giovedì 2 dicembre 2010

Appunti di Bioetica: sorella morte

Per EUTANASIA, che significa “morte dolce”, si intende un’azione o un’omissione (quando si sospende ad esempio il nutrimento) che di natura sua o nelle sue intenzioni procura la morte ad un malato allo scopo di eliminare dolore. Si distingue tra eutanasia attiva (azione) e eutanasia passiva (omissione).
Storicamente: praticata molto nell’ultima guerra mondiale per invalidi, malati mentali, feriti di guerra, omosessuali, finivano nelle camere a gas. Costituiva un problema vivo già nell’antichità classica e nella Roma imperiale: Platone l’accettava nel IX libro delle Leggi in momenti di particolare difficoltà o per evitare miseria e ignominia; Petronio si svenò durante un banchetto in mezzo agli amici per evitare le noie della vecchiaia. Valerio Massimo racconta che a Marsiglia si custodiva un veleno di stato con il quale era permesso uccidersi, Menandro e Strabone raccontano che gli abitanti dell’isola di Ceos si avvelenavano a 60 anni per sfuggire i malanni della vecchiaia e per non togliere ai giovani i mezzi per la vita, l’imperatore Diocleziano gravemente malato si avvelenò. Con la diffusione del cristianesimo e dei suoi valori non se ne parlò più molto. Con l’epoca dei lumi si è riproposta la questione.
Si ripropongono inevitabili questioni etiche: chi è il proprietario della vita umana? Se è Dio allora la vita umana è intoccabile, l’uomo non è proprietario di se stesso per due motivi: perché è stato messo al mondo, non è venuto per propria iniziativa, la vita gli è stata donata, poi perché non è padrone della propria esistenza, la vita gli può essere tolta in qualsiasi momento anche contro la sua volontà.
Esiste il diritto di morire? Non esiste per due motivi, primo si può avere diritto solo su un bene che ci appartiene, ma la morte non è un bene, ma la privazione di un bene, è un male, così come non si può reclamare il diritto ad avere un cancro, non si ha il diritto di reclamare il diritto di morire; secondo, per godere di un diritto è necessario che quel bene ci appartenga, ma nessuno è proprietario della propria vita. La vita è un dono e va vissuta nella logica del dono, anche la vecchiaia e la morte.
Conseguenze: ogni forma di eutanasia costituisce una violazione ed una usurpazione del valore supremo del creato. La volontà del paziente di morire deve essere esaudita? Eventuali richieste di morte sono quasi sempre richieste di attenzioni e vicinanza umana, cose che sovente vengono a mancare negli ospedali di oggi. L’ammalato che si sente circondato da presenze amorevoli non cade nell’angoscia come chi si sente abbandonato. L’eutanasia potrebbe essere allora una falsa pietà, una perversione della vera compassione tanto più perversa in quanto viene da coloro che invece dovrebbero assistere con pazienza e da quanti come i medici dovrebbero assistere e curare anche nelle situazioni più penose. Si può raggiungere il colmo dell’arbitrio e dell’ingiustizia quando poi, medici o legislatori si arrogano il potere di decidere chi debba vivere e chi morire.
Riguardo poi alle cure per i malati terminali: il paziente che si trova nella fase agonica grazie alle moderne terapie può essere mantenuto in vita a lungo, ma questa possibilità può generare un atteggiamento di accanimento terapeutico. Alla base di questo c’è la non accettazione dell’evento naturale della morte per cui ci si accanisce mentre il malato dovrebbe essere lasciato morire in pace. È doveroso l’uso dei mezzi ordinari mentre non si è tenuti a ricorrere a mezzi straordinari. I principi sono i seguenti: è lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi quando i risultati deludono le speranze; è lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire. Nell’imminenza di una morte inevitabile è lecito rinunciare ai trattamenti che prolungherebbero la vita così brevemente da essere un nulla. Non si può inoltre imporre di ricorrere a cure pericolose o onerose, o sproporzionate rispetto ai risultati che si potrebbero sperare. Riguardo invece al coma irreversibile, non sono malati terminali, potrebbero sopravvivere per anni: nutrizione, ventilazione, idratazione sono cure ordinarie e poco onerose che non possono essere omesse. Un paziente in stato vegetativo permanente è sempre una persona. Altro caso è se se è già in atto la morte cerebrale.

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