sabato 8 marzo 2008

Racconti di fine millennio: Anatidi

Un volatile acquatico fu costretto, sin da quando uscì dall’uovo a vivere sulla terraferma. L’acqua, suo vero elemento, gli venne nascosta per tanto tempo. Non ci fu dietro nessuna volontà malvagia, semplicemente un’idea di “dono” piuttosto originale. La bimba che ricevette in dono il paperotto abitava in una casa di città con un piccolo giardino intorno. Il paperotto visse in quel giardino insieme a cani, gatti, un pappagallo ed una tartaruga. Un giorno la bimba e la sua famiglia si trasferirono in una casa in riva al lago e tutti gli animaletti dovettero seguirne la sorte. Così il paperotto finì dentro il lago quasi senza rendersene conto e scoprì con sua grande meraviglia che tutta quell’acqua non gli faceva paura per nulla, anzi le sue zampette palmate si prestavano meravigliosamente a muoversi in quel nuovo elemento, molto più che sulla terra, dove si era sentito goffo e lento per tanto tempo rispetto agli altri animali con cui aveva vissuto. Chiunque abbia visto camminare degli anatidi sulla terraferma avrà notato come sono davvero buffi. Si muovono con un’andatura ondeggiante, che appare tanto più insicura quanto più largo è il loro bacino.
Il paperotto incominciò così l’esplorazione di quel luogo meraviglioso sfrecciando veloce in lungo e in largo come non era mai stato. Per la prima volta si sentiva, era proprio il caso di dirlo, nel suo elemento, e quando vicino la riva intravide gli altri abitanti del lago, si precipitò subito da loro per conoscerli. Li osservò pieno di stupore accorgendosi che erano proprio del tutto simili a lui. Stesse penne, stesse piume, stesse zampe palmate. Quelle zampe palmate che erano state la sua disperazione sulla terra, erano comuni a tutti gli abitanti del lago. Variavano un po’ le dimensioni, le forme, a volte i colori, capì che appartenevano alla stessa specie. Anche loro lo riconobbero e per un po’ fecero festa insieme. Dopo poco tempo aveva acquistato in acqua una tale sicurezza da desiderare di allontanarsi un po’ di più dalla terra, ma con sua grande sorpresa si accorse che nessuno dei suoi nuovi amici lo seguiva quando andava più al largo. Lui entusiasta e felice non diede alla cosa tanta importanza e così una mattina in cui il cielo era particolarmente azzurro e l’acqua particolarmente invitante, partì da solo e arrivò fino alla sponda opposta del lago. Non ebbe paura neanche un istante e vide e conobbe cose che mai avrebbe immaginato.
Stette via qualche giorno e quando s’incamminò sulla via del ritorno, non vedeva l’ora di rivedere coloro che considerava ormai la sua vera famiglia ed i suoi veri fratelli, per raccontare loro ciò che aveva visto. Terribile fu il dolore e la sofferenza quando, al suo ritorno, venne accolto con freddezza e quasi con astio. Il paperotto lì per lì pensò che fosse meglio dormirci sopra, forse era solo una sua impressione ed era troppo stanco per la traversata. Sperò in cuor suo che al risveglio tutto sarebbe tornato come prima. Ahimé, non fu così! Il mattino dopo si accorse che tutti lo evitavano e, disperato, andò alla ricerca dell’anziano del gruppo per cercare di capire cosa stesse accadendo.
L’anziano non rispose subito. Al paperotto quei secondi sembrarono un’eternità. Poi il vecchio papero lo guardò tristemente e gli disse:
“ Ti sarai reso conto tu stesso che la tua presenza non è più gradita in questa comunità. Noi da tempo non ci allontaniamo più dalla riva del lago, non ci interessa più quello che c’è dall’altra parte, l’acqua profonda può essere dannosa per noi e nessuno a più voglia di perdersi. Quando ero giovane ci costringevano ad andare nell’acqua alta, ancora mi tremano le piume al solo ricordo. I tempi per fortuna oggi sono cambiati e noi ci sentiamo più vicini alle creature della terra. Già da tempo molti di noi non vanno più in acqua e non bisogna ostacolare il progresso. Questo tempo ci richiede di adattarci a vivere sulla terra.”
Il paperotto non credeva alle sue orecchie. Aveva appena scoperto il suo vero mondo, la sua vera natura ed ecco che lo stato di beatitudine in cui aveva vissuto gli ultimi tempi, gli crollava addosso.
Aprì il becco e riuscì appena a mormorare:
“Ma voi..., cioè noi, non siamo adatti a vivere sulla terra, io lo so bene perché vi ho vissuto fino a poco tempo fa. Voi non potete neanche immaginare come sia difficoltoso muoversi lì con queste zampe così larghe, così piatte e corte. Ci sono molti più predatori che in acqua e ...”
L’anziano papero alzò il becco con piglio autoritario e disse:
“Basta così. Il consiglio della nostra comunità e d’accordo all’unanimità su questo argomento, tutto quello che dici è anacronistico e nessuno di noi vuol tornare indietro. Insomma per noi è “acqua passata”. Se vuoi vivere con noi devi adattarti al nostro spirito.”
Detto questo rialzò il becco significando così che la conversazione era finita. Il paperotto si strinse nelle piume e si allontanò a becco basso. Quasi istintivamente stava per andarsene al largo per riflettere meglio, ma era proprio ciò che gli avevano vietato di fare, tristemente si accovacciò a riva guardando verso terra. Il giardino della sua bambina finiva in un piccolo molo. In quel momento la domestica si avvicinava portando del cibo per loro. Certo era quello il suo mondo, come poteva oramai vivere lì senza poter andare in acqua dopo che aveva scoperto le meraviglie del lago? Lui sapeva cosa significasse vivere sulla terra, aspettare pigramente l’ora del cibo e sopportare lo scherno degli animali più agili, era pura follia che quella comunità avesse deciso di abbandonare l’acqua. La riva significava fango, a volte sporcizia ma comunque un mucchio di cibo garantito, perché tutta la gente che passava di lì buttava sempre loro qualcosa da mangiare. Mentre rifletteva su queste cose, il sole stava calando e aveva colorato l’acqua del lago di strisce di colore rosa e violetto. Il papero si sentì inumidire gli occhi, come avrebbe fatto a resistere in quel luogo a quelle condizioni? Tanto valeva tornarsene nel giardino insieme al gatto, al cane, alla tartaruga e al pappagallo con la consapevolezza che se prima la sua vita aveva comunque funzionato era perché ignorava la sua vera natura. Come poteva pensare di ridiventare quello di prima? Certo se si fosse adeguato alle disposizioni della comunità ne avrebbe avuti di vantaggi! Lui conosceva meglio di loro e da tempo tutti gli abitanti del giardino, avrebbe potuto essere per loro molto utile, poteva facilmente diventare una loro guida. Nessun membro della comunità del lago avrebbe perso una sola penna se fossero stati consigliati da lui. Mentre rifletteva su queste cose, il sole era calato completamente, rimaneva un piccolo riverbero che faceva luccicare la piatta superficie dell’acqua. Era quello il momento ideale per entrare nel lago. Calava il silenzio e tutti gli animali andavano a dormire. Il paperotto non resistette più e spinse veloce le sue zampe palmate fino a che non si trovò al centro del lago. Allora godendosi quel momento meraviglioso si lasciò cullare dalle dolci acque fino alle prime luci dell’alba. Solo allora si decise di a far ritorno a riva. Sperava in cuor suo di riuscire ad arrivare prima che gli altri si svegliassero. Toccò riva poco prima che il primo papero si stiracchiasse nelle piume. Quando tutta la comunità fu sveglia cominciarono i loro piccoli giri abituali senza mai allontanarsi troppo dalla riva. Il paperotto li seguì per non dare nell’occhio e così ricominciarono a rivolgergli la parola pensando che avesse deciso di adeguarsi alla loro regola. Per un po’ di tempo continuò ad allontanarsi di nascosto nella notte, mentre gli altri dormivano. Durante il giorno la comunità lo coinvolgeva nelle esplorazioni terrene e lui a malincuore obbediva. Naturalmente per il papero era sofferenza allo stato puro rimettere le piume sulla terra e non riusciva assolutamente a capire che cosa ci trovassero gli altri. Dopotutto erano fatti proprio come lui, anzi a forza di stare a riva erano anche più grassi e quindi la loro goffaggine sulla terra era quasi maggiore della sua. Comunque insistevano perché lui li conducesse nella parte più interna del giardino e più si allontanavano dall’acqua e più sembravano appagati. Una volta incontrarono gli altri animali che vivevano lì e per loro fu un evento memorabile. Lo fu anche per gli animali del giardino, ai quali non sembrava vero di vedere una processione di paperi dove un tempo c’è n’era uno solo. Si scatenarono in canzonature ed imitazioni della loro buffa camminata. Il nostro paperotto se l’aspettava, aveva subito per una vita intera quegli scherni, ma il resto della comunità non se ne accorse per nulla, tanto era grande la loro gioia per aver interagito con delle creature della terra. Così oramai il nostro passava quasi tutte le notti al centro del lago e solo così riusciva a ritrovare il suo equilibrio dopo quelle terribili escursioni terrene. Il suo aspetto cominciava ad essere notevolmente diverso dagli altri, era diventato più snello e le sue piume erano molto più lucenti.
Ma una notte fu visto, ahimé, nuotare al largo proprio dal capo della comunità, che, tra l’altro, cominciava ad essere un po’ invidioso del suo ruolo di guida nel mondo della terra. Questi rimase a vegliare fino alle luci dell’alba e quando lo vide ritornare in lontananza, cominciò a starnazzare a più non posso svegliando tutti i membri del consiglio. Così tutti videro che aveva trasgredito la regola e, appena ebbe toccato terra, cominciarono a beccarlo finché non lo spinsero con la forza sulla terra nel fondo del giardino. Gli proibirono di scendere in acqua per sempre e lo minacciarono di morte in caso di trasgressione.
Così quella mattina, al loro risveglio, il cane, il gatto, la tartaruga e il pappagallo trovarono il paperotto ferito e gemente nella sua antica vaschetta. Per un po’ ebbero pena di lui, ma poi cos’altro poterono fare se non tornare a schernirlo? Così ebbe inizio per il nostro amico un momento davvero brutto. Da un momento all’altro si era ritrovato cacciato via dal suo paradiso. Pianse tutte le lacrime che un papero poteva piangere. Le sue zampe ora si erano quasi completamente disabituate alla terra ed erano diventate sottili e molli e gli dolevano tanto che faticava a reggersi in piedi. Aveva preso l’abitudine di cibarsi dei piccoli pesci del lago e il cibo che veniva dato sulla terra lo faceva star male. Nuotare nella sua vecchia vaschetta di plastica lo faceva solo impazzire per la nostalgia delle sue nuotate solitarie nelle acque profonde e cristalline del centro del lago. Passarono così tristi giorni in cui il papero avrebbe voluto morire. Anche gli umani si accorsero del suo ritorno e, guardandolo con commiserazione, dissero che era così magro da non poter neanche essere fatto arrosto.
Una mattina, mentre guardava sconsolato quel piccolo pezzo di lago che era visibile dal giardino, il pappagallo, sbattendo le ali verdognole, atterrò sul trespolo vicino alla sua vaschetta ripetendo con il suo gracchio caratteristico:
“Se non ricomincerete a nuotare al largo la vostra comunità si estinguerà...la vostra comunità si estinguerà...la vostra comunità si estinguerà...” Aveva sentito proprio bene, allora gli si avvicinò e scuotendolo con il becco disse; “Astor, dove hai sentito dire questo?”
Il pappagallo puntò il becco ricurvo in direzione del lago. Il paperotto lo afferrò per le piume e implorò:
“Ti prego andiamo insieme laggiù, mostrami chi ha detto queste parole.” Il pappagallo arruffò tutte le piume, così come faceva quando si sentiva gratificato e svolazzò verso il lago. Il papero zoppicante e pieno di timore lo seguiva tenendosi a distanza. Arrivati sul ciglio del molo, il papero si nascose dietro una vecchia boa e il pappagallo vi si accovacciò sopra. Da lì si vedeva buona parte della comunità del lago. Il paperotto tremava all’idea di essere visto, aveva ancora nelle piume i segni delle loro beccate. Il pappagallo svolazzò sulla riva e si fermò a mezz’aria sopra una coppia di paperi che lui non aveva mai visto prima e che si tenevano un poco in disparte dagli altri. Le loro piume erano tutte bianchi e splendenti e il loro collo era lunghissimo. Si muovevano nell’acqua come se fossero tutt’uno con essa.
Il pappagallo ritornò ripetendo: “Chi ha detto queste parole? Astor dove hai sentito dire questo?” Il paperotto sospirò pieno di speranza e ringraziò il pappagallo che se ne ritornò sul suo trespolo. Lui rimase nascosto dietro dietro la boa ad osservare i nuovi arrivati fino all’imbrunire. In un certo senso la comunità sembrava ignorare i due nuovi arrivati, ma si capiva che c’era tensione nell’aria. Ad un certo punto i due si avvicinarono alla comunità dicendo:
“Questo è il momento più adatto per raggiungere il centro del lago, volete venire anche voi?” Il papero a quelle parole si sentì venir meno dalla sorpresa e dalla gioia, e mentre il cuoricino gli batteva impazzito nel petto, si chiedeva cosa era più opportuno fare. Intanto i due stranieri non avevano raccolto molte adesioni al loro invito, tutti i paperi si erano stretti intorno all’anziano che continuava a scuotere la testa in segno di diniego. Allora i due voltarono loro il becco e veloci come il vento si stavano già allontanando. Il paperotto si sentì perduto all’idea che potessero andare via per sempre, se fosse riuscito a raggiungerli ora, non avrebbero potuto fargli del male.
In un battibaleno si buttò giù dal muretto del molo con tutte le poche forze che gli rimanevano e urlò:
“Vengo anch’io con voi al largo.” I paperi rimasero così stupiti dalla sua comparsa e dalla veemenza con cui aveva parlato, che non ebbero neanche il tempo di muoversi. I due stranieri al suono della sua voce voltarono i lunghi colli e si fermarono ad aspettarlo. Fu questione di un attimo e si ritrovò tra loro. L’acqua era deliziosamente calda e incominciava a colorarsi di viola. Per un po’ non parlarono. Il paperotto faticava a stargli dietro perché le sue zampe si erano nuovamente abituate alla terra, ma era così felice che quasi non sentiva il dolore. Poi improvvisamente uno dei due senza abbassare il collo, disse:
“Fai parte anche tu di quella comunità? Non ti avevamo visto i giorni passati.” Il paperotto disposto a giocare il tutto e per tutto, rispose: “Non mi avete visto perché ero stato mandato via. Prima anch’io vivevo lì. Ma quando si sono accorti che mi piace andare al largo e che non riesco a resistere a lungo sulla riva, non hanno più voluto che rimanessi.”
I due si guardarono tra loro. “Poi, sapete, io ho vissuto per tanto tempo sulla terra e proprio non mi sento di ritornarci, noi siamo diversi dagli altri animali della terra è evidente. Prima di finire nel lago non avevo idea del perché il mio corpo avesse certe caratteristiche, queste zampe con le membrane, tutte queste piume voluminose, questo becco con una certa forma. Nessuno degli altri animali che avevo frequentato prima era simile a me, così quando ho incontrato gli abitanti del lago sono come rinato a nuova vita, ho capito chi ero e dove dovevo vivere. E tutto ciò che sulla terra mi era d’impaccio e mi rendeva la vita difficile, qui è indispensabile e funziona a meraviglia.”
I due ascoltavano in silenzio e con una certa commozione la storia del papero.
“Quando mi hanno cacciato dal lago, sono stato sul punto di morire. Non so neppure come ho fatto a raggiungervi. Anche ora non sono neanche sicuro che tutto questo non sia un sogno e che non torni a svegliarmi in quella lurida vaschetta.
“No, non temere, disse uno dei due nuovi amici, quello che sembrava un po’ più anziano, “Insieme a noi non correrai alcun pericolo del genere. Se ora ti porteremo sulla terra sarà solo perché tu ti ristabilisca. Hai sofferto abbastanza, ma eri nel giusto, perché se la tua comunità continuerà a vivere così entro breve non esisterà più. Ormai sono creature snaturate, vorrebbero essere ciò che non potranno mai essere, diverranno invece dei mostri e per loro non ci sarà più nulla da fare. Intanto erano arrivati nei pressi di una piccola isola che il papero aveva intravisto qualche volta nelle sue escursioni. Vide in lontananza altri abitanti del lago che cominciavano a venirgli incontro. Si salutarono tutti affettuosamente, poi ad un cenno dei due, il papero stremato fu delicatamente sospinto a riva. Gli portarono un mucchio di pesce fresco per rifocillarlo e il papero si addormentò felice. La mattina successiva, quando aprì gli occhi, non gli parve vero di potersi subito tuffare nella stupenda acqua colorata dai riflessi dell’alba e di poterlo fare senza doversi nascondere. Soprattutto non gli parve vero di poterlo fare in compagnia dei suoi nuovi amici. Cominciò subito ad avvicinarsi all’acqua, ma improvvisamente le zampe gli cedettero e ricadde pesantemente sulla riva. Era ancora debole e malandato. Subito gli altri gli si fecero incontro e sorreggendolo con il loro becco lo aiutarono a rialzarsi e ad entrare nel lago, e da lì la terra era una striscia sottile.
(M.L.A. 1998)

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