qualità, la più povera del mondo.
Al suo sbarco Colombo scoprì che l’isola era abitata da indigeni, ma in pochi anni questi furono sterminati dai conquistadores. Allora i colonizzatori bianchi cominciarono una massiccia importazione di schiavi africani per farli lavorare nei campi e nelle miniere: i battelli arrivavano carichi di uomini catturati sulle coste dell’Africa occidentale e ripartivano carichi di tabacco, canna da zucchero e legni pregiati per i commerci.
Un giorno gli schiavi si ribellarono contro i bianchi, spezzarono le loro catene e proclamarono l’indipendenza: il 1° gennaio 1804 Haiti divenne la prima repubblica nera!
Ma quella terra era troppo impoverita: i coloni l’avevano saccheggiata del suo oro, abbattuto intere foreste per costruire navi, l’economia era a terra.
Così ricadde nelle mani di famiglie di dittatori che hanno governato con avidità e prodotto solo miseria.


DOLOROSAMENTE BELLA

Di fronte allo stretto cordone di terre che collegano il Nord e il Sud America, sotto il Tropico del Cancro, si sbriciola, in una collana di isole grandi e piccole, l’arcipelago delle Antille.
La parte orientale dell’isola di Hispaniola è occupata dalla Repubblica Dominicana; la parte occidentale, a poche miglia da Cuba, è Haiti, uno dei 20 Paesi più poveri del mondo
Gli indigeni la chiamavano Ayti, cioè Terre alte, per la natura montuosa del territorio ricoperto da boschi e dalle coltivazioni di caffè, cotone, canna da zucchero. Una tavolozza di colori: dalle splendide sfumature rosse dei fiori dell’Hibiscus e delle corolle bianche del frangipane fino alle variopinte piume dei pappagalli e degli uccelli del paradiso…
Intere foreste sono state abbattute per la vendita del legname oppure bruciate dai contadini alla ricerca di un fazzoletto di terra da coltivare. Il suolo, impoverito e desertico, si trasforma in un mare di fango dopo i frequenti uragani che provocano morte e distruzione.
Ma la povertà attuale di Haiti dipende da un’altra ragione: la terra, con la complicità dello Stato. È in mano a poche grandi famiglie haitiane che difendono tenacemente il loro secolare dominio, mentre centinaia di contadini in cerca di fortuna si riversano alle periferie delle città che scoppiano di disoccupazione e di miseria.


L’ISOLA CHE AFFONDA: VILLE MILIARDARIE E BARACCOPOLI

A Santo Domingo (l’altra metà dell’isola) splendide ville circondate da giardini lussureggianti, piscine , campi da golf. Tra i viali di palme, lussuosi hotels e ristoranti pieni di luci e di bandiere di tutte le nazioni del mondo. I dollari qui non mancano.
Ad Haiti invece oltre il 70% della popolazione vive in condizioni di povertà assoluta, ammassata nelle bidonville in condizioni igieniche estremamente precarie: senza acqua potabile ed energia elettrica, con un sistema fognario praticamente inesistente. Qui i bambini pagano il prezzo più alto del sottosviluppo economico, sociale ed umano: per malnutrizione, mancanza di igiene, assenza di vaccinazioni rimangono vittime di malattie ed epidemie.


ZUCCHERO AMARO

La miseria costringe molti Haitiani a lasciare il Paese: i più fortunati riescono a fuggire negli Stati Uniti e in Canada, altri varcano il vicino confine della Repubblica Dominicana per lavorare come tagliatori nelle piantagioni di canna da zucchero. Vengono subito privati dei documenti e si riducono in condizione di semi-schiavitù. Intere famiglie vivono nei batey, villaggi chiusi dove il tempo si è fermato a due secoli fa: baracche con tetti di lamiera, con una porta e una finestra, pagliericci come letto, niente acqua e luce.
Durante la stagione della raccolta della canna da zucchero, da dicembre a giugno, i braccianti si buttano con il loro machete tra le canne alte tre metri dall’alba al tramonto: la loro paga è 40-60 pesos (2 – 4 euro) al giorno!
Questi soldi non sono sufficienti neppure per il cibo e spesso vengono pagati con i tickets da spendere nello spaccio della stessa compagnia. Il batey si trasforma così in una prigione senza scampo.


CENERENTOLE DI HAITI: RESTAVEK

Restavek = resta con, in creolo è il nome dei bambini che dalle campagne vengono mandati a servizio nelle città. Sono 130.000, prevalentemente bambine tra i sei e i quindici anni. Sono le domestiche dei poveri e dividono la miseria delle famiglie che le ospitano: un pasto al giorno, fatto di avanzi.
Crescono senza identità e senza rispetto. I tre quarti di loro non sanno né leggere né scrivere, non hanno assistenza medica, soffrono di malattie legate alla malnutrizione. Sono molto spesso maltrattati e picchiati, due volte vittime: vittime della povertà della famiglia che le ospita e vittime della povertà della famiglia originaria. Con la speranza di migliorare la loro vita i contadini mandano i loro figli in città, ma come recita un proverbio haitiano: “Cercano rifugio dalla pioggia e finiscono nel fiume”…


TERRA D’AMORE E DI SPERANZA

Haiti ha lottato tanto nel corso dei secoli per la libertà e per il diritto della dignità umana, lotta ancora contro la miseria e la fame.
Malgrado tutto conserva tenacemente la speranza, il piacere di vivere e di esprimere con l’arte la propria cultura. Lo dimostrano i tap-tap, autobus ricoperti di dipinti naif e di scritte significative: ‘Se Dio vuole’, ‘Cristo è la risposta’, ‘Vergine del miracolo’. Sempre stracarichi e cigolanti sono come delle gallerie di pittura ambulante, nei quali ogni autista riversa tutto il suo cuore e la creatività. Il temperamento degli haitiani è festoso e sa trovare nel proprio spirito interiore una forma di sopravvivenza a dispetto di tutto.
Educazione e sanità sono completamente dimenticati dallo Stato. Ed è la Chiesa cattolica che si impegna attivamente a far da supplente a queste necessità, istituendo scuole e orfanotrofi. I missionari arrivano nei luoghi più inaccessibili del Paese e condividono con i più poveri i problemi quotidiani, pratici e morali.


LA PITTURA HAITIANA

Per la gente di Haiti la pittura è il respiro della vita quotidiana. Tutti sanno pitturare ed esprimere con i colori i sentimenti di giustizia, di amore, di solidarietà che portano nel cuore.

Tra i pittori haitiani più importanti va ricordato Jacques Chery che sa esprimere con incredibile forza dei colori e delle forme le aspirazioni del suo popolo.

Tutto questo era Haiti prima del Terremoto. Preghiamo ed impegnamoci perchè possa ritornare ad essere la Terra d’Amore e di speranza delle Antille.


Dossier scitto da Marida Catagna ed apparso sul Ponte d’Oro di qualche anno fa, tratto da POIM N. 2 - 15/21 GENNAIO 2010.

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