mercoledì 19 maggio 2010

Un’ora che non vale nulla?

La lezione di religione nella scuola dell’obbligo, nessuna novità all’orizzonte ma la richiesta di non modificare prassi consolidate. Il commento del direttore dell’ufficio Scuola del Vicariato di Roma di Filippo Morlacchi.

Secondo alcuni organi di stampa, in questo ultimo scorcio di anno scolastico si starebbe consumando l’ennesima ingiustizia nel mondo della scuola: i soliti docenti di religione hanno incassato un altro regalino immeritato. Questa volta la colpa sembra del Consiglio di Stato, che ha stabilito, con la decisione 02749/2010 «l’importanza determinante dell’IdR ai fini dell’attribuzione del credito scolastico… e introduce un criterio di esclusione per chi quel “credito” non può (o non vuole) accumularlo».

Anzi – rincara la dose Pierluigi Battista («La religione a scuola fa media: che errore», Corriere della Sera del 13.05.10) – «gli studenti che frequentano il corso di religione [avranno] una marcia in più, un credito in più, un contributo in più che faccia “media” con le altre materie. E gli altri? Gli altri dovranno dolersi di non aver scelto l’ora di religione».

Come se non bastasse, la cosa è tanto più grave se si considera la scorrettezza di cambiare le regole mentre si sta giocando. È la tesi di Repubblica, secondo la quale «cambia la valutazione alla vigilia degli scrutini» (cfr Salvo Intravaia, «Ora di religione nel credito. Gelmini esulta per la sentenza», 10.05.10). La solita storia delle “sentenze a orolo-geria”, quindi…

A onor del vero, l’articolo in questione è più corretto, ed è solo il sommario a riferirne faziosamente il contenuto, inducendo in inganno il lettore frettoloso. Lo so, succede spesso, i titoli devono essere accattivanti per creare la “notiziabilità”. Ma non mi sembra onesto. Peggio ancora, del resto, fa il Manifesto (cfr Giorgio Salvetti, «Quanto paghiamo l’ora di religione» 12.05.2010), che nell’occhiello dichiara azzardatamente dell’IRC: «in pagella farà media» (e tralascio altre inesattezze che generosamente imprezioscono il corpo dell’articolo). Dispiace però che un opinion maker saggio e lucido come Pierluigi Battista sia stato così poco informato sui termini esatti della questione e si sia espresso in modo così corrivo e approssi-mativo.

Come stanno effettivamente le cose?

1. Il Consiglio di Stato con il suo recente intervento si limita a richiedere l’osservanza di una normativa scolastica decennale, ribadendo ancora una volta quanto già stabilito dall’OM 128/99, secondo la quale tra i criteri che ciascuna scuola fissa per l’attribuzione del credito scolastico, deve essere inserito anche il giudizio dell’IdR (cfr ad es. S. CICATELLI, Prontuario giuridico IRC, Queriniana, Brescia 2003, p. 75). Quindi nessuna novità viene introdotta, ma piuttosto si chiede di non modificare una prassi consolidata.

2. L’ora di religione non fa media. I membri del Consiglio di Stato lo sanno bene e infatti ribadiscono, sulla base della normativa vigente, che l’IdR non attribuisce voti (cfr n. 14 della Sentenza). Dunque qualche organo di stampa che ha titolato diversamente ha preso un abbaglio.

3. Il Consiglio di Stato non ha introdotto una novità definendo che, qualora l’alunno scelga di avvalersi dell’IRC, la frequenza delle lezioni diventa per lo studente obbligatoria. Questo è non solo un principio di logica elementare, ma chiarito dalla normativa e consolidato dalla giurisprudenza. Basta leggere cosa affermano in proposito l’accordo di revisione del Concordato (1984) e le successive intese tra MPI e CEI, o rifarsi alla sentenza n. 203/1989 della Corte Costituzionale.

4. Non è vero che la sentenza che riconosce il valore dell’IRC (e delle attività alternative!) lede un principio di uguaglianza ed è discriminante per i non avvalentisi. Queste infondate accuse erano state già rivolte, a suo tempo, all’OM 128/99; e in quell’occasione proprio il Tar del Lazio ne aveva dichiarato l’infondatezza con la sentenza n. 7101/00: «a coloro che non maturano crediti nel seguire l’IRC o di materie alternative non è affatto impedito di guadagnare crediti con altre iniziative.

Né si può pretendere che la scelta del nulla possa produrre frutti». Semmai, dispiace che nel giro di un decennio il medesimo organo istituzionale abbia così drasticamente smentito se stesso, dichiarando con la sentenza n. 7076/2009 l’esatto contrario di quanto aveva affermato nove anni prima. Questo sì che è un “cambiare le carte in tavola”! Limpido, invece, il ragionamento del Consiglio di Stato: «chi segue religione (o l’insegnamento alternati-vo) non è avvantaggiato né discriminato: è semplicemente valutato per come si comporta, per l’interesse che mostra e il profitto che consegue» (n. 16).

5. «Tutti sanno che i corsi alternativi sono assenti nella grande maggioranza delle scuole», scrive ancora P. Battista sul Corriere. È vero, purtroppo. E allora? Su quest’ultimo punto, meritano attenzione le conclusioni del Consiglio di Stato: l’attività alternativa o insegnamento alternativo «è, e deve restare, facoltativo per lo studente, che può certamente non sceglierlo senza essere discriminato, ma la sua istituzione deve considerarsi obbligatoria per la scuola […].Di questo aspetto il Ministero appellante dovrà necessariamente farsi carico». Questo sì, mi sembra un elemento di novità, che farà – giustamente – discutere.

www.Romasette.it

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