mercoledì 27 febbraio 2008


Quadri senza titolo (1°parte)

(Gli scritti di Le Corbusier)


Le Corbusier si considerò sempre più un pittore che un architetto ed aveva due separati studi, in uno lavorava come pittore e nell'altro come architetto. Ancora oggi continua ad essere conosciuto più come architetto che come pittore. Ma c'è un indizio interessante nel suo lavoro pittorico che in un certo senso riunisce le due attività: non dava quasi mai un titolo alle sue opere. La reazione istintiva del visitatore che apprende questo particolare è di rifare il giro delle sale per riguardarsi le opere che altri e non lui (tranne qualche eccezione) hanno titolato e quindi inevitabilmente in un certo senso interpretato, e provare a dargli un'altra titolazione.
Nel 1930 Le Corbusier pubblica un libro, una sorta di taccuino di appunti dal titolo “Precisazioni sulla stato attuale dell'architettura e dell'urbanistica con un prologo americano, un corollario brasiliano seguiti da una temperatura parigina e da un atmosfera moscovita” (in italiano pubblicato in Biblioteca di Cultura Moderna Laterza). Contiene diversi buoni elementi per poter conoscere meglio l'estetica di questo eclettico autore e anche le atmosfere di quegli anni che ispirarono le sue creazioni.
Nel 1960 il testo viene ristampato e lo stesso Le Corbusier scrive nella prefazione:
“Il nostro problema è il seguente: gli uomini abitano la terra. Perché? In che modo? Altri vi risponderanno. Il mio dovere individuale, la mia ricerca è di mettere questo uomo d'oggi al riparo del male, al riparo della catastrofe; di metterlo in condizione di benessere, nella gioia quotidiana, nell'armonia. Si tratterà in particolare di ristabilire o di stabilire l'armonia tra l'uomo e il suo ambiente (...) Una civilizzazione meccanica si è insediata sornionamente, clandestinamente a nostro dispetto, senza che lo capissimo chiaramente. Essa ci ha precipitati e ci mantiene nel discutibile modo di vita odierno. Sintomi di squilibrio appaiono nella salute degli individui, nelle trasformazioni economiche, sociali, religiose. Una civilizzazione macchinista è cominciata. Alcuni non la comprendono, altri la subiscono. Ma 'dove sono le nevi dell'altro anno'? (Citazione da una ballata del poeta F. Villon)
Oro e argento circolano nelle nostra attività e raddoppiano gli onori, gli orgogli, le vanità. La terra è rotonda e ormai troppo piccola. L'era atomica capovolge le strategie. Gli aerei trasportano gli uomini da più di vent'anni. Con la borsa di cuoio in mano essi salgono sull'aereo; in dieci o venti ore si trovano agli antipodi (...) Ma oggi il problema si pone alla nostra attenzione: la terra è malamente abitata dagli uomini, sono apparsi dei mostri, che sono le città tentacolari, cancro dei nostri insediamenti. Chi se ne occupa, chi se ne preoccupa?”
Nei testi delle dieci conferenze (definite “Precisazioni”) tenute in varie località tra l'Argentina e il Brasile nel 1929, troviamo esposte in anticipo molte moderne intuizioni, che esulano dal campo strettamente architettonico-urbanistico per sfociare in quello dell'ecologia, della sociologia ecc. ecc. Molte di queste idee, quella del verde urbano, e del far piantare alberi ai bambini, oggi ci sembrano scontate ma allora non lo erano affatto.
Nella prima di questo ciclo di conferenze troviamo una sferzante critica del moderno “disordine urbano”:
“ L'architettura è il risultato dello stato d'animo di un'epoca. Siamo in un vicolo cieco, gli ingranaggi sociali e morali sono disorganizzati (...) La riforma è difficile da intraprendere, poiché è l'ipocrisia che regna: amore, matrimonio, vita sociale, morte: siamo interamente falsificati, noi siamo falsi! Siamo saturi di Brillat Savarin, una cucina per colazioni e pranzi diplomatici, un porto di smoking o di abiti a coda. Se pure usiamo porri, asparagi, patate, carne di bue, burro, spezie, frutta, in grazia di una scienza che ha fatto scrivere interi libri, riusciamo a snaturare tutto, a ricondurre ogni ingrediente allo stesso sapore. Solo risultato apparente è che, grazie al vino ed a puzzolenti formaggi, appesantiamo talmente lo stomaco che una parte del controllo intellettuale va perduta. L'architettura è coinvolta in questo processo”.
Per Le Corbusier tutto ciò che nel mondo intero è stato prodotto agli inizi dell'era macchinista, non è altro che il “frutto di una convulsione dello spirito e l'effetto di un equivoco, la forza da cui sono nati i mostri, le nostre città, cosiddette moderne, questa forza potentemente accresciuta dal suo stesso impulso, dovrà in breve cacciare l'incoerenza, distruggere questi primi strumenti ormai usati e, al loro posto, essa introdurrà l'ordine, eliminerà lo spreco, imporrà l'efficacia, produrrà la bellezza!”.
(continua)

M.L.A.
Quadri senza titolo (2° parte)
Nella terza delle dieci conferenze di Buenos Aires dice “non credo, alla fine dei conti, di dare importanza ad altro che alla bellezza, che è la vera sorgente di gioia. L'arte, prodotto dell'equazione ragione=passione, è a mio avviso il luogo dell'umano benessere. “Architettura” è un atto di volontà cosciente.
“Architetturare”, significa mettere in ordine. Mettere in ordine che cosa? Delle funzioni e degli oggetti. Occupare lo spazio con edifici e con strade. Creare dei vasi per riparare gli uomini e creare delle comunicazioni utili a farli incontrare. Agire sul nostro spirito attraverso l'abilità delle soluzioni, sui nostri sensi attraverso le forme che si offrono ai nostri occhi e attraverso distanze determinate per il nostro cammino. Commuovere attraverso il gioco delle percezioni cui siamo sensibili, e a cui non possiamo sottrarci. Spazi, distanze e forme, spazi interne e forme esterne, e spazi esterni , quantità, pesi, distanze, atmosfera, è attraverso questi strumenti che noi agiamo. Questi sono i fattori in causa.” E ancora: “Architettura musica sono manifestazioni istintive della dignità umana. Con esse l'uomo afferma: Io esisto, sono un matematico, un geometra, un essere religioso. Ossia credo in qualche ideale gigantesco che mi domina e che posso perseguire Architettura e musica sono sorelle molto intime: materia e spiritualità; l'architettura è nella musica, e la musica nell'architettura. In entrambe un cuore che tende a sublimare (...)non ci si può sublimare con dei dissacrati.”
La madre di Le Corbusier era pianista e insegnante di musica, lui non compose mai armonie di note ma armonie di volumi, di colori, di forme, lo possiamo dire osservando tutta la sua produzione architettonica e artistica, le sculture, le pitture, anche questi stessi scritti che stiamo considerando, tutto ha un suo ritmo. Senza mai dimenticare il fondamentale binomio forma-funzione. E' interessante a questo proposito riguardare i suoi progetti di spazi “sacri”, il Convento di Sainte Marie de la Tourette, (dei Domenicani), La Cappella di Notre Dame du Haut a Rochamp, la chiesa di S. Pierre a Firminy, alla luce di questi suoi appunti di viaggio. Sulla semplicità:
“Il semplice non vuol dire povertà, il semplice rappresenta una scelta, una discriminazione, una cristallizzazione che ha per oggetto la purezza stessa. Il semplice è una concentrazione. Non più una forma che è un agglomerato irsuto di volumi, fenomeno che non si riesce a controllare, ma una forma sintetica, atto pieno di coscienza, fenomeno di spiritualità”.
Sulla luce: “La luce è a mio avviso l'alimento basilare dell'architettura. Io compongo con la luce. Ho fatto appello ogni istante alla luce, intesa materialmente e spiritualmente. Materialmente: bisogna vederci chiaro per saper apprezzare. Apprezzare significa giudicare, intervenire individualmente. Ed eccoci nello spirituale: intervenire è la gioia. E ho fatto appello alla saggezza: giungere al massimo attraverso il minimo, che è la chiave dell'economia generale e causa profonda di qualsiasi opera d'arte.”
Sul silenzio: “Il rumore deve essere sconfitto. Una sana dottrina urbanistica e una dottrina della “macchina per abitare” rifiutano il rumore (...) La tendenza della meccanica più raffinata non è per il rumore, bensì per il silenzio. Noi soffriamo per il rumore, il rumore è anormale, i suoi effetti sono disastrosi... Tra breve i milionari offriranno ai loro amici ore di “silenzio”. Questo succederà se non riesce a trionfare l'urbanistica moderna apportatrice di pace. Si troverà una capitale che vorrà essere elogiata perché sarà diventata silenziosa”.
Un giorno un collega gli disse che avrebbero dovuto trovare un sistema per brevettare le loro idee per proteggerle. Ma lui gli rispose in questo modo: L'idea è fluida, un'onda che cerca delle antenne. E le antenne stanno dappertutto. Caratteristica di un' idea è appartenere a tutti. Ci si trova sempre a scegliere tra due fatalità: donare delle idee o prenderle dagli altri. In realtà ci capita di fare sempre entrambe le cose; doniamo ben volentieri le nostre idee e, a titolo di compenso impieghiamo, sfruttiamo per dei fini più particolari idee che sono universalmente diffuse e che un giorno in tutto o in parte vengono in nostro aiuto. L'idea è proprietà pubblica, dominio pubblico. Donare le proprie idee, ebbene! E' semplice e non c'è altra via d'uscita che questa! Donare le proprie idee non significa dolore o perdita. Si può provare una soddisfazione profonda, che non è necessariamente vanità, nel vedere le proprie idee adottate dagli altri (...) Si tratta del fondamento stesso della solidarietà. (Conferenza a Rio de Janeiro, 1929)
Si era allora ancora abbastanza lontani da certe attuali moderne concezioni di “rete” e di “informatiche-condivisione”, si capisce perché lo stesso collega che gli poneva la questione del brevettare le “idee” diceva di Le Corbusier: è un uomo che “crea delle correnti d'aria e noi ci passiamo sopra!”
Così non bisogna stupirsi troppo se in questi giorni in Francia si parla di porre alcuni suoi progetti sotto il patrocinio dell'Unesco. Sembra quasi di sentirlo: “Oh, entusiasmo, tu strapperai sempre alla fine, coloro che sentono la tua fiamma dalla quiete e dal riposo!”
(Titolo dell'edizione orginale “Précisions sur un état présent de l'architecture et de l'urbanisme” Les Edition G. Gres et Cie, Fondation Le Corbusier, Paris, traduzione di F. Tentori)
Maria Letizia Azzilonna

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