venerdì 9 maggio 2008

Rimini: "Rigenerati dalla Parola di Dio"

Appunti di viaggio:

In un recentissimo sondaggio (Eurisko) di questi ultimi giorni è risultato un triste dato, come l'86% dei cristiani non conosca affatto la Bibbia! E' stato certamente consolatorio in questi giorni a Rimini vedere che molti dei ventimila avevano con sé le loro Bibbie tascabili.

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“Il cristiano fonda la sua fede su una Parola che deve essere ascoltata con la sapienza del cuore, e diventare vita. Perché la fede – secondo il coordinatore nazionale Mario Landi – è accogliere una Parola vivente, un Dio che si manifesta, interviene nella storia personale di ognuno di noi e in quella dell’umanità”.

Molto appropriato il riferimeno ad Emmaus come “storia in corso”, del Vescovo di Rimini Mons. Lambiasi. “I discepoli che iniziano il cammino come mendicanti di senso, rompono il silenzio per aprire il dialogo. Imparano a interpretare la propria vita e le proprie esperienze a partire dalle Scritture, mentre il Risorto illumina il loro cuore. Fanno una sosta nel cammino per chiedere al Signore di rimanere con loro. Nella sua misericordia Egli entra nel loro “spazio vitale” e rimane con loro. Quello che succede dopo è pura comunione fraterna. “Quando fu a tavola, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24,30s). In seguito ritornano dai loro compagni e fanno esperienza di condivisione, prima attraverso l’ascolto attento e stupito, poi, narrando la vittoria della vita sulla morte, manifestatasi definitivamente nella risurrezione di Cristo. Emmaus è strada in corso: è metodo sempre praticabile e cammino sempre percorribile. Come tutte le cose che contano, il metodo Emmaus è semplice ed essenziale: incontrarsi, riunirsi; parlare di ciò che è accaduto; condividere il Vangelo e rileggere la vita; pregare e lodare Dio per tutti i suoi doni; celebrare la comunione fraterna; tornare ai fratelli e sorelle del mondo intero con la bella notizia che ha trasformato le nostre vite: “davvero il Signore è risorto!”. (...) Ed ha concluso con un bel augurio: che ognuno di voi possa dire al termine di questi giorni come i due discepoli di Emmaus: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto, mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32).

È il patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola, a presiedere la prima Concelebrazione eucaristica della XXXI Convocazione nazionale: “Nell’Eucaristia l’uomo partecipa dell’amore trinitario. Lo Spirito agisce con la sua azione purificatrice; come fuoco che rende incandescente il ferro, lo Spirito raggiunge le più profonde fibre del nostro essere; guarisce le ferite del nostro cuore, spesso incapace di amare…Come dicevano i Padri, Gesù è medico dei corpi e delle anime; per questo lo Spirito suscita in ogni tempo carismi di guarigione e di intercessione». E questo tema verrà ripreso nella conclusione dell’omelia quando il Cardinale esorterà: «la vostra fede intensa procuri di sollecitare miracoli allo Spirito Santo».

E sopratutto con un certo vigore: “I pastori hanno il dovere di riconoscere i carismi che lo Spirito Santo suscita”! Ci ricorda le parole che Giovanni Paolo II rivolse ai responsabili del RnS: «“Tutte le vostre attività di evangelizzazione tendono a promuovere nel popolo di Dio una crescita costante nella santità”. È la santità la priorità di ogni tempo, che ha bisogno di testimoni, ponte tra Dio e i fratelli. Il Rinnovamento nello Spirito è stato suscitato nella Chiesa per questo compito». Il cardinale Scola sottolinea che lo Spirito Santo opera corporalmente, e l’opera corporale dello Spirito si vede nell’unità fatta corpo. «Noi – continua – lo sperimentiamo nella gioia e nell’esultanza di quest’assemblea. Lo stesso convenire qui da tante città è un’opera corporale».

Nella seconda giornata, dedicata all’esperienza della misericordia di Dio che consola, guarisce e libera, al teologo mons. Bruno Forte il compito di tenere la Lectio divina sul tema: “Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. L’Arcivescovo di Chieti-Vasto inizia la Lectio divina presentando all’assemblea l’icona de«ll’Epistemius, cioè l’immagine di Giovanni che appoggia il capo sul cuore di Gesù», perché – come dice Origene – può comprendere le parole di Gesù «solo chi poggia il capo sul suo cuore: è l’amore infatti che svela il Mistero».E in questa ottica di amore introduce la parabola del figliol prodigo, in cui «il vero protagonista è il padre», gli altri due personaggi, i figli, sono coloro che a lui convergono. Su questa conversione mons. Forte pone l’accento perché «non è un’esperienza personale. È un ritorno, una relazione d’amore che era stata infranta e che viene ristabilita».

Gesù ha voluto confidarci qual è il volto del Padre, spiega ancora mons. Forte, indicandone cinque caratteristiche: 1. L’umiltà. Solo lui poteva abbassarsi così tanto, circoscrivere la sua onnipotenza «di fronte al mistero della persona da Lui creata» e amata. 2. La speranza di Dio. «Il cuore di Dio è pieno di speranza in attesa del ritorno del Figlio». Negare questa speranza vuol dire negare la fiducia che Lui ha nella sua creatura. 3. L’amore materno. Il Padre non esita a correre incontro al figlio atteso, esprimendo commozione, ma anche coraggio perché non ha paura di perdere la faccia. 4. La gioia. Per il Padre il primo gesto dopo l’accoglienza al figlio è la festa, una grande festa perché quel figlio è tornato in vita, ed è stato ritrovato. 5. La sofferenza. «Non c’è gioia se prima non c’è stata sofferenza, questa è la legge dell’amore» a questa legge nemmeno Dio si è voluto sottrarre. A questo punto, mons. Forte ha invitato l’assemblea a chiedersi se questo sia il volto del Dio in cui crede: un Padre-Madre di misericordia, speranzoso, coraggioso, capace di gioire e soffrire.

Padre Rufus Pereira ha invece esordito raccontando un aneddoto semplice e significativo che ha ben introdotto l’assemblea al momento di preghiera per la guarigione e liberazione: dovendo raggiungere Roma da Londra pensò di viaggiare in treno. Durante il percorso incontrò solo inglesi che tacevano e parevano mostrarsi indifferenti a ogni suo tentativo di dialogo. Regnava un silenzio assordante. Appena giunto in Italia e dovendo cambiare treno incappò fra centinaia di persone che parlavano contemporaneamente ma che tra loro, però, non si ascoltavano. Fu allora che, colpito da questi fatti, comprese che qualcosa doveva cambiare nel rapporto dialogico tra Dio e l’uomo: quando noi parliamo Dio resta in silenzio ad ascoltarci e quando è Dio a parlare l’uomo deve solo ascoltare nel medesimo silenzio.

Il Sacerdote, di comprovata esperienza spirituale e pastorale, ha rivolto la sua preghiera in favore del popolo del RnS e dell’intera nazione, rivolgendosi a Dio Padre per mezzo di Gesù, morto e risorto. Ha aiutato ogni singolo partecipante a comprendere il grande ruolo del sacramento della Riconciliazione affermando il suo carattere «di grande dono da parte di Dio per la Chiesa Cattolica». La Riconciliazione è il mezzo che Dio usa ordinariamente per manifestare la sua azione di liberazione e di guarigione non solo psichica ma anche fisica. Il Signore attende il suo popolo per liberarlo e guarirlo. Continua a farlo con la modalità di sempre, che si evince dai Vangeli: accoglie; parla del Regno di Dio, ossia del suo grande amore; e guarisce l’uomo nella profondità del suo essere. Padre Rufus ha ribadito che tre sono le cose che possono cambiare il mondo: un sorriso colmo d’amore; una parola buona e mettere l’altro sempre al centro dei nostri interessi.

Nella cultura odierna, in cui è sempre più evidente «una desertificazione di senso» – ha detto all’inizio della sua omelia mons. Francesco Lambiasi – il nichilismo che si avverte, e che intristisce i cuori rendendoli esanimi, è dovuto a uno «spostamento dalla cultura cristiana alla cultura pagana». E sul terreno della ricerca della felicità sembra che si sia già giocata la partita a discapito della fede cristiana.Di fronte alla questione della sofferenza e della morte – continua mons. Lambiasi –, il paganesimo si rassegna a un fato cieco. «Il Cristianesimo annuncia invece la felicità già su questa terra» e l’annuncia con un grido di gioia: «è risorto, perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24, 5). Riferendosi al Vangelo del giorno il Vescovo ribadisce quanto la Parola annuncia: in verità, ora siete nella tristezza, ma sarete nella gioia, il vostro cuore si rallegrerà (cf Gv 16, 22). Ma che cosa è questa gioia? Chiede ai presente il Vescovo di Rimini. E ripercorrendo il Credo ne estrae «otto sante ragioni» che chiariscono cosa possiamo intendere per gioia cristiana.

  1. Noi crediamo in Dio, amore che ci ha creati, voluti e chiamati per nome e non si dimentica mai di noi.

  2. Crediamo in Gesù Cristo, morto per noi, «non in senso cumulativo, ma in senso distributivo, per tutti e per ciascuno» in particolare.

  3. Crediamo nello Spirito Santo, «fortissimo e tenerissimo Consolatore» e anche quando «non ci salva dal dolore, ci salva nel dolore».

  4. Crediamo nella Chiesa, dove si realizza per noi il miracolo della Pentecoste. Tutti uniti dalla Carità che «tutto ama, crede e sopporta».

  5. Crediamo nella comunione dei santi e in particolare della regina di tutti i sante, la Vergine Maria. Il suo«parto virginale ha proiettato Cristo» a illuminare tutta la nostra vita.

  6. Crediamo nella remissione di peccati, vale a dire che Dio è più grande del nostro peccato.

  7. Crediamo nella risurrezione della carne. Sappiamo di essere già passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli.

  8. Crediamo nella vita eterna, in vista della quale i nostri slanci di fede e di pace non andranno mai perduti.

Questo è il motivo della nostra gioia e allora, conclude mons. Lambiasi: «perché non rallegrarci sempre, visto che siamo chiamati a rallegrarci per sempre?».


È padre Raniero Cantalamessa ad aprire, con la sua relazione sulla chiamata ad evangelizzare, la terza giornata di Convocazione. «Il profeta - spiega il Predicatore della Casa Pontificia commentando la Scrittura - è come uno a cui è dato un occhio penetrante, che gli permette di leggere nel pensiero di Dio». La forza della Parola, che è vitale, energica. Oggi come allora; la Bibbia, oltre ad essere ispirata da Dio, comunica la sua misteriosa presenza. Ma come riconoscere la profezia, e in che modo essere veri profeti? Nell’esperienza profetica si sperimenta un riflesso di quell’autorità con cui parlava Gesù; un brivido o un senso di calore, o una trafittura del cuore, come accadde a Pentecoste. Il vero profeta – spiega p. Cantalamessa – quando parla tace, assistendo al passaggio di un’altra voce. Come si situa il Rinnovamento in rapporto alla profezia? Il Predicatore della Casa Pontificia ripercorre la storia della profezia che, dal II secolo e soprattutto dopo la Riforma, non scomparve ma, all’interno della Chiesa, venne istituzionalizzata, diventando esclusivamente caratteristica della gerarchia di spiegare la Scrittura. Nell’ambito laico, invece, fu secolarizzata. La novità arrivò con il Concilio Vaticano II, che crea una nuova dialettica tra profezia e carisma; anche i laici – si afferma – fanno parte dell’ufficio profetico. Ed ecco il ruolo del RnS che, dice p. Raniero, «segna il passaggio dai documenti alla vita. Il Rinnovamento carismatico – continua – è un rinnovamento profetico prima ancora che carismatico». E ha riportato alla luce le manifestazioni del carisma profetico (cf 1 Cor 14); in primo luogo, il dono delle lingue. (...) Preghiera, umiltà e amore: sono alcune delle condizioni che permettono a Dio di usare l’uomo nella sua opera di salvezza. Concludendo, p. Raniero esorta ad essere profeti, in forza del Battesimo. "Lo si può essere non solo con la bocca, ma con gli occhi, lo sguardo, il sorriso, la vita. Chiediamo a Dio – dice rivolgendosi ai membri dell’assemblea – di mandarci come profeti". (Padre Raniero Cantalamessa è particolarmente felice di celebrare il suo 50° anniversario di sacerdozio con una assemblea di circa 20.000 fratelli, che con lui sanno moltiplicare il suo rendimento di grazie)
Oggi purtroppo, ricorda il predicatore della Casa Pontificia, si sta diffondendo una mentalità secondo la quale cerchiamo di prolungare la vita dell’uomo fino a 150 anni, aiutati dalla scienza che promette di realizzare un tale sogno. A noi cristiani però non interessa la quantità, bensì la qualità della vita. Noi crediamo in una vita soprannaturale, mentre il mondo crede in una super-vita naturale.
Noi quindi risorgeremo, ma quando? San Leone Magno – ha ricordato p. Raniero – parla di due risurrezioni: una del corpo che avverrà alla fine dei tempi, e l’altra è la risurrezione del cuore, e quella avviene anche oggi.
Questa risurrezione porta speranza e oggi viviamo in un tempo e in una società che hanno bisogno di speranza. E noi siamo chiamati a portare questa speranza – ha concluso p. Raniero – in particolare le donne, a cui Gesù ha affidato l’annunzio della risurrezione.

Rigenerati dalla Parola di Dio viva ed eterna» (1 Pt 1, 23). È sul tema del Convegno l’intervento conclusivo: relatore, il presidente del RnS Salvatore Martinez. Il presidente del RnS apre la relazione conclusiva con l’episodio dell’incontro di Gesù con Nicodemo (cf Gv 3, 1-21), un uomo che è «immagine di un’umanità assetata». Il dubbio non è nemico della fede, e la vera laicità che manca al nostro Paese – dice con forza dal palco Salvatore Martinez – è quella di Nicodemo; quella capace di fare domande, non di dare risposte; quella che nasce dal dubbio, dall’interrogazione. Nelle parole di Martinez, un’esortazione vigorosa al popolo del Rinnovamento perché evangelizzi, senza paura, mettendo a frutto il potere dei sacramenti e i carismi: «Dobbiamo testimoniare Cristo proclamandolo. Anche il Rinnovamento va proclamato perché è un’opera dello Spirito - dice ai migliaia di presenti -. Dobbiamo credere e osare!». Inventando soluzioni nuove, trovando nuovi spazi di evangelizzazione. Nel nostro tempo l’umanità è aggredita da tutte la parti. E «nei nostri gruppi le persone devono conoscere non la prepotenza umana, ma la potenza di Dio». «Evangelizzare – continua Martinez - è umanizzare, educare». «Dobbiamo ancora far conoscere alla Chiesa la grazia dell’effusione dello Spirito; portarla nei seminari teologici, nei monasteri, nei luoghi pubblici. Perché tutti hanno bisogno di “rinascere dall’alto”… Il mondo vuole rinascere!». Martinez esprime gratitudine verso Benedetto XVI, i Vescovi e i Cardinali che sono intervenuti nei giorni della Convocazione o hanno fatto pervenire i loro messaggi di saluto al Rinnovamento: tutti, ricorda, «ci hanno esortato a sottolineare, con il nostro modo di vivere la fede, l’attualità dei carismi». «Siamo “cittadini dello Spirito” – dice citando Giovanni Paolo II -. Occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini», rimanendo sempre aperti ai continui cambiamenti e alle continue rinascite spirituali; non restando ancorati al “vecchio”– dice ancora commentando l’episodio dell’incontro di Gesù con Nicodemo. E conclude: «Guai a voi e guai a me se da questo Incontro torniamo a casa “vecchi” e non rigenerati dallo Spirito!».

La Concelebrazione eucaristica presieduta dal card. Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione per i vescovi ha chiuso la XXXI Convocazione nazionale. Nel momento della salita al cielo di Gesù Cristo – ha detto il Cardinale – gli apostoli «rimangono sul monte degli Ulivi col naso all’insù. Non riescono a staccare i loro occhi dal cielo, con in cuore un’intensità di sentimento incontenibile». Certo oggi per un evento del genere ci aspetteremmo qualcosa di più spettacolare, perché quell’avvenimento chiude un epoca, quella del passaggio terreno di Gesù, e ne apre un altra, quella della Chiesa. “Il vero significato dell’Ascensione è che Cristo – continua il porporato – esce dalla storia per diventare contemporaneo di ogni uomo e di ogni donna fino alla fine dei secoli», così il Salvatore diventa compagno invisibile di viaggio di ogni uomo, chiamato a vederlo con gli occhi della fede e a testimoniarlo fino ai confini della terra, proprio come fu per gli apostoli, duemila anni fa.
Riferendosi poi al tema della Convocazione ha affermato che «una crescita nella conoscenza della parola di Dio rende matura e solida la fede e aiuta a comunicare il fascino del Vangelo e la bellezza di una vita tesa in uno sforzo di rinnovamento spirituale». Infine il Cardinale ha fatto richiesta al Rinnovamento di contribuire a rendere «la nostra Chiesa cattolica sempre più bella, più credibile, più santa e a rendere il mondo più rispondente al disegno di Dio».

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