domenica 11 luglio 2010

UN VERO MOTIVO DI GIOIA: GESÙ È SIGNORE


Una lettura della lettera di Paolo ai Filippesi

di D. Luigi Gioia (Padre Abate dell'Abbazia S. Benedetto di Seregno)

Uno dei segni più eloquenti della distanza che ci separa dalle prime comunità cristiane è forse proprio la nostra difficoltà alla lettura delle lettere di San Paolo. Oggi le consideriamo riservate ai teologi. Se, tramite la liturgia, siamo familiari con alcuni passaggi tratti da esse, raramente ci spingiamo ad esplorarne il contesto o a leggerle per intero. L’esegesi e la teologia hanno talvolta contribuito a questa situazione. Invece di rendere la lettura di questi testi più agevole, spesso la sommergono sotto una erudizione fine a se stessa. L’origine di questa difficoltà, però, è anche spirituale.
Domandiamoci cosa risponderemmo se qualcuno ci chiedesse, come cristiani, quale è il
nostro motivo più profondo di gioia. Inutile elencare le risposte possibili. Molti di noi probabilmente risponderebbero: “Perché Dio mi ama”. Risposta giusta, che Paolo non avrebbe certo negato. Quanti, però, replicherebbero spontaneamente a questa domanda esclamando come lui: “Perchè Gesù è Signore!”. Un tale motivo di gioia riecheggia continuamente in questa vera gemma letteraria rappresentata dalla lettera ai Filippesi. “Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi”1. Paolo sa di ripetersi quando dice ancora: “Fratelli miei, rallegratevi nel Signore” ed allora se ne scusa: “Io non mi stanco di scrivervi le stesse cose, e ciò è garanzia di sicurezza per voi”2. Ed anche quando altre cose lo rallegrano, come l’affetto testimoniato dai Filippesi, di questo gioisce nel Signore: “Ho avuto una grande gioia nel Signore, perché finalmente avete rinnovato le vostre cure per me; ci pensavate sì, ma vi mancava l' opportunità”.

* * *

Il Signore... A pensarci bene, quando menzioniamo il ‘Signore’ è sempre con una nota di deferenza. Nel corso di una conferenza a carattere culturale, un oratore non parlerà del ‘Signore’, ma di ‘Dio’. I non credenti, o gli indifferenti, quando devono farlo, parleranno anche loro di ‘Dio’. L’uso stesso della parola ‘Signore’ è dunque già un modo di confessare la propria fede. Paolo non cessa di riferirsi al ‘Signore’. Spera nel Signore anche riguardo agli eventi apparentemente più umani: nel Signore si dice fiducioso di poter fare quello che desidera 1 Fil 4.4.

1 Quando le citazioni sono tratte dalla lettera ai Filippesi, l’abbreviazione ‘Fil’ non sarà ripetuta .
2 3.1
3 4.10
4 2.19: “Spero intanto nel Signore Gesù di inviarvi ben presto Timoteo, affinché anch' io, informato sulla vostra situazione,
possa essere di buon animo”
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intraprendere,5 raccomanda di accogliere qualcuno “nel Signore con ogni gioia”6 o di star saldi nel Signore,7 di andare d’accordo nel Signore8. Ne parla come del “mio Signore”9. Aspetta il Signore come salvatore nell’ultimo giorno 10. Ad un certo punto, incoraggiando alla mansuetudine, a non preoccuparsi di nulla e a pregare con fiducia, svela il segreto della pace che custodisce il cuore ed i pensieri per mezzo di una piccola frase, quasi un soffio: “Il Signore è vicino”11.

* * *

Il Signore è vicino... Da dove nasce la consolazione che accompagna questa esclamazione? Questo ‘Signore’ evidentemente non è un estraneo. Eppure, lo conosciamo davvero? Forse pensavano di conoscerlo i Filippesi, anche se Paolo sembra dubitarne. Da questa lettera si indovina una comunità divisa. Gli inviti stessi alla unità che incontreremo tra un momento lo lasciano supporre. Altre raccomandazioni fanno trapelare egoismo, fiducia in cose vane, una tendenza a mettersi al di sopra degli altri, la ricerca dei propri interessi. Con un po’di amarezza, Paolo riconosce che “tutti cercano i loro propri interessi”12 e che ci sono quelli che “hanno l’animo alle cose della terra”13.
La lettera ai Filippesi è anzi un po’insolita rispetto alla maggior parte delle altre lettere di Paolo. Normalmente, Paolo comincia con il parlare non degli uomini, ma di Cristo, del piano di salvezza di Dio per l’umanità, della Chiesa, dello Spirito Santo e solo verso la fine ne approfitta per applicare quanto ha insegnato al modo in cui un cristiano deve agire. Con i Filippesi, invece,Paolo comincia quasi subito la lettera con uno sfogo. È in prigione. Una setta in disaccordo con il suo modo di insegnare il Cristianesimo approfitta di questa situazione per contraddirlo. Le comunità cominciano a dividersi. La piaga che affliggerà tutta la storia della Chiesa ha cominciato ad infierire e se ne intuisce subito la causa: la pretesa di ‘conoscere’ meglio, di saperne di più, di poter offrire l’interpretazione più autentica del messaggio di Gesù.

5 2.24: “Ho fiducia nel Signore di venire presto io stesso”
6 2.29
7 4.1: “Pertanto, miei fratelli diletti e desiderati, mio gaudio e mia corona, perseverate così nel Signore, o diletti”
8 4.2: “Raccomando a Evodia ed esorto Sintiche a vivere in buona armonia nel Signore”
9 3.8: “[i miei vantaggi] li giudico tuttora una perdita a paragone della sublime conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il cui amore ho accettato di perderli tutti”
10 3.20: “Noi però siamo cittadini del cielo, da dove attendiamo anche, come salvatore, il Signore Gesù Cristo”

11 4.5 ss
12 2.21
13 3.19
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Paolo spiega subito, allora, cosa voglia dire ‘conoscere’ per un cristiano. Non è una questione di idee, non prima di tutto, non in fin dei conti. È una questione di amore, di ‘agape’, questa bellissima parola riservata dal Nuovo Testamento all’amore con il quale Dio ci ha amati. Solo quelli che amano acquistano una vera ‘conoscenza’ del Signore. Anzi, è l’amore stesso che si trasforma in conoscenza: “Che il vostro amore si espanda sempre di più in conoscenza”14. Quello che si tratta di conoscere non sono prima di tutto idee, ma è una persona, non una persona del passato, ma una che è risorta, che vive, che è presente, che agisce: “conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte”15.
Se ripetere a se stessi “Il Signore è vicino” consola e pacifica così profondamente, è perché il Signore non è solo qualcuno che è venuto e deve ritornare, ma è qui, adesso. La passione che un tale pensiero accende nell’animo di Paolo si traduce nel lirismo di frasi che ne traducono l’impeto quasi visualmente: “Non che io sia già arrivato alla mèta o sia già in uno stato di perfezione, ma mi sforzo nel tentativo di afferrarla” – e qui si corregge: non è lui che afferra la meta; al contrario, è lui ad essere stato “afferrato da Cristo Gesù”16. Il Signore è colui che “afferra”: Paolo ne ha fatto fisicamente l’esperienza nel momento della sua conversione. Può riconoscere con tutta sincerità che per lui, oramai, “vivere è Cristo”17.

* * *

Il Signore “afferra”... Un Signore che “afferra” può far paura. Giove e l’imperatore romano potevano essere ‘signori’ allo stesso modo. Anche di questa altra ‘signoria’ Paolo faceva fisicamente l’esperienza nella sua prigione. Una tale ‘signoria’ non fa nascere la pace nel cuore, nè la mansuetudine; produce piuttosto amara rassegnazione oppure fomenta la ribellione. Non si prova nessuna consolazione al pensiero che un tale ‘signore’, per esempio uno dei sanguinari e orgogliosi imperatori, “è vicino”. Quando Paolo ripetutamente si rallegra nel Signore, si riferisce ad una ‘signoria’ che non solo è diversa, ma è l’opposto della signoria umana. Questa lettera sarebbe poco più di uno scritto di circostanza con qualche notizia di Paolo, qualche sfogo relativo alle sue preoccupazioni e gioie del momento, qualche raccomandazione ai cristiani di Filippi, se non fosse per il fatto che, tutto ad un tratto, in modo totalmente inaspettato, come un veggente che improvvisamente entra in trance, Paolo non prorompesse in

14 4.9
15 3.10
16 3.12
17 1.21
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uno dei passaggi più avvincenti di tutto il Nuovo Testamento18. Si tratta di una decina di righe nel secondo capitolo, perfettamente simmetriche, un gioiello dal punto di vista letterario, che combina il tono epico con uno sconvolgente effetto drammatico. Si tratta non tanto di una esortazione, quanto soprattutto di una ‘rivelazione’ nel senso più profondo e tipicamente cristiano di questa parola. Quello che ci è ‘rivelato’ non è solo qualcosa che prima era nascosto e che, con un po’di buona volontà, forse saremmo stati capaci di indovinare; si tratta di qualcosa di assolutamente inimmaginabile, che non sarebbe mai entrato nel nostro cuore, che, se non fosse stato appunto ‘rivelato’, avremmo considerato come assurdo, come una follia, come una bestemmia.
E la prima cosa che questo testo appunto ci rivela è il carattere paradossale della Signoria di Dio: “Cristo Gesù, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente”.19 In realtà, questo passaggio può essere tradotto anche nel modo seguente: “Cristo Gesù, proprio perché era nella forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente”. Capiremo poco alla volta quanto la seconda traduzione sia preferibile alla prima. Gesù appare come uno che ‘non si aggrappa’ a tutto quello che la sua natura divina comporta in termini di privilegi, di onore, di potere, almeno da un punto di vista umano. Per noi, ‘vivere da Dio’ vuol dire avere e fare tutto quello che vogliamo. Per lui, ‘essere Dio’ si traduce nel modo esattamente opposto.

* * *

Il Signore non si “aggrappa gelosamente”... Velatamente, l’atteggiamento di Gesù in questo passaggio suggerisce un contrasto con un’altra figura che appare a più riprese nella Scrittura e che agisce nel modo esattamente opposto a quello di Gesù. Questa figura era qualcuno che aveva ricevuto dal Signore ogni dono, tanto da poter essere paragonato all’ “astro del mattino” ed essere chiamato “figlio dell’aurora”20. Il Signore stesso, per bocca del profeta Ezechiele, ce lo descrive così: “Tu, sigillo e modello ripieno di sapienza e bello alla perfezione, eri nell' Eden, il giardino di Dio; d'ogni pietra preziosa ricoperto: rubino, topazio e diaspro, crisolito, onice e berillo, zaffiro, carbonchio e smeraldo e d'oro era il lavoro dei tuoi castoni e delle tue legature, preparato nel giorno in cui fosti creato. Tu eri un cherubino dalle ali spiegate; ti feci guardiano, fosti sul santo monte di Dio; in mezzo a pietre di fuoco te ne stavi. Tu eri perfetto nella tua condotta quando fosti creato”21.

18 2.6-11
19 2.6
20 Isaia 14.12
21 Ezechiele 28.1
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Questo oracolo parla del re di Tiro, ma descrive il ripetersi di una vecchia storia, quella del primo uomo e della prima donna, che il Signore aveva colmati di bellezza, sapienza, perfezione. Alcuni vedono in questa descrizione anche la storia di angeli. Paolo, in un altra delle sue lettere, parla di questo personaggio come di qualcuno che deve venire 22.
Che si tratti di angeli, del primo uomo e della prima donna, del re di Tiro, o collettivamente del popolo di Israele tutto intero, o ancora della comunità di Filippi alla quale Paolo si rivolge, questo personaggio è prima di tutto qualcuno che ha ricevuto tutto dal Signore e che vi risponde con totale ingratitudine: rifiuta di riconoscere che la sorgente della sua bellezza, sapienza e perfezione è il Signore e se le attribuisce, ci si ‘aggrappa gelosamente’ e comincia a credersi un dio: “Pensavi in cuor tuo: ‘Salirò in cielo, al di sopra delle stelle di Dio erigerò il mio trono.
Siederò sul monte dell' assemblea, ai confini del settentrione. Salirò sulle nubi più alte, sarò simile all' Altissimo";23 “Il tuo cuore si è esaltato fino a dire: sono un dio, su un seggio divino io regno nel cuore del mare ... della tua sapienza e intelligenza ti sei fatto forte, hai ammucchiato oro e argento nelle tue riserve. Il tuo cuore s'inorgoglì per la tua bellezza”24. Il grido preferito di questo personaggio è “Io, e non v'è nessun altro!”25. Paolo lo descrive così: “si oppone e si innalza su tutto ciò che è chiamato Dio o che è oggetto di culto, fino a sedersi egli stesso nel tempio di Dio, dichiarando se stesso Dio”26. Questo personaggio, che aveva ricevuto tutto da Dio, che Dio stesso aveva messo su un piedistallo, volge le spalle a Dio, rifiuta di rendere grazie e di lodare la sorgente di tutto quello che è e di tutto quello che ha, si illude di essere se stesso dio e si innalza: “Salirò al cielo”, “Il tuo cuore si è esaltato...”, “Si esalterà e si eleverà”, “si oppone e si innalza” e così via dicendo. Eccolo il ritratto della signoria umana. Ecco come si comportano i ‘signori’, i kyrioi di questo mondo.
Questo ritratto, però, non si addice solo al misterioso personaggio nel quale si può identificare il re di Tiro, o un angelo caduto o l’anticristo che precederà la fine dei tempi o gli imperatori romani, anch’essi chiamati appunto kyrioi. Questo ritratto si applica a ciascuno di noi. Di noi parla Paolo quando fa capire quali siano i mali che agitano la comunità di Filippi. Dietro le sue

22 2 Tessalonicesi 2.3
23 Isaia 14.12
24 Ezechiele 14.2-4, 17
25 Sofonia 2.15
26 2 Tessalonicesi 2.3
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esortazioni riconosciamo lo stesso atteggiamento di questo misterioso personaggio: l’ambizione egoista, la vanagloria, l’innalzare se stessi al di sopra degli altri, il cercare i propri interessi27.
È proprio mentre invita i cristiani di Filippi –e, possiamo dire, ciascuno di noi- a non cedere a questi istinti, che Paolo ricorre al solo argomento capace di svelare la vera portata di questi atteggiamenti ed al tempo stesso la sola speranza di riuscire a non soccombere loro: la vera natura della ‘signoria’ di Cristo Gesù.

* * *

Cristo è Signore... In modo infinitamente superiore al nostro, anche Cristo riceve tutto dal Padre. La lettera ai Filippesi ci dice che Gesù “esiste nella forma di Dio”. In greco, il verbo che traduciamo con ‘esiste’, indica qualcosa che dura, che continua. Inoltre, il termine ‘Dio’, quando appare isolatamente, significa ‘il Padre’. Dunque, questafrase significa: Gesù continua ad esistere nella forma che riceve dal Padre. È esattamente ciò che recitiamo nel Credo ogni domenica quando diciamo di Cristo che è ‘Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero’. Il Padre è Dio. Il Figlio è ‘Dio da Dio’.Ciò vuol dire che è veramente Dio, ma anche che la sua divinità è misteriosamente ‘ricevuta’ dal Padre, anche se da tutta l’eternità.
È proprio questa verità che la lettera ai Filippesi ci descrive, facendocela capire meglio.
‘Ricevere’ è il contrario di ‘aggrapparsi gelosamente’, di ‘rivendicare’, di ‘usurpare’. Quello che Gesù vive nella sua esistenza terrena è il riflesso della sua identità di Figlio di Dio. Quando Paolo ci dice di Gesù che spoglia se stesso, si abbassa, prende la forma di servo, si fa obbediente fino alla morte di croce, in realtà ci sta dando una descrizione del ‘ricevere’ che caratterizza la relazione tra il Figlio ed il Padre, descrive cosa vuol dire veramente ‘essere Dio’, ‘essere Signore’.

* * *

Un Signore che riceve... Proprio questo avevamo in mente quando dicevamo sopra che la
migliore traduzione della frase iniziale di questo passaggio è “Cristo Gesù, proprio perché era nella forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente”. Solo il Signore possiede una tale suprema libertà. Solo lui può scegliere con tale serena ed efficace determinazione di trionfare abbassandosi ed umiliandosi. Questa è la libertà del Signore, significata nel nostro testo da una parolina greca, heauton, che vuol dire ‘se stesso’: di se stesso, di sua spontanea volontà, senza che nessuno potesse forzarlo, Gesù “spogliò se stesso”, “umiliò se stesso”28.

27 2.3-4
28 2.7-8
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Un elemento molto importante di questo passaggio29 della lettera ai Filippesi che stiamo esaminando più da vicino è il fatto che è perfettamente simmetrico. Il soggetto della prima parte è Gesù,30 mentre il soggetto della seconda parte è il Padre31. Questa piccola osservazione stilistica rivela subito un profondo senso teologico. Essere ‘Signore’ per il Figlio, per Gesù, vuol dire ricevere tutto dal Padre, vuol dire non aggrapparsi gelosamente a questo dono, vuol dire spogliare se stesso, abbassarsi, ubbidire e attendere. Gesù attende. Come ‘Signore’ almeno nella nostra concezione di questo ruolo, avrebbe tutto il diritto di innalzarsi da sé, di rivendicare il suo diritto di essere chiamato appunto ‘Signore’. Come Signore, Cristo sarebbe dovuto essere il soggetto anche della seconda parte di questo passaggio; avrebbe avuto tutto il diritto di ‘esaltare se stesso’. Invece questo lo attende dalla iniziativa del Padre, come dono del Padre. Il modo che ha Dio di essere Signore ci scandalizza. Gesù, umiliato, deriso, giudicato iniquamente, flagellato, attende. Sulla croce ancora attende. Nel sepolcro ancora attende...
È il Padre che lo innalza, che gli dà il nome al di sopra di ogni altro nome, che lo fa sedere accanto a sé. È allora che ogni lingua proclama che Gesù Cristo è Signore. Non che egli non lo fosse anche prima di questa proclamazione. ‘Proclamare’ infatti, in questo caso, vuol dire ‘riconoscere’: in questo Gesù che abbiamo visto umiliato, spogliato, morto, riconosciamo colui che fin dall’inizio ‘esisteva nella forma ricevuta dal Padre’, che fin dall’inizio era Signore e che proprio in questa umiliazione ha rivelato il vero carattere della sua Signoria. La grande rivelazione di questo testo è proprio questa: lo spogliamento, l’abbassamento, l’umiliazione e la morte non sono il risultato di una momentanea rinuncia alla divinità, alla Signoria, ma ne sono la manifestazione più alta e più eloquente, ne sono la rivelazione.
Notiamo che questo testo non dice perché Gesù sia morto sulla croce, perché abbia dovuto abbassarsi ed umiliarsi in quel modo. Solo leggendo tra le righe e riconoscendo le allusioni al personaggio di cui parlavamo prima, capiamo che tale umiltà è la risposta del Signore all’orgoglio che ha separato l’uomo da Dio. L’orgoglio non è prima di tutto una offesa a Dio che ha bisogno di una ‘riparazione’. L’orgoglio è un atto di stupidità monumentale: invece di riconoscere che tutto quello che siamo e tutto quello che abbiamo è un dono che riceviamo ogni istante da Dio, ci persuadiamo di essere autonomi, indipendenti. Non solo rifiutiamo di rendere grazie, ma ci erigiamo contro Dio e trasformiamo noi stessi e i doni ricevuti in idoli. L’orgoglio è un rifiuto di accettare la verità, la nostra verità, quella della nostra dipendenza radicale e di ogni istante nei confronti del Signore.

29 2.6-11
30 2.6-8
31 2.8-11
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Ma l’accecamento causato dall’orgoglio impedisce di percepire una realtà ancora più
profonda. Questo ‘ricevere’, questa ‘dipendenza’ che caratterizzano la nostra relazione nei confronti del Signore sono le caratteristiche della vera ‘Signoria’, sono il modo stesso del Signore di essere appunto ‘Signore’. Anche il Figlio, in modo analogo al nostro, riceve tutto dal Padre e attende tutto dal Padre.
È sorprendente costatare i paralleli anche verbali (che naturalmente appaiono meglio nel testo greco) che esistono tra la descrizione della Signoria di Gesù le raccomandazioni fatte ai Filippesi: “Se dunque c'è un appello pressante in Cristo, un incoraggiamento ispirato dall'amore, una comunione di spirito, un cuore compassionevole, ricolmatemi di gioia andando d'accordo, praticando la stessa carità con unanimità d'intenti, nutrendo i medesimi sentimenti. Non fate niente per ambizione né per vanagloria, ma con umiltà ritenete gli altri migliori di voi; non mirando ciascuno ai propri interessi, ma anche a quelli degli altri”32.
All’ ‘umiltà’ raccomandata in questo passaggio fa eco Gesù che ‘umilia’ se stesso; la
‘vanagloria’, cioè la gloria che ci attribuiamo noi stessi, è esattamente l’opposto della ‘vera gloria’, quella cioè che Gesù riceve dal Padre che lo esalta, quella che Gesù rende al Padre, visto che è “Signore alla gloria del Padre”; l’‘ambizione egoista’ consiste proprio nell’aggrapparsi gelosamente ai doni ricevuti e nell’usarli per innalzare se stessi, esattamente il contrario dell’atteggiamento di Gesù.

* * *

Il Signore si umilia... Naturalmente, Gesù non è solo un modello da imitare. Potremmo anzi dire che non è neanche prima di tutto un modello da imitare. Se avessimo avuto bisogno solo di un modello, sarebbe bastato un uomo guidato dallo Spirito di Dio, come tanti dei profeti dell’Antico Testamento.
Quello di cui avevamo bisogno, quello di cui abbiamo bisogno, è del Signore. Il ‘Signore’ è colui che può tutto e che può anche cambiare il nostro cuore. Solo il ‘Signore’ ha il potere di “cominciare l’opera buona in noi e portarla a compimento”;33 solo lui ha il potere di suscitare in noi “il volere e l'agire in vista dei suoi amabili disegni”34. Solo perché Cristo è Signore, Paolo può esclamare: “Tutto posso in Colui che mi dà forza”35.

32 2.1-4
33 1.6
34 2.13
35 4.13
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Ma questa Signoria non si limita solo ad operare in noi e a permetterci di imitare il modello datoci da Gesù. Anche questo, Dio avrebbe potuto operarlo senza diventare uomo e morire sulla croce. Questo ruolo, l’Antico Testamento lo affida già allo Spirito di Dio che dà la forza per le missioni speciali.36
La ragione ultima e più profonda per la quale il Figlio si fa uomo in Cristo è certo il fatto di darci un modello da imitare e di farci dono dello Spirito che ci dà la forza di agire secondo la volontà del Padre, ma è molto, molto di più.
Per capire questa ragione occorre ritornare alla storia del peccato delle origini raccontata nel libro della Genesi. È una storia che conosciamo bene. È la storia del misterioso personaggio incontrato sopra, colui che si erge contro Dio. È la storia della comunità di Filippi ed è la storia di ciascuno di noi.
Dicevamo che l’orgoglioè fondato su un rifiuto di accettare la verità, quella cioè della nostra dipendenza dal Signore. Però il rifiuto di questa dipendenza, il rifiuto di ‘ricevere’ e di ‘rendere grazie’ sono essi stessi la conseguenza di un’altra menzogna ancora più radicale e terribile.
Possiamo arrivare a disprezzare colui che ci ha dato tutto solo se cominciamo a rappresentarcelo come qualcuno di geloso, di assetato di potere, qualcuno che ci ha creati per avere degli schiavi.
È questa menzogna che ha convinto la donna e poi l’uomo a trasgredire il comando del Signore: Ma il serpente disse alla donna: «Voi non morirete affatto! Anzi! Dio sa che nel giorno in cui voi ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e diventerete come Dio, conoscitori del bene e del male»37.
Il serpente presenta Dio come qualcuno che mente e che ci rifiuta qualcosa perché non vuole che diventiamo come lui, non vuole che usurpiamo la sua ‘signoria’. Insomma, il serpente descrive il Signore esattamente in modo opposto alla lettera ai Filippesi: Dio è qualcuno che si ‘aggrappa gelosamente al suo essere Dio’. Questa menzogna si è come impressa a fuoco nel cuore umano. Dio è diventato il nostro avversario principale, colui che ci impedisce di realizzarci, colui che ci sfrutta, ci opprime, ci umilia, ci abbassa. Dio è il responsabile dei nostri mali. La sola libertà che ci resta è quella di ergerci contro questo ‘dio’ geloso. In questo, il nostro orgoglio pretende addirittura di far

36 Vedi per esempio nel libro dei giudici, riguardo a Otniel: “Lo spirito del Signore fu sopra di lui, cosicché egli poté salvare Israele” (3.10); a Sansone che “investito dallo spirito del Signore, senza aver nulla in mano, squartò il leone come si squarta un capretto” (14.6) etc... o, per dare solo un esempio riguardo ai profeti, Ezechiele 2.1s: “E disse: «Figlio dell' uomo, àlzati in piedi, perché ti voglio parlare». Mentr'egli parlava venne in me uno spirito che mi fece alzare in piedi e ascoltai colui che mi parlava”.
37 Gen. 3.4s
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risiedere la nostra dignità, paragonabile a quella della ginestra di Leopardi che fino all’ultimo non si piega di fronte all’implacabile avanzare della lava o a quella dell’impavido Satana nel primo splendido canto del Paradise lost di Milton.
È per questo motivo che la descrizione della vera ‘Signoria’ di Dio che ci dà Paolo ci scandalizza talmente tanto, come il popolo Ebreo, gli apostoli e tutti i contemporanei di Gesù furono scandalizzati dalle sue origini e dal suo aspetto povero ed umile. È così che, progressivamente, scopriamo la ragione più profonda della Incarnazione e della croce. A causa di questa menzogna che aveva pervertito il nostro cuore avevamo bisogno di questa inaudita ‘rivelazione’: non solo Dio non è un Signore geloso che si aggrappa alle sue prerogative per umiliarci, ma il suo modo di essere veramente ‘Signore’ consiste esattamente nell’atteggiamento opposto, cioè quello del Figlio che riceve, si abbassa, si umilia e attende tutto dal Padre; quello del Padre che, a sua volta, riceve gloria dal Figlio.38

* * *

Il Signore si rivela e ci libera... Questa rivelazione ci libera e ci salva. Ci libera dalla schiavitù del nostro egoismo, della nostra ambizione, della forsennata ricerca dei nostri interessi, delle lotte, degli odii, delle divisioni che tale atteggiamento genera e alimenta. Questa è la libertà stessa di Dio. Questa è la libertà che ci è restituita dalla croce e dal dono dello Spirito. Lo Spirito Santo ci dona la libertà di adorare e venerare Dio39 con il solo culto a lui gradito, quello della carità fraterna, quella che consiste “nell’amore, nella comunionedi spirito, nel cuore compassionevole, nell’andare d'accordo, praticando la stessa carità con unanimità d'intenti, nutrendo i medesimi sentimenti”.40
Questa è la libertà che ci è restituita dalla risurrezione del Signore, con la quale vogliamo concludere questa nostra lettura della lettera ai Filippesi.
Abbiamo menzionato più in alto le divisioni della comunità di Filippi. Tra le sue cause, vi era l’influenza di un gruppo di predicatori che si opponeva a Paolo. Costoro erano membri del popolo eletto che si ‘aggrappavano gelosamente’ a delle prerogative che Paolo qualifica di ‘carnali’ cioè ‘umane’: l’alleanza, la legge, il tempio, la circoncisione etc... Il loro attaccamento al magnifico tempio di pietra di Gerusalemme rischiava di far passare in secondo piano il nuovo

38 Cf. 2.11, Gesù Cristo è Signore “alla gloria del Padre”. Eis + accusativo nel greco di questa frase indica movimento verso e fa capire che la finalità ultima di tutto è la glorificazione del Padre.
39 3.3: “i veri circoncisi siamo noi, che offriamo il nostro culto a Dio per mezzo dello Spirito, che ci vantiamo in Cristo Gesù,
e non mettiamo la nostra fiducia nella carne”
40 2.2 l’Ulivo. Rivista olivetana di spiritualità e di cultura monast ica, 34 (2004/2) 315-333


Tempio, Cristo stesso, le cui pietre sono tutti coloro che hanno ricevuto il battesimo e lo Spirito Santo, siano essi ebrei o greci, uomini o donne, schiavi o uomini liberi.
Allora Paolo risponde a questi avversari in un passaggio che nella struttura e nel vocabolario riecheggia la sua descrizione della vera Signoria di Cristo. Se c’è qualcuno che potrebbe vantarsi di possedere tutte le prerogative rivendicate dai suoi avversari per proclamare la loro superiorità, questo è proprio Paolo,
“Se qualcun altro pensa di aver motivo di confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più; io,circonciso l'ottavo giorno, della razza d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio d'Ebrei;quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile”41. Dunque, come Gesù, anche Paolo parte da una situazione che gli assicura una superiorità nei confronti di tutti gli altri. Però, come Gesù non si aggrappa gelosamente a questa situazione di superiorità, così Paolo ripetutamente ed enfaticamente proclama di aver considerato tutti i suoi privilegi come una perdita, un danno, come rifiuti, skubala, cioè davvero ‘spazzatura’. Ma il parallelismo più importante ancora deve venire. Proprio come Gesù aspetta che sia il Padre a rendergli giustizia e ad esaltarlo, così anche Paolo rifiuta di considerarsi giusto davanti al Signore sulla base delle sue prerogative di razza o zelo o anche di osservanza scrupolosa della legge o, potremmo dire, sulla base della sua santità. Proprio come Gesù, Paolo dice di se stesso che vuole “essere trovato in Cristo, non con una mia giustizia che viene dalla legge, ma con quella che si ha dalla fede di Cristo, quella giustizia cioè che viene da Dio e si fonda sulla fede, e conoscere lui con la potenza della sua risurrezione e la partecipazione alle sue sofferenze”42.
Come l’esaltazione di Gesù viene dal Padre, così dal Padre viene anche la giustizia di Paolo. Paolo “partecipa alle sofferenze” di Gesù perché vuole “essere trovato” in colui che spoglia se stesso e si umilia fino alla morte di croce. Paolo vuole ancora “conoscere la potenza della risurrezione” di Gesù perché vuol “essere trovato” in colui che il Padre ha esaltato43 e proclamato Signore. Ecco come la rivelazione della vera Signoria ci libera. Non solo abbiamo bisogno di essere liberati dall’egoismo e dalla nostra tendenza ad ‘aggrapparci gelosamente’ ai doni ricevuti; non

41 3.4-6
42 2.9s
43 Nel Nuovo Testamento ‘esaltazione’ e ‘resurrezione’ sono spesso usati come sinonimi, l’Ulivo. Rivista olivetana di spiritualità e di cul tura monastica, 34 (2004/2) 315-333


solo abbiamo bisogno di essere liberati dalla rappresentazione che ci facciamo di un Dio geloso o distante; abbiamo anche e forse soprattutto bisogno di essere liberati dalla nostra ‘giustizia’, dalla tendenza che abbiamo a contare sulla nostra virtù, sulla nostra conoscenza, sulla nostra santità. Abbiamo bisogno di essere liberati dalla paura di saperci dipendenti da Dio in tutto quello che abbiamo e tutto quello che siamo. Bisogno di essere liberati dalla paura di riconoscere che tutto è dono e che, come la Signoria stessa di Dio, anche la nostra ‘santità’ consiste semplicemente nel ‘ricevere’...

* * *

Il Signore è vicino... Forse, in conclusione di questa lettura di Filippesi, anche noi cominciamo a trovare la nostra gioia nel fatto che ‘il Signore è vicino’. Colui che è vicino è Signore nel modo nuovo ed inaudito che Cristo ci rivela, di questa ‘Signoria’ che vuol dire ‘ricevere’ ed è diventata sinonimo di ‘umiltà’. Questa umiltà, certo, coincide con la potenza della risurrezione: il Padre ha dato a Gesù il “potere di sottomettere a sé tutto l' universo”44. Ma il potere con il quale Cristo ci ‘afferra’ non è la coercizione e la forza, ma l’umiltà e l’obbedienza. Allora, quando, come Paolo, siamo tentati di gemere riconoscendo che “non siamo arrivati alla meta, nè abbiamo raggiunto uno stato di perfezione”,45 cerchiamo consolazione nel pensiero che “il Signore è vicino”.
Ciò si applica certo alla venuta del Signore nell’ultimo ‘giorno’, quello in cui il Padre porterà a termine l’opera che ha iniziato in noi in Cristo,46 in cui saremo “limpidi ed irreprensibili”47.
Ma il Signore è vicino anche e soprattutto perchè è risorto, vive, è presente e agisce. Se crediamo davvero che Dio è Signore, allora non abbiamo più il diritto di preoccuparci o di abbandonarci alla ansietà. La sola vera attitudine del cristiano è la gioia di colui che crede che Dio è Signore, che Dio veramente agisce. Il cristiano è colui che prega con questa fede il “Dio della pace”48. Allora, sarà la pace stessa di Dio a custodire il suo cuore ed i suoi pensieri: “Siate sempre allegri nel Signore. Ve lo ripeto: siate allegri. La vostra amabilità sia conosciuta da tutti gli uomini. Il Signore è vicino. Non siate in ansietà per nulla, ma in ogni necessità, con la supplica e con la preghiera di ringraziamento, manifestate le vostre richieste a Dio. Allora la pace di Dio, che sorpassa ogni preoccupazione umana, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù”49.

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49 4.4-7 l’Ulivo. Rivista ol ivetana di spi ri tual ità e di cul tura monast ica, 34 (2004/2) 315-333

DA l’Ulivo - Rivista olivetana di spiritualità e di cultura monastica, 34 (2004/2) 315-333

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