domenica 10 gennaio 2010

Contemplazione e lavoro

Contemplazione e lavoro (I)

Essere contemplativi è godere dello sguardo di Dio. Per questo chi sa di
essere in sua compagnia lungo la giornata, vede con occhi diversi i
compiti da svolgere.

Vorrei che oggi, in questa nostra meditazione, ci persuadessimo una volta
per sempre della necessità di avviarci a essere anime contemplative, nel
bel mezzo della strada e del lavoro, grazie a un colloquio costante col
nostro Dio che non deve mai venir meno durante tutta la giornata. Se
vogliamo seguire lealmente le orme del Maestro, è questa l’unica via [1].

Per quanti siamo stati chiamati da Dio a santificarci in mezzo al mondo,
trasformare il lavoro in orazione e avere anima contemplativa è l’unico
cammino, perché o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria,
o non lo troveremo mai [2].

Conviene che meditiamo in profondità quest’insegnamento capitale di san
Josemaría. In questo testo rifletteremo riguardo alla contemplazione;
altre volte ci fermeremo ad approfondire la vita contemplativa nel lavoro
e nelle attività della vita ordinaria.


COME A NAZARET, COME I PRIMI CRISTIANI

La scoperta di Dio nelle cose ordinarie di ogni giorno, dà al proprio
lavoro il suo valore ultimo e la sua pienezza di senso. La vita occulta di
Gesù a Nazaret, gli anni intensi di lavoro e di preghiera, durante i quali
Gesù condusse una vita normale – come la nostra, se vogliamo –, divina e
nello stesso tempo umana [3], mostrano che il lavoro professionale, la
dedicazione alla famiglia e alle relazioni sociali non sono un ostacolo
per pregare sempre [4], ma occasione e mezzo per una vita intensa di
rapporto con Dio, fino a che arriva un momento nel quale è impossibile
stabilire una differenza tra lavoro e contemplazione. Per questa strada di contemplazione nella vita ordinaria, seguendo le orme del Maestro, si svolse la vita dei primi cristiani: «quando passeggia, parla, riposa o legge, il credente prega» [5], scriveva un autore del II secolo. Anni dopo San Gregorio Magno attesta, come un ideale fatto realtà tra numerosi fedeli, che «la grazia della contemplazione non si dà ai grandi e non ai piccoli; ma la ricevono molti grandi, e anche molti
piccoli, sia tra quelli che vivono ritirati dal mondo che tra le persone
sposate. Pertanto, se non c’è alcuno stato tra i fedeli che resti escluso
dalla grazia della contemplazione, chi custodisce interiormente il cuore
può essere illuminato da questa grazia» [6].Il Magistero della Chiesa, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, ha ricordato molte volte questa dottrina, così importante per coloro che hanno la missione di portare Cristo dappertutto e trasformare il mondo con lo spirito cristiano. «Le attività giornaliere si presentano come un prezioso mezzo di unione con Cristo, potendo divenire ambito e materia di
santificazione, terreno di esercizio delle virtù, dialogo d’amore che si realizza nelle opere. Il lavoro viene trasfigurato dallo spirito di orazione e diventa così possibile restare in contemplazione di Dio, anche mentre si è intenti nel disbrigo di varie occupazioni» [7].


LA CONTEMPLAZIONE DEI FIGLI DI DIO

Il Catechismo insegna che «la contemplazione di Dio nella sua gloria è
chiamata dalla Chiesa visione beatifica”» [8]. Di questa contemplazione
piena di Dio, propria del Cielo, possiamo avere un certo anticipo su
questa terra, un inizio imperfetto [9], che, benché sia diverso dalla
visione, è già una vera contemplazione di Dio, così come la grazia,
essendo di un ordine diverso dalla gloria, è, tuttavia, una vera
partecipazione alla natura divina. Ora vediamo come in uno specchio, in
maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo
imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono
conosciuto [10], scrive San Paolo.

Questa contemplazione di Dio come in uno specchio, durante la vita
presente è possibile grazie alle virtù teologali: alla fede e alla
speranza vive, informate dalla carità. La fede, unita alla speranza e
vivificata dalla carità «ci fa gustare in anticipo la gioia e la luce
della visione beatifica, fine del nostro pellegrinare quaggiù» [11].

La contemplazione è una conoscenza amorosa e gioiosa di Dio e dei suoi
disegni manifestati nelle creature, nella Rivelazione soprannaturale, e
pienamente nella Vita, Passione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo
nostro Signore. «Scienza d’amore» [12] la chiama San Giovanni della Croce.
La contemplazione è una chiara conoscenza della verità, ottenuta non da un
processo di ragionamento ma da un’intensa carità [13].

L'’orazione mentale è un dialogo con Dio. Mi hai scritto: “Pregare è un
parlare con Dio. Ma, di che cosa?. –Di che cosa? Di Lui, di te: gioie,
tristezze, successi e insuccessi, nobili ambizioni, preoccupazioni
quotidiane…, debolezze! E atti di ringraziamento e suppliche: e Amore e
riparazione. In due parole: conoscerlo e conoscersi: “stare insieme” [14].
Nella vita spirituale questo rapporto con Dio tende a semplificarsi via via
che aumenta l’amore filiale, pieno di fiducia. Avviene allora che,spesso,
non sono più necessarie le parole per pregare, né quelle a voce alta, né
quelle interiori. Le parole vengono meno, la lingua non riesce a
esprimersi; anche l'intelletto si acquieta. Non si discorre, si ammira!
[15].

Questa è la contemplazione, un modo di pregare attivo, ma senza parole,
intenso e sereno, profondo e semplice. Un dono che Dio concede a coloro
che lo cercano con sincerità, mettono tutta l’anima nel compimento della
sua Volontà, con opere, e cercano di stare alla sua presenza. Dapprima una
giaculatoria, poi un'altra, e un'altra ancora... finché questo fervore
appare insufficiente, perché le parole sono povere... e allora subentra
l'intimità divina, lo sguardo fisso in Dio, senza soste e senza mai
stancarsi [16]. Questo può succedere, come insegna san Josemaría, non solo
nei momenti dedicati espressamente all’orazione, ma anche mentre svolgiamo
con la massima perfezione possibile, pur con i nostri errori e con i
nostri limiti, i compiti propri della nostra condizione e del nostro
lavoro [17].

SOTTO L'’AZIONE DELLO SPIRITO SANTO

Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo inabitano nell’anima in grazia
[18]. Siamo templi di Dio [19]. Non bastano le parole per esprimere la
ricchezza del mistero della Vita della Santissima Trinità in noi: il Padre
che eternamente genera il Figlio e che con il Figlio spira lo Spirito
Santo, vincolo di Amore sussistente. Con la Grazia di Dio facciamo parte
di questa vita come figli. Il Paraclito ci unisce al Figlio che ha assunto
la natura umana per farci partecipi della natura divina: quando venne la
pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la
legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo
l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha
mandato nei nostri cuori lo Spirito di suo Figlio, che grida: «Abbà!
Padre!» [20]. E in questa unione con il Figlio non siamo soli ma formiamo
un corpo, il Corpo mistico di Cristo, al quale tutti gli uomini sono
chiamati a incorporarsi come membra vive e a essere, come gli apostoli,
strumenti per attrarre altri, partecipando al sacerdozio di Cristo [21].

La vita contemplativa è la vita propria dei figli di Do, vita di intimità
con le Persone Divine che si riversa nel desiderio apostolico. Il
Paraclito infonde in noi la carità che ci permette di raggiungere una
conoscenza di Dio che senza la carità è impossibile, poiché chi non ama
non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore [22]. Chi più ama meglio lo
conosce, poiché questo amore – la carità soprannaturale – è una
partecipazione dell’infinita carità che è lo Spirito Santo [23], che
scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti
dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui?. Così anche i segreti
di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio [24].

Questo Amore con la maiuscola, instaura nella vita dell’anima una stretta
familiarità con le Persone Divine, e una conoscenza di Dio più acuta, più
rapida, certa e spontanea, in profonda sintonia con il cuore di Cristo
[25]. Anche sul piano umano coloro che si amano si comprendono con più
facilità, e per questo san Josemaría ricorre a questa esperienza per far
comprendere in qualche modo che cos’è la contemplazione di Dio; per
esempio, ripeteva che nella sua terra a volte si diceva: guarda come lo
contempla!, e spiegava come questo modo di dire si riferiva a una madre
che aveva il suo bambino in braccio, a un fidanzato che guardava la sua
ragazza, alla moglie che vegliava il marito. E’ così che dobbiamo
contemplare il Signore. Però tutta la realtà umana, per bella che sia, rimane solo un’ombra dellacontemplazione che Dio concede alle anime fedeli. Se la carità
soprannaturale supera in altezza, qualità e forza qualsiasi amore
semplicemente umano, che dire dei Doni dello Spirito Santo che ci
permettono di essere guidati docilmente da Lui? Così la crescita di
questi Doni – Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà e
Timore filiale – cresce la connaturalità o la familiarità con Dio e si
dispiega tutto il colore della vita contemplativa.

In particolare, con il Dono della Sapienza – il primo e il più grande dei
Doni dello Spirito Santo [26] – ci viene concesso non solo di conoscere e
credere alle verità rivelate su Dio e sulle creature, come è proprio della
fede, ma di assaporare queste verità, di conoscerle con un «certo sapore di
Dio» [27]. La sapienza – sapientia – è una sapida scientia: una scienza che
si gusta. Grazie a questo dono non solo si crede all’Amore di Dio, ma lo si
sa in un modo nuovo [28]. È un sapere al quale si arriva solo con santità:
e ci sono anime nascoste, ignorate, profondamente umili, sacrificate,
sante, con un senso soprannaturale meraviglioso: Ti benedico, o Padre,
Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai
sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli [29].Con il dono
della sapienza la vita contemplativa si addentra nelle profondità di Dio
[30]. In questo senso san Josemaría ci invita a meditare un testo di San
Paolo che ci propone tutto un programma di vita contemplativa – conoscenza
e amore, orazione e vita – (…): Cristo abiti per mezzo della fede nei
vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di
comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza,
l’altezza e la profondità, e di conoscer l’amore di Cristo che supera ogni
conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. (Ef 3, 17-19)
[31]. Dobbiamo implorare dallo Spirito Santo il Dono della Sapienza insieme agli
altri doni, da esso inseparabili. Sono i regali dell’Amore divino, i
gioielli che il Paraclito concede a coloro che vogliono amare Dio con
tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze.

PER LA STRADA DELLA CONTEMPLAZIONE

Quanto maggiore è la carità, più intensa è la familiarità con Dio nella
quale sorge la contemplazione. Perfino la carità più debole, come quella
di chi si limita a non peccare gravemente ma non cerca di compiere in
tutto la Volontà di Dio, stabilisce una certa conformità con la Volontà
divina. Tuttavia, un amore che non cerca di amare di più, che non ha il
fervore della pietà, assomiglia di più alla formale cortesia di un
estraneo che all’affetto di un figlio. Chi si accontentasse di questo nel
suo rapporto con Dio, non andrebbe oltre a una conoscenza delle verità
rivelate insipida e passeggera, perché se uno ascolta soltanto e non mette
in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in
uno specchio: appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era
[32].

Molto diverso è il caso di chi desidera sinceramente di identificare in
tutto la sua volontà con la Volontà di Dio e, con l’aiuto della grazia,
adopera i mezzi: l’orazione mentale e vocale, la partecipazione ai
sacramenti – la Confessione frequente e l’Eucarestia – il lavoro e il
compimento fedele dei propri doveri, la ricerca della presenza di Dio
lungo la giornata: un attento piano di vita spirituale insieme a
un’intensa formazione cristiana.
L’ambiente attuale della società conduce molti a vivere “rivolti
all’esterno”, con un’ansia costante di possedere questo o quello, di
andare di qui o di là, di vedere e guardare, di muoversi, di distrarsi con
sciocchezze, forse nell’intento di dimenticare il loro vuoto interiore, la
perdita del senso trascendente della vita umana. A coloro che abbiamo
scoperto la chiamata divina alla santità e all’apostolato, deve succedere
il contrario. Quanta più attività esterna, più vita al di dentro, più
raccoglimento interiore, cercando il dialogo con Dio presente nell’anima
in grazia e mortificando i desideri della concupiscenza della carne, della
concupiscenza degli occhi e della superbia della vita [33]. Per contemplare
Dio è necessario purificare il cuore. Beati i puri di cuore, perché
vedranno Dio [34]. Chiediamo alla Madonna che ci ottenga dallo Spirito Santo il dono di essere contemplativi in mezzo al mondo, dono che sovrabbondò nella sua
vita santissima.



Javier López Díaz, Professore di Teologia Spirituale presso la Pontificia
Università della Santa Croce

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